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Autore: moira78    23/07/2021    3 recensioni
Candy e Albert si conoscono da sempre e, da sempre, un filo invisibile li lega. Ma la strada che li porterà a venire a patti con i propri sentimenti e a conquistare la felicità sembra essere infinita e colma di ostacoli...
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Brighton, Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sarah Lagan si sentiva esausta, svuotata di ogni energia. Abbandonata sulla sua poltrona preferita, era prostrata con la schiena curva in avanti e le mani sul viso: era la prima volta in vita sua che sentiva di essere debole.

Sconfitta.

Le ci erano voluti tutta la sua forza di volontà e un calmante molto forte per riprendersi dalla visita che le aveva fatto il signor Ruiz quasi un'ora prima.
Le era crollato tutto addosso. Tutto.

Sapeva che stava accadendo qualcosa, che Eliza non si era limitata a far cavalcare quella sciocca di Candy all'amazzone e che suo figlio Neal era più nervoso del solito. Ma aveva preferito ignorare quelli che pensava fossero segnali di ragazzate.

Ragazzate. Altro che ragazzate! I suoi figli avevano preso contatti con la mafia americana!

Le mani gelide le tremarono mentre cercava una postura più comoda, appoggiandosi allo schienale e prendendo un lungo respiro. Pensò che una cosa del genere avrebbe fatto venire un attacco di cuore a Raymond o alla zia Elroy, ma in realtà temeva seriamente che sarebbe venuto a lei.

Come? Come avevano potuto spingersi così oltre?!

Per anni era stata complice dei piani più fantasiosi e malvagi ai danni di colei che, ai suoi occhi, era solo un'orfana immeritevole. All'inizio aveva creduto davvero che fosse una ladra, ma poi col passare del tempo si era resa conto che, vero o no, Neil ed Eliza stavano facendo un ottimo lavoro per sbarazzarsene ed era stata loro felice complice. Stavano persino per mandarla in Messico, liberandosi della sua presenza sgradita!

Ma quel prozio William, che tutti credevano un vecchio in punto di morte, aveva cambiato le carte in tavola e l'ombra costante di Candy aveva pervaso le loro vite. Aveva causato la morte di Anthony Brown e, più tardi, aveva rifiutato il suo unico figlio maschio.

Pazza ingrata.

Serrò gli occhi, ferita da quel sole beffardo che la stava accecando e con un gesto stizzito si alzò e chiuse le tende. Chiamò la sua cameriera e le chiese di avvisare i suoi ragazzi che doveva parlare con loro.

Subito.

Sedette di nuovo, col cuore che le martellava nel petto e nelle tempie. Non era la vendetta contro Candy che li stava condannando, rifletté, ma contro quello stesso zio William che si era rivelato giovane e di bell'aspetto. Forse persino infatuato della sua protetta.

Quando aveva letto sui giornali che era in carcere per traffici illeciti assieme ad Archie, il seme del dubbio le aveva artigliato le viscere. Ma no, si era detta, Neil non si sarebbe mai vendicato del rifiuto di Candy coinvolgendo il patriarca degli Ardlay e poi quella mocciosa non aveva una relazione con quell'attore di Broodway? Non era tornata da New York dopo che l'avevano creduta morta?

Sarah era confusa, cercava di capire cosa avesse potuto spingere i suoi figli a comportarsi in maniera così sconsiderata e pericolosa sancendo di fatto la loro fine. Ma la realtà era che non trovava un solo, dannato motivo valido.

Non Candy, non la vendetta contro un patriarca indesiderato. Nulla poteva giustificarli.

Quando entrarono nella stanza, coi volti pallidi e spaventati, Dio la perdonasse ma Sarah desiderò che non fossero mai nati.
 
- § -
 
"Candice White Ardlay, non ti ipnotizzerò subito. Voglio prima che tu mi parli", disse con calma il dottor Carter seduto su una sedia di fronte a lei che dava le spalle alla finestra della sua stanza. Il rischio che rientrasse nel suo stato di coma era molto alto quando facevano quelle sedute e l'unico modo per tenerla vigile era impedirle di stare stesa a letto.

La sedia di Candy era scomoda perlomeno come la propria e si rese conto, dalla sua postura, che la ragazza era tesa e si tormentava le mani.

"Cosa vuole che le dica?", chiese con tono brusco.

Adrian sorrise, cercando di essere conciliante: "So che di recente hai parlato con Annie. Ti è venuto in mente qualcosa? Mi hanno riferito che hai avuto uno dei tuoi attacchi di nausea".

Candy fece una smorfia, distogliendo lo sguardo: "Forse ho mangiato qualcosa che era andato a male", disse secca.

"Candice...", la redarguì con gentilezza, senza smettere di sorridere. "Sappiamo benissimo che quando ti succede è perché la tua mente si avvicina ai ricordi. Ma tu li scacci o li rifiuti perché qualcosa del tuo passato ti spaventa a morte. Non vuoi dirmi cosa hai ricordato questa volta?".

Lei fece un lungo sospiro, continuando a torcersi le mani e muovendo un piede sul pavimento con un leggero tamburellare. Carter attese paziente, senza dire altro, certo che avrebbe riempito il silenzio.

"Chi è Miss Pony?", chiese di punto in bianco. "Mi sembra che Annie l'abbia già nominata, una volta, mentre mi parlava del passato".

Carter sussultò e cercò nei recessi della sua memoria quel nome. Per fortuna si era fatto raccontare nei dettagli la storia della sua infanzia da Annie e, almeno fino a un certo punto, sapeva in che terreno si stesse muovendo. Sperava ardentemente che George gli comunicasse presto che poteva vedere il signor Ardlay per poter approfondire alcuni aspetti che era certo fossero vitali.

Era sicuro che ci fossero risposte che né la signorina Brighton, né il signor Cornwell potevano dargli.

"Si tratta di una delle due donne che ti ha allevata alla Casa di Pony". Rispose scrutando le sue reazioni.

Candy ebbe un leggero sussulto: "L'orfanotrofio. Si chiamava così, me l'ha raccontato sempre Annie", disse come rimettendo assieme dei pezzi di un puzzle. Con tutta probabilità si trovavano in campo neutro.

"Hai avuto un ricordo in cui compare questa signora?", chiese.

"Annie era piccola e correva da me", spiegò, gli occhi annebbiati come in un sogno. "Diceva che Miss Pony voleva vedermi. Piangeva. Io invece ridevo e mi trovavo... fuori dalla Casa di Pony, sull'erba".

Candy tacque. Evidentemente quel ricordo le era comparso nella mente come un lampo ed era davvero un bene, significava che c'erano nubi che stavano scomparendo. Continuò su quella strada.

"Già", riprese in tono discorsivo, "mi hanno riferito che è un posto molto bello, immerso nel verde e con un grande albero e una collina da cui si gode una vista...".

S'interruppe. Candy aveva spalancato gli occhi e si era portata le mani alla testa. Perché adesso era sconvolta? Cominciò a respirare in maniera pesante, dondolandosi avanti e indietro.

"No, no, no, NO!", ansimò come se la sua testa le stesse riproponendo qualcosa che non voleva ricordare.

Carter lottò contro l'impulso di lasciar perdere e decise che se non avesse spinto un po' avanti le cose sarebbero rimasti allo stesso punto ancora a lungo. Un pezzo del mosaico si trovava alla Casa di Pony.

"Cosa c'è in quell'orfanotrofio che ti sconvolge tanto, Candice? Cosa è successo lì? Si tratta di un episodio di quando eri piccola?", chiese col cuore che gli batteva forte. Era un professionista, ma quella ragazza così giovane era un caso che lo colpiva nel profondo.

"Non è la casa, è... la collina! Non voglio ricordare la collina!", gridò scuotendo la testa con le mani piantate sulle tempie, sudando.

Adrian si concentrò per ritrovare la calma. Era il momento di portarla indietro, di scavare a fondo anche se significava rischiare una regressione. Anche il dottor Murray era stato chiaro: si trovavano a un bivio.

Frannie entrò nella stanza, le urla di Candy erano il segnale che avevano concordato. Se nella vita privata il loro rapporto era poco meno di un disastro, a livello professionale erano una squadra perfetta. Controllò i segni vitali e annuì mentre Candy si ritraeva, conscia di quello che stava per accadere.

"No, vi prego", piagnucolò come se stessero per torturarla.

"Mi spiace, Candice, ma lo facciamo per il tuo bene. Ora conterò da dieci a zero...", iniziò con voce bassa e lenta.

"NON VOGLIO RICORDARMI DI LUI! DI LORO!".

Ignorando quel "loro", Carter continuò, scorgendo il cipiglio stupefatto di Frannie: "...e quando avrò terminato regredirai fino al momento in cui ti trovavi su quella collina".

Un altro urlo acuto, mentre cominciava il conto alla rovescia. Frannie le sentì il polso e lo guardò: "Centoventi", sillabò con le labbra senza usare la voce. Era un battito cardiaco molto accelerato, ma ancora nei limiti.

Annuì e arrivò a zero. Candy si afflosciò sulla sedia, gli occhi chiusi, le sopracciglia ancora aggrottate e il sudore che le colava sulla fronte.

"Dove ti trovi, Candy?", le chiese chiamandola col suo nome di sempre.

Lei prese un respiro e un lieve sorriso le increspò le labbra: "Sono su papà albero", disse con una voce infantile.

Lanciò uno sguardo interrogativo a Frannie, poi capì: "Si tratta del grande albero della Casa di Pony?".

"Sì", ridacchiò lei, "mi sono arrampicata un'altra volta".

Adrian sorrise di rimando: "Quanti anni hai?".

La bocca di Candy si storse in una smorfia di dolore: "Ho sei anni e sono corsa sulla Collina di Pony perché Annie mi ha abbandonata. L'hanno adottata i Brighton. Sono salita sull'albero per vederla andare via".

Carter annuì, le mani giunte davanti alle labbra: "La sua partenza ti ha ferita molto, vero?", chiese.

"Sì... eravamo come sorelle", emise un piccolo singhiozzo.

Adrian chiuse gli occhi. Sapeva che c'era dell'altro, ma non capiva come mai Candy fosse andata così indietro nel tempo: che avesse conosciuto Anthony quando era così piccola? Ricordava che lo aveva incontrato anni dopo.

"Chi c'è sulla collina con te?", domandò.

Candy s'irrigidì, raddrizzando la schiena e afferrandosi i lembi del vestito: "Il mio... principe. Suona... sta suonando le lumache. Strisciano".

Carter sollevò un sopracciglio, confuso ma anche un po' divertito: "Un principe che suona delle lumache? Curioso. Si tratta di Anthony, Candy?".

Il respiro divenne affannato, pesante, e Candy scosse la testa a destra e a sinistra, emise un lamento che risuonò come un: "Nnnnn...".

"No? E chi è? È qualcuno che non vuoi ricordare per qualche motivo? Chi è il tuo principe?", insistette, rendendosi conto che era vicino alla verità.

Candy s'inarcò sulla sedia rischiando di cadere e Frannie la sorresse: "Credevo che fosse lui!", gridò. "Erano due gocce d'acqua!". Le lacrime le scorrevano sulle guance.
Ma Carter non si arrese, non poteva. Non arrivati a quel punto: "Chi? Chi somigliava tanto ad Anthony da indurti a credere che fosse quel principe?".

Lei si artigliò la testa e aprì gli occhi di scatto, risvegliandosi nonostante lui non l'avesse indotta a farlo. La sua mente era così sconvolta che si era ritirata spontaneamente dall'ipnosi. Frustrato, Adrian segnalò a Frannie di controllarle i segni vitali ma Candy la scacciò in malo modo, in preda a una crisi isterica.

"ALBERT!", urlò la ragazza crollando in avanti, svenuta, Frannie che la sorreggeva e si voltava verso di lui.

Eccolo il tassello mancante, il ponte tra William e Anthony che andava oltre la somiglianza fisica e la parentela stretta: Candy lo aveva incontrato da ragazzina e aveva in effetti scambiato Anthony per lui! Per quello che chiamava principe. Tutto combaciava. Annie non gli aveva forse riferito che con Albert si conoscevano da una vita?

Adrian aiutò Frannie a stendere Candy sul letto e la controllarono con attenzione. Nonostante tutto era solo svenuta, per fortuna non era in coma.

"Sospetto che in lei convivano due forze uguali e opposte", disse esplicitando i suoi pensieri a Frannie, che le stava sistemando la coperta.

Alzò su di lui lo sguardo da dietro gli occhiali: "Nel senso che vorrebbe ricordare ma al contempo lo teme?", chiese con il suo solito tono controllato.

Carter non avrebbe mai smesso di stupirsi di lei: aveva l'intuito di un medico, come le aveva ripetuto più volte. Era uno dei suoi lati che ammirava di più. Quell'intelligenza brillante che ai suoi occhi la rendeva stupenda.

Si accorse che il cipiglio dell'infermiera stava diventando irritato e cercò di mutare il proprio sguardo adorante in uno più professionale: "Esattamente, Frannie. Deve esserci qualcosa nel rapporto con William che la attrae e la terrorizza. Per questo vorrei parlare con lui, ma non ho ancora avuto modo di incontrarlo in prigione. A proposito, abbiamo sue notizie?".

Si morse la lingua, ma non poté impedirsi di farle quella domanda: il signor Ardlay sembrava essere la chiave di tutto.

Frannie distolse lo sguardo, diventando di nuovo vulnerabile: "Sta facendo riabilitazione in cella con un medico dell'ospedale dove è stato ricoverato. Si sta riprendendo perché pare che ci sarà un'udienza tra qualche giorno".

Carter annuì, facendole cenno di uscire: "Controllala tra un'ora e se non si sveglia fallo tu o chiedi alla signorina Annie. È ora che parli col signor Ardlay, ho temporeggiato fin troppo. Così potrò verificare anche di persona il suo stato di salute attuale e tranquillizzare... la sua famiglia".

Frannie si morse un labbro, con un'espressione di speranza disegnata in volto. Anche lei voleva essere tranquillizzata, ne era certo: "Ricordati che la signora Elroy non sa nulla".

"Sì, lo so. Mi riferivo a George e a suo nipote Archibald", concluse chiudendo la porta della stanza di Candy alle loro spalle e non togliendole gli occhi di dosso: "Lo ami così tanto?", non poté impedirsi di chiederle.

Lei gli voltò le spalle e Adrian fu certo che avrebbe negato o ripetuto che non erano affari suoi. Invece mormorò: "Temo di sì. Ma non ho alcuna possibilità e sto cercando di togliermi dalla testa questa stupida illusione infantile".

La sua sofferenza era palpabile come una nebbia fitta e, anche mentre Frannie sistemava i medicinali che potevano servirle sul suo comodino con gesti fermi e controllati, Carter poté notare il tremolio delle sue mani.

Se solo avesse potuto alleviare il suo dolore col proprio amore!

Se solo ogni volta che le si avvicinava Frannie non lo avesse respinto così duramente!

Forse era ora anche per lui di togliersi dalla testa quell'illusione.
 
- § -
 
Terence guardò sua madre andare via dalla finestra e si stupì, ancora una volta, delle sue ultime parole prima di lasciarlo solo nel suo nuovo appartamento: "So che ti aspettavi una ramanzina da me dopo l'incidente con il nome dell'attrice. Ma non ti dirò nulla, Terry, ne abbiamo già parlato a sufficienza. E mi sembra che tu ti stia rendendo conto da solo delle tue priorità, dico bene?".

A dire la verità Terence era piuttosto confuso. Tutto stava accadendo in modo troppo veloce anche per i suoi gusti: da quando la sua preoccupazione per Candy era quella di un caro amico e non di un uomo disperatamente innamorato quale era stato lasciato di recente?

E da quando il pensiero di Karen si faceva così pressante che la vedeva in ogni dannata donna mora incontrasse, sbagliando persino il nome della protagonista del suo film?
No, non era corretto: quell'attricetta di cui non avrebbe imparato il nome neanche in un anno di riprese non somigliava affatto a Karen. Aveva solo i capelli scuri, neanche della stessa sfumatura profonda dei suoi. E sospettava che non fossero nemmeno così setosi e lisci al tatto.

Stupendosi di se stesso, Terence si sorprese a chiudere gli occhi inalando il profumo che ricordava come se lo stesse annusando in quel momento. Aveva immerso le mani nelle ciocche e catturato le sue labbra con urgenza, con desiderio, e non perché voleva semplicemente una donna.

Voleva lei.

Non Candy o una ragazza qualunque.

Karen.

Quella che lo sgridava e lo induceva ad andare alle prove quando era troppo ubriaco e stanco per alzarsi dal letto. Quella che lo amava in maniera incondizionata e gli donava la sua verginità senza chiedergli nulla in cambio.

Si lasciò cadere sul divano con un sospiro e, per un istante fervido e chiaro, si vide indossare la giacca e andare alla stazione. Non per raggiungere Chicago ma New York, dove Karen doveva trovarsi. La sua mano si contrasse persino nel gesto di sollevarsi per afferrare il capo dall'attaccapanni ma, alla fine, Terence rimase seduto lì.
Doveva finire il film e mantenere i suoi impegni, per sua madre e per se stesso. E, soprattutto, voleva essere sicuro di quello che gli stava accadendo. Non voleva più soffrire per un amore impossibile, né illudere una donna con quello che non poteva darle.

Quella lontananza gli stava facendo capire molte cose, prima fra tutte che Candy sarebbe sempre rimasta un punto importante della sua vita. Ma in modo diverso. Ci sarebbe sempre stato per lei, però non come aveva sognato in passato.

E ci sarebbe stato anche per il suo amico Albert, che per fortuna sapeva fuori pericolo.

Forse doveva scrivere a Karen, pensò d'improvviso. O telefonarle. Dannazione, anche se odiava i telefoni poteva sentire la sua voce!

Già, ma dove l'avrebbe trovata? Forse Robert era in contatto con lei, visto che faceva parte della sua compagnia. Alzò la cornetta ma si rese conto che era molto tardi.

La rimise giù e accavallò le gambe.

"Ti amo, Terry", aveva ansimato Karen mentre lui le regalava l'estasi dopo il dolore.

"Oh, al diavolo!", esclamò afferrando la cornetta e componendo il numero di Robert Hataway. Sperò solo che non gli riattaccasse in faccia.
 
- § -
 
Quando Albert vide entrare il dottor Carter nella cella sentì il cuore accelerare nel petto: era successo qualcosa a Candy? Aveva recuperato la memoria? Oppure era di nuovo in coma?

Si alzò di scatto e decine di puntini neri gli danzarono davanti agli occhi, costringendolo a sedersi di nuovo sulla branda. Mentre la guardia ribadiva che avevano dieci minuti e chiudeva a chiave, lo vide avvicinarsi e tendergli la mano con un sorriso.

"Come sta, signor Ardlay? La prego, resti seduto, è un po' pallido".

Lui ricambiò la stretta sentendosi molto debole ma si tranquillizzò. Se era così sereno non poteva essere nulla di grave.

"Me la sono vista brutta, ma eccomi qui. George mi aveva accennato che voleva parlarmi, ma poi non l'ho più vista: come vanno le cose con Candy?", andò dritto al punto facendo allargare il suo sorriso.

Il medico prese una vecchia sedia poggiata in un angolo e si sedette, accavallando le gambe: "Mi scusi se vengo così all'improvviso, ma ci sono sviluppi cui devo dare un senso se voglio aiutare la signorina Candy".

Di nuovo, Albert schizzò in piedi, ignorando il senso di svenimento che lo colse per quel gesto repentino: "Sta ricordando?", chiese senza fiato.

Carter si alzò e gli si avvicinò: "Per favore, non mi sarà di nessun aiuto se perde i sensi, non trova? Ha visto il medico oggi?", domandò. Sembrava sinceramente preoccupato.
Albert tornò a sedersi, invitandolo a fare lo stesso e scusandosi: "Sì, stanno cercando di darmi dei pasti più sostanziosi per aiutarmi nella riabilitazione fisica. Oltre alla zuppa di fagioli hanno aggiunto anche delle cose chiamate uova, ci crede?", disse alzando un sopracciglio.

L'uomo scoppiò a ridere e l'atmosfera si rilassò un poco. Albert pensò che il giovane medico si stesse facendo carico di tutta la famiglia e non solo di Candy, perché disse: "Intanto mi preme riportarle quanto mi ha chiesto il signor Villers: la signora Elroy sta così bene da non vedere l'ora di partecipare all'udienza della prossima settimana".

"Mi fa piacere sentirlo", disse sollevato. La sua vecchia zia aveva una fibra davvero forte e sperava che quell'udienza fosse definitiva. Ancora non sapeva come si fossero organizzati gli avvocati della difesa, chi avrebbero convocato oltre alla zia Elroy, ma confidava che avrebbe avuto notizie prima di presentarsi in aula.

Finalmente, Carter affrontò l'argomento che gli stava più a cuore: "Dunque, signor Ardlay...", cominciò.

"Albert, la prego. Se dobbiamo parlare di Candy e visto che lei è così cortese, mi chiami Albert. Direi che non sono più vecchio di lei, giusto?".

La risata sincera e franca del ragazzo risuonò di nuovo: "Va bene, ma solo se lei mi chiama Adrian. Penso che siamo praticamente coetanei".

Lui annuì e si dispose ad ascoltarlo.

"Dunque, Albert, voglio farle un riassunto molto chiaro. Candice ha ancora una personalità molto controversa e dentro di lei ci sono sentimenti contrastanti: da un lato sta emergendo la curiosità di ricordare", disse allargando le braccia e foggiando le mani a coppa come se sostenesse due pesi, "mentre dall'altro quegli stessi ricordi la terrorizzano al punto da avere vere e proprie crisi".

Albert si tese per schizzare di nuovo in piedi e si trattenne all'ultimo momento, notando lo sguardo di avvertimento di Adrian: "Mi sta dicendo che ora lei vuole ricordare? Non parla più di...", s'interruppe, incapace di dire quella parola riferendosi a lei.

"Io penso che gli istinti suicidi che hanno caratterizzato una delle sue fasi peggiori fossero dettati proprio da questo dualismo, da questa confusione piuttosto che dall'incapacità a ricordare che, comunque, permane in ogni caso. Ma Candy contribuisce a bloccare questo processo e vorrei scoprire perché, rivedendo con lei i punti focali della sua storia che ho avuto modo di conoscere in queste settimane".

Albert annuì, attento.

"Dunque, Candy cresce in un orfanotrofio con la signorina Brighton. Al momento è a conoscenza della Casa di Pony e le sono stati detti i nomi delle donne che le hanno allevate: in particolar modo, ricorda Miss Pony perché ha avuto un breve flash di quando era piccola, anche se non so se rimembri le sue sembianze".

Deglutì, cercando di non interromperlo, chiudendo per un attimo gli occhi, colpito: Candy stava ricordando il suo passato. Dio onnipotente, stava accadendo davvero!

"Continuando in ordine cronologico: in una seduta di ipnosi Candy mi racconta del suo addio ad Annie. Si è arrampicata su un albero, che ha chiamato affettuosamente 'papà', e ha ricordato una collina. La Collina di Pony". Si fermò perché forse aveva notato l'emozione sul suo viso. "Tutto questo dice qualcosa anche a lei?".

"È stato...", si schiarì la voce, "è stato quel giorno che l'ho incontrata per la prima volta", disse in un sussurro.

Fu Carter a schizzare in piedi muovendo la sedia con un forte rumore, sorprendendolo oltre ogni dire: "Lo sapevo! Ecco perché ha avuto una crisi proprio in quel punto!", esclamò indicandolo.

Albert sbatté le palpebre e si alzò a sua volta, ma molto lentamente: "Le ha parlato di me?", domandò col cuore che gli rimbombava nelle orecchie.

Con gentilezza, Adrian lo costrinse a sedersi di nuovo ponendogli le mani sulle spalle, avvicinò la sedia e lo fece anche lui, ritrovando la calma: "Mi ha parlato di un principe che somigliava al suo primo amore, Anthony. Ha detto che suonava... delle lumache", concluse in tono quasi interrogativo, inarcando un sopracciglio.

Albert si nascose il viso tra le mani in un gesto repentino quanto istintivo, cercando disperatamente di non scoppiare a piangere davanti ad Adrian. La sua Candy gli aveva parlato di lui, anche se lo aveva fatto mentre era sotto ipnosi, si era ricordata del suo Principe della Collina! E lui che le aveva scritto in più di una lettera che quel nomignolo gli dava i brividi!

"Albert...? Tutto bene?", gli stava chiedendo Carter ponendogli una mano sulla schiena.

"Mi perdoni, è che non me l'aspettavo", confessò strofinandosi gli occhi con il pollice e l'indice, ricomponendosi quanto poteva. Deglutì un paio di volte e poi spiegò: "Avevo diciassette anni ed ero scappato di casa: le risparmio i particolari. Stavo suonando la mia cornamusa e Candy era lì, che piangeva. Quando mi ha visto pensava che venissi da un altro pianeta e ha detto che il suono dello strumento le ricordava delle lumache striscianti". Sorrise al ricordo.

"Oh, adesso è chiaro", disse Adrian annuendo con vigore."Quindi ha conosciuto lei molto prima di suo nipote Anthony, in realtà".

"Sì", confermò Albert.

"Bene, andiamo avanti", proseguì lo psichiatra con evidente interesse. "Candy conosce i suoi nipoti a Lakewood, ma Anthony perde la vita durante una caccia alla volpe che lei ha ordinato... assiste all'incidente e anni dopo s'innamora di lei".

Albert sbatté le palpebre, a disagio. Nel cervello gli risuonarono due informazioni importanti e inquietanti: "Cosa... chi le ha detto che io e Candy...", boccheggiò.

Il dottor Carter alzò una mano: "Stia tranquillo, abbiamo dovuto farci spiegare cosa ci fosse davvero tra voi dalla signorina Brighton, ma il segreto professionale e l'etica ci impediscono di parlarne in giro".

Albert si passò le mani tra i capelli, frustrato: "Era nostra intenzione parlarne a tutti a tempo debito, ma poi è successo questo e...", s'interruppe, molto più interessato alla prima parte della sua frase. "Mi spieghi una cosa: perché ha sottolineato che la caccia alla volpe l'ho ordinata io? Candy se lo è forse ricordato?".

"No", Adrian sembrava a disagio e distolse lo sguardo. "Albert, stiamo cercando di capire come mai Candy associ la sua idea a quella del suo defunto nipote e ci siamo detti che non potevano essere solo la somiglianza fisica e la vostra parentela le motivazioni principali. Candy ha quasi una sorta di repulsione nei suoi confronti, quindi ci siamo domandati se, per caso...".

Lui deglutì, avvertendo il ghiaccio nel cuore. Ricordava ancora quel pomeriggio a Lakewood, tanto tempo prima, quando avevano chiarito proprio quel punto dove era accaduta la tragedia: "Candy si è sentita a lungo in colpa per la morte di Athony", iniziò con voce velata, "e un giorno mi ha chiesto di riportarla sul luogo dell'incidente. Piangendo, ha ribadito questo concetto e io le dissi... che ero stato io a ordinare quella caccia alla volpe per presentarla in società, anche se all'epoca non sapeva fossi io lo zio William. Mi sono preso la responsabilità dell'accaduto". Si prese la testa fra le mani, mentre la consapevolezza gli crollava sulle spalle come un macigno.

Sentì la mano gentile di Adrian sulla spalla ma non si mosse. Era devastato. "Albert, non possiamo avere la certezza che Candy, a livello inconscio, associ il trauma della morte di Anthony a lei, né che la ritenga davvero colpevole. Se in passato non l'ha fatto non c'è motivo perché cominci ora".

"Ma ha avuto lo stesso incidente, nello stesso dannato punto!", esplose guardandolo negli occhi, sentendo i propri bruciare.

Adrian parve colpito da quell'ulteriore rivelazione: "Albert, mi perdoni se glielo domando", gli chiese dopo qualche istante passato a ricambiare il suo sguardo, "quanto era... stabile la vostra relazione, prima che accadesse tutto questo?".

Albert lottò per rimanere calmo e lucido. Si era ben ripetuto tante volte che la sua priorità era uscire da quel posto e riprendere le redini della famiglia. Ma ora, sapere che forse stava davvero perdendo Candy per sempre lo lacerava in due, lo svuotava nuovamente di ogni volontà: "Era un sentimento che avevamo appena cominciato a condividere. Lei è stata a lungo innamorata di un altro uomo".

Adrian inarcò un sopracciglio, in attesa: "Se la sente di...?".

Prendendo il coraggio a due braccia, Albert cominciò a raccontare.
   
 
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