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Autore: Josy_98    05/07/2021    0 recensioni
Prima di incontrarsi con la compagnia dei nani alla casa dello hobbit, Gandalf fece visita a una vecchia amica chiedendole di mantenere una promessa fatta tanti anni prima. Quella giovane, che così giovane non è, si troverà così costretta a partecipare a un viaggio corrispondente a un doloroso e continuo tuffo nel passato, in mezzo a ricordi che l'intera Terra di Mezzo ha dimenticato. Per non parlare della verità celata dietro alla sua natura: la sua parte di elfo, razza disprezzata da Thorin e i nani, non è la peggiore. Una realtà molto più oscura, infatti, la segue come un'ombra che non si è ancora rivelata.
Estratto dal primo capitolo:
"Perchè lo fai?"
Lei si voltò verso di lui. "Non è ovvio?" chiese. Al silenzio del nano sospirò. "Conoscevo tuo padre, e conoscevo tuo nonno. Erano entrambi miei amici. Ho fatto loro una promessa e intendo mantenerla." disse.
"C'è qualcos'altro." ribattè lui. "Qualcosa che non mi hai detto."
"Sono tante le cose che non ti ho detto." rispose.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Compagnia di Thorin Scudodiquercia, Gandalf, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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7. Mosche e ragni
 
Camminavano in fila indiana. L'inizio del sentiero era indicato da una specie di arcata che portava in un tunnel tetro fatto di due grandi alberi che si intrecciavano, troppo vecchi ormai, e strangolati dall'edera e coperti di musco, per poter reggere più di poche foglie annerite. Il sentiero era stretto e serpeggiava in mezzo ai tronchi. Ben presto la luce all'ingresso fu come un piccolo foro luminoso molto lontano, e il silenzio era così profondo che pareva che i loro passi risuonassero sordi sul terreno, mentre tutti gli alberi si piegavano sopra di loro per ascoltare.
Quando gli occhi si furono assuefatti alla penombra, poterono vedere per un certo tratto ai due lati del sentiero attraverso una specie di chiarore verde scuro. Di tanto in tanto un esile raggio di sole, che aveva la fortuna di infiltrarsi dove le foglie erano più rade, su in alto, e la fortuna ancora più grande di non venire imprigionato dai grossi rami aggrovigliati e dai virgulti opachi al di sotto, stilettava giù sottile e vivido davanti a loro. Ma questo accadeva di rado, e presto cessò del tutto.
C'erano degli scoiattoli neri nel bosco. Grazie alla sua vista da elfo, Lumbar riusciva a cogliere le loro velocissime apparizioni mentre frullavano via dal sentiero e correvano a nascondersi dietro i tronchi degli alberi. C'erano anche degli strani rumori, grugniti, calpestii, tramestii frettolosi nel sottobosco e tra le foglie che senza fine giacevano ammucchiate e fitte sul suolo della foresta; ma da che cosa fossero prodotti quei rumori, nemmeno lei riusciva a vederlo. Le cose più brutte che videro furono le ragnatele: ragnatele scure e spesse, dai fili straordinariamente robusti, spesso tese da un albero all'altro, o aggrovigliate sui rami più bassi ai lati del sentiero. Nessuna era tesa proprio attraverso il sentiero, ma era impossibile dire se esso fosse sgombro per magia o per qualche altra ragione.
Thorin guidava il gruppo, mentre lei si era tenuta in fondo, in modo da poter tenere d’occhio i dintorni senza doversi preoccupare del sentiero. Le bastava seguire i nani, infatti, e questo le permetteva di osservarsi intorno in modo da prevenire un eventuale attacco.
Non ci volle molto perché cominciassero a odiare la foresta con tutto il cuore, così come avevano odiato i tunnel degli orchi, tanto più che questa non sembrava offrire maggiori speranze di una qualche fine. Ma dovevano continuare ad andare avanti, anche dopo che si sentirono male per il desiderio di vedere il sole e il cielo, e anelarono alla carezza del vento sul viso. Sotto il tetto della foresta non un fremito nell'aria, che era eternamente immobile, scura e afosa. Lo sentivano perfino i nani, che pure erano abituati a vivere nei tunnel, e talvolta restavano molto a lungo senza la luce del sole; ma Lumbar, complice il malessere che la stava stritolando dall’interno, sentiva che stava lentamente soffocando. Tuttavia non si lamentò mai.
Peggiori erano, però, le notti. Calava allora un buio nero come la pece, ma proprio come la pece; così nero che non si poteva vedere niente di niente. Lumbar era l’unica, ovviamente, che ci riusciva. Dormivano tutti insieme, stretti l'uno all'altro, e facevano la guardia a turno; e Lumbar, quando toccava a lei, vedeva nell'oscurità attorno a loro dei luccichii, e talvolta un paio d'occhi gialli, o rossi o verdi che la fissavano a breve distanza, poi lentamente svanivano, e lentamente tornavano a scintillare in qualche altro posto. E talvolta brillavano, rivolti in giù, proprio dai rami che la sovrastavano; e questa era la cosa più terribile.
Sapeva che fossero i ragni, ma non fece mai niente che potesse allarmarli. Sperava si tenessero lontani il più a lungo possibile, e che si limitassero a osservarli da quella distanza. Ora come ora, infatti, non era sicura che sarebbe riuscita ad affrontarli: il male di quella foresta stava diventando pian piano sempre più soffocante; più si addentravano tra gli alberi, più lei sentiva le forze abbandonarla e il suo corpo indebolirsi.
A volte dovevano fermarsi ed esaminare il terreno per rischiare di non perdere il sentiero a causa delle foglie che lo ricoprivano. Spesso era Dwalin a ritrovare la via, picchiando con il manico della sua ascia a terra.
Tutto questo andò avanti per un periodo che pareva non finire mai; e avevano sempre fame, perché erano molto cauti con le provviste. Anche così, col passare dei giorni, e la foresta che sembrava sempre identica, cominciarono a stare in ansia. Il cibo non sarebbe durato per sempre, ed era anzi già paurosamente diminuito. Cercarono di tirare agli scoiattoli, e persero molte frecce prima di riuscire a portarne uno giù sul sentiero. Ma quando lo arrostirono, risultò orrendo al palato, e smisero di cacciarli.
Avevano anche sete, perché nessuno aveva troppa acqua, e per tutto quel tempo non avevano visto né una fonte né un ruscello.
Si trovavano in questo stato quando un giorno trovarono il loro sentiero interrotto da un corso d'acqua. Scorreva veloce e turbinoso, ma non era molto largo; era nero, o tale appariva nella penombra. I resti di un ponte di pietra erano ben visibili davanti a loro. Era esattamente quello che stavano cercando, il ponte di cui aveva parlato Gandalf e che Lumbar ricordava di aver visto, in passato.
«Trovato il ponte.» affermò Kili.
Si fermarono tutti sulla riva, scoraggiati dall’enorme buco che non erano in grado di attraversare. Una consistente parte del ponte, infatti, era crollata bloccando loro il passaggio.
«Potremmo attraversarlo a nuoto.» disse Bofur.
«Non hai sentito cos’ha detto Gandalf?» domandò Thorin. «Una magia oscura sovrasta questa foresta. Le acque di questo ruscello sono incantate.»
«Non mi sembra tanto incantevole.» commentò Bofur osservando l’acqua.
«Ti consiglio comunque di non toccarlo.» lo mise in guardia Lumbar, facendoli voltare nella sua direzione.
Era appoggiata a un albero e si teneva una mano all’altezza del petto. Sembrava stesse faticando a respirare.
«Ti senti bene?» domandò lo hobbit avvicinandosi.
«Sì, non preoccuparti.» rispose lei tentando di riprendere il controllo. «La foresta mi fa un brutto effetto, ma non è niente di grave.»
«Questa è solo la conferma che dobbiamo trovare un altro modo per passare.» commentò Thorin osservando la ragazza.
I nani cominciarono a guardarsi intorno cercando di farsi venire in mente un’idea.
«Questi rampicanti sono resistenti.» Kili attirò la loro attenzione, indicando diversi rampicanti che collegavano le due rive e preparandosi ad arrampicarcisi sopra.
«Kili.» lo fermò Thorin. «Mandiamo prima i più leggeri.»
I nani si voltarono verso Bilbo, che spalancò gli occhi, ma prima che potessero dire qualcosa Lumbar si rimise in piedi e avanzò verso il giovane nano.
Thorin la bloccò, prendendola delicatamente per un braccio. «Sei sicura?»
Lei sorrise. «Sono in assoluto la più leggera, qui.» gli fece notare, tranquilla.
«Ma sei anche quella che sta peggio.» aggiunse lui stringendo la presa, deciso a non farla andare per prima.
Lei tolse senza sforzo il braccio dalla presa del nano e appoggiò la mano sulla sua spalla.
«Sono anche quella che rischia di meno in caso dovesse cadere in acqua. Non preoccuparti.» aggiunse vedendo il suo sguardo. «Andrà bene. Bilbo sarà il prossimo.»
Alla fine, Thorin acconsentì e lei si avvicinò alla riva. Mise un piede su un rampicante e si aggrappò a un altro per issarsi, poi cominciò ad avanzare sotto lo sguardo attento dei compagni. Il rampicante dondolava, pericolante, ma lei aveva un buon equilibrio e non aveva fretta; così, con calma, continuò a mettere un passo davanti all’altro. Arrivò in fondo alla prima radice dopo un paio di metri e saltò leggera sulla seconda, che dondolò appena sotto il suo peso. A differenza della prima era estremamente sottile e ricurva e dovette saltare di nuovo per arrivare alla terza. Stava per fare un passo quando un capogiro la prese alla sprovvista e si trovò costretta a reggersi per non cadere, con la radice che cominciava a oscillare sotto di lei. Chiuse gli occhi per far passare più in fretta il malessere e respirò a fondo più volte. Gli altri la chiamarono preoccupati; l’avevano vista vacillare e si domandavano come stesse.
«Sto bene.» disse lei, dopo qualche minuto. «Bilbo puoi cominciare ad attraversare, io sono arrivata.»
Dopo un paio di passi, infatti, si ritrovò sull’altra sponda e si voltò a osservare l’attraversamento del mezzuomo.
Non ci mise molto ad arrivarle accanto, nonostante si fosse fermato a metà tra la seconda e la terza radice. Aveva il fiatone quando la raggiunse ed entrambi capirono che qualcosa non andava, fu sufficiente scambiarsi uno sguardo.
«C’è qualcosa che non quadra.» disse Lumbar.
«Non quadra affatto.» confermò Bilbo, mettendosi a sedere di scatto. «State dove siete.» urlò ai nani, cercando di avvertirli, ma loro avevano già cominciato la traversata. Tutti insieme. Ed ora erano ammassati sulle radici. «Oh.»
Bilbo si diede qualche schiaffetto sulle guance per scacciare il sonno che l’aveva pervaso, mentre Lumbar osservava i nani. Aveva un brutto presentimento. Ovviamente ci aveva visto giusto, infatti non passò nemmeno un minuto che Bombur cedette alla magia di quel posto e cadde a sedere addormentato sulla radice.
Thorin fu il primo ad arrivare e, dopo aver scambiato uno sguardo con la ragazza per assicurarsi che stesse davvero bene, si voltò verso i compagni.
Un rumore fece voltare Lumbar alla sua sinistra e, dopo poco, anche il nano e lo hobbit seguirono il suo esempio. Stava arrivando qualcosa. Un maestoso cervo bianco apparve a poca distanza da loro e si fermò a osservarli. Thorin mise mano all’arco, con calma per non farsi sentire dal cervo. Lumbar gli mise una mano sulla spalla, fermandolo.
«Che stai facendo?» mormorò lo hobbit dopo averlo notato.
Thorin, lì per lì, non fece niente; poi scattò e lanciò una freccia verso il cervo, mancandolo e facendolo scappare.
«Non avresti dovuto.» disse piano Lumbar, togliendo la mano dalla spalla del nano.
«Porta sfortuna.» aggiunse lo hobbit.
«Non credo nella fortuna.» rispose Thorin. «Noi ci creiamo la fortuna.»
Lei non disse niente, perchè la pensava come lui e non era quello il motivo per cui credeva che non dovesse cacciare il cervo, ma aveva altro a cui pensare. Si voltò verso il resto della compagnia proprio nel momento in cui Bombur scivolò di lato finendo in acqua, ancora addormentato. I nani si affrettarono a ripescarlo, stando ben attenti a non toccare l’acqua, e lo distesero sulla riva pensando al da farsi. Bombur, infatti, non dava cenno di volersi svegliare e Lumbar spiegò loro che era parte dell’incantesimo di Bosco Atro.
Decisero di creare una lettiga e ripresero il viaggio, trasportando il nano quattro per volta mentre gli altri si dividevano i loro zaini. In pochi giorni arrivarono al punto di non avere praticamente più nulla da mangiare o da bere. Inoltre non riuscivano a vedere niente di commestibile che crescesse nel bosco, solo funghi velenosi ed erbe dalle foglie anemiche e dall'odore sgradevole.
Dopo circa quattro giorni di marcia dal rivo incantato arrivarono in un posto dove gli alberi erano per lo più faggi. All'inizio furono propensi a rallegrarsi del cambiamento, poiché qui non c'era sottobosco e l'ombra non era tanto fonda, ma Lumbar sapeva che non voleva dire necessariamente qualcosa. Ai lati del sentiero filtrava una tenue luce verdastra. Ma la luce mostrava loro soltanto infinite linee di tronchi grigi e diritti come le colonne di qualche vasta sala al crepuscolo. C'era un alito d'aria e un rumore di vento, ma aveva un suono triste; poche foglie vennero giù frusciando a ricordare che fuori stava arrivando l'autunno. I loro passi calpestavano le foglie morte di altri innumerevoli autunni che il vento aveva accumulato sui bordi del sentiero, strappandole al tappeto rosso cupo della foresta.
Bombur dormiva sempre, e loro diventavano sempre più stanchi. Quando Lumbar barcollò, in preda a un altro giramento di testa, decisero di fermarsi qualche minuto a riprendere fiato e lei ne approfittò per sedersi su una radice sporgente e chiudere gli occhi, in modo da tentare di ripulire il suo corpo dal male di quel luogo. Purtroppo, così facendo, si estraniò in modo eccessivo dalla realtà e non si accorse che i suoi compagni erano in preda alle allucinazioni e si stavano allontanando dal sentiero. Solo quando Bilbo la scosse per un braccio riaprì gli occhi e si accorse del pericolo. Raggiunsero subito il gruppo, consapevoli entrambi che avrebbero perso il sentiero, ma non potevano separarsi dai nani. Dopotutto lei era l’unica che sarebbe potuta riuscire a orientarsi e, di conseguenza, uscire dalla foresta. Forse.
Quando si resero conto di essersi persi, i nani cominciarono a discutere in preda alle allucinazioni e Bilbo e Lumbar decisero di arrampicarsi su un albero per vedere il sole e capire dove fosse l’Est, in modo da poter riprendere il viaggio nella giusta direzione. Lei sperava di riuscire anche a schiarirsi la mente con l’aria pulita al di sopra degli alberi. Mise in guardia Thorin, che riportò il silenzio tra i compagni, e fece notare loro che erano osservati. Sentiva la presenza dei ragni tutta intorno a loro e glielo fece capire, in modo che stessero all’erta in loro assenza. Successivamente diede una spinta allo hobbit per issarlo sui rami più bassi, poi lo raggiunse e cominciarono ad arrampicarsi sotto lo sguardo dei nani.
I due si fecero strada attraverso l'intrico dei rami ricevendo diversi colpi negli occhi; furono insudiciati e sporcati di verde dalla vecchia scorza dei rami più grossi; più di una volta scivolarono e si afferrarono appena in tempo, talvolta a un ramo, talvolta alla mano dell’altro; e finalmente dopo un’aspra lotta in un punto difficile dove pareva che non ci fossero affatto dei rami adatti allo scopo, arrivarono quasi in cima. Lumbar riusciva a sentire un odore fresco, pulito, e sapeva che erano vicini alla superficie.
Alla fine le loro teste sbucarono fuori dal tetto di foglie. I loro occhi furono quasi accecati dalla luce. Udirono i nani gridare qualcosa da molto più in giù, ma non potevano rispondere, solo trattenere il fiato e sbattere gli occhi. Nemmeno Lumbar riusciva a sentirli con chiarezza. Il sole brillava radioso e passò parecchio tempo prima che potessero sopportarne la luce. Quando poterono, videro tutt'intorno a loro un mare di verde cupo, increspato qua e là dalla brezza; e dappertutto c'erano centinaia di farfalle.
Bilbo rise ed entrambi respirarono a fondo, riempiendosi di aria pulita e godendosi la brezza fresca. Poi si guardarono intorno, analizzando la situazione, e si accorsero di essere a buon punto dell’attraversamento: riuscivano a vedere, infatti, un lago, un fiume ed Erebor e Lumbar spiegò allo hobbit che il lago era chiamato Lago Lungo e arrivava alle pendici della Montagna.
Provarono a comunicarlo agli altri ma non ricevettero risposta, e degli inquietanti scricchiolii misero Lumbar in allerta, che fece segno a Bilbo di rimanere in silenzio. Dopo qualche secondo si ripeterono e anche lo hobbit li sentì. Di comune accordo decisero di tornare giù per capire cosa stesse succedendo, nonostante la ragazza lo sospettasse già. Avevano appena cominciato a scendere quando Bilbo inciampò in una ragnatela e cadde senza che Lumbar riuscisse ad afferrarlo. La ragazza tentò di raggiungerlo il più in fretta possibile, ma fece solo in tempo a vedere un ragno rinchiuderlo in un bozzolo mentre si lamentava. La ragazza si nascose dietro un ramo e osservò la situazione, cercando un modo per liberarlo.
Quando il ragno si mosse, insieme alla sua preda, lo seguì silenziosamente fino ad arrivare a una specie di gigantesco nido in cui altri ragni stavano appendendo diversi bozzoli alle ragnatele. Capì subito che fossero i nani. Mentre Lumbar si osservava intorno tentando di creare un piano, Bilbo si liberò e uccise il ragno che lo stava trascinando verso il nido, facendolo precipitare a terra, poi si nascose dietro un albero poco distante dal punto in cui era lei. Facendo attenzione lo raggiunse, subito dopo che un ragno gli passò vicino, e gli tappò la bocca per non farlo urlare, prendendolo di sorpresa. Quando lui la vide si calmò, rilassandosi. Elaborarono in fretta una strategia: uno dei due avrebbe distratto i ragni e l’altro avrebbe liberato i nani. Bilbo si offrì di fare da diversivo, alludendo al fatto che lei fosse molto più svelta e agile di lui quindi avrebbe potuto liberare i nani più in fretta per poi aiutarlo. Aveva una mano in tasca e lei capì cosa voleva fare; anche se riluttante, accettò facendogli capire chiaramente che sapeva dell’anello e che avrebbero dovuto parlarne, in futuro. Bilbo, sorpreso, stava per chiederle come, ma si fermò sapendo che non era il momento adatto. Si infilò l’anello e anche lui, come la ragazza, potè capire cosa stessero dicendo i ragni. Parlavano di ucciderli, mangiarli finchè erano ancora freschi. Alcuni dicevano di iniettare loro altro veleno perchè alcuni scalciavano, altri volevano “fare festa”, altri ancora volevano mangiarli vivi.
Lumbar riusciva a percepire Bilbo come se non indossasse l’anello, nonostante non lo vedesse sapeva esattamente dove fosse. Lo hobbit si avvicinò un po’ ai ragni e lanciò lontano un ramo, attirando l’attenzione dei ragni in quella direzione, che partirono per andare a controllare. In quel momento lei fece un cenno con la testa ed entrambi scattarono verso i nani. Un ragno, l’ultimo rimasto al nido, stava per anticipare lo spuntino ma Bilbo gli si avvicinò da dietro, lo colpì con la sua spada e gli fece lasciare la presa sul nano per girarsi e difendersi. Bilbo continuò ad attaccarlo fino a quando non lo infilzò in mezzo agli occhi mentre il ragno si lamentava, dicendo che la lama “pungolava”, prima di precipitare.
Bilbo osservò la sua spada decidendo di chiamarla Pungolo, mentre Lumbar usciva fuori dal suo nascondiglio e cominciava a far precipitare a terra i bozzoli dei nani che, grazie alla moltitudine di ragnatele sotto di loro, riuscivano a non schiantarsi dolorosamente al suolo. Bilbo si mise subito a darle una mano e, piuttosto velocemente, riuscirono a finire in fretta. Sotto di loro i nani, nel frattempo, si erano ripresi e si stavano liberando tra le proteste generali, cominciando a chiamare i loro nomi quando non li videro.
«Siamo quassù!» urlò Bilbo.
In quel momento un ragno comparve davanti a lui da sotto il ramo, facendolo cadere di schiena sotto di lui, ma lo hobbit riuscì a infilzarlo abbastanza facilmente, uccidendolo. Purtroppo il ragno lo aveva avvolto tra le sue zampe, e Bilbo precipitò al suolo insieme alla carcassa.
Sentendo gli altri ragni tornare, Lumbar avvertì i nani e si affrettò a raggiungerli saltando da un ramo all’altro mentre loro correvano verso Bilbo. Non fecero in tempo a raggiungerlo, però, che i ragni li attaccarono e cominciarono a combatterli. Uno di quegli esseri atterrò su Bombur, che si dibattè a terra inerme, quando Lumbar arrivò su di lui e lo uccise mentre altri nani gli tiravano le zampe.
«Felice di vedere che siete tornati in voi.» disse la ragazza saltando giù dalla carcassa.
Non attese una risposta e ricominciò a combattere, muovendosi agile tra i nani e uccidendo tutti i ragni che le passavano accanto. Aiutava chi era messo peggio, come Kili che era stato preso alle spalle; poi passava al nano e al ragno successivo, con una grazia e una leggerezza che lasciava sorpresi e ammaliati i suoi compagni. Sembrava quasi che danzasse. Dopo averli uccisi tutti ripresero a correre verso lo hobbit.
«Dai, non vi fermate.» disse Dwalin, incoraggiandoli.
«Controllate!» continuò Thorin guardandosi attorno con la spada sguainata.
Lumbar rimase in silenzio muovendosi veloce e attenta sui rami come solo lei sapeva fare. Non era tranquilla, sentiva altri ragni avvicinarsi a loro, e non solo. Vide un ragno atterrare poco distante da Thorin e si accorse di qualcos’altro in arrivo. O meglio, qualcun altro. Prima che il nano potesse uccidere il ragno, infatti, un elfo dai lunghi e lisci capelli biondi li raggiunse e lo fece al posto suo, puntando poi il suo arco su Thorin, seguito da molti altri elfi con i capelli rossi che circondarono la compagnia tenendola sotto tiro. Non si accorsero di lei, così rimase in disparte osservando come si sarebbero comportati gli elfi silvani. Non sembravano amichevoli, esattamente come si era aspettata.
«Non credere che non ti uccida, nano.» disse il biondo a Thorin, con sguardo gelido. «Lo farei con piacere.»
Nel silenzio che era appena calato sentirono qualcuno lamentarsi poco distante. Lumbar si voltò subito in quella direzione.
«Kili!» urlò Fili preoccupato.
Il fratello, infatti, era rimasto indietro e nessuno di loro se n’era accorto. Kili, ora, era minacciato da un ragno che lo trascinava per un piede, mentre altri due si avvicinavano. Lumbar non si mosse. Aveva visto un’elfa avvicinarsi al nano e aspettò. La giovane, infatti, lo raggiunse, uccise i primi due ragni e lo liberò dal terzo, poi ne uccise un quarto che l’aveva avvicinata alle spalle e lanciò un pugnale all’ultimo, che stava per attaccare Kili. Appurato che il nano stava bene, Lumbar si concentrò nuovamente sul gruppo.
«Perquisiteli.» ordinò il biondo mentre un’elfa ripeteva nella lingua elfica.
Alcuni di loro si fecero largo tra i nani facendo come gli era stato detto e togliendo le armi ai suoi compagni. Fili, in particolare, ne aveva molte più degli altri nascoste tra i vestiti.
«Ehi! Ridammelo! È una cosa privata!» si lamentò Gloin con il biondo che gli aveva preso un portadisegni, al cui interno c’erano le immagini della sua famiglia.
«Chi è questo?» domandò l’elfo, ignorandolo. «Tuo fratello?»
«Quella è mia moglie!» disse indignato il nano.
«E cos’è quest’orrida creatura?» domandò ancora, disgustato. «Un orco mutante?»
«Quello è il mio piccolino, Gimli!»
Il biondo alzò un sopracciglio, scettico, poi si volse verso l’elfa che aveva salvato Kili. «I ragni sono morti?» le chiese in elfico.
«Sì, ma ne arriveranno altri.» rispose lei nella stessa lingua. «Stanno diventando più audaci.» aggiunse quando lui la osservò poco convinto.
Un elfo porse al biondo la spada di Thorin e lui la studiò attentamente. «Questa è un’antica lama elfica.» osservò sorpreso sotto lo sguardo attento di Thorin. «Forgiata dai miei parenti.» si rivolse a Thorin. «Dove l’hai presa questa?»
«Quella mi è stata data.» rispose il nano a voce bassa, con la rabbia che ribolliva.
Il biondo lo guardò, scettico, e gli puntò la lama alla gola. «Non solo un ladro, ma anche un bugiardo.»
Lumbar decise di raggiungerli prima che le cose peggiorassero. Saltò dal ramo su cui si trovava e atterrò leggiadramente tra i due, dando le spalle al nano.
«Salve Legolas.» disse mentre gli elfi attorno a lei puntavano gli archi nella sua direzione. «Fossi in voi non lo farei.» aggiunse riferita a loro. «Dubito che riuscireste a colpirmi.»
Legolas fece loro segno di non scoccare le frecce, e loro ritornarono a puntare gli archi verso i nani.
«Chi sei?» domandò il biondo.
«Ma come?» disse lei. «Non mi riconosci?» chiese abbassandosi il cappuccio e provocando diversi mormorii fra gli elfi.
«Tu…» Legolas sembrava sorpreso. «Sei…»
«Qui, sì.» confermò la ragazza. «Mi faccio chiamare Lumbar, ora, ma penso che tu lo sappia.» concluse mentre l’elfo lanciava un’occhiata a Thorin, ancora fermo dietro di lei.
«Perchè?» le chiese.
«Devi essere più preciso, Legolas. Sono tanti i perchè a cui vuoi una risposta.» gli fece notare lei, tranquilla.
La maschera di freddezza per un momento cadde e lei potè notare la tristezza che si portava appresso, poi lui si ricompose e lei potè leggere la verità soltanto nei suoi occhi che non erano mai riusciti a nasconderle niente.
«Perchè sei qui? Perchè sei tornata?» domandò, infine.
«Perchè dovevo, nonostante non volessi. Sappiamo entrambi cosa pensa tuo padre.» disse lei sincera. «Ma ho una promessa da mantenere e, nonostante tutto, sia lui che io rispettiamo un codice nei confronti dell’altro. Per quanto ci è possibile.»
Legolas annuì.
«Sarà davvero felice di vederti.» commentò sarcastico, facendo chiaramente intendere a tutti quanto, in realtà, fosse vero il contrario.
Poi diede l’ordine di mettersi in marcia. Li avrebbero portati al palazzo. Nessuno degli elfi si avvicinò alla ragazza per disarmarla e lei non accennò a dare segni di volerli attaccare; si rimise solamente il cappuccio, poi li seguì accanto a Thorin.
«Bilbo sta bene.» gli bisbigliò mentre gli altri elfi spintonavano i nani, dicendo loro di muoversi, e approfittandone per non farsi sentire.
Il nano la guardò sorpreso, poi le fece un cenno per dirle che aveva capito. Lei sapeva, infatti, che il mezzuomo li stava seguendo di nascosto.
«Perchè non ti hanno tolto le armi?» le domandò mentre camminavano.
Legolas, davanti a loro, ascoltava la conversazione mentre Tauriel, l’elfa dai capelli rossi che aveva aiutato Kili, teneva d’occhio la foresta.
«Per il mio legame particolare con il loro re.» rispose lei. Di fronte alla sua faccia confusa si trovò costretta a spiegare. «Vi avevo detto che il mio rapporto con lui non è dei migliori.» il nano annuì. «Non sono in molti a sapere il motivo, anzi probabilmente lo sanno solo Gandalf, Elrond e Beorn. Galadriel sospetta sicuramente più di quanto io le abbia mai detto, ma la cosa non mi sorprende, e a Saruman dubito che importi. Lo sapeva anche lui ovviamente, ma come puoi immaginare non se lo ricorda.» Legolas si irrigidì leggermente, capendo chi fosse quel “lui” ma non disse niente. Lumbar sospirò prima di riprendere. Era un argomento piuttosto spinoso, quello. «Thranduil mi incolpa di qualcosa di cui mi incolpo anch’io, nonostante tutti gli altri mi abbiano sempre detto che la colpa non è mai stata mia.»
«Che cosa?» domandò cauto il nano. Si era accorto del suo tono di voce e non gli piaceva neanche un po’.
«La morte di mia madre. Pensiamo entrambi che sia colpa mia.» rivelò lei, nonostante sapesse che il biondo stesse ascoltando. Legolas quasi si fermò. «Lui la conosceva prima che nascessi. Si amavano, ma lei venne rapita e non si videro mai più. Thranduil è stato fortunato a trovare la madre di Legolas. A pochi elfi capita di trovare l’amore due volte e io non l’ho mai visto così felice come quando lei era viva. Io nacqui che mia madre era ancora prigioniera, non sono figlia di Thranduil.» aggiunse vedendo il volto sconvolto del nano. «Sai che sono un’elfa solo per metà. Sono nata prigioniera e lei è morta per farmi scappare. Ho visto che la pugnalavano con il suo stesso pugnale. Non ho nemmeno potuto recuperare il suo corpo.» Thorin e Legolas ascoltavano in silenzio quel terribile racconto. Il nano non osava interromperla per paura che si chiudesse nuovamente in sè stessa. «Mentre mi cresceva mi aveva parlato tanto di Thranduil, così l’ho cercato, dopo essere scappata. Quando lui seppe quello che era successo, però, impazzì. Mi diede la colpa della sua morte e continua a farlo anche ora, nonostante siano passati migliaia di anni. Non ce l’ho con lui per questo, so che ha ragione. Se non avessi provato a scappare, dopotutto, lei forse non sarebbe morta. Non gliene ho mai fatto una colpa. Inoltre sono quasi la sua copia, fisicamente, e questo gli provoca solo un dolore in più. Ma non farà mai niente contro di me per rispetto nei suoi confronti.» concluse. «Non gli ho mai detto dei racconti che lo riguardavano. Quando lo incontrai gli dissi solamente che sapevo che si conoscevano.»
«Perchè?» osò chiedere il nano.
«Era già a pezzi così. Non volevo infierire ancora.» rispose semplicemente la ragazza.
Legolas, davanti a loro, riflettè su ciò che aveva sentito. Comprese, per la prima volta, cosa accomunava suo padre e quella ragazza che gli aveva insegnato così tante cose quando era piccolo e che era stata per lui un punto di riferimento, quasi una sorella, prima che sparisse.
Non era stata molto chiara nei dettagli, ma aveva capito benissimo quanto la perdita della madre ancora la facesse soffrire. Si sorprese a comprenderla; dopotutto anche lui aveva perso la madre e sapeva cosa significava. A differenza di lei, però, aveva avuto molte altre persone a prendersi cura di lui. Lumbar se l’era cavata da sola, e per questo la ammirò.
A un certo punto arrivarono a un ponte che, dopo avere attraversato il fiume, conduceva ai portali del re. Al di sotto, l'acqua scorreva scura, veloce e violenta; e all'estremità opposta c'erano dei portoni davanti all'imboccatura di una grossa caverna che si apriva nel fianco di un erto pendio coperto di alberi. I grandi faggi scendevano giù fino a immergere le radici nell'acqua.
«Chiudete il cancello.» disse Legolas entrando per ultimo.
Bilbo riuscì a seguirli appena in tempo.
All'interno i cunicoli erano illuminati dalla luce rossa delle torce, e i tunnel giravano, si incrociavano, ed echeggiavano. Non erano come quelli delle città degli orchi; erano più piccoli, non si inoltravano troppo sottoterra, ed erano ben aerati. Infatti non c’era nessuna puzza strana, ma un intenso profumo di bosco.
Thorin e Lumbar vennero separati dagli altri: mentre il resto della compagnia veniva portato nelle celle, loro furono scortati da un’altra parte. Lumbar comprese subito che li stavano portando da Thranduil.
In una grande sala dai pilastri scolpiti nella viva roccia il re degli Elfi sedeva su un trono di legno intagliato. Sulla testa aveva una corona di bacche e di foglie rosse, poiché l'autunno era di nuovo alle porte. In mano aveva uno scettro di quercia intagliata. Fu proprio davanti a lui che li portarono, confermando i pensieri della ragazza.
«Qualcuno immaginerebbe che una nobile impresa sia imminente.» disse Thranduil camminando avanti e indietro vicino al nano. «Un’impresa per riavere una terra natia e annientare un drago.» concluse guardando Thorin e ignorando Lumbar. Lei non se ne stupì. «Personalmente sospetto un motivo molto più prosaico. Tentativo di furto, o qualcosa di quel genere.» insinuò fermandosi accanto a Thorin e scrutandolo dall’alto in basso.
Il nano non fece una piega, rimanendo fiero nella sua compostezza. Lumbar osservava in silenzio qualche passo più in là.
Thranduil si abbassò per osservarlo in volto più da vicino. «Hai trovato una via per entrare.» commentò attirando il suo sguardo. «Cerchi quello che farebbe convergere sopra di te il diritto di regnare.» proseguì camminando all’indietro verso il suo trono. «Il gioiello del Re. L’Arkengemma.» Thorin scambiò uno sguardo con la ragazza, ma nessuno dei due disse niente e Thranduil continuò. «È prezioso per te oltre ogni misura, lo capisco questo. Ci sono gemme nella Montagna che anch’io desidero.»
Lumbar trattenne il fiato, capendo come sarebbe proseguita la conversazione e lanciando uno sguardo allarmato a Thorin, che ascoltava in silenzio il re degli elfi. Prevedeva guai in arrivo. Sapeva cosa pensava il nano di lui.
«Gemme bianche, di pura luce stellare.» continuò Thranduil descrivendo le gemme. «Io ti offro il mio aiuto.» disse alla fine abbassando leggermente la testa e facendo sorridere leggermente Thorin.
Non ci sarebbe stato niente di male se lei non avesse saputo cosa si celava in realtà sotto i gesti di entrambi. Thranduil voleva approfittarsi di Thorin per riprendersi le gemme celando il tutto dietro una falsa proposta d’aiuto; Thorin, d’altro canto, non si faceva ingannare così facilmente, soprattutto da lui, e quel sorriso era, in realtà, un ghigno mal celato.
«Ti ascolto.» disse, però, il nano. E Lumbar comprese che voleva vedere fin dove Thranduil si sarebbe spinto con la sua proposta, prima di respingerla.
«Ti lascerò andare.» disse Thranduil. «Solamente se restituisci quello che è mio.» disse, infatti, confermando i pensieri di entrambi.
Thorin lanciò un’occhiata a Lumbar, che già lo stava guardando impassibile; poi cominciò a passeggiare per la sala. «Favore per favore.» commentò.
«Hai la mia parola.» ribadì Thranduil. «Da un re a un altro.»
Thorin si fermò.
Lumbar trattenne il respiro.
Pessima scelta di parole Thranduil. Sembrava, quasi, che volesse farlo arrabbiare.
«Io non mi fiderei…» cominciò a dire il nano alzando la voce e continuando a dare le spalle all’elfo. «...che Thranduil, il Grande Re, onori la sua parola. Dovesse la fine dei giorni incombere su di noi.» si voltò verso di lui. «Tu sei privo di ogni onore!» urlò sotto il suo sguardo immobile e avanzò fermandosi a pochi passi di distanza da lui. «Ho visto come tratti i tuoi amici. Siamo venuti da te una volta. Affamati, senza dimora, a cercare il tuo aiuto. Ma tu ci hai voltato le spalle. Tu ti sei allontanato dalla sofferenza del mio popolo!» continuò infuriato. «E dall’inferno che ci ha distrutti.» Lumbar sospirò.
Il secondo passo falso di quella conversazione era appena stato fatto.
Thranduil scattò in avanti, fermandosi a una distanza davvero minima dal volto del nano. «Tu non parlarmi del fuoco del drago!» si inalberò. «Conosco la sua rabbia e la sua rovina.» sibilò mentre faceva svanire dal suo volto l’incantesimo che celava il suo vero aspetto: la parte sinistra era interamente senza pelle, con la carne viva in bella vista e l’occhio era bianco, cieco. «Io ho affrontato i serpenti del Nord!» gli disse allontanandosi e facendo scomparire nuovamente la ferita, raddrizzandosi. «Misi in guardia tuo nonno su ciò che la sua avidità avrebbe raccolto. Anche lei lo fece.» aggiunse indicando Lumbar che non aveva ancora emesso un fiato, sorprendendolo. «Ma lui non ci ascoltò. E fu lei a pagare il prezzo più alto.» continuò facendolo voltare verso la ragazza mentre il re degli elfi saliva i gradini del trono.
Lumbar tenne lo sguardo fisso su Thranduil, impassibile. Lui ricambiò lo sguardo. Lei alzò un sopracciglio.
«Sì, ricordo.» rispose l’elfo alla sua silenziosa domanda. «So cosa ti ha fatto il drago. Conosco le cicatrici che porti. Quelle fisiche… e le altre.»
Thorin spostò lo sguardo da uno all’altra non capendo. Cosa voleva dire Thranduil con quelle parole? Lumbar era presente quando Smaug attaccò Erebor? Com’era possibile? Lo avrebbe saputo se così fosse stato.
Thranduil si rivolse nuovamente a Thorin. «Ci sono molte verità che non sai di lei.» insinuò facendo irrigidire la ragazza. «Tu sei proprio come tuo nonno.» fece un cenno alle guardie che lo presero per le braccia, trascinandolo indietro mentre lui opponeva resistenza. «Resta qui, se vuoi, e marcisci. Cento anni sono un mero battito di palpebre nella vita di un elfo. Io sono paziente, posso attendere.» concluse mentre i soldati cercavano di portarlo via. «Voglio parlare con lei.» aggiunse fermandoli dall’avvicinarsi a Lumbar.
Thorin si dibattè in tutti i modi, impedendo loro di scortarlo nella sua cella. Non senza di lei. Fece un gran baccano, ma stava riuscendo nel suo intento. Si ribellava per non lasciarla da sola con Thranduil. Non si fidava di quell’elfo e qualcosa, dopo quello che aveva detto e la reazione di lei, lo portava a credere che la loro discussione non sarebbe stata piacevole. In più rifletteva sulle ultime parole che lui gli aveva rivolto. Di quali verità parlava l’elfo?
Fu in quel momento che Lumbar spostò lo sguardo su di lui, incrociando i suoi occhi. Non disse niente, non ce ne fu bisogno. Sembrava che lo stesse pregando. Thorin si acquietò sotto quello sguardo così intenso e penetrante e, dopo che lei gli fece un piccolo cenno con la testa, lasciò che lo portassero via.
Lei riportò l’attenzione sul re degli elfi, che non aveva smesso di osservarla da quando aveva congedato il nano. Rimasero immobili a studiarsi per un tempo sconosciuto, ma che parve molto più lungo di quanto non fosse in realtà.
Fu Thranduil a spezzare il silenzio. «Lui non lo sa.»
«Cosa?» domandò lei.
Thranduil la indicò in silenzio.
«Sa dell’incantesimo.» gli disse.
«Ma non sa che l’uomo è lui.» commentò l’elfo.
Lei distolse lo sguardo. No che non lo sapeva. Non sarebbe mai riuscita a dirgli che la persona che amava e per cui aveva sacrificato tutto era lui. Non poteva sconvolgerlo in quel modo. Si era rifatto una vita sui Monti Azzurri, si era preso cura della sua gente come avrebbe dovuto fare, e aveva visto nascere e crescere i suoi nipoti. Non sarebbe mai potuta andare da lui e sconvolgere l’equilibrio che aveva trovato a fatica dopo tutto ciò che aveva perso.
«Perchè non gliel’hai detto?» domandò Thranduil, curioso. «Quando ti sei accorta di essere ancora viva saresti potuta tornare da lui, ma non l’hai fatto.» lei lo osservò con gli occhi lucidi e l’elfo comprese quel peso che si portava dietro da decenni. «L’hai fatto.» disse sgranando gli occhi. Lei annuì. «Ma perchè non sei rimasta?»
Un sorriso amaro si fece largo sul volto della ragazza. «Cominciare un qualunque tipo di rapporto con una bugia sarebbe stato sbagliato.» spiegò all’elfo che la osservava attento. «Sarebbe stato come basarsi sul niente. Creare qualcosa che non sarebbe mai stato vero. Inoltre io avevo la memoria piena di ricordi che comprendevano entrambi e sapevo che non sarebbe durata in quel modo. Prima o poi avrei detto o fatto qualcosa che gli avrebbe fatto capire che gli stavo mentendo da sempre, per quanto ricordava, e mi avrebbe odiata. Mi odierebbe anche ora, se sapesse la verità.»
«Ma io ricordo.» le fece notare lui. «E non dovrei, perchè il tuo incantesimo aveva tolto la memoria a tutti coloro che sapevano di voi.»
«Non so come sia possibile.» ammise Lumbar. «Non dovresti, infatti. So che loro stanno facendo dei sogni, su ciò che successe realmente in quegli anni, ma non ho idea del perchè. Se avessi potuto, avrei sciolto l’incantesimo parecchio tempo fa.»
«Questo significa che stanno ricordando. Così come è capitato a me, a Legolas e agli altri elfi.» commentò Thranduil. «Anche se non sai come. Perchè sei al suo fianco? Thorin non sa chi eri per lui, nè chi sei stata per la sua gente. Quindi perchè ti sottoponi a una tortura del genere?» domandò assottigliando gli occhi. Era una tortura immane quella a cui si stava sottoponendo la ragazza.
«Quando scappammo da Erebor gli promisi che l’avrei aiutato a riprendersela, un giorno. Come lo promisi a suo padre e a suo nonno. Mantenere quella promessa era la cosa giusta.» rispose semplicemente la ragazza.
Lo sguardo di Thranduil si assottigliò ancora di più, riempiendosi di rabbia. «Giusto…» mormorò con un baluginio negli occhi di ghiaccio. «Ora hai deciso di fare la cosa giusta. Ma allora decidesti diversamente.» commentò gelido.
Lei strinse i pugni e abbassò lo sguardo. Sapeva a cosa si riferiva il re, dopotutto era il motivo per cui la odiava.  
«L’hai lasciata lì.» Continuò Thranduil. «Hai lasciato che la uccidessero.»
«Non credere che non lo sappia.» mormorò lei rilassando le mani e sedendosi sui gradini che portavano al trono, stanca. «Non puoi odiarmi più di quanto mi odi io» aggiunse senza guardarlo, gli occhi fissi sul pavimento. «Sapeva che sarebbe morta lì.» rivelò all’elfo, sorprendendolo. «L’aveva visto. Aveva il dono della preveggenza, e tu lo sai. Non fu lei a dirmelo.» lo anticipò. «Lo vidi dopo la guerra, quando mi urlasti addosso il tuo odio per averla persa.»
«L’hai… visto?» domandò piano lui, non capendo.
Lei annuì. «Ho ereditato il dono, se così si può chiamare. Ma riesco a vedere anche episodi del passato, a volte. Mentre ascoltavo le tue parole, mentre sentivo il tuo dolore che si sommava al mio, ho visto il momento in cui lei vide la sua morte: è stato molti mesi prima che mi facesse scappare. In quel momento decise che non sarei dovuta rimanere con lei, cominciò a ideare un piano per farmi fuggire.»
Thranduil si sedette accanto a lei, non smettendo di osservarla nemmeno un attimo. «Per questo sei sbiancata in quel modo, quel giorno. Non per le mie parole.» commentò ricordando la scena.
Lumbar annuì nuovamente. «Avevo appena scoperto che lei era ancora più forte di quanto avessi mai pensato. E per me era la persona più forte che avessi mai conosciuto. Ha sopportato il peso di aver visto la sua morte, in silenzio, per tutto quel tempo, solo per tentare di dare a me una possibilità di vivere. Nonostante avrebbe dovuto odiarmi per ciò che sono.» strinse le mani tra di loro facendo sbiancare le nocche e sospirò. «Mi aveva parlato di te, sai?» rivelò, infine.
«Cosa?» mormorò sorpreso il re.
Lei sorrise leggermente. Era un sorriso triste che rispecchiava come si sentiva in quel momento. «Mi ha parlato di te da quando sono nata. Mi raccontava sempre come vi eravate conosciuti, come passavate il tempo, cosa pensava di te. Erano i momenti più belli delle nostre giornate. Mi diceva che un giorno ti avrei conosciuto anch’io, e io non vedevo l’ora che quel momento arrivasse. Volevo conoscere quel grande elfo di cui aveva così tanta stima, volevo conoscere l’elfo che aveva conquistato il suo cuore con un solo sguardo gelido, causato da una freccia che lei stessa gli aveva lanciato.»
Quella frase fece sorridere Thranduil, memore che era proprio così che si erano conosciuti: lui stava passando nel campo di addestramento e lei lanciò una freccia verso di lui, sfiorandogli il viso e centrando il bersaglio. L’elfo si era voltato verso di lei, fermo, e l’aveva fulminata con lo sguardo, ma la giovane non si scompose minimamente.
«Disse che la prossima volta avrei dovuto fare attenzione a dove camminavo.» commentò sorprendendo Lumbar, che non l’aveva mai sentito parlare di lei con quella dolce e malinconica tranquillità che caratterizzava la sua voce in quel momento. «Non fece una piega quando vide il modo in cui la guardavo, era così fiera. Mi osservava come se non fossi il suo principe, ma una persona qualunque. Un po’ come te.» aggiunse.
Lei scosse la testa. «Ti sbagli. Io non ti guardo in quel modo. Io ti guardo come si guarda qualcuno che ami, ma che sai di aver deluso profondamente. Ti guardo come avrei guardato l’elfo di cui mi parlava sempre lei. Perchè nonostante tutto, nonostante il tuo comportamento sia molto diverso da quello dei suoi racconti, tu sei sempre lui. E già allora, senza conoscerti, io ti amavo. Lei aveva fatto sì che ti amassi.»
«Tu…»
«Non come vi amavate voi, no.» lo anticipò. «Lo sai anche tu che il mio cuore appartiene a qualcun altro. Ma ti amavo come se fossimo sempre stati una famiglia, e ammetto che quando poi ti ho conosciuto mi sono sentita ancora peggio di quanto già non stessi. È stato davvero devastante accettare il tuo rifiuto. E confesso che non l’ho mai davvero accettato del tutto perchè non volevo credere che l’elfo di cui lei mi aveva parlato, lo stesso elfo che mi aveva detto di amare, non fosse quello che pensava lei. Lo consideravo un insulto alla sua persona. Poi ho capito che il tuo comportamento era solo un modo di reagire al dolore, e non ho potuto fare altro che perdonarti. Dopotutto non stavi facendo altro che dire quello che pensavo anch’io: che la sua morte era colpa mia.» Lumbar alzò le spalle. «Come potevo odiarti per questo? Non potevo, semplicemente. Così ho accettato il tuo odio, e ho cercato di essere come lei perchè era la persona migliore che conoscessi.» fece una smorfia. «Non credo di aver fatto un bel lavoro.» commentò amaramente. «Lei era una persona migliore di quanto potrò mai esserlo io.»
Per qualche minuto regnò il silenzio, poi Thranduil parlò. «Perchè non mi hai mai detto queste cose?»
Lumbar scosse la testa, tenendo gli occhi fissi sulle sue mani come aveva fatto per tutto il tempo. «Stavi già abbastanza male, senza aggiungere anche il resto. Non volevo aggravarti di un ulteriore peso. Eri già a pezzi.»
«Avresti dovuto dirmelo.» protestò lui. «Le cose sarebbero andate in modo diverso.»
Lumbar scosse lentamente la testa. «Non è vero, e lo sai anche tu. Eri troppo addolorato per la sua perdita per vedere altro. E lo capisco, meglio di quanto tu possa immaginare. Anche se te l’avessi detto, mi avresti comunque vista come la causa della sua morte. E, sinceramente, io mi vedevo e mi vedo nello stesso modo. Quindi sappiamo entrambi che non sarebbe cambiato niente.»
«Perchè me lo stai dicendo ora?» domandò confuso il re.
Lei sospirò, poi abbassò una mano per tirare fuori Helevorn dallo stivale. «Perchè durante il viaggio, prima di arrivare a Gran Burrone, ho trovato questo.» disse mostrandoglielo. «E sappiamo tutti e due cosa significa. Anche se farai di tutto per negare l’evidenza.»
Thranduil prese delicatamente il pugnale dalla sua mano e lo osservò in ogni particolare. Era stato lui a regalarlo alla madre di Lumbar poco prima che venisse rapita, e conosceva la sua storia. Come sapeva che era scomparso da secoli.
«Sta tornando.» disse la ragazza, confermando i suoi timori.
Lui già lo sospettava, ma non aveva mai voluto pensare che potesse essere vero. Era un’idea agghiacciante che riusciva a malapena a concepire nella sua mente. Figurarsi se poteva accettarla.
«Ne sei sicura?» domandò, non volendoci ancora credere.
Lei si tolse il cappuccio, mostrando al re il colore sempre più scuro dei suoi capelli.
«Sì.» confermò.
Thranduil si rigirò il pugnale tra le mani, osservandolo. «Non scenderò in guerra senza prove.» disse, infine.
«Lo so.» rispose lei.
«Devo proteggere il mio popolo.» aggiunse, come a giustificarsi.
Lei annuì senza ribattere. «Lo so.»
Lui le restituì Helevorn, che sparì in fretta nello stivale, poi la osservò. Teneva ancora lo sguardo basso, come se avesse timore di osservarlo. Thranduil sospirò, prima di fare una cosa che nessuno dei due credeva avrebbe mai fatto: le appoggiò, delicato, un braccio sulla schiena, attorno alle spalle, stringendo leggermente.
«Ti faccio male?» domandò, memore delle sue cicatrici.
Lei alzò lo sguardo sorpreso sul suo viso, osservando la parte menomata nascosta dall’incantesimo.
«Niente che non siamo abituati a sopportare.» rispose.
Gli occhi del re si addolcirono, ed entrambi si resero conto che l’odio era appena stato messo da parte, lasciando posto a quell’amore che lei aveva nascosto e che lui si era rifiutato di provare.
Lumbar appoggiò la testa sulla spalla di Thranduil e rimasero in silenzio per un po’, risanando ferite mai del tutto rimarginate.
«Le assomigli più di quanto credi.» mormorò il re dopo un tempo indefinito.
«Non ne sono così sicura.» commentò lei.
«Siete morte entrambe per proteggere coloro che amavate.» spiegò lui. «Sarebbe orgogliosa della persona che sei.»
«Lo sarebbe anche di te.»
Il silenzio calò nuovamente su di loro, fino a quando Thranduil non lo spezzò di nuovo. «Dovresti dirglielo.» lei aggrottò le sopracciglia. «A Thorin.» Lumbar staccò la testa dalla sua spalla per guardarlo negli occhi, non sapendo se essere più sorpresa per il modo tranquillo con cui aveva pronunciato il suo nome – privo di qualsivoglia astio o disprezzo – o per il significato intrinseco di quelle poche parole. «Dovresti dirgli la verità.» concluse l’elfo facendola sbiancare.
«Cosa? No!» protestò lei con fin troppa veemenza. «Non posso cambiare quello che è stato, gli farei solo più male che bene.»
«Come hai fatto con me?» domandò lui alzando un sopracciglio.
«Sono due cose diverse.»
«No, non lo sono.» le fece notare pacatamente. «Hai nascosto a me le parole di tua madre per non farmi soffrire, e nascondi a lui la verità per lo stesso motivo. Ma lui non è come me. Voi avete un rapporto diverso dal nostro, così come era diverso prima.» lei lo osservò confusa. «Thorin ti ama…»
«Una volta.» lo bloccò lei. «Ora non più. Non si ricorda nemmeno di avermi amato.»
«Lui ti ama ancora.» osservò il re. Davanti al suo sguardo scettico continuò. «Forse non si ricorda di averti amata in passato, ma si è comunque innamorato di te. Di nuovo. Come tu non hai mai smesso di amare lui. Merita di sapere la verità, e tu meriti di dirgliela.»
«E come pensi la prenderà? Non devo ricordarti, credo, che i nani, lui in particolare, sono le creature più orgogliose della Terra di Mezzo.»
A dispetto di quanto Lumbar si aspettasse, Thranduil sorrise.
«C’è solo una cosa più importante dell’orgoglio, per lui: tu. Ti guarda come se fossi la gemma più preziosa del suo tesoro, la più importante, l’unica. Ti guarda come io guardavo tua madre e come guardavo la madre di Legolas.» disse mentre un lampo di dolore passava nei suoi occhi. «Credimi, non c’è niente a cui Thorin tenga di più.»
Lumbar osservò il volto del re, studiandolo attentamente.
«Quando hai sposato la madre di Legolas ho visto il meraviglioso elfo di cui avevo tanto sentito parlare, e sono stata felice.» commentò. «Non ero triste, o arrabbiata, perchè credevo avessi dimenticato mia madre.» scosse la testa dando enfasi al suo pensiero. «Sapevo che non ci saresti mai riuscito. Ma ero anche consapevole che lei avrebbe voluto che tu fossi felice, e in quel momento tu lo eri. Quando è nato Legolas, poi, ho visto la tua gioia aumentare e il mio cuore si è scaldato. Per questo sono rimasta nei dintorni.» spiegò rivelandogli il motivo per cui aveva vissuto tra gli elfi silvani per tutti quegli anni nonostante i loro dissapori. «Volevo conoscere l’elfo che amava mia madre, oltre all’elfo che mi odiava. E non sarò mai grata abbastanza a Legolas e sua madre per avermi permesso di vederlo, anche se da lontano.» sospirò, abbassando lo sguardo. «Ho provato a salvarla, quando combattemmo i draghi del Nord. Non volevo che tu provassi ancora quell’immenso dolore, e non volevo che Legolas conoscesse il significato di perdere un genitore. Non ci sono riuscita.» le ultime parole erano state un sussurro appena accennato, ma Thranduil le aveva sentite. «Sono bruciata con lei ma non l’ho salvata.»
Thranduil non ci mise molto a comprendere il vero significato di quelle parole. Lei era con la moglie quando venne attaccata dal fuoco dei draghi e aveva tentato di assorbire le fiamme per salvarla. Ci era riuscita solo in parte, finendo per venire bruciata anche lei e non riuscendo a salvare l’elfa. Ecco perchè, quel giorno, aveva visto le fiamme comportarsi in modo strano mentre tentava di avvicinarsi alla moglie: Lumbar stava provando a tenerle lontane nel tentativo di guadagnare tempo per farlo arrivare; ma lui era stato colpito al volto e non era riuscito a raggiungerle. Quella ragazza aveva molte più cicatrici di quanto si aspettasse.
Sospirò stringendola un po’ più forte. «Non è stata colpa tua. Non potevi fare niente più di ciò che hai fatto. Hai sicuramente provato anche a curarla, vero?» lei annuì in silenzio. «Ma eri troppo stanca e debilitata e sei riuscita solo ad alleviarle il dolore. Quando l’ho raggiunta non riusciva a muoversi, quasi non poteva parlare a causa del corpo carbonizzato, ma i suoi occhi esprimevano tutto quello che non riusciva a dire. Non c’era dolore al loro interno, solo tanto amore. Quindi grazie.»
«Perchè mi ringrazi? Lei è morta comunque.» disse lei. «Non l’ho salvata, non ho fatto niente.»
«Sbagli. Hai fatto molto più di quanto credi. Dandole sollievo, rimuovendo il dolore, le hai donato una morte serena e la possibilità di dirmi addio. Non tutti sono così fortunati.» dopo qualche momento di silenzio, in cui lei rifletteva sulle sue parole, cambiò discorso. «Suppongo tu voglia rimanere con loro.» commentò riferendosi ai nani e liberandola dal suo abbraccio.
Lei annuì. «Sono la mia famiglia.»
«Lo so.» Thranduil si alzò e lei fece lo stesso. «Sono ancora della mia idea.»
«Thorin non cambierà mai opinione. È troppo ferito per il tuo rifiuto di anni fa.» ammise lei.
«Sapevo di non poter fare niente, perchè tu non eri riuscita a combattere il drago. Se anche tu avevi fallito, nessuno sarebbe riuscito a sconfiggerlo.»
«L’avevo immaginato.» confessò lei. «Però avresti potuto aiutarci dopo.» lui abbassò lo sguardo, colpevole, ma non disse niente. «Non preoccuparti.» aggiunse lei attirando la sua attenzione. «Non userò le mie armi per farci uscire.»
«Temo che rimarrete rinchiusi a lungo, allora.» commentò lui.
«No, io non credo.» rispose mentre un lampo birichino le illuminava gli occhi.
Thranduil non chiese spiegazioni, nonostante la curiosità. «Legolas.» chiamò.
Il figlio entrò nella sala e si fermò a qualche passo di distanza da loro, osservandoli. Aveva ascoltato tutto, e loro lo sapevano. «Padre.»
«Portala nelle segrete.» ordinò continuando ad osservare la ragazza. «Mettila con gli altri.»
Il giovane annuì e le fece cenno di andare, incamminandosi dietro di lei. Poco prima di uscire dalla sala Thranduil la richiamò, facendola voltare.
«Sì?» gli chiese.
«Anche questa è la tua famiglia.» le disse, sorprendendola, prima di voltarsi e uscire da un’altra porta.
 

 
****

 
Legolas la condusse in silenzio attraverso i corridoi del palazzo, fino ad arrivare alle celle in cui erano rinchiusi i nani. Ne aprì una un po’ in disparte, di fronte a quella di Thorin, e la fece entrare, richiudendo la porta dietro le sue spalle. Lumbar credeva se ne sarebbe andato, ma così non fu. Sembrava indeciso su qualcosa, ma non ne era sicura perchè ancora gli voltava la schiena. Lei voleva solo che se ne andasse in modo da permetterle di pensare in silenzio: era stata una conversazione fin troppo pesante, quella con Thranduil, seppur molto più tranquilla di quanto si aspettasse.
«È vero?» domandò, infine, l’elfo attirando l’attenzione dei nani. «Quello che hai detto a mio padre?»
Lumbar sollevò il cappuccio, nascondendo nuovamente i capelli. «Ogni parola.» disse sedendosi a gambe incrociate sul pavimento della cella, dandogli ancora le spalle.
«Di cosa avete parlato?» chiese Thorin osservandola dalla sua cella. Non gli piaceva lo stato in cui era.
«Del passato.» mormorò.
Legolas strinse le sbarre della porta con le mani. «Hai cercato di salvare mia madre.» lei non disse niente e lui continuò. «Ti sei messa tra lei e il fuoco dei draghi, e non me l’hai mai detto!»
«Non sarebbe cambiato niente, è comunque morta.» rispose la ragazza con voce piatta, senza guardarlo.
«E nonostante questo ti sei comunque messa in mezzo tra i nani e Smaug, dopo tutto quello che i draghi ti avevano fatto.» commentò facendo irrigidire i nani della compagnia, che ora si scambiavano sguardi increduli e confusi attendendo una spiegazione. Solo Balin sembrava consapevole di cosa stessero parlando. «Perchè?»
Lumbar chiuse gli occhi, sapendo cosa passasse per la testa dei nani e temendo ciò che sarebbe seguito alla sua risposta. Si strinse le braccia al petto, nel silenzio che, ora, avvolgeva le segrete, poi parlò.
«Non potevo restare ferma a guardare mentre Smaug mi portava via l’unico posto che abbia mai chiamato casa. Non potevo stare ferma mentre uccideva le persone che amavo.» la sua voce era a malapena un sussurro, un tremolio nel silenzio, ma tutti l’avevano sentita e stavano tentando di metabolizzare le sue parole. «E lo rifarei.»
«Sei morta per loro.» le fece notare Legolas. «E neanche se lo ricordano.»
«Ma lo sanno, ora.» rispose gelidamente la ragazza, facendogli notare che erano tutti in ascolto. «Ed era l’unica cosa che non volevo.» si volse verso di lui, gli occhi tristi che lo paralizzarono. «Persino Thranduil non era d’accordo con la mia decisione di tenere il segreto, ma l’ha sempre rispettata. E tu lo sai, hai ascoltato tutto prima.» disse facendogli capire che avevano sempre saputo della sua presenza. «Non avevi nessun diritto di rivelarglielo. Non spettava a te.»
«Glielo avresti mai detto.» ribattè l’elfo. «Avresti mai rivelato loro la verità?»
«Un giorno, quando tutta questa storia fosse finita, lo avrei fatto. Avevano già abbastanza preoccupazioni senza aggiungere anche questo. Non volevo dargli altro a cui pensare che non fosse la missione di riprendersi la loro casa, ma tu dovevi fare per forza di testa tua.» Lumbar scosse la testa. «Sei testardo come i tuoi genitori.»
Non era un insulto, lo sapevano entrambi, e Legolas rilassò le spalle che aveva tenuto rigide per tutta la conversazione. Liberò le mani dalla stretta che aveva sulle sbarre della cella e fece un passo indietro.
«E tu sei la persona più forte e coraggiosa che conosco.» disse prima di voltarsi e andarsene, lasciandola in balìa di dodici nani pieni di domande, e un nano ormai consapevole della verità.
Lumbar sapeva perchè Legolas l’aveva fatto: voleva che lei fosse felice con l’uomo che amava, nonostante questo fosse un nano. Avendo ascoltato la conversazione tra lei e il padre, aveva compreso diverse cose sulla storia della ragazza e aveva voluto darle quella possibilità che, sapeva, lei si sarebbe sempre negata. La conosceva, dopotutto: Lumbar avrebbe sempre messo gli altri al primo posto, lo aveva sempre fatto.
Lumbar si volse verso la parete, passandosi una mano sul volto e aspettando la reazione da parte dei nani che sapeva sarebbe arrivata.
Tuttavia nessuno di loro riusciva a pronunciare una parola, ancora troppo sconvolti da ciò che avevano appena sentito.







 

****

 

N.d.A.

Ho modificato i fatti relativi alla morte della moglie di Thranduil per comodità della trama, e chiedo scusa per questo. Non è l'unica cosa diversa ma, probabilmente, è la più diversa. Non è un errore, quindi, è un cambiamento voluto.
Inoltre, piccolo spoiler, nel prossimo capitolo scopriremo finalmente quanti anni ha Lumbar. So che qualcuno era impaziente di saperlo e posso dire che questa domanda avrà finalmente una risposta.

A presto, Josy

   
 
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