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Autore: Louis Agreste    17/07/2021    1 recensioni
*SPOILER 4 STAGIONE*
Certe situazioni possono portare a delle conseguenze. L'essere messo da parte, per Adrien, non è esattamente qualcosa che giova al suo essere un supereroe. Tagliato fuori da qualcosa che sembra essere molto importante per Ladybug, alla quale, però, lui non sembra più così necessario. È difficile trovare l'occasione giusta per parlarne con la sua partner in battaglia, ma, ormai, crede che non riuscirà mai a trovarla.
Sotto la maschera che gli concede la libertà da lui tanto desiderata, si nasconde una bomba pronta ad esplodere. Ci sarà davvero qualcuno pronto a ridurre i danni, nel caso questo avvenisse?
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Cuddle Night

Ormai sembrava non essere più necessario a nessuno.
Ladybug aveva Rena Rouge sempre al suo fianco, la spalla nuova di zecca, con cui sembrava addirittura avere un rapporto profondo oltre a… condividere diversi segreti, visto come, molto spesso, appariva ancora prima della supereroina a pois, alias, la guardiana dei miraculous. Era rimasto in disparte senza opporsi troppo alla cosa, ma, ovviamente, non provare una certa invidia per la volpe era impossibile. Lui e la sua lady avevano sempre avuto una certa chimica, una sincronia perfetta, ma, l’aggiunta ormai permanente della ragazza, lo stava facendo sentire di troppo.
Forse non c’era più bisogno di lui?
Pensarlo, all’inizio, lo portava successivamente a scuotere la testa e poi prendersi a insulti da solo per averlo fatto, ma… con il passare del tempo, aveva finito per dare ascolto alle voci nella sua testa, che continuavano a martellarlo ogni qualvolta lui non avesse altro in mente.

Quella notte era uscito per schiarirsi un po’ le idee. Si sentiva prigioniero già della sua testa, con l’aggiunta delle mura domestiche aveva temuto un serio attacco di panico anche con le finestre spalancate. Dopo aver corso sui tetti per una buona manciata di minuti, aveva finito per fermarsi dietro a un camino, piegato sulle ginocchia e con gli occhi caduti sul suo anello: avrebbe dovuto restituirlo? Chiamare Ladybug e dirle che era la scelta migliore?
Sentì gli accenni di lacrime agli occhi e li chiuse con forza, assieme alla mano a pugno. E Plagg? Dopo quello successo a New York sarebbe stato capace di perdonarlo una seconda volta? Sospirò con forza e si alzò in piedi, prendendo il mano il bastone per attivare il cat-phone e selezionare il contatto di Ladybug. Al sentire i primi squilli a vuoto aprì bocca e fece dietrofront, immobilizzandosi al vedere in lontananza un certo balcone.

- Qui è Ladybug! Lasciate un messaggio! - recitò la segreteria, che rimase aperta fin quando il ragazzo non chiuse la chiamata, subito dopo aver fatto lo stesso con la bocca.

Di nuovo a quattro zampe, il gatto corse sui tetti fino a raggiungere il più vicino alla casa di Marinette, dalla quale proveniva una fioca luce. Le finestre erano coperte da tessuti di diverse fantasie e questo lo confuse abbastanza, soprattutto perché non ricordava di aver mai notato quelle coperture sugli oblò. Non avrebbe potuto spiarla da lontano, ma si era davvero avvicinato solamente per guardarla da quella distanza? Fu il suo corpo a rispondergli, quando, con un salto, raggiunse il balcone della ragazza. Sbatté le palpebre l'attimo dopo e, solo allora, si rese conto di come non si era nemmeno reso conto di ciò che aveva appena fatto.
Sentì diversi rumori provenienti dalla camera, ma, anche dopo averci rimuginato sopra pochissimi secondi, allungò il pugno e bussò sul vetro, accorgendosi di come i suoni si erano improvvisamente arrestati tutti all’unisono. Poco dopo, la padrona della camera aprì il lucernario, rimanendo sorpresa al vederlo seduto composto sul suo balcone, come un gattino obbediente.

«… Chat Noir? Cosa ci fai qui?»
«… Ehm…»

Non c’era una risposta, il suo istinto l’aveva portato lì da lei.

«I… Io…» arrivò a singhiozzare poi, con nuovamente accenni di lacrime sugli occhi, reagendo con una smorfia al vedere l’espressione di Marinette.

«Che ti è successo?» si allarmò lei, raggiungendolo sul balcone e finendo per prendergli il viso tra le mani.

Lui, lì per lì, sgranò gli occhi, poi, le sue palpebre diventarono pesanti e infine sospirò di sollievo, confondendo ancora di più la corvina.

«Gattino, ti sei mangiato la lingua da solo?» domandò lei con un sorrisetto accennato, che si allargò quando il ragazzo chinò la testa di lato perché gli aveva accarezzato la guancia con il pollice.

Sembrava un gattino in cerca di coccole, che aveva raggiunto il suo balcone ed era rimasto lì fermo buono buono solamente per quel motivo.

«Vuoi entrare?»
«… Non ti disturbo?» domandò lui dopo essere finalmente riuscito a formulare una frase di senso compiuto, con di nuovo un occhio aperto.

«Basta che non fai casini, micetto» lo avvertì lei con uno sguardo apparentemente serio, che sparì al vedere l’espressione confusa di lui.

Marinette si rialzò in piedi e rientrò nella propria camera, spostandosi sul letto per permettere al ragazzo di imitarla e atterrare comodo sul materasso. Lui si immobilizzò, dispiaciuto di aver in qualche modo sporcato le coperte nella ragazza, visto che nemmeno sapeva cosa i suoi stivali avevano raccolto su tutti quei tetti.

«… Scusa» finì per dire con un filo di voce, alzando lo sguardo al notare la ragazza tirarsi su subito dopo aver scosso la testa.

«Non preoccuparti, capita spesso anche a me di salirci con le scarpe… Non immagini le volte che mia madre mi ha beccato a farlo, obbligandomi poi a cambiare, giustamente, il lenzuolo.»
«Ehe…» rise apparentemente divertito il ragazzo, rimanendo poi con un triste sorriso e le orecchie chinate all’ingiù.

Marinette si fermò a pensare: anche prima le sue orecchie le aveva viste così. Era, però, stato difficile notarlo, visto come, appena appoggiati i palmi sul suo viso, erano tornate su. Forse qualcosa nella sua vita civile l’aveva ridotto così?

«… Chat Noir, va tutto bene?» gli chiese poi, tornando seduta sul letto, ma più vicina a lui.

«Sì… solo…» faticò a dire anche quelle due parole, sentiva la gola secca e aveva come un vuoto mentale, come se persino tutto il suo vocabolario si stesse lentamente estinguendo dalla sua testa.

«È successo qualcosa... nella tua vita civile che...?»
«N-no…» finì per singhiozzare lui ancora una volta, prima di stringere istintivamente i denti e chiudere con forza gli occhi pur di non piangere.

«… Che ti è successo, gattino?» chiese ancora lei, avvicinandosi ancora di più e appoggiando anche una mano alla sua spalla: «Hai… litigato con Ladybug?» domandò lei, seppur consapevole di non aver mai rivolto brutte parole al ragazzo, ma forse dal suo punto di vista non era stato lo stesso.

«… No…»
«E allora cosa ti è successo? Sei rimasto ferito dopo un attacco akuma e lei non è riuscita a guarirti?»
«No…» ripeté ancora lui quasi come una macchinetta, con addosso gli occhi di Marinette che lo guardavano con sempre più evidente preoccupazione.

«… Chat Noir, a me puoi dirlo…» gli ricordò sporgendosi appena, visto come era rimasto immobile con lo sguardo fisso sul letto, a tremare e sforzarsi pur di non crollare.

«… Lei non ha più bisogno di me… Io non servo più… Sono inutile…»
«Cosa? Ma che vai dicendo?»
«Lei ha Rena Rouge, adesso. Sono migliori amiche… Combatte con lei… Pianifica con lei…» cominciò ad elencare lui con gli occhi sgranati, mentre un sorriso nervoso e quasi inquietante stava lentamente incorniciando il suo viso: «Sa che è la guardiana… forse sa perfino chi è…» le lacrime, copiose, avevano cominciato a rigargli le guance, una dopo l’altra: «… Sono un duo perfetto… Io sono inutile…»
«Chat Noir, mi stai spaventando... Tutto quello che stai dicendo non è vero.»
«È vero! Lei non ha più bisogno di me, dovrei restituire il mio miraculous, non le servo più!»
«Chat Noir, smettila!»
«Troverà un altro portatore per Plagg, uno che magari amerà il formaggio tanto quanto lui… qualcuno che non sia impulsivo e pasticcione come me… qualcuno di migliore…» continuò a farneticare lui senza più controllo, mentre anche la sua testa aveva preso a muoversi ogni tanto senza che lui lo volesse, come un tic nervoso: «… Lei starà meglio senza di me.»

Un rumore sordo si propagò in quella stanza.
Il ragazzo, con gli occhi chiusi, percepì un leggero dolore propagarsi dalla guancia sinistra. Sbatté le palpebre un paio di volte e si ritrovò davanti Marinette, girata dall’altro lato. Aveva una smorfia di dolore in volto e con una mano si stava massaggiando l’altra... Gli aveva appena tirato uno schiaffo?

«… Marinette?»
«Ti sfido a ripetere tutto quello che hai detto, provaci!» esclamò lei al suo richiamo, dopo essersi voltata di scatto e avergli rivolto uno sguardo che infuriato sarebbe stato dire poco; aveva anche dei rimasugli di lacrime lungo le guance: «Mi hai capito, sì o no?»
«Ma… Marinette, io-»
«Non è vero! Tutto ciò che hai detto non è vero!» ripeté ancora lei con i denti stretti in mostra, mentre tentava ancora di massaggiarsi il polso con l’altra mano: «… Non tornavi in te, non ho avuto altra scelta…»
«Ma ti sei-»
«Sei un supereroe! Per darti una svegliata ce ne vuole di forza!» gli ricordò prima di rifare la stessa smorfia di poco prima.

Le orecchie del supereroe si abbassarono nuovamente. L’aveva fatta preoccupare e si era pure fatta male pur di farlo tornare in sé. Forse rimanere a casa sarebbe stata la scelta migliore...

«Mi… mi dispiace, non volevo…»
«Non fa niente…» gli rispose, palesemente sforzandosi pur di rivolgergli un sorriso accennato.

«… I tuoi tengono una valigetta di pronto soccorso da qualche parte?»
«Chat Noir-»
«Mh?» domandò ancora lui dopo essersi alzato in piedi e aver rivolto lo sguardo serio su di lei.

Non avrebbe cambiato idea, qualsiasi cosa gli avrebbe detto, lo aveva capito. Tirò un enorme sospiro e poi annuì.

«Dovrebbe essere in bagno. I miei molto probabilmente sono già a letto, fai attenzione…»
«Sono un gatto, so essere molto furtivo, mon petite souris» le ricordò lui con il solito sorrisetto sfacciato, prima di scendere velocemente le scale per raggiungere la botola e raggiungere il piano di sotto.

Lei era rimasta un attimo immobile sul letto, con le guance lievemente colorate di rosso. Come l’aveva appena chiamata?

«Tutto bene, Marinette?» le domandò in quel momento Tikki, risvegliandola da quell’apparente stato di trance.

«Ah, sì… Non è niente, tranquilla.»
«Sei sicura?» chiese ancora la kwami, abbastanza preoccupata anche lei.

«Sì, perché non dovrei?»
«… Devi ancora finire i compiti?» le ricordò poi la coccinella, guardandola prima sgranare gli occhi e poi lasciarsi cadere all’indietro sul letto.

«È un disastro! E adesso come faccio?!» domandò subito dopo, tirandosi su l'attimo dopo e bloccandosi quando percepì un’altra fitta di dolore al polso.

«Forse Chat Noir può aiutarti, perché non glielo chiedi?»
«… No, mi sembra già abbastanza scosso e distratto. Non voglio coinvolgerlo o… obbligarlo a sforzarsi unicamente perché io ho avuto da fare tutto il giorno con la macchina da cucire, voi kwami, Alya che ancora smette con le domande…»
«… Non sembra averla presa bene… » aggiunse Tikki, ovviamente facendo riferimento alla ragazza nominata dalla portatrice.

Marinette rimase a guardarla due secondi e poi distolse lo sguardo. Già, non sembrava averla presa affatto bene.
Per quanto era scosso psicologicamente, aveva creduto di vederlo impazzire da un momento all’altro. Non aveva mai aperto una discussione, tantomeno commentato la cosa dal suo punto di vista, a differenza di come si era comportato tempo addietro lo stesso giorno in cui avevano affrontato Sirena. Era rimasto in disparte con solamente la sua testa ad accompagnarlo, e, questo suo comportamento, aveva finito per essere velenoso per lui stesso.
L’aveva messo da parte, era vero, come aveva potuto farlo in un modo così brutale senza nemmeno rendersene conto? Che persona orribile era?

«Trovato!» sentì poi esclamare dalla botola, senza però voltarsi o sporgersi dal soppalco: «Adesso ci pensa il tuo gattino infermie- Che cos’hai?» si allarmò lui, sulle scalette, nel vederla piangere ancora più di prima, precipitandosi a raggiungerla per sedersi al suo fianco: «Ti fa così male, Marinette?» chiese ancora più dispiaciuto, allungando una mano per spostarle i capelli da davanti agli occhi, con lei continuava a tenere lontani dai suoi.

Non aveva il coraggio di guardarlo, non ci riusciva più. Gli aveva pure tirato uno schiaffo forte, che solo lei aveva finito per recepire come tale, e si era anche dovuta sforzare per farlo, non l’avrebbe mai fatto altrimenti.

«Dammi qua…» sussurrò dopo averle preso delicatamente la mano destra, immobilizzandosi quando la vide fare ancora quella smorfia: «Tranquilla… faccio piano.»
«Mh…» fu l’unica risposta che riuscì a dargli, rabbrividendo quando appoggiò la bustina di ghiaccio istantaneo sul polso.

«Va un po’ meglio?»
«… Sì.»
«… Spero che non si sia rotto…»
«Beh, con una testa dura come la tua è probabile» finì per scherzarci lei, finendo per sorridere quando sentì lui ridacchiare.

«Ponendo caso sia solo una distorsione… tu devi tenerlo sollevato e… io devo farti una bella benda stretta.»
«Hai studiato, gattino
«A me è successo alla caviglia, una volta che lo sperimenti ricordarti la procedura è più facile.» le spiegò mentre era occupato a cercare le bende nella valigetta, sorridendo vittorioso quando adocchiò il rotolo: «Ok, adesso… forse ti farò un po’ male. Vuoi la mia coda per non urlare?» le domandò con un sorrisetto, chinando appena la testa di lato nello stesso momento in cui la cintura si piegò lateralmente dal lato opposto, come per palesarsi alla ragazza.

«No no, grazie, posso resistere…»
«Ritieniti fortunata comunque, non permetto a tutti di usufruire della mia coda» le ricordò con un sorrisetto beffardo, che contagiò anche lei.

Come Ladybug aveva perso il conto delle volte che gli aveva chiesto di usarla, su lui, se stessa, oppure insieme a qualcos’altro pur di seguire i soliti piani contorti. Le veniva persino da ridere al ripensarci.

«Ok, pronta?»
«… Mh»

Una volta tolto il ghiaccio, il giovane supereroe cominciò a fasciarle il polso, imponendosi da solo di non alzare continuamente lo sguardo per guardarla. Era consapevole che, se l'avesse fatto, avrebbe potuto incrociare l’espressione di lei dolorante e di conseguenza si sarebbe fermato più volte, senza mai finire.
Marinette, d’altro canto, non faceva che guardarlo: era adorabile; con quella lingua appena cacciata fuori perché cercava di mantenere la concentrazione. Il senso di colpa sembrava star aspettando alle sue spalle il momento giusto per colpirla, ma lei non poteva negare di essersi ormai persa a osservare il biondo tanto occupato. Aveva mille scuse sulla punta della lingua che voleva dirgli, una di seguito all’altra, ma non riusciva a parlare per le fitte di dolore che ogni tanto sentiva. Forse però… sotto sotto c’era anche un altro motivo… che lei non sapeva effettivamente qual era.

«… Mi servono le forbici…» mormorò il supereroe, guardandosi attorno e poi tornando ad ispezionare la valigetta, sempre sotto gli occhi azzurri della ragazza: «Eccole! Maledette furbastre…» borbottò lui per aver perso minuti preziosi a cercarle, obbligando Marinette a portarsi l'altra mano alla bocca per non scoppiare a ridere.

Chat Noir tagliò la benda e finì di fasciarle il polso, finendo per osservare il risultato finale con un sorriso a trentadue denti. Marinette arrossì nuovamente e sorrise di rimando, inclinando anche lei la testa da un lato.

«… Marinette? Tutto bene?»
«E-eh? Ah, s-sì, scusami…»
«La senti troppo stretta?»
«No no, va bene! Sei perfe- Cioè, è perfetta… ehe» finì per balbettare lei, sgranando gli occhi e rivolgendogli un sorriso nervoso quando si rese conto di ciò che aveva appena farneticato.

Perfetto? Aveva finito per dare del perfetto a Chat Noir?
Nel vero senso della parola non lo era, impossibile negarlo, ma… nell’altro senso non era così… sbagliato.
Scosse ripetutamente la testa, facendo ulteriormente confondere il biondo, che adesso la guardava abbastanza sconvolto.

«… Stai bene?»
«Sì sì, sto benone! Ah!»

Aveva chiuso per un attimo gli occhi e, quando li riaprì, trovò ragazzo occupato a guardarla, con uno sguardo di rimprovero e con le braccia incrociate al petto. Per enfatizzare la sua risposta, Marinette aveva chiuso la mano destra a pugno prima di tirarla su in diagonale e, ovviamente, si era fatta male. Ecco perché lui aveva reagito in quel modo.

«… Ehehe…» rise ancora lei nervosamente, prima di distogliere lo sguardo e scendere dal letto, subito seguita dal giovane supereroe: «Posso camminare, non serve che mi fai da scorta.»
«Conoscendoti… non si sa mai.»
«Cosa vorresti insinuare?» domandò lei, rivolgendogli uno sguardo più che offeso una volta finito di scendere le scalette.

«Niente…» negò poi lui anche con la testa, rimanendo però a guardarla con un sorrisetto beffardo.

Anche quando lui la fronteggiò, non poté fare a meno di guardarlo male negli occhi, mantenendo con fatica il muso.
Sembrava stare meglio: non era finto il sorriso che gli incorniciava il volto e il suo modo di scherzare sosteneva la sua ipotesi. Stava per perdere a quel gioco di sguardi, ma, proprio in quel momento, il senso di colpa la prese nuovamente in pieno petto, costringendola ad interrompere il contatto visivo tra loro abbassando la testa.

«Ma-Marinette, che ti è preso?» balbettò lui, cambiando anche lui espressione in tempo record.

«Mi dispiace… io non volevo…»
«Ehi, ma di cosa devi scusarti…?» domandò lui confuso, facendo per appoggiare la mano guantata alla sua spalla, ma guardandola allontanarsi pur di impedirgli di farlo: «… Sono io che…?»
«No, tu non c’entri niente! A me dispiace per ciò che ti è successo, mi dispiace di averti tirato uno schiaffo, scusami se… se…»
«Ehi ehi, Marinette… calmati…» sussurrò lui prima di avvicinarsi di nuovo, questa volta per abbracciarla e appoggiare anche la testa alla sua: «È tutto ok, mi hai capito…?»
«Scusami… Mi dispiace…» continuò a ripetere lei contro il suo petto, preda anche delle sue stesse lacrime.

«Shhh… è tutto ok, Marinette» continuò a sussurrarle lui con un dolce sorriso e gli occhi chiusi.

Rimasero così per un po’. Lui in silenzio ad ascoltare lei sfogarsi, senza alcun interesse verso la propria tuta, ma con tutti i sensi concentrati sulla ragazza che stava tirando tutto fuori. Inserirsi troppo nella sua vita privata era sbagliato, forse farle domande troppo specifiche l’avrebbero fatta stare peggio, quindi, per una volta, aveva messo da parte l’impulsività. Le avrebbe concesso tutto il tempo possibile, anche se avrebbe comportato il rimanere in piedi per ore.

«… C’è qualcosa in cui il tuo gattino preferito può darti una mano?» arrivò a domandarle quando la sentì finalmente rilassarsi.

«… Letteralmente?» domandò lei di rimando, tirando su con il naso quando lui sciolse l’abbraccio per guardarla negli occhi: «Non ho finito i compiti e con la mano ridotta così, non credo di…»
«Ti aiuto io» esclamò il ragazzo con un sorriso sincero e ancora le mani sulle sue spalle, portandola a ricambiare e poi annuire.

Lo seguì fino alla scrivania e recuperò un’altra sedia per farlo accomodare, ma si bloccò sul posto quando si ricordò di una cosa, una molto importante.

«Oddio, non ti ho nemmeno offerto qualcosa da mangiare!»
«Shhh! Marinette, ci sono i tuoi genitori di sotto.» le ricordò a bassa voce, sorridendo divertito al vederla subito coprirsi la bocca con la mano sinistra: «Non fa niente comunque, altrimenti sarei davvero peggio di un gatto randagio. Tornando a noi, in cosa devo aiutarti?»
«Ahhh… Ho da fare alcuni esercizi di letteratura, tra cui domande personali, dopo aver letto un testo…»
«Bene, il libro dov’è?» domandò ancora lui, facendo vagare lo sguardo per la stanza finché la ragazza non gli porse il libro: «Leggo io o tu?»
«Eh?»
«È una comprensione, devi leggere il testo. Vuoi che legga io con la mia soave voce?» domandò lui dopo essersi portato la mano al petto e aver rivolto lo sguardo verso di lei, sorridendo al vederla ridacchiare.

«No, tranquillo. Già mi dispiace disturbarti e trattenerti per questo motivo, meglio preservare quelle corde vocali pregiate.»
«Come siamo premurose…» la prese in giro lui, spostandosi di lato per permetterle di accomodarsi al suo fianco una volta recuperato il libro.

«Ok… speriamo di non crollare prima» disse, dando voce ai propri pensieri e facendo ridacchiare il ragazzo.

Prese a leggere a mente, ma non furono tanti i minuti in cui riuscì davvero a concentrarsi.
A un certo punto, Chat Noir, dopo essere rimasto infiniti secondi a fissare la sua spalla, appena sfiorata dai codini, aveva finito per avvicinarsi di più e appoggiare il mento su questa, ritrovandosi subito dopo a sospirare di sollievo.

«Chat… Chat Noir…?»
«Ah, scusa…» esordì con un sorriso imbarazzato e le orecchie rivolte all’ingiù, subito dopo essersi allontanato.

«No no… Semplicemente, mi… hai sorpresa, tutto qui.»
«… Scusa. È che…»
«… Il micetto ha bisogno di coccole?» arrivò a chiedergli con un dolce sorriso, temendo poi di sciogliersi in mezzo secondo quando lui arrossì appena sulle guance e, con le orecchie che piano piano erano tornate su, aveva annuito appena, dopo aver distolto lo sguardo: «Su, vieni qui» lo invitò prima di tornare ad occuparsi del testo, sentendo poi nuovamente il mento del ragazzo appoggiarsi delicatamente sulla sua spalla.

Riga dopo riga, al sentire lui strofinare sempre più spesso il viso contro i suoi capelli, aveva allungato la mano sinistra per accarezzargli la guance, arrivando addirittura alle sue orecchie da persona normale e finendo per fargli i grattini lì dietro, rabbrividendo un attimo al sentire le sue fusa.

«Niente più battute, chaton
«Meow…» miagolò lui in risposta, chinando ulteriormente la testa per renderle più facile il grattarlo proprio in quel punto.

Aveva sentito un paio di volte il tintinnio del suo campanello e aveva finito per distrarla un’altra volta. Chat Noir sembrava ribadire ogni volta di essere una specie di gatto randagio, che andava di casa in casa per racimolare uno spuntino o, in quel caso, un po’ di conforto e coccole. Ma il campanello? I gatti randagi non lo portavano ed era pericoloso per loro, ma anche per quelli domestici, quindi era lecito porsi una domanda come quella... Giusto?

«Marinette... Stai fissando la stessa parola da cinque minuti…» l’avvertì il protagonista dei suoi pensieri con un sussurro, ancora fin troppo intontito dalle sue carezze.

«Ah, sì… Scusami…»
«… Che ti salta per la testa, topolina…?»
«… Perché continui a chiamarmi così?»
«Perché tu sei stata Multimouse…» sussurrò ancora lui, socchiudendo gli occhi e finendo per incrociare i suoi azzurri: «… Perché Ladybug ha dato il miraculous a Mylène poi…?»
«Beh… Forse perché non sono tagliata per fare la supereroina?»
«… Adesso te la mangio sul serio la lingua.» affermò lui parecchio offeso, finendo addirittura per confondersi al vederla arrossire: «Hai aiutato Ladybug in quella situazione critica con Kwamibuster e poi-… Anche quella è stata colpa mia…»
«Cosa? Ma sono stata io stupida a-»
«Ma sono io che non posso sapere l’identità segreta degli altri eroi!» continuò lui, allontanandosi da lei per tornare composto sulla propria sedia e poi puntare lo sguardo a terra: «… Se non ti avessi vista, tu adesso potresti ancora aiutare Ladybug…»

Era da tutta la sera che non usava il “milady” quando si riferiva alla sua versione rivestita di pois. Lo stava facendo perché si sentiva - giustamente - trascurato, oppure c’era un altro motivo sotto?

«… Per me va bene così, una volta è bastata.»
«Ma saresti stata una grande! E poi avremmo potuto fare tanti giochi di parole io e te sul gatto e il topo. Io e te contro Ladybug e Rena Rouge, non ti sembra fantastico?» arrivò a fantasticare lui subito dopo essersi alzato dalla sedia, di nuovo con un grande sorriso.

Stava trascurando i compiti, di questo era consapevole, ma come avrebbe fatto a concentrarsi con quel ragazzo alle spalle che si stava facendo mille film mentali sull’averla accanto in quel modo?

«Multimouse e Chat Noir! Non suona bene?»
«Vorresti fare duo con me? Sai che il topo non può purificare le akuma, vero?»
«Ma io e te potremmo essere il braccio delle missioni, mentre Rena Rouge e Ladybug stanno lì a ragionare sui piani contorti della seconda! Almeno avrei qualcuno accanto con cui combinare disastri… volontari e non» continuò lui il discorso, fermandosi sul posto con lo sguardo rivolto a terra.

Lo alzò poco dopo, sorridendo tristemente quando, di nuovo, incrociò gli occhi di lei. Stava sognando da sveglio, ne era consapevole, però… gli sarebbe piaciuto davvero tanto, doveva ammetterlo.

«… Scusa, mi sono lasciato trascinare» confessò sempre con quel sorriso, prima di tornare seduto composto, ma senza avvicinarsi di nuovo a lei.

Marinette non provò nemmeno a fiondarsi sul libro senza badare a lui. Lo prese per un braccio e lo attirò a sé, senza problemi grazie alla sedia girevole.

«… Non volevi le coccole, micetto?» riuscì a domandargli con un sorrisetto che imitava perfettamente i suoi soliti, che finì per ammorbidirsi al vedere i suoi occhi verdi illuminarsi.

Lei tornò al testo e Chat Noir alle sue amate coccole, sistemato tra i collo e la spalla della ragazza, con quest’ultima che gli faceva carezze o grattini sempre nei punti giusti.
Non ricordava di essersi mai comportato così con nessuno, forse nemmeno con Ladybug, ma l’essere così vicino a Marinette, con un umore sotto lo zero, aveva portato il suo istinto a prendere il sopravvento, pur di farlo stare il più vicino possibile alla ragazza. Non le aveva portato beatitudine il suo arrivo, però stava meglio con lei, si sentiva a… casa, in un certo senso.

«Ok, ho finito… Minou
«… Mh…?»
«Ti sei addormentato?»
«No, sei tu troppo brava a fare le coccole…» si spiegò lui, costretto ad alzarsi e stiracchiarsi prima di sbattere le palpebre e rivolgere anche lui l’attenzione sul testo, non accorgendosi della lieve risata di lei: «… A noi due.»
   
 
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