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Autore: Izayoi_1    10/07/2021    0 recensioni
Può la nostra anima spaccarsi letteralmente in due pur di provare a salvarci?
Può la confusione volerci dire qualcosa?
Tosca tutte queste cose non le sa e una parte di lei non vuole vederle ma può l'amore salvarla anche da se stessa?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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"C’è chi sarà nei nostri occhi anche quando ameremo altri, c’è chi una sera ci capiterà all’improvviso davanti mentre staremo camminando, e dopo anni di lontananza basterà il tempo di un breve saluto per non capire più niente, sarà sufficiente sfiorarlo un momento per dimenticarci anche il nostro nome.
C’è chi siamo destinati - condannati - a volere per sempre."
Cit. Maria Teresa Romeo

“Su sveglia ghiro. Non posso crederci, sono tornato a casa sei ore fa, stanco dopo una faticosa serata di lavoro, convinto che la mia fidanzata, la mia roccia, la mia spalla, fosse in trepida attesa e invece la trovo addormentata e non ti sei svegliata, nonostante io abbia fatto apposta più rumore del solito. Ora possiamo passare l’intera giornata insieme e la passi a dormire? Questo non lo permetto.” La voce le giungeva da sotto la trapunta che aveva usato come riparo dalle luce proveniente dalla finestra aperta, Cole era estremamente pimpante quella mattina, nonostante la poche ore di riposo la sua voce era già energica e scherzosa. Dal canto suo Tosca si arrotolò ancora di più nelle coperte e fece provenire da sotto quell’antro solamente un suono gutturale lamentoso. Stava per crollare di nuovo rapidamente tra le braccia di Morfeo quando quel calore che tanto le piaceva le fu tolto e in men che non si dica si ritrovò con gli occhi aperti e la trapunta ai piedi del letto. L’artefice del misfatto guardava la sua opera con sguardo fiero e le braccia incrociate in segno di sicurezza. Lo guardava con occhi semichiusi, troppo rimbambita per dire qualcosa che avesse senso, si limitò a stropicciarsi gli occhi, abituarsi a quella luce e mandare delle occhiate “inceneritrici”, almeno così dovevano essere, verso quel furfante.
“Cole volevo dormire, si stava così bene lì sotto”. Sembrava una bambina lamentosa, ne era cosciente. L’uomo, che non aveva mai perso il sorriso, sbuffò divertito.
“Perché con me non stai bene?”, si era sdraiato vicino a lei, attirandola a sé e prendendole le braccia se le era attorcigliate introno al collo. La guardava con i suoi occhi verdi venati di una tonalità calda di marrone. Rimasero così per qualche secondo di troppo, si baciarono con passione, i loro respiri si fecero più pesanti, Cole le teneva stretta per i fianchi, le sue mani fredde le diedero come una scossa di piacere, lo voleva, gli attorcigliò le gambe intorno e lo strinse vicino a se, le sue labbra si impossessarono avide del collo mentre con la mano sinistra gli teneva la nuca. Si staccarono per scambiarsi uno sguardo d’intesa, “credo proprio anche io che sotto le lenzuola non si stia male”. E fu così che fecero l’amore, perché si sa per quello c’è sempre tempo e infondo non c’è modo migliore per iniziare la giornata. 
                                                                     *******************************
Tosca giocherellava con un pezzettino di carta che si rigirava tra le mani, il traffico quella mattina era infernale, le vie della città erano intasate a causa dei lavori in corso che stavano avvenendo nel centro, qualcosa che avrebbe messo a dura prova la pazienza di tutti e non si poteva affatto dire che Cole fosse un uomo paziente, anzi. Si trovavano in coda ad un semaforo, la voce irriverente di Freddie Mercury faceva da sottofondo a quel silenzio che regnava sovrano nell’abitacolo, un silenzio rilassante per qualcuno e un po’ forzato per un altro, quando un vecchio particolare attirò l’attenzione della ragazza, una vetrina sulla strada aveva gli stessi stivaletti rossi che lei aveva e che la riportò indietro nel tempo, a un giorno in particolare, lo stesso giorno che lei incontrò Cole per la prima volta, ancora si ricordava cosa indossava, jeans a sigaretta, stivaletti rossi fino alla caviglia con tacco, una camicia bianca con un colletto svolazzante, il suo amato giubbotto di pelle nero avvitato e i suoi immancabili occhiali da sole (utilissimi soprattutto quando la giornata è nuvola e a te girano le scatole). Ricordava tutto di quel giorno.
“Cole?”
Tosca attese per un attimo una sua risposta ma l’uomo era troppo impegnato a stringere in maniera convulsiva il volante tra le mani per prestarle attenzione.
“Cole mi ascolti?”, dovette accompagnare la frase con una leggera pressione sul braccio del compagno, che come riportato alla realtà allentò la pressione delle mani sul volante, distolse lo sguardo dal traffico e la guardò.
“Ti è capitato di ripensare al nostro primo incontro?”, la voce era fiduciosa, felice, come volesse trasmettere con la sua sola intonazione le emozioni che quel ricordo le dava, come volesse dire “se avessi il potere di tornare indietro nel tempo vorrei rivivere quella prima emozione”.
Il compagno fece un sorriso sghembo, l’aria da furfante che gli davano i Persol tartarugati era un mix letale per lei.
“Intendi a quando per la prima volta vidi una ragazza di statura notevolmente ridotta ma con un ego spropositato e che sicuramente pianificava di conquistare il mondo? Ah certo, ogni volta che getto le scarpe all’angolo del corridoio, cosa che tu mi hai vietato di fare, e mi tocca sistemarle nella scarpiera. Ecco lì, in quei precisi momenti di castrazione ricordo che una volta ero uno scapolo libero e padrone della propria vita prima che una giovane laureanda entrasse nel mio locale.” L’uomo se la rideva sotto i baffi per quella sua affermazione ma Tosca alzò gli occhi al cielo e guardò fuori dal finestrino sbruffando 
“Ah ah ah cretino”.
Nel vederla reagire così Cole si diede dell’idiota da solo, perdendo un po’ quell’ involucro di sicurezza e quel sorrisetto beffardo che aveva sul viso. Pensò per bene a quando la vide per la prima volta entrare da quella porta, a come il caso volle che quel pomeriggio lui si trovasse a dover controllare il nuovo cuoco assunto nel suo locale, anziché stare in un altro ristorante come era da programma. La sua mente venne catapultata a quattro anni prima, in quel momento era distante dal traffico, da quei lavori e anche da lei e,  quando aprì bocca nemmeno se ne rese conto.
“Stavo parlando con un fornitore, vino, mi ricordo ancora quale fosse l’ordine in particolare di cui stavamo discutendo. Ciò che avevo ordinato era arrivato ma non nelle quantità che avevo richiesto e odio quando le cose non vanno come dico io, in più mi innervosiva la questione nel nuovo cuoco. Perciò quel giorno ero molto nervoso e facilmente alterabile. Mi ricordo che ero sul punto di mandare quell’idiota dove si meritava, poi non so nemmeno io perché ma guardai in direzione dell’ingresso e in quel momento entrasti te- l’uomo nel ricordare quel momento sorrise con una leggera nota di malinconia che durò la frazione di un secondo, una nota tipica di chi vorrebbe tornare nel passato e rivivere quel momento- ricordo che fu tutto così strano, avevo visto molte donne bellissime, avvenenti, sensuali, donne che avevo conosciuto e conquistato, eppure come tu catturasti i miei occhi, la mia attenzione, nessuna di loro vi riuscì- sorrise di nuovo ammettendo la realtà- facesti un’ espressione in particolare che mi catturò, che non mi fece nemmeno più pensare, una semplice che fai ancora oggi, quella che hai quando entri in un luogo che non conosci, sembri quasi una bambina in imbarazzo, ti guardavi intorno come avessi il timore di disturbare e se pensavi di poterlo fare io te ne ringrazio- accompagnò la frase a una delicata carezza su quella guancia così fredda-, ricordo che i tuoi movimenti erano estremamente delicati, come avessi paura di calpestare il pavimento. Quando ti misi seduta, ammetto, sapevo già quali carte sfoderare, sorriso ammiccante, battuta pronta, ti avrei offerto di sicuro la consumazione, perché alle donne piacciono i cavalieri e ancora di più, alle donne piace essere corteggiate e poterne far vanto. I miei gesti erano automatici e il sorriso più provocante che avessi era già sulle mie labbra ma quando il cameriere ti portò il bicchiere di vino che ti avevo offerto e tu lo rifiutasti, “no, la ringrazio non sono astemia ma comunque non lo avrei accettato”, ti assicuro che non mi era mai capitato, fu uno smacco per la mia virilità, mi avevi fatto fare una brutta figura davanti ai miei dipendenti, nessuna aveva mai rifiutato e beh non mi piacque- Nel dire quella frase l’uomo sembrava una bambino capriccioso a cui era stato negato per la prima volta un giocattolo- chi l’avrebbe detto che avresti rifiutato ogni cosa che volevo offrirti, sei venuta per una settimana intera ad occupare un mio tavolo, non alzando mai lo sguardo dal tuo computer, bevendo una salubre spremuta e lasciando puntualmente metà muffin al limone, mi stavi esasperando e iniziavo ad odiarti. Ma è proprio questa la tua trappola, chi non ti conosce pensa che sei una ragazza dolce e timida, in realtà sei una stronza. Sei peggio di un uovo di Pasqua, hai presente che da fuori sembrano tutti belli, ti lasci abbindolare dalla scritta “cioccolato finissimo” e poi dentro trovi una sorpresa del cazzo, ecco tu sei stronza come un uovo di Pasqua”. Rise e fece le facce per quell’affermazione, non si era offesa perché sapeva benissimo che era così, le piaceva comportarsi in quel modo, giocare al gatto con il topo, avere lei il comando, perciò l’essere definita “uovo di Pasqua” la rappresentava bene.
“Mi odiavi perché non cadevo ai tuoi piedi come le altre e poi mi infastidivi parecchio. Uscivo dalla lezione del corso esausta e nonostante fossi stanca dovevo lavorare agli articoli, perciò avevo bisogno di calma, il tuo locale era proprio affianco alla sede dove mi trovavo. In più in quegli anni non avevo intenzioni di avere nulla, mi divertivo a giocherellare con i sentimenti altrui, inoltre non mi mettevo a guardare i “nonnetti” di trentuno anni”, lo schernì pizzicandogli l’orecchio divertita, “avevo bisogno di carne fresca.”
L’uomo scosse la testa ancora un po’ infastidito e scacciò quella mano con un gesto piccato.
Passò qualche attimo di silenzio, mentre Tosca ancora se la rideva sotto i baffi.
“Ma il meglio di noi ancora lo dovevamo dare, ricordi?”
Sorrise divertita capendo a cosa si riferisse,
“Non sarò una tacca in più da aggiungere alla tua parete, non gonfierò maggiormente il tuo ego spropositato”.
“Tu non hai nessun diritto di giudicarmi senza conoscermi. Chi direbbe che, come dici, per me le donne sono solo uno svago, una caccia che porto avanti per divertimento?”.
“Sarò giovane, ma non sono ingenua”.
“No, tu sei una stronza arrogante, è questo quello che sei”.
“E tu sei patologicamente instabile a livello sentimentale, cosa c’è una delusione d’amore adolescenziale ti ha così traumatizzato da non riuscire a costruirti un futuro concreto con una donna?”

Al ricordo di quella loro prima lite avvenuta senza che sapessero nulla l’uno dell’altro entrambi scoppiarono a ridere. 
“Di sicuro un inizio non banale”
“Quanto ti odiai quel giorno, mi feci rimanere incazzato per tutta la giornata, e mi incazzavo anche con me stesso perché non riuscivo a toglierti dalla testa, non avevo mai conosciuto una ragazzina così testarda. Respinto, tu mi avevi respinto…che affronto”.
Tosca rise vedendo l’espressione ancora stupita che aveva assunto il compagno, quello per Cole era stato un affronto che più e più volte le rinfacciava ma lei era soddisfatta di sé, aveva sempre odiato quegli uomini che sicuri del proprio aspetto, della posizione sociale e del loro essere carismatici, si prendevano gioco dei sentimenti altrui, perciò per lei fu come vincere un premio, dato poi gli sviluppi importanti che aveva assunto la loro relazione.
In quel momento il traffico non fu più un problema, il tempo cominciò ad essere occupato dai ricordi e i due si persero nel parlare mentre a poco a poco le macchine si muovevano.

“Credo che ciò che ci aiutò fu quella sorta di tacita tregua che stipulammo l’ultima sera del corso”, Cole non rispose, sorrise solo annuendo con la testa ripensando a quella sera.
“Il corso all’ufficio stampa era terminato e per festeggiare i ragazzi del gruppo vollero organizzare una serata e il tuo locale era il posto migliore, a due passi di distanza e a detta loro “molto alla moda”, ovviamente quando decisero la location non ero la persona più felice del mondo ma preferii sorvolare del nostro battibecco. Eppure quel giorno, nonostante la stanchezza per la giornata, mi feci in quattro per tornare a casa a darmi una seria sistemata, mi dicevo che quella volontà era solo per fare una bella figura davanti ai miei colleghi, ma forse inconsciamente volevo essere notata da te, darti un altro “schiaffo morale”, quasi a voler dire “guarda cosa ti stai perdendo fallito patologico”.  Tosca sorrise sovrappensiero al ricordo di quelle odiose scarpe alte tanto belle quanto scomode e dolorose.
“Come sempre fosti l’ultima ad arrivare, i tuoi amici erano già al tavolo e nonostante ancora mi ritrovassi a pensarti qualche istante, e il mio ego colpito ne risentiva, dovetti ammettere che eri una grande stronza ma bellissima”.
Rimasero qualche istante in silenzio a guardarsi.
“Feci di tutto per non guardarti appena entrata, non nego che mentre camminavo per raggiungere il locale speravo che tu non ci fossi, ma mentivo a me stessa e in fondo lo sapevo, ti cercavo, con la coda dell’occhio mentre gli altri erano impegnati a ridere ti cercavo, forse lo facevo goffamente ma speravo che fossi non troppo lontano da me”.
 Di nuovo silenzio, mentre entrambi si trovavano indietro nel tempo.
 “Eri un pavone, sicuro della bellezza della tua coda e così, quando ci fu portato il primo giro di bevute, apristi le tue piume in tutta la loro magnificenza, tanto da venire di persona al tavolo”. 
“Erano un tavolo di ragazzi allegri, che conoscevano il divertimento ma quello semplice, mentre tu eri Machivellica e da tale dovevo trattarti. Avevano ordinato una bottiglia di champagne commerciale, buonino ma nulla di eccezionale, dovevo farti sentire una dea tra gli insetti e volevo sfidarti, sapevo che davanti a loro avresti ceduto se ti avessi offerto qualcosa di migliore, solo per sentirti superiore e coccolata agli occhi delle tue coetanee”. 
Tosca fece un ghigno di disapprovazione: “Ammetto la mia sconfitta, trovasti il mio tallone d’Achille, oppure era un modo per dichiarare una tregua l’aver accettato il tuo calice di champagne superiore…chi può dirlo ormai”, disse le ultime parole beffeggiandolo.
 “Non fu il fatto che accettasti la mia “offerta di pace” a farmi ritirare qualche cannone, avevo fatto quel gesto solo per sfidarti, ma lo sguardo d’intesa che ci fu nel momento in cui ti porsi il bicchiere.”
“Perciò in quel momento non avevi doppi fini con me?”
“Che tu ci creda o no, il che non mi interessa, non ho mai avuto doppi fini con te, altrimenti non saremmo qui ora”. La frase era stata detta con sicurezza e gli credeva, per quanto fosse una maledetta mal fidata, lei credeva a quelle parole. 
“Nonostante ciò, però, ero ancora punto nell’orgoglio, ti aspettavo, volevo che venisti te da me, almeno una volta, ma il tempo passava, l’alcool scorreva e tu e i tuoi compagnucci vi eravate alzati molte e molte volte per uscire fuori a fumare ma mai, mai, tu mi degnasti di uno sguardo. La rabbia mi era di nuovo salita, avevo abbassato la guardia dopo quello sguardo e mi ero trovato nuovamente spalle al muro”.
“Giustamente quale momento migliore se non quello mentre uscivo dalla toilette per prenderti una rivincita”.
Aveva bevuto molto e il caldo del locale le stava cominciando a dare fastidio e la sua vescica aveva raggiunto il limite, così Tosca con le guance rosse e le labbra tirate per una battuta idiota fatta, si alzò per andare in bagno e per la prima volta da quando si trovava in quel locale, complice l’impellente bisogno, non fece caso se intorno a lei ci fosse Cole. L’aria in quella stanza era fredda rispetto alla sala, e ciò le face piacere, infilò le mani sotto il getto dell’acqua gelida e chiuse gli occhi assaporando quella sensazione di sollievo. Rientrò nella sala che si sentiva decisamente meglio e pronta per altri giri ma:
“Hai giudicato me patologicamente instabile sentimentalmente, come dicesti? Che una cotta adolescenziale andata a male mi aveva traumatizzato? Credo che questa descrizione appartenga a te e non a me signorina”.
“Signorina?” Tosca alzò un sopracciglia venendo appellata in quel modo.
“Cosa vuoi da me? Ho accettato la tua offerta con pacatezza…ah ora capisco cosa ti aspettavi, che come una delle tante ingenue che hai conquistato, al primo momento buono venissi da te per ringraziarti, e allora li avresti ottenuto la tua vittoria. Questo volevi. No, non mi sono sbagliata, quella descrizione appartiene a te, e questo lo dimostra.”
Scosse la testa con disapprovazione, disapprovazione forse dovuta al fatto che aveva indovinato con la sua descrizione iniziale e in cuor suo, anche se non lo avrebbe mai ammesso, le dispiaceva.
“Allora una cena”, il suo passo fu interrotta da quella che non era una domanda ma un’affermazione detta con troppa sicurezza e nel voltarsi a guardare in faccia quell’uomo, questi era uscito da dietro il bancone e ora si trovavano l’uno davanti all’altro, per la prima volta vicini e per un momento si chiese se quella sorta di elettricità la sentisse solo lei.
Entrambi rimasero seri a guardarsi, entrambi trattenendo il respiro.
“Una colazione, domani mattina alle 10.00 al Garden of books, perdonami sicuramente non è il classico posto modaiolo a cui sei abituato ma amo i giardini e libri, perciò penso che si possa fare li”.
Cole venne preso contro piede, lei aveva deciso dove e quando, senza attendersi controfferte e questa era l’ennesima novità per lui. “Almeno lascia che ti venga a prendere io.”
Tosca rise di gusto a quella frase, “ e così farti vedere dove vivo e in più ti dovrei dare anche il mio numero di telefono, in modo che una volta arrivato tu mi chiami e mi avvisi di scendere. No, no, no, ci vedremo direttamente lì davanti.”
Ma per una frazione di secondo Tosca si accorse che forse stava esagerando, e che infondo l’uomo le aveva solamente offerto di passarla a prendere, si sentiva antipatica persino a se stessa. Così colta da un lievissimo imbarazzo si guardò intorno e come nei casi più classici scrisse su un fazzoletto il suo numero di telefono.
“Così potrai mandarmi lo stesso il messaggio una volta arrivato”, sorrise, cercando di farsi perdonare per il suo atteggiamento antipatico.
“Tregua?”.
“Tregua”.
I due si guardarono rilassati, le difese si stavano ritirando senza che se ne rendessero conto.


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Buonasera a tutti, la storia è un pochino ingarbugliata, lo so, ma spero vi piaccia e vi ringrazio tanto perché la leggete, fatemi sapere cosa ne pensate.
Grazie ancora e buon sabato.
   
 
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