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Autore: DalamarF16    27/07/2021    8 recensioni
Falcon and the Winter soldier, episodio 3. Dopo aver dovuto impersonare di nuovo il Soldato d'Inverno, Bucky passa una notte agitata a Madripoor. Si ritroverà, nonostante tutto, a essere aiutato da Sam. Ovvero, come il rapporto tra i due inizia a cambiare proprio dopo l'episodio citato della serie tv, probabilmente anche perchè il primo pensiero di Sam è chiedere a Bucky se stia bene. No Slash.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Sam Wilson/Falcon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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A/N: Ciao a tutti! Sono tornata dopo una lunghissima assenza per scrivere di nuovo di un personaggio a cui sono da sempre affezionata (e sì, se qualcuno segue/seguiva Trust Me sappiate che sto scrivendo gli ultimi capitoli e tornerò presto ad aggiornarla!): Bucky. 
Non ho molto da dirvi se non che sognavo un qualcosa con Sam e Bucky da Civil War..e grazie Marvel!
Vi lascio alla lettura... e ricordatevi che non mangio chi recensisce...ma magari chi non lo fa sì!
Scherzo, ovviamente, ma i feedback fan sempre bene all'umore e soprattutto alla scrittura!
Buona lettura!


TW: pensieri suicidi, attacchi di panico, incubi.


“Stai bene?”

Come la situazione si era calmata in quel bar a Madripoor, Sam si era immediatamente preoccupato per lui, che piú di tutti loro si era trovato in una situazione decisamente scomoda, a dover essere chi aveva giurato di non voler essere mai più.

Bucky non aveva mai davvero parlato con Sam del Soldato d’Inverno; tutto quello che Sam sapeva, era quello che aveva vissuto sulla propria pelle: la sua spietatezza, e la mancanza totale di coscienza di Bucky in quei momenti, nonché il fatto che Bucky rammentava raramente quelle che erano le azioni del Soldato. Nonostante ciò, Sam sembrava comprendere esattamente i suoi sentimenti, e come mai si trovasse in estrema difficoltà col percorso di terapia impostogli dal governo come condizione per rendere la grazie effettiva.

Steve gli aveva detto che Sam era una brava persona, un amico fedele, l’unico con cui fosse effettivamente riuscito a legare senza problemi durante la sua permanenza a Washington, prima che l'Hydra facesse saltare in aria ogni cosa. Bucky non era mai stato geloso del loro legame; al contrario, conoscendo Steve, era contento che fosse riuscito a trovare qualcuno di cui fidarsi. Tuttavia, Bucky non credeva Sam si preoccupasse anche per lui.

In quel momento, si era concesso solo un secondo per un breve cenno affermativo del capo. In quel bar non erano al sicuro, e, come Zemo continuava a ripetere loro, dovevano restare nel personaggio.

Aveva avvertito lo sguardo dell’altro su di sé, ma aveva finto che tutto andasse bene e aveva proseguito con la missione, una delle poche qualità che riconosceva al soldato. 

L’incontro con Sharon si era rivelato una sorpresa e una benedizione, nonostante i suoi traffici fossero parecchio dubbi. Lei era il motivo per cui ora si trovavano a dormire in un a casa al sicuri invece che in un’auto rubata o solo Dio sa dove sarebbero potuti finire.

L'ex agente della CIA aveva dato loro due camere in cui poter passare la notte. Zemo ora era chiuso nella prima, posta esattamente di fronte alla loro. L'avevano scelta perché, delle due, era quella priva di finestre di dimensioni sufficienti a far passare un uomo. I due avevano inoltre lasciato la loro porta aperta, in modo da poter sentire eventuali rumori provenienti da Zemo. 

Lui e Sam, di conseguenza, dividevano ora la seconda stanza, che ospitava due letti singoli, un piccolo armadio e due sedie che fungevano anche da comodino. Evidentemente non era una stanza destinata a lunghi soggiorni, ma soltanto a brevi sonnellini, come Sharon non aveva mancato di dire loro. Dato che entrambi avevano dormito in condizioni peggiori, non si erano posti troppi problemi a riguardo.

***

Sam venne svegliato per la terza volta quella notte, da Bucky.

Le prime due volte, l'ex soldato si limitava ad agitarsi nel sonno, mentre adesso dal letto accanto al suo provenivano gemiti e singhiozzi, e Sam si chiese, non per la prima volta, se dovesse svegliarlo o se Bucky l'avrebbe considerata un'invasione della propria privacy. Poi iniziò a piangere apertamente, e Sam decise che non gliene importava poi molto. 

Fin troppo consapevole che bastava un solo gesto sbagliato per firmare la propria condanna a morte, si mosse cautamente, esattamente come era solito approcciare i veterani durante i loro attacchi di panico. Molto lentamente, attento a non sembrare una minaccia, mise una mano sulla spalla di Bucky, scuotendolo delicatamente per svegliarlo. 

La reazione fu così immediata e fulminea che Sam si ritrovò bloccato a terra in una presa ferrea prima ancora di riuscire a capire cosa fosse successo.

“Bucky. Sono io. Sono io.” Sam parlò piano, pacato, cercando di mantenere la propria voce ferma e, contemporaneamente, di tenere a bada la propria paura. 

Se Bucky si era svegliato come Soldato D’Inverno, era un uomo morto.

Fortunatamente per Sam, alle sue parole seguì una scintilla di lucidità negli occhi dell’altro, che lo lasciò immediatamente andare.

“Mi- Mi dispiace.”

“No, va tutto bene.” Sam respirò e si mise a sedere sul pavimento accanto a Bucky, che ancora respirava affannosamente nonostante il siero del supersoldato. “Tutto ok?” Chiese dopo qualche minuto di silenzio. Non era del tutto certo che Bucky gli avrebbe risposto, ma era suo dovere provarci.

Non importava cosa si fossero detti, o quante volte avessero litigato, Sam, in un modo che a fatica riusciva a spiegare perfino a sè stesso, teneva a Bucky, e si sentiva in dovere di prendersene cura in qualche modo, forse in una sorta di eredità non scritta e decisamente non richiesta di Steve.

In qualche modo, Sam era certo che Cap avesse deciso di tornare indietro nel tempo e restarci con la certezza che Falcon avrebbe badato a Bucky, aiutandolo a riprendere il proprio posto nel mondo.

Per la cronaca, non aveva torto.
Sempre per la cronaca, Sam era incazzato per questa cosa.

“Stai bene?”

"Ho passato momento peggiori. Sto bene. Tu stai bene?” 

"Sì… no… Non lo so.”

Incredibilmente, per la prima volta Bucky gli aveva dato una risposta onesta senza esserci costretto dalla terapista.

“Per quello che ti ha costretto a fare Zemo?” Indagò cautamente, sperando che il momento durasse abbastanza a lungo da convincere il supersoldato ad aprirsi almeno con lui.

“N- Non ne sono certo. Cioè… non ho ucciso nessuno, e sono sempre rimasto lucido.” Bucky cercò di articolare. “Il soldato… lui non si è mai davvero risvegliato. Era… una messa in scena.” Poi, all’improvviso, di nuovo, Bucky tornò a parlare in quella maniera distaccata che Sam detestava. “Tutto a posto. Grazie per la premura. L’ho apprezzato.”

Impersonale. Automatico. Prestabilito.

Lo stesso tono che Bucky usava quando recitava un copione impostogli dalla psicologa del dipartimento. Una serie di frasi di circostanza prestabilite, che ripeteva senza davvero crederci nemmeno per un momento.

Sam aveva ormai anche capito, però, che per Bucky erano anche diventate una sorta di scudo di protezione dietro cui si nascondeva quando non voleva esporsi. Questo era quasi certamente uno di quei casi, ragion per cui Sam, per questa volta, decise di lasciar correre, almeno per il momento.

Sapeva per esperienza che non era il caso di forzare a parlare qualcuno che non era ancora pronto a farlo.

Provò, in ogni caso, a rassicurarlo.

“Non è stato facile per te. Sapevo che non lo sarebbe stato nel momento esatto in cui Zemo ci ha detto cosa avremmo dovuto fare, anche se non mi aspettavo che ti avrebbe costretto a combattere. Quello è stato crudele. Non permetterò che accada un’altra volta. Te lo prometto, Buck. Non permetterò mai più che tu debba fingere di essere il Soldato D’Inverno.”

Sam sapeva che non era saggio fare promesse che non era certo di poter mantenere, eppure giurò a sè stesso che almeno a questa sarebbe stato in grado di tener fede, o, al massimo, di fare tutto il possibile per farlo.

“Grazie, Sam. Torna a dormire.”

Di nuovo quel tono.

“Buona notte, Bucky.”
Sam decise che non era il caso di insistere oltre.

***

Bucky non sapeva esattamente perchè avesse reagito in quel modo. Sam si stava solo preoccupando per lui, e sapeva che era sincero.

Pur approcciandosi allo stesso modo della sua psicologa, Sam gli faceva sempre un effetto diverso, probabilmente perchè non lo faceva mai sentire sotto giudizio e non prendeva appunti a ogni parola sbagliata, o non detta.

Eppure, aveva sentito il bisogno, per un qualche motivo a lui sconosciuto, di proteggersi, di rintanarsi dietro quella sequenza di parole inculcategli dalla psicologa per renderlo un ‘essere umano in grado di avere interazioni normali con la gente’.

Sapeva bene che Sam odiava quando lo faceva, ma la verità era che non conosceva altro modo di proteggersi.

Non voleva essere compatito. Non voleva far pena a nessuno.

E non voleva essere rimandato a casa come un bambino difficile da gestire.

La verità era che quelle poche ore lo avevano gettato in un loop non da poco. Le aveva vissute nel terrore di dover uccidere di nuovo qualcuno, che Zemo gli ordinasse un omicidio a sangue freddo, o, peggio, che il Soldato tornasse a galla e riprendesse il controllo, facendo del male ai suoi amici, o meglio, a Sam.

Bucky non avrebbe mai ucciso Zemo, ma di certo non avrebbe pianto la sua morte, nel caso fosse avvenuta per mano altrui.

Ma Sam, nonostante la questione dello scudo l’avesse fatto infuriare, era la cosa più vicina a una famiglia che gli restasse, e non si sarebbe mai perdonato di fargli del male.

Iniziava anche a rendersi conto che forse l’evasione di Zemo non era stata un colpo di genio. E se l’uomo conosceva qualche altro modo a lui sconosciuto di attivare il Soldato? Se da un momento all’altro avesse potuto averlo di nuovo tra le proprie redini?

Bucky iniziava a tremare solo al pensiero.

Sei al sicuro. Cercò di imporsi sulla propria paura. Hai sentito Sam. Non gli permetterà di farti del male.

Ma da quando si fidava così ciecamente di qualcuno che non fosse Steve?

***

L’urlo lo svegliò per la quarta volta quella notte.

Sam balzò a sedere sul letto giusto in tempo per sentire un suono che era certo non avrebbe mai più voluto sentire emettere da Bucky, o da un qualunque essere umano.

Era un lamento, un grido così pieno di dolore, di disperazione e impotenza allo stesso tempo che gli si infilò nel petto come una lama e sembrò ruotare, aprendogli una ferita dritta nel cuore, provocandogli una fitta di dolore fisico che mai aveva provato prima.

Non durò più di qualche secondo, ma a Sam sembrarono ore prima che Bucky finalmente si svegliasse di colpo, ritrovandosi seduto sul letto a respirare a bocca aperta, il volto completamente bagnato di sudore freddo.

“Bucky?” Sam provò a richiamare l’attenzione del soldato, quando sembrò che quest’ultimo non riuscisse a fare altro che ansimare.

Per la prima volta, Bucky si voltò verso di lui, lasciando che Sam, finalmente, vedesse la sua anima. Per un qualche motivo, questa volta Bucky non aveva voluto, o non aveva avuto la forza di indossare quella maschera inespressiva che aveva in viso praticamente h24 e che Sam odiava. Non che lo disturbasse o lo offendesse, ma gli era sempre sembrato che Bucky avesse messo una sorta di parete tra sè stesso e il resto del mondo, che non volesse che qualcuno gli si affezionasse, o che lui non volesse affezionarsi a nessuno.

Non faceva certo fatica a immaginare il perchè di questa scelta. Adesso che avrebbe potuto ricominciare finalmente ad avere una vita normale, Steve, colui che era tutto ciò che era rimasto della sua famiglia, aveva deciso di punto in bianco di tornare indietro nel tempo e restarci, per trovare e finalmente godersi la felicità che si era negato e che aveva meritato con Peggy Carter. Sam aveva perfettamente capito le ragioni di Steve, ed era contento e furioso con lui allo stesso tempo. Riteneva che, almeno lui, si fosse meritato una qualche spiegazione da parte di Cap, o anche solo un preavviso, prima di trovarselo invecchiato di quarant’anni. Poteva solo immaginare l’effetto che la notizia, seppur annunciata, aveva avuto su Bucky, a cui era venuto a mancare l’unico supporto che aveva mai conosciuto, l’unico che per lui era andato oltre la linea della legalità. Anche Sam l’aveva fatto, ma più per assicurarsi che Steve non andasse troppo oltre e per raccoglierne i pezzi nel caso in cui Bucky si fosse rivelato essere perduto per sempre.

Ovviamente, lui ci sarebbe sempre stato per Bucky, per la persona che stava iniziando a conoscere e ad apprezzare, ma Sam non era Steve, e sarebbe stato da sciocchi pensare che qualcuno potesse mai eguagliare il biondo nella vita di Bucky. Sperava solo che, un giorno, Bucky avrebbe iniziato a fidarsi di lui, ma sapeva che ci sarebbe voluto molto tempo e molto lavoro. 

Ma forse poteva iniziare con piccoli passi, piccole pillole che dicessero all’ex soldato: ehi, sono qui, e non solo quando c’è da menare le mani.

“Bucky, che succede?” Sam si avvicinò cautamente al letto dell’altro, inginocchiandosi a terra in modo da poter guardare il collega negli occhi, che erano saldamente puntati verso terra. In risposta, l’altro rimase in silenziò e voltò leggermente il volto per evitarne il contatto visivo.

“Buck?” Chiamò di nuovo, gentilmente, delicato, più simile al modo in cui parlava ai propri nipoti che a quando parlava coi soldati. Non osava toccarlo, non del tutto certo che l’altro avrebbe gradito o accettato il contatto. “Bucky. Qualunque cosa tu stia provando, va bene, okay?” lo incoraggiò ancora, sperando, almeno, almeno, di scuoterlo da quell’immobilità data da un evidente senso di vergogna. “Non devi vergognartene. Hai avuto una serata orribile, è normale se sono tornati vecchi ricordi.”

Di nuovo, James non reagì e Sam capì che al momento doveva solo esserci, quindi cambiò posizione e si mise seduto a gambe incrociate per terra accanto al letto dell'altro.

Bucky era simile, ma allo stesso tempo diverso da qualunque altro soldato avesse mai provato ad aiutare, in più, sapeva che l'astio per aver dato via lo scudo non si era ancora placato, e la cosa, per la cronaca, lo faceva infuriare.

Se ragionava sulle ragioni di Steve, senza peccare di presunzione, capiva perchè lo aveva scelto per avere lo scudo, e perchè Bucky si era dichiarato d'accordo.

Nonostante tutto, però, sentiva di essere stato privato della libertà di scelta, come se, secondo i due uomini, fosse suo dovere morale accettare lo scudo e diventare il prossimo Captain America. Capiva anche la rabbia di Bucky, però, e lui stesso era arrabbiato del fatto che lui avesse donato lo scudo allo Smithsonian e invece il governo l'avesse dato al primo idiota di passaggio. 

Sperava, comunque, che la loro divergenza di opinioni non impedisse a Bucky di accettare il suo aiuto.

Non sapeva esattamente quanto tempo fosse passato quando Bucky si decise a parlare.

***

Ma chi voleva ingannare? 

Cosa pretendeva di fare? 

Scivolare nei panni del Soldato d'Inverno era sembrato facile, fin troppo facile. Così facile che si chiedeva se la deprogrammazione da parte delle Dora Minaje fosse davvero poi così permanente o se il Soldato fosse lì, silente, pronto a tornare fuori non appena ne avesse avuto l'occasione. 

Si era svegliato urlando con la sensazione di euforia che prendeva il Soldato al termine di una missione compiuta.

Non era stato solo un sogno.

Era stato un ricordo.

Vivido.

Reale.

Che gli era penetrato nelle ossa e nel cuore.

Si era svegliato con l'adrenalina ancora in corpo, un urlo di orrore che gli era uscito prima ancora che riuscisse a capire di essere lui ad urlare.

Come  i rarissimi e brevissimi momenti di lucidità in cui si trovava davanti al cadavere e si rendeva conto che non poteva fare nulla per salvarlo.

Gesti ed emozioni erano reali, ma la scena evidentemente no, perché Sam Wilson era li, seduto di fronte a lui, in attesta che lui fosse pronto a parlare.

Non era come la sua psicologa.

Con Sam poteva stare ore in silenzio e lui non l'avrebbe mai forzato.

Non avrebbe mai scritto che si rifiutava di collaborare.

Forse per questo iniziò a parlare.

***

"Quando ho incontrato Zemo in prigione, mi ha accolto con le parole"

Sam non dovette chiedere. Aveva visto di persona e avuto modo di conoscere sulla propria pelle come fossero in grado di annullare completamente James Barnes per attivare il killer. Quelle stesse parole che l'avevano spinto a farsi ricongelare in Wakanda finche non avessero capito come togliergli la programmazione dalla testa.

"So che non hanno più potere su di me, o non sarei qui ora, però, per un sttimo, mi sono bloccato, col terrore che dette da lui mi riattivassero.

Oggi, quando Zemo ha detto che sarei dovuto tornare a essere il Soldato d'Inverno, ho avuto paura."

"Di perdere il.controllo?"

"Paura che Zemo mi usasse per uccidere qualcuno. Paura di dover uccidere qualcuno per mantenere la nostra copertura… poi mi ha venduto e… e…"

"Bucky… Buck. Basta… calmo…" Sam decise di interromperlo quando si accorse che Bucky era di nuovo sull'orlo di andare in imperventilazione. "Respira. Respira. Sei al sicuro. Sei al sicuro… così…" 

Sam parlò in tono tranquillo, sollevandosi in posizione accovacciata  sulle punte per riuscire a voltargli il viso fino a incrociare i loro sguardi, gli unici modi che conosceva per cercare di tenerlo ancorato al presente nonostante il panico.

Non era preparato a quello che riflettevano gli occhi dell'uomo ultracentenario.

Bucky sembrava niente più che un bambino terrorizzato sull'orlo delle lacrime e con gli occhi lucidi e arrossati.

Il suo sguardo, solitamente impenetrabile, sembrava implorarlo.

'Non voglio farlo mai più' era il messaggio che arrivava da quegli occhi, una muta preghiera che nessuna parola sarebbe mai riuscita a esprimere con più chiarezza o sentimento.

Sam si ritrovò nuovamente nella posizione di non poter fare promesse che non sapeva di poter mantenere. Non aveva idea di dove Zemo li avrebbe condotti, o se sarebbe stato ancora necessario fingere, ma di una cosa era certo: nessuno avrebbe mai portato Bucky lontano da lui in quelle circostanze.

"Nessuno ti venderà mai, Bucky. Li ucciderò io per primo. Te lo prometto. Sei un uomo libero, e nessuno ti toglierà mai più questa libertà. Me ne assicurerò io."

"Pr-promesso?" 

"Promesso. Ti ho aiutato seguendo Steve, pur pensando che fosse la peggiore idea mai avuta. Adesso sono contento di averlo fatto. Non posso prometterti che tutto andrà bene, o che sarà facile. Posso solo prometterti che sarò al tuo fianco fino alla fine, o finchè lo vorrai."

"Non voglio uccidere nessuno. Mai più."

"E allora non farlo. Chiamatene fuori. Torna a casa." Quello di Sam non era un attacco, ma una semplice proposta di via d'uscita. Sapeva (sperava?) però, che James non si sarebbe tirato indietro.

"Tu lo faresti?" Nemmeno nella voce di Bucky era presente quel tono di sfida che, in altre occasioni, sapeva ci sarebbe stato. Sembrava quasi che gli stesse chiedendo una sorta di consiglio.

"Non si tratta di me." 

"Non voglio mollarti adesso. Ci ho infilato io in questo casino. È colpa mia se Zemo è evaso, e probabilmente non è stata la migliore delle mie idee."

"Sull'ultima frase non posso darti torto." Sam sorrise "Ma io ero lì con te, e ho acconsentito a tenerlo con noi, quindi non è del tutto colpa tua."

"Non ti ho mai ringraziato."

"Per cosa?"  Sam si ritrovò  totalmente spiazzato.

"Per… tutto il tuo aiuto. So che non mi credevi, che non ti fidavi di me, eppure hai messo a rischio tutto per me."

Sam ci mise qualche secondo per capire che era saltato di palo in frasca, tornando ai tempi di Vienna. Decise di rispondere, come sempre, in maniera onesta.

"Mi fidavo di Steve, e vi ho sentito parlare nel tuo appartamento. Quando è iniziata la lotta, sei scappato senza uccidere nessuno, e questo mi ha fatto fare un passo nella tua direzione. Se stavi fingendo, non ti saresti dato il disturbo. Inoltre, ti avevano già condannato a morte senza nemmeno degnarti di un processo. Non è così che funziona la giustizia. Sei anche un veterano, se quello che Steve pensava si fosse rivelato vero, come è stato, allora sarebbe anche stato mio dovere come psicologo lottare per la tua riabilitazione."

***

E lì, Bucky finalmente capì.

Quando Steve gli aveva detto di voler passare lo scudo a Sam, lui non si era opposto più di tanto, ma non ne aveva capito totalmente le ragioni.

Steve diceva che sarebbe stato perfetto come Captain America, che secondo lui incarnava gli ideali che una figura del genere dovesse avere per ricoprire il ruolo.

Bucky, non conoscendo Sam a fondo, non si era opposto, ma nemmeno era proprio convinto.

Ma ora, ora sapeva esattamente cosa il suo amico avesse visto nell'uomo di colore.

Non voleva tornare sull'argomento, non voleva litigare di nuovo con Sam, ma non riuscì a trattenersi.

"Steve aveva ragione su di te."

***

"Su cosa?" Bucky aveva di nuovo cambiato totalmente argomento.

"Sullo sceglierti come prossimo Captain America."

Sam emise un qualcosa che era a metà tra uno sbuffo esasperato e un qualcosa che sembrava una punta di orgoglio, o di una risata. 

Sapeva che, pur senza mai dirlo apertamente, Bucky voleva che lui prendesse lo scudo e si auto-proclamasse come nuovo Cap, ma Sam, semplicemente, non pensava di meritarlo.

Okay, era stato il compagno di avventure di Steve negli ultimi anni, e sicuramente aveva imparato tanto dal biondo, ma riteneva che nessuno a parte Steve meritasse davvero lo scudo. 

Non si trattava solo di un pezzo di vibranio e di un costume. Nonostante Steve se ne fosse sempre stato ben lontano dalla politica (era un soldato, non un burocrate, come amava spesso dire) e non si fosse mai lasciato usare come pedina da un partito o dall'altro, Sam aveva una visione più concreta del simbolo che il nome portava con sè.

Non era Captain Avengers.

Era Captain America.

Era una figura storica, eroica, di leadership che Steve stesso aveva costruito, distaccandola e a tratti eliminando la prima immagine di figura commerciale volta a raccogliere fondi e volontari per la guerra.

Quello stesso simbolo, adesso, era più forte che mai.

Erano stati Steve e Tony i leader della battaglia per salvare la terra, il loro sacrificio a riportare la serenità e gli scomparsi in vita.

Adesso, quello che nessuno capiva o voleva capire, era che quella figura serviva più che mai, e nessuno più di Sam, in quanto anche uomo di colore in un mondo dove la discriminazione era tutto fuorché eliminata, poteva capirlo.

Sam aveva cercato, più volte, di spiegarlo a Bucky, ma sapeva che l'avrebbe capito solo quando sarebbe riuscito a non vedere lo scudo come un oggetto di valore affettivo. Perchè Sam, questo l'aveva capito. Per Bucky era una questione personale, non sociale.

Questa volta, decise di non prendere di petto l'affermazione. Era troppo stanco per discutere, e Buck usciva da una nottata di panico.

"Nessuno è come Steve."

"Ma non devi essere un altro Steve. Forse, quell'idiota di Walker su una cosa non ha torto, forse dovresti solo fare del tuo meglio per essere il migliore Cap possibile, nei limiti delle tue capacità."

"Sto bene dove sto. Essere Falcon mi piace."

Ed era vero.

Sam non aveva aspirazioni da protagonista. Lui voleva semplicemente essere di aiuto alla gente. Il giorno che non avrebbe più potuto essere un Avengers, sarebbe tornato alla terapia.

"Quindi lascerai che tengano lo scudo? Che Walker continui a fare l'idiota?"

"Assolutamente no." Su questo, non c'era esitazione. "Appena tutta questa storia finisce, me lo riprenderò, e mi assicurerò che venga scelto un degno Captain America."

"Come te."

"O come te." Sam si ritrovò per la prima volta a considerare l'opzione e a lanciare la patata bollente a Bucky.

"Io? Ma nemmeno per idea. Sono un criminale, un assassino internazionale."

"Sei un eroe di guerra, preso prigioniero, torturato, reso una macchina per uccidere senza il suo consenso. La differenza tra te e gli Flag Smashers, o tra te e gli altri Soldati, è che tu non avevi scelta. Ti hanno dovuto cancellare la memoria e programmarti per convincerti a lavorare per loro, quando almeno la metà dei soldati che conosco si sarebbe piegata alla sola minaccia di un quarto di quello che hanno fatto a te.

Tu non hai avuto scelta, a meno di non ucciderti con le tue stesse mani."

"Non potevo. Ci ho provato. Mi hanno fermato."

"Tu...cosa?"

Okay. Decisamente Sam non era preparato a una risposta del genere.

Lo shock dovette leggerglisi in faccia, per Bucky, per una volta, decise di articolare.

"Ricordo il volto di ogni persona che ho ucciso. Dopo Howard, mi è successa una cosa molto simile a quella volta sul ponte, quando Steve mi ha riconosciuto. Non sapevo chi fosse 'Bucky', ma sapevo che, per una qualche ragione, l'uomo di fronte a me non era un estraneo, anche se non avevo ricordi a cui associarlo. Quando ho… ucciso Howard, pur non ricordandomi nulla di lui, il senso di colpa è stato talmente grande e doloroso che ho cercato di uccidermi. È stato forse uno dei pochi istanti di lucidità che mi sono stati concessi dal 1945. Sfortunatamente, una guardia mi ha visto e mi ha ordinato di fermarmi."

"Ma hai detto che eri lucido…"

"Sì, ma non è la parola adatta forse. Ero… consapevole, forse, emotivamente attivo, se vuoi, ma ancora ai loro ordini."

Un brivido corse lungo la schiena di Sam mentre cercava di immaginarsi l'esatto momento. 

"Quindi… ti sei fermato?"

"Non potevo fare altro. Ero come un computer. Eseguivo gli ordini che mi venivano dati e le mie uniche libertà riguardavano la sequenza di azioni con cui compiere la missione. Dopo quell'episodio, il generale mi ordinò di non provare mai più a uccidermi."

Sam rimase in silenzio, colto da un muto stupore e da sentimenti contrastanti. Se solo pensava alla condizione di Bucky sotto l'Hydra, gli veniva voglia di vomitare e allo stesso tempo di far fuori tutti gli agenti rimasti e ora in carcere, o, peggio, di riservare loro lo stesso trattamento a cui avevano sottoposto James.

Allo stesso tempo, non aveva idea di cosa dire dopo l'improvvisa rivelazione.

Sospettava che questa fosse una di quelle cose che non aveva detto alla terapista, e uno di quei punti che la specialista intravedeva e che nei suoi rapporti inseriva in una definizione di "reticenza del soggetto". Sam lo sapeva perchè, grazie a un vecchio amico degli affari dei veterani, riusciva ad avere accesso ad aggiornamenti costanti.

Alla fine, scelse una domanda per riempire il silenzio che riteneva sufficientemente innocua.

"Steve lo sapeva?"

"Sei la prima persona a cui lo dico." Bucky confessò alla fine. "Non volevo che Steve si preoccupasse per me. Abbiamo avuto cosi poco tempo per stare insieme, e lui progettava il suo ritorno da Peggy. Meritava di essere felice e sapevo che, se glielo avessi detto, non se ne sarebbe mai andato…"

Sam si limitó ad annuire. Bucky aveva pienamente ragione. Steve avrebbe di nuovo rinunciato alla propria felicità per stare accanto a Bucky se l'avesse saputo.

Si prese un momento per studiare il collega con un occhio semi-clinico.

Bucky era ancora seduto sul letto, e parlava fissando il muro davanti a sé, ma sembrava calmo. Tuttavia, era così raro che si aprisse con qualcuno, che Sam decise di spingere ancora un pochino, sperando di non costringerlo a una ritirata.

"Hai più  pensato di nuovo… di farla finita?"

"No. Non da quando...sono tornato. Non dopo essere finalmente riuscito a liberarmi delle parole… non fino a stasera."

"S… stasera?"

Gli occhi di Bucky continuarono a fissare il muro, con quell'espressione che Sam trovava strana e a tratti decisamente inquietante, ma che aveva capito che Bucky aveva quando cercava di tenere a bada emozioni troppo forti o quando stava cercando di pensare.

Sam sapeva, sia da Bucky, sia dai report, che Bucky faticava ancora molto a pensare lucidamente e liberamente, ma che stava facendo progressi. Sam rimase seduto, in attesa.

"Quando Zemo ha annunciato che sarei dovuto tornare a essere il soldato d'Inverno, quando… quando mi ha venduto, ho deciso che piuttosto che tornare a quella vita mi sarei ucciso."

Di nuovo, Sam finalmente mise insieme un pezzo di puzzle che gli mancava.

Ad averlo scosso così tanto non era stata tanto la recita, quanto il fatto che Zemo l'avrebbe ceduto senza battere ciglio. Si chiese quante volte l'Hydra l'avesse fatto, e a cosa fosse stato sottoposto se la sola prospettiva gli aveva generato certi pensieri.

Cercò, nuovamente, di fargli capire che lui non avrebbe mai permesso che succedesse qualcosa del genere.

"Buck… Bucky. Ascoltami, per favore. Di me puoi fidarti. Non permetterò mai a nessuno di farti di nuovo qualcosa del genere. Avrei fermato Zemo nell'istante esatto in cui ha detto cosa avresti dovuto fare se non fossimo stati a bordo del suo dannato aereo. So di non essere Steve, e che non ti fidi di me.

So anche che sei incazzato e che ti senti tradito per aver dato via lo scudo, ma su questo non ti tradirò.

Sei il mio collega, e sei la famiglia di Steve. 

Io ti proteggerò sempre. Te lo prometto."

Sam solo in quel momento realizzò che una promessa così non l'aveva mai fatta nemmeno a Sarah (anche perché nel caso avrebbe fatto un pessimo lavoro nel mantenerla), ma le parole gli erano uscite dal cuore. Durante la sua carriera di soldato, e dopo al supporto veterani, aveva visto tanto, troppo, dolore, e ora che ne aveva l'occasione giurò a sè stesso che avrebbe fatto di tutto per consentire a James di vivere la miglior vita possibile, una volta che questi fosse venuto a patti coi suoi sensi di colpa e fosse stato effettivamente pronto a ricominciare.

Quando il silenzio di Bucky si protese troppo a lungo, capì che la conversazione era conclusa. Come spesso accadeva, il soldato non gli avrebbe risposto, o perchè si era spinto troppo oltre o, questo Sam ormai l'aveva capito, era sopraffatto da emozioni che non sapeva gestire. Era solo tremendamente snervare non sapere mai quale dei due casi fosse.

Bucky si rimise sdraiato a letto, il volto volto al soffito e le braccia piegate sotto la testa.

Sam sospirò e si alzò a propria volta, un po' irrigidito dalla posizione che aveva tenuto a lungo, e si diresse al proprio letto.

***

Bucky non aveva risposto a Sam perchè, onestamente, non sapeva cosa dire.

Già non aveva idea del motivo che lo aveva spinto a confessare i propri pensieri suicidi, che erano qualcosa che a malapena riusciva a riconoscere perfino a sè stesso, e di cui non aveva fatto menzione nè a Steve, nè a quell'arpia della psicologa.

Eppure, con Sam le parole gli erano uscite spontanee.

Di nuovo, dovette nuovamente ammettere che Steve aveva ragione quando diceva che il pararescue era diverso da tutti coloro che aveva incontrato sin dal suo scongelamento in questo nuovo, pazzo millennio.

Il suo migliore amico si era raccomandato di fidarsi di Sam, e gli aveva assicurato che se qualcuno avrebbe potuto aiutarlo, quello era l'uomo di colore.

Bucky si fidava ancora di Steve esattamente come nel 1945, una fiducia istintiva che neppure l'Hydra era riuscita davvero a eliminare, così come la loro alchimia e coordinazione in battaglia. Fidarsi di qualcun altro, però, era tutta un'altra storia, nonostante Sam fosse stato il primo a guardargli le spalle durante lo scontro all'aeroporto.

All'epoca, Falcon non aveva alcuna fiducia in Bucky, ma si era fidato di Steve e del suo istinto e si era giocato tutto per lui.

Dopo la partenza di Steve, Steve era stato l'unico a cercare di mantenere i contatti con lui. Gli scriveva regolarmente, nonostante Bucky raramente gli rispondesse, e mai più di due o tre parole. Allo stesso tempo, però, Sam non lo aveva mai assecondato solo con il fine di indurlo al fidarsi di lui. Al contrario, era sempre stato tremendamente onesto. Forse per questo Bucky non lo aveva mai completamente escluso dalla propria vita.

Adesso, gli stava tendendo la mano per l'ennesima volta, nonostante il suo comportamento da quando aveva ceduto lo scudo. Bucky, se ripensava alle proprie azioni a riguardo, si sarebbe mandato al diavolo da solo.

Non solo, gli aveva promesso protezione, anche se Bucky si era praticamente messo da solo in questa situazione.

A Sam non importava.

"Grazie", si ritrovò a sussurrare una volta che Sam tornò al proprio letto.

Lo vide sorridere con la coda dell'occhio, anche se non ebbe risposta.

Sorrise a propria volta.

***

"Grazie"

Sam si era ormai quasi addormentato quando sentì la parola appena sussurrata.

Sorride.

Piccoli progressi.


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