Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: PerseoeAndromeda    20/07/2021    0 recensioni
In un mio headcanon, Shin eredita, dalla madre, la malattia cardiaca. Questa fanfic, pur essendo una oneshot, appartiene ad un contesto molto più ampio.
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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IL SENTIERO VERSO LA SPERANZA
 
Cercò di annullare ogni cosa, se stesso, i pensieri, la consapevolezza di ciò che era e ciò che rischiava di perdere.
Chiuse gli occhi, tentò di dimenticare persino di esistere: era l’unico mezzo che aveva per proteggersi da quello che gli stava accadendo.
Le voci dei medici e degli infermieri gli giungevano ovattate a causa del suo stato di coscienza alterato… non per qualche motivo particolare, era lui stesso che tentava di portare altrove la coscienza o, meglio, di portarla in un luogo dove sarebbe potuta non esistere.
Così rispondeva a monosillabi alle loro rassicurazioni e inviti a non sentirsi a disagio per l’esame al quale stava per essere sottoposto. Se la sua mente fosse stata più serena, probabilmente avrebbe sorriso, in maniera un po’ ironica: aveva sempre avuto ben altro per cui sentirsi a disagio e quando i demoni e i mali del mondo si erano deciso a lasciarli tranquilli per un po’, ci si metteva il suo cuore.
E lui non avrebbe dovuto odiarsi? Odiare la sua esistenza inutile e senza senso che si svolgeva solo per far soffrire coloro che amava?
Era già abbastanza pesante pensare che i suoi nakama erano in sala d’aspetto, ad attenderlo, preoccupati e pieni di ansia… ansia generata da lui…
E la sua famiglia?
Non bastava che okaasan dovesse sopportare la propria condizione fisica, adesso si sentiva in colpa per aver trasmesso al figlio i suoi problemi cardiaci e Sayoko-neesan doveva farsi carico di due familiari malati, dopo aver sofferto per la morte del padre, essere rimasta accanto alla madre perché lui aveva lasciato Hagi… adesso anche lui si sarebbe trasformato, per lei, in un dolore da dover sopportare.
Quando l’esame fu terminato, pur avendo ascoltato le parole poco rassicuranti del medico, pur contro il parere di quest’ultimo che lo considerava ormai un giovane uomo debole e malato, Shin si era imposto: sarebbe tornato dai nakama sulle proprie gambe, almeno quello… almeno fino a che ci fosse riuscito, non lo avrebbero visto dipendere da nessuno.
Quando mise piede nel corridoio si asciugò velocemente una lacrima, non voleva che i suoi nakama lo vedessero abbattuto. Ma era troppo tardi, uno di loro era già lì, ad accoglierlo fuori dalla sala della tac e lo scrutava con i suoi occhi d’ametista, intensi, occhi che già sapevano tutto.
Per questo, quando lo vide allargare le braccia, Shin non resistette, si rese conto subito di quanto avesse bisogno di appoggiarsi.
Non avrebbe voluto, eppure quel precipitarsi tra le sue braccia, quel venire stretto così forte da sembrare che tutti i frammenti del suo cuore sarebbero stati rimessi insieme solo da quell’abbraccio, significava sentirsi al sicuro, significava desiderare che quella sensazione non finisse mai.
 
***
 
I colori del tramonto si riversavano sulla superficie del lago, dando vita ad una pioggia di fuoco e luce che investiva ogni particolare di quel paesaggio montano.
Il pontile di legno era, per i cinque ragazzi che lo stavano imboccando, il sentiero verso un mondo incantato, il loro mondo, dove le speranze non morivano, dove sarebbero stati insieme per l’eternità.
Non avevano rinunciato ai loro sogni, anche se uno di loro, ormai troppo debole per camminare da solo, era tenuto in braccio da quello che era il più basso, ma anche il più robusto e lo stringeva a sé con tutta la tenerezza e l’attenzione che avrebbe riservato a quanto di più fragile e prezioso potesse esistere al mondo.
Ed era sicuramente così per quei ragazzi, non vi era nulla di più importante del legame inscindibile che correva tra loro.
Le braccia di quel ragazzo malato erano allacciate al collo del suo protettore e, fino a pochi istanti prima, i suoi occhi erano rimasti chiusi, vinti dalla stanchezza.
Ma quando percepì l’arrestarsi dei passi, li aprì lentamente e la cascata di colori si specchiò nei suoi occhi, insieme a tutte le increspature dell’acqua, che in quegli occhi sembrava effettivamente trovare la sua essenza più viva.
Riuscì anche a sorridere, piegando debolmente le labbra e si perse a contemplare quello spettacolo, nel quale gli sembrava di tornare ad essere quello di un tempo.
I suoi compagni, invece, guardavano lui e la meraviglia naturale da cui erano circondati non era sufficiente a fugare la loro tristezza, mentre contemplavano quel viso dai lineamenti delicati, che aveva perso ogni colore man mano che la debolezza del suo cuore l’aveva consumato, il suo corpo aggraziato ma vigoroso era dimagrito, i muscoli forgiati con il nuoto e l’uso della yari sembravano scomparsi, lasciando il posto a un organismo sfibrato e segnato dalla malattia.
Ma agli occhi dei nakama non perdeva la sua bellezza, era solo diventata un’esigenza sempre più insopprimibile quella di proteggerlo.
Le labbra del ragazzo si schiusero, la sua voce dai connotati melodiosi e dalle sfumature ancora infantili, che facevano ancora più male in quella situazione, si fece udire:
«Grazie Shu… ragazzi… questo posto… è sempre così bello. Non me ne andrei mai».
La mano abbronzata di uno dei nakama gli accarezzò la guancia:
«E noi non ti lasceremo andare Shin… da nessuna parte».
«Ryo…».
Shin non riuscì a proseguire, ogni successiva parola rimase soffocata dalla commozione e dal sorriso con il quale il suo amato leader lo stava guardando.
Un sorriso che rispecchiò in quelli degli altri giovani intorno a lui, perché un pensiero solo li accomunava: nessuno di loro si era arreso o rassegnato, avrebbero strappato il loro Shin a ciò che sembrava sempre più inevitabile.
 
   
 
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