Questa one-shot partecipa
alla
"Real Life Challenge" indetta da Ilminipony sul forum di EFP. Dettagli in fondo. Rating: Verde |
J. non era molto grande ma neanche così piccola da non potersi permettere un istituto scolastico in cui ospitare i suoi bambini e ragazzi. Elsa e Jack si erano, così, incontrati per la prima volta fra i banchi della stessa classe e si erano bellamente ignorati come solo i bambini e le bambine piccoli sapevano fare, finché non si erano ritrovati, con gli scarpini ai piedi, a gareggiare sullo stesso campo di atletica.
Erano entrambi davvero bravi e, gara dopo gara, dove l'uno perdeva poi recuperava e così via in un circolo vizioso che li portava a migliorarsi ancora e ancora, senza che nemmeno se ne rendessero conto.
Vederli gareggiare era uno spettacolo: Jack era uno spirito libero, energico e frizzante mentre Elsa era precisa, metodica e si muoveva sulla pista con l'eleganza di una vera regina. C'era una cosa, però, che li accomunava, capace di rapire chiunque li guardasse: nei loro esercizi erano così leggiadri e rapidi che sembrava godessero dei favori del vento stesso.
Ogni gara era accesa, infiammata, dal loro spirito di competizione, il che era davvero buffo date le ondate di gelo che si riversavano addosso e il risultato finale non era mai scontato, almeno finché i loro fisici non avevano iniziato a crescere e il loro cambiamento era diventato, improvvisamente, un ostacolo troppo difficile da superare.
In soccorso dell'orgoglio ferito di Elsa, incredibilmente, era venuta la cittadina di J. stessa che ospitava, sì, un istituto scolastico ma non arrivava ad averne uno di grado superiore. Così, le loro strade si erano separate e le loro gare si erano concluse. Tuttavia, l'orgoglio in certi frangenti rischiava di rivelarsi più un limite che uno sprone: capace di saziare solo per un istante ma, poi, la fame tornava inesorabile e implacabile[1]. Quei frangenti, però, sia Elsa che Jack erano ancora ben lontani dal comprenderli, sebbene ne fossero già - loro malgrado - inesorabilmente risucchiati.
Complici studi e giri di amicizie diversi, i due ragazzi avevano cominciato a frequentarsi sempre meno e gli anni erano passati, li avevano visti laurearsi e, al momento, prendersi un meritato periodo di riposo prima di lanciarsi nel frenetico mondo del lavoro.
Elsa uscì dalla porta e inspirò a fondo
l’aria di J., l’aria
di casa.
Era arrivata il giorno precedente, dopo un lungo viaggio e tutto quello
di cui
aveva avuto bisogno era stato un bel sonno ristoratore e la compagnia e
l’affetto della sua famiglia.
Come ad ogni suo
ritorno, però, il giro di rito in solitaria non poteva
mancare: era
un piacere constatare come certe
cose non cambiassero mai, dando quella
giusta
dose di sicurezza in contrapposizione alla curiosità che
sapevano accendere
quelle piccole novità come un nuovo negozio, ad esempio, o
dei
vicini
trasferitisi da poco.
«Bleket?»
una voce familiare, sebbene un poco diversa dall’ultima volta
che
l’aveva sentita, la fece voltare.
Il suo sguardo si
accese non appena si rese conto di non essersi sbagliata
«Overland…»
Il sorriso che si
disegnò sulle le labbra di lui ebbe il potere di confonderla
per un attimo «Allora è vero che sei tornata, ho
saputo dei tuoi risultati
eccellenti. Congratulazioni!»
«Grazie»
si schermì un poco, presa in contropiede «A quanto
pare le notizie
volano qui, eh?»
Jack
sghignazzò «Lo sai com’è
fatta J., le notizie sono sempre sulla bocca di
tutti, soprattutto quelle belle… o quelle piccanti»
Lei si
trovò a ridere con lui, constatando come il ragazzo non
fosse cambiato
per nulla… se non che era diventato più alto, i
lineamenti più marcati, il
fisico più definito… perché cavolo
stava pensando a quelle cose? «Tu, invece?»
buttò lì, cercando un pretesto per evitare che
l’imbarazzo si trasferisse sul
suo viso «Temo di essere arrivata da troppo poco e non ho
ancora ricevuto la
mia giusta dose di pettegolezzi»
Il ragazzo
scrollò le spalle «Anch’io sono
finalmente libero dall’università e,
visto che sono stato via a lungo, prima di scoprire cosa mi
riserverà il
futuro, ho preferito tornare a casa per un po’…
come te, immagino»
Elsa annuì
e lui pensò che non fosse cambiata poi granché:
sempre di poche
parole, riservata… bellissima. A ben guardarla, forse, in due o
tre punti era decisamente
cambiata…
«Ti ho
trovata!» la voce squillante della giovane Anna si intromise
di forza
fra i loro pensieri e due esili braccia circondarono il collo della
maggiore
delle sorelle «Ciao, Jack!» lo salutò
con un rapido cenno del capo, per tornare
subito a richiamare l’attenzione dell’altra
«Ti stavo cercando, prima non sono
riuscita a chiederti se volevi venire al pub di Oaken:
Kristoff e i Reindeers suonano
lì»
Elsa
tremò: non che non amasse Kristoff e i suoi amici ma,
talvolta, sapevano
essere davvero chiassosi e invadenti e, cielo, non era
psicologicamente pronta per affrontarli quella sera «Ti
ringrazio Anna ma ecco,
io, sì… avrei già un
impegno…»
«Un
impegno?» chiese quella sospettosa «E con
chi?»
Lei si
liberò dolcemente dalla sua presa e si spostò di
un poco «Con lui» buttò
lì, senza pensarci, disposta a tutto pur di cavarsi da
quella rogna.
«Con
me?» trasecolò il giovane ora al suo fianco, prima
di beccarsi una
gomitata secca nelle costole «Ouch… Sì,
sì… con me, certo. Ci
siamo incontrati e ci siamo detti, perché non rivangare un
po’ di sana rivalità
del passato?»
Il sorriso che si
allargò sulle labbra di Anna aveva un
che di
inquietante «Allora va bene, ci vediamo più tardi
a casa» le si avvicinò per
baciarle una guancia come saluto ma, quando fu abbastanza vicina al suo
orecchio,
le sussurrò «Dove mi racconterai tutto!»
Quando si fu
allontanata, Jackson – ignaro - sospirò
«Dato che hai scampato il
pericolo e, in effetti, io non ho niente da fare… che dici,
andiamo al Luna
Park?»
Elsa non era poi così sicura di averlo scampato quel
pericolo, considerando
lo sguardo di sua sorella acceso dall’eccitazione, non appena
aveva pronunciato
quelle due maledettissime parole: aveva la netta
sensazione di
essere appena saltata dalla padella alla brace. Impegnata nei suoi
ragionamenti, comprese con un attimo di ritardo quel che lui le aveva
appena
detto. Alzò un sopracciglio divertita
«E’ un invito?»
Lui si strinse nelle
spalle «Abbiamo un finto appuntamento, tanto vale
goderselo, no?» lo disse volutamente con un tono di sfida
perché, lo sapeva, ciò
avrebbe di molto alzato le possibilità a favore della
risposta desiderata.
«D’accordo»
E infatti.
Il Luna Park di J. non era molto grande e si presentava solo
nel periodo delle vacanze estive. Contava fra le sue attrazioni ben
poche
giostre, un carretto dello zucchero filato che vendeva anche le mele
candite,
uno di bibite e pop-corn e alcuni stand di giochi di abilità
in cui, con la
giusta dose di bravura e fortuna, si potevano
vincere i classici premi.
Fra una pesca alle ochette e l'immancabile tiro a segno, svettava una
grossa
insegna luminosa: Derby
Race.
I due, nella loro giovinezza, avevano speso fior di paghette a spingere
palline
in quelle buche gialle, blu e rosse, tutti intenti a far avanzare i
loro
fantini issati su cavalli meccanici tirati a lucido, in quella corsa
concitata
verso il
traguardo.
Non appena arrivarono lì davanti, Jackson si
voltò verso la ragazza al suo
fianco – fino a quel momento chiusa in un silenzio
imbarazzato - e trovò i suoi
occhi accesi dalla stessa sensazione che, era certo, brillava anche
nei
propri. Si frugò nella tasca dei pantaloni e tirò
fuori un dollaro sgualcito
«In memoria dei vecchi tempi?»
Elsa sorrise e annuì. Si avvicinarono al banco di gioco e
presero posto,
rigorosamente il solito di sempre.
«Due gettoni, per favore»
Nell’attesa che anche gli altri partecipanti fossero pronti,
lei ne approfittò
per legarsi i lunghi capelli biondi in una morbida treccia, in modo che
non la
infastidissero durante la gara. Lo scoprì a fissarla e si
imbarazzò «Sei pronto
a perdere?»
Lui sgranò gli occhi, comprendendo di essere stato colto in
flagrante ma, come
lei, ci mise giusto mezzo secondo a ripararsi dietro ad una giusta dose
di
spocchia «Come sarebbe? Se è il migliore quello
destinato a vincere, non ho
nulla da temere»
Elsa roteò gli occhi al cielo, nello stesso momento in cui
il padrone
dell’attrazione invitava a prepararsi per la partenza
«Staremo a vedere» sibilò fra i
denti.
Il suono di una tromba diede il via alla gara, lanciarono.
«Chi
vincerà? Il ragazzo o la ragazza?»
I due si scambiarono
uno sguardo di sfida, mentre le mani battevano frenetiche
sul bancone per far scendere più velocemente la pallina.
Ultimo lancio: cavallo
bianco contro cavallo grigio, gli altri ormai persi lungo i verdi
binari di
plastica. *Swiss*, le sfere rotolarono sul
piano di appoggio e
oscillarono perfide fra i buchi dai bordi colorati, dondolarono e
dondolarono ancora finché non caddero in quello designato:
uno rosso, l’altro
blu.
*Driiiiiiin*
L’assordante
suono del campanello decretò la fine della corsa ed elesse
il
vincitore: il muso del cavallo bianco era rimasto un centimetro - di troppo
- dietro a
quello del cavallo grigio.
«Sì!»
esultò Jack, mentre alzava entrambe le braccia
al cielo, senza
ritegno «Sono
il re del mondo!»
Si voltò
verso la sua sfidante e vi lesse in viso la stizza della sconfitta. Rapido
portò
una mano alla tasca dei pantaloni e ne estrasse il cellulare. Ancor
prima che
lei riuscisse a capire le sue intenzioni, lui le aveva già
scattato una foto.
«Perché
diamine l’hai fatto?» il suo nervosismo, se
possibile, aumentò.
«La tua
faccia…» sghignazzò l'altro impertinente «Me la voglio godere tutta!»
«Tu.Sei.Impossibile!»
sentenziò gelida, prima di voltargli le spalle e
allontanarsi.
Jackson scosse la testa e sbuffò: ovviamente l’avrebbe
raggiunta ma, prima,
c’era assolutamente un’altra cosa da fare.
Quando avvertì la sua mano sulla spalla, ad Elsa la
sconfitta bruciava ancora e
non poco «Hai intenzione di continuare a prendermi in giro a
lungo?»
Jack scosse la
testa in segno di resa «Assolutamente no, sono qui per
offrire un segno di pace» sorrise, rivelando quel che teneva
nell’altra mano,
fino a quel momento sapientemente nascosta dietro alla schiena.
«Non
penserai di comprarmi con un pupazzet… oh, ma è
troppo carino!» ogni
proposito battagliero crollò di fronte a quella morbidissima
salamandra di
peluche azzurro, con due adorabili occhioni dolcissimi[2]
«Questo non significa
che sei perdonato…»
L’altro
sogghignò divertito «Andiamo, vuoi dirmi che se
avessi vinto tu non mi
avresti tartassato da qui all’eternità?»
Finalmente anche lei
tornò a sorridere «Può
darsi…» concesse, dandogli un
leggero colpo alla spalla con la propria, mentre stringeva al petto il
dono
appena
ricevuto.
«Tutta
questa tensione mi ha messo una gran sete, ci beviamo qualcosa per
sugellare la tregua?»
Lei finse di pensarci
su per un attimo «Perché no?»
Improvvisamente la terra sotto ai suoi piedi cominciò a sembrare non più così stabile, perciò, decise di prendersi una pausa dalla loro passeggiata e ritrovò sicurezza posando le mani su un corrimano lì vicino. Lui si fermò al suo fianco, poco distante «Sai già dove andrai?» chiese tutto d’un tratto.
Elsa si stupì di quella nota malinconica che gli avvertì nella voce «No, ma l’ignoto non mi spaventa»
Jack sbuffò appena «Già… è una sfida, no? Perché dovrebbe?»
Lei sorrise e annuì, l’aveva capita perfettamente «E tu?»
Anche lui scosse il capo «No: certo, l’idea di allontanarmi definitivamente un po’ mi destabilizza ma, forse, J. è un posto troppo piccolo per tipi come noi»
Elsa sorrise di nuovo «Hai ragione ma ciò non significa che non possa rimanere il nostro posto sicuro in cui tornare»
«Hai altri posti sicuri?»
Forse per colpa dell’alcol, o forse perché non voleva capire, il significato nascosto in quelle parole le rimase oscuro «In che senso?»
Jack non la guardò più «Hai qualcuno che ti aspetta da qualche parte?»
Una domanda così diretta non se l’aspettava, avvampò «Assolutamente no…» rispose in tutta fretta, nell’imbarazzo più totale «Sei veramente uno stupido, Overland» borbottò sottovoce poi, guardandolo di sottecchi «In tutto questo tempo non ti sei mai accorto che a piacermi eri tu…» sgranò gli occhi e si portò una mano alla bocca che, di fatto, si era appena aperta contro la sua volontà.
La speranza che lui non l’avesse sentita s’infranse non appena incontrò uno scintillio di puro divertimento nel suo sguardo «Ah e così ti piacevo…» le disse, senza nemmeno cercare di trattenere quel sorriso sfacciato che gli era cresciuto sulle labbra. Si chinò quel tanto che bastava per portare il viso all’altezza di quello di lei e, poggiando il gomito sulla staccionata, adagiò il mento sulla propria mano «E sentiamo… ti piaccio ancora?»
Lei assottigliò gli occhi e inspirò col naso, gonfiando appena le guance risentita… oh, al diavolo: gli arpionò il colletto della camicia e lo attirò a sé. Quando le loro bocche si staccarono si riscoprì senza fiato, con un calore in corpo che niente aveva a che fare con quello che aveva appena bevuto «Tu che dici?» lo sfidò con lo sguardo.
Lo stupore sul viso di lui durò solo per un istante «Dico che non sono io l’unico stupido qui…» e, questa volta, non ebbe bisogno di lasciarsi trascinare per un unire di nuovo le labbra alle sue.
Ciao a tutti! Riapprodo su questi lidi approfittando dell'ispirazione che i trope legati al mio segno zodiacale hanno saputo regalarmi, i quali prevedevano: fake dating, rivals to lovers e drunken confessions. Questa shot partecipa alla "Real Life Challenge" indetta da Ilminipony(Leila91) sul forum EFP che richiedeva di inserire un episodio di vita vissuta all'interno della storia. Ebbene sì, io amavo (e amo tuttora) alla follia questo giochino dei cavalli del Luna Park e nella mia vita credo di aver fornito al giostraio una buona parte di budget per i suoi acquisti (Il "Chi vincerà? Il ragazzo o la ragazza?" era una sua frase tipica). E, come dire, sono anche un tantinello competitiva quando c'è da mettersi in gioco ù_ù Ho anche provato sulla mia pelle cosa significa essere in quello status leggermente alterato in cui intimamente ragioni ancora lucidamente ma, di fatto, la bocca va per i fatti suoi e ti ritrovi a pensare "Ma cosa cavolo sto dicendo?". Come autosputtanarsi in tre, due, uno... XD La challenge prevedeva, inoltre, l'utilizzo facoltativo di alcuni prompt tratti da citazioni e qui si sono praticamente inseriti da soli: il "Sono il re del mondo" di Titanic pronunciato dai Jack (uazuazuaz XD) e il "Me la voglio godere tutta" dal cartone animato Robin Hood. Quando ho scritto della cittadina di J., lo ammetto, ho pensato al paese di Jelsa che si trova in Norvegia (!) (ditemi voi se non è un segno chiarissimo del destino) ma qui è stato trasformato in questa non meglio definita località americana. Si ringrazia infinitamente blackjessamine per avermi fatto entrare questo espediente nella testa con il paesino di B. della sua storia. Come da specchietto, tutte le prossime AU (che non prevedano più capitoli) che mi verranno in mente su questi due adorabili ghiaccioli verranno inserite in questa raccolta. Spero che questo inizio vi sia piaciuto: grazie per aver letto e grazie a chiunque vorrà perdere un pochino del suo tempo a farmi sapere cosa ne pensa. Alla prossima Cida |
[1] Tratto dalla canzone "Per Sempre" di Nina Zilli.
[2] Sì, è il pupazzetto di Bruni (Più e più riferimenti ai rispettivi film di appartenenza sono sparsi per tutto il testo. Sapreste trovarli tutti?)