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Autore: MrStank    02/08/2021    0 recensioni
[Crossover 9-1-1/9-1-1 Lone Star] - [20.175 parole]
[Evan "Buck" Buckley/TK Strand, Carlos Reyes/TK Strand, Evan "Buck" Buckley/Eddie Diaz, Evan "Buck" Buckley & TK Strand, Eddie Diaz & Carlos Reyes]
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La vita è fatta di scelte, o almeno è quello che continuiamo ostinatamente a ripeterci.
Ma cosa succederebbe se il proprio mondo venisse capovolto in pochi istanti? O meglio, in poche parole?
.
«Cosa è successo?»
Qualcuno gli stava chiedendo qualcosa, anche se non riusciva a capire esattamente di cosa si trattasse.
Qualcuno aveva cominciato a scuoterlo per le spalle.
Mise a fuoco colui che gli stava parlando con il volto accartocciato dal dolore.
Batté le palpebre.
Oh, lui non si è rassegnato, pensò.
«TK!»
Il suo nome, insieme alle vigorose scosse che stava ricevendo, lo fecero tornare violentemente alla realtà.
«Cosa cazzo è successo?!» ripeté l'uomo fuori di sé.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: AU, Cross-over, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera,
Ce l'ho fatta! Come promesso, ecco il penultimo capitolo.
Penso che tutti conosciate la canzone di Adele "All I Ask", e credo che si adatti perfettamente alla seconda e terza parte di questo capitolo.
Proprio come un canto lontano, una malinconia nascosta in superficie, forse nemmeno percepita, ma presente in tutto.
Buona lettura!
 

Qualche giorno più tardi, i medici diedero a Buck il permesso di alzarsi dal letto.
I primi passi non furono facili, ma il pompiere non si diede per vinto e continuò testardamente a stare in piedi. Ciò che lo metteva più in difficoltà era la lenta guarigione dei suoi polmoni che gli impediva di tornare operativo in tempi utili per aiutare a domare l’incendio nella Gila National Forest.

Durante l’inizio della riabilitazione che avrebbe poi dovuto continuare una volta tornato a Los Angeles, Eddie non aveva mai abbandonato il suo fianco.
Lo aveva assistito, sopportato e fatto parlare diverse volte con Christopher, al quale avevano promesso la famosa serata cinema non appena fossero tornati a casa.
Sembrava che il bacio che c’era stato tra loro solo pochi giorni prima non fosse mai esistito e che fossero tornati ai tempi d’oro della loro amicizia.
Buck aveva provato ad intavolare il discorso qualche volta, ma Eddie lo aveva sempre liquidato in fretta.
Favoloso, pensò Buck. E io che speravo che la mia quasi morte facesse scattare qualcosa in lui.

Ad essere sincero, il giovane pompiere non era così dispiaciuto del fatto che il loro rapporto fosse tornato quello di un tempo. Il legame che condivideva con Eddie era chiaramente più profondo rispetto a quello di due semplici amici, ma sembrava che questi non avesse intenzione di approfondirlo. Almeno non per il momento.
Magari una volta tornati a Los Angeles e ripresa la vita normale si sarebbe potuto sviluppare qualcosa di più.

Nonostante i propri desideri, Buck doveva ammettere che c’erano momenti in cui la presenza di Eddie lo… infastidiva. Non avrebbe saputo come descriverlo meglio. Era come se il suo inconscio continuasse ad aspettare qualcosa che sembrava non arrivare mai. O forse qualcuno.
La prima volta aveva dato la colpa al dolore che non lo lasciava pensare chiaramente, poi alla stanchezza e in ultimo all’insofferenza che gli ospedali gli causavano puntualmente.
Ad ogni modo, era cosciente che quelle fossero solo scuse. 

Fu solo dopo un altro paio di giorni che scoprì il motivo di quella serpeggiante sensazione.
Notò che, nel cambiargli le bende, gli infermieri distoglievano lo sguardo ogni volta che si occupavano del braccio destro. La prima volta pensò fosse una casualità, ma la cosa continuò a ripetersi. 
Non riuscendo a comprendere il motivo di tale strano atteggiamento, Buck chiese spiegazioni ad una giovane infermiera che, a differenza degli altri, era stata molto meno sottile nel voltarsi altrove.

«Allora Jane», cominciò leggendo il nome sulla targhetta, «cosa c’è di così brutto là sotto da distogliere lo sguardo?» chiese leggero.

La ragazza arrossì sotto il suo la sguardo incuriosito.
«Niente di brutto, è il protocollo», rispose la giovane.

«Il vostro protocollo impone di guardarsi in giro per la stanza mentre si fasciano i pazienti?» chiese divertito.

«Non ti mette a disagio?» chiese l’infermiera in risposta.

«Il fatto che ci si concentri su di me? Affatto», disse Buck sorridendo come lo stregatto.

«Su quello non avevo dubbi», commentò Jane. «Intendevo che ti si guardi una parte così privata».

Privata? In quale universo l’avambraccio era una parte privata? Si chiese Buck, non riuscendo ad afferrare il senso della risposta.
Era molto più probabile che le fiamme gli avessero ustionato la pelle lasciando un marchio poco gradevole alla vista.
Scosse la testa, decidendo di stare al gioco della ragazza e di divertirsi un po’ a sue spese.

«Effettivamente hai ragione, ma sai, dopo quello che mi è successo, la sotto sarebbe potuto comparire di tutto. Siete sempre così sottili?»

Il rossore dell’infermiera aumentò di qualche sfumatura.

«Chiedo scusa, ho cominciato da poco», rispose.

«Avrai tempo per fare pratica. Se posso darti un consiglio, forse se ti limitassi a distogliere lo sguardo invece di muovere tutto il viso sarebbe meglio», disse cercando in tutti i modi di rimanere serio. 

Nel frattempo, Jane aveva completato la fasciatura. «Non capiterà più. Arrivederci e buona guarigione», farfugliò l’infermiera, letteralmente precipitandosi fuori dalla stanza.

Buck la guardò interrogativo e sbuffò una risata. Che gente strana.
Non riusciva nemmeno a sentirsi un po’ in colpa per aver bistrattato la ragazza, era rinchiuso in quella stanza da troppo tempo per riuscire negarsi del, seppur discutibile, divertimento.
Fece del suo meglio per ignorare la cosa, ma puntualmente i suoi occhi tornavano su quel luogo tanto privato, come se volessero vedere attraverso le bende. 
Cercò di distrarsi pensando ad altro, ma la sua mente, resa ancora più curiosa dal comportamento della ragazza, continuava a fare supposizioni su quello che fosse successo alla sua pelle.
Cedendo alla tentazione, Buck si accinse a disfare la fasciatura che gli era appena stata fatta.
La srotolò delicatamente e questa lasciò spazio qualcosa di nuovo, onestamente all’ultima cosa che si sarebbe mai aspettato.

Buck la guardò confuso per qualche momento.
Oh.
Oh.
Che cazzo?
Sul suo polso, immacolato fino all’ultima volta che lo aveva visto senza bende, era comparsa una frase. Un fottutissimo agglomerato di parole. Nere.

Non scherziamo neanche in Texas.

Non scherziamo neanche in Texas? Seriamente? Cosa diavolo avrebbe dovuto significare?
Poi, lentamente, cominciò a collegare i puntini.

Oh. Polso destro.
Oh. Parole nere.

Qualcosa cominciò a prendere forma nella sua mente, ma non ne era del tutto sicuro. Da quel che ne sapeva, era decisamente troppo vecchio per quel genere di cose.
Eppure… eppure non se lo sarebbe potuto spiegare diversamente. In ritardo di almeno una decina d’anni, l’universo sembrava aver deciso di fargli un regalo, sempre che così lo si potesse chiamare: gli aveva donato un’anima gemella.
Un’anima davvero poetica, pensò prima che un’altra realizzazione lo colpisse violentemente.
Non era importante la frase in sé quanto chi l’avesse pronunciata e Buck era assolutamente certo di sapere chi gliele avesse dette: TK Strand.


Quando Eddie entrò nella stanza, si trovò puntato da due occhi azzurri che sembravano leggermente fuori di sé.

«Tutto bene? Ho visto un’infermiera uscire velocemente da qui. C'è qualcosa che ti fa male?» chiese l’uomo preoccupato.

Buck si limitò a scuotere la testa.

«Ho parlato con Hen e i medici, partiremo nel pomeriggio per L.A.» iniziò Eddie perdendosi poi in una dettagliata spiegazione di quello che sarebbe successo appena giunti in città. 
«Hey, hai sentito almeno una parola di quello che ho detto?» chiese, vedendo l’amico decisamente distratto.

«Eddie, abbiamo un problema» rispose invece questi, indicandosi il polso e mostrandogli quello che vi era sopra comparso.

Eddie spalancò gli occhi e sembrò congelarsi di colpo.

«Sono…?» iniziò incerto.

«Tu che dici?» ribatté secco Buck, leggermente sarcastico.

«Ma prima non c’erano»

«Lo so»

«Sai…?»

«TK. TK Strand», rispose Buck.

Ovviamente. Non poteva essere altro che TK Strand, la mia personale maledizione, pensò Eddie.

Il silenzio calò inesorabile.
Poi, sotto lo sguardo sempre più stranito di Buck, Eddie raccolse tutte loro cose che erano rimaste nella stanza e le infilò in uno zaino. Effettivamente nel pomeriggio partiamo per LA, pensò il pompiere.
Onestamente, si era aspettato qualcosa di più dall’amico, ma forse questi stava solo cercando di mettere insieme un discorso decente, magari che includesse il suo nuovo tatuaggio come alibi per non esplorare quello che c’era tra di loro.

«Avviamoci, sembra che tocchi a me metterti al corrente di un paio di cose», disse Eddie invitandolo a seguirlo.

 

⋄◉⋄

 

Il giorno seguente la lite con Carlos, TK aveva ripreso a lavorare attivamente con la squadra per la gestione dell’incendio. Avere qualcosa di utile da fare permetteva alla sua mente di lavorare su due binari. Principalmente essa si focalizzava sulle fiamme, l’attrezzatura e tutto quello che l’addestramento gli suggeriva, poi, in background, ragionava e razionalizzava gli avvenimenti degli ultimi giorni.
Aveva dovuto insistere parecchio con il padre perché questi gli permettesse di prestare servizio, ma era riuscito a convincerlo, assicurandogli che non si sarebbe allontanato da lui non più di qualche metro.

Il giovane paramedico si era reso pian piano conto di quanto avesse gestito male la situazione, di come avesse reagito in modo più simile a come avrebbe fatto il TK di New York piuttosto che quello di Austin.
Era un po’ deluso da sé stesso, soprattutto perché il suo comportamento non aveva solo danneggiato lui, ma anche  gli altri, in particolar modo Carlos.
TK ricordava ognuna delle parole, forse più simili a pugnalate, che aveva lanciato contro di lui. E se ne vergognava. Era stato come sparare sulla Croce Rossa e il dolore che aveva provato in quel momento non giustificava niente di quello che aveva fatto.

Il secondo giorno aveva stabilito la lista delle persone a cui avrebbe dovuto parlare.
Aveva deciso che Carlos sarebbe stato l’ultimo. Gli avrebbe parlato, sempre che lui lo avesse voluto ascoltare, una volta tornato ad Austin. Il poliziotto si meritava di più che una chiacchierata veloce fra un turno e l’altro.
Al secondo posto c’era Eddie. TK sapeva cosa quanto Buck facesse parte della sua famiglia insieme al figlio Christopher e si era comportato scorrettamente anche nei suoi confronti, facendolo soffrire per qualcosa che non si era verificato.
La prima persona con cui si sarebbe confrontato sarebbe stata Buck. Non lo vedeva dal giorno in cui era quasi morto e sapeva che avrebbe dovuto cominciare dall’epicentro del terremoto che aveva sconquassato la sua vita per poi sistemare tutto il resto. O almeno provarci.

Doveva ammettere che l’idea di trovarsi faccia a faccia con la sua anima gemella lo riempiva di sensazioni contrastanti. Non sapeva se e come avrebbe dovuto affrontare l’argomento. Forse sarebbe stato meglio accertarsi delle condizioni di salute dell’amico e salutarlo, non caricando anche lui di quel fardello. Ma sarebbe stato giusto? Sicuramente più facile.

TK venne fatto tornare alla realtà da Marjan che, avvicinatasi, gli chiese se volesse unirsi alla squadra per andare a salutare i colleghi della 118 che sarebbero partiti nel pomeriggio per Los Angeles.
Il paramedico annuì, consapevole che, se avesse temporeggiato ancora un po’, avrebbe perso l’occasione di parlare con Buck.
Dopo un pranzo veloce, si diressero verso la caserma 2 di Silver City, dove la 118 era stata fatta sistemare.

«Stai bene?» chiese Owen al figlio.

«Tutto a posto papà, devo cominciare a sistemare le cose», rispose TK prima di uscire dal veicolo.

Mentre la squadra entrava nella caserma invitata da Hen, TK individuò Eddie seduto su un muretto all’esterno. Pensò che di cogliere l’occasione e, nonostante avesse voluto parlare prima con Buck, trovare uno dei due da solo era sicuramente meglio che trovarli insieme ed immergersi in una conversazione che avrebbe virato tra l’imbarazzante e il problematico.
Si avvicinò facendo un po’ di rumore in modo che Eddie lo sentisse arrivare.

«Eddie», lo salutò, «volevo scusarmi per...»

«Non è necessario», lo interruppe questi. «So perché ti sei comportato così, è tutto a posto», concluse mentendo spudoratamente.

«Sai?» chiese stupito TK.

«Carlos non te lo ha detto? Era venuto in ospedale per cercarti, ma parlando con Buck, ha capito perché lo stessi evitando. Ero lì anch'io e, una volta usciti dalla stanza, abbiamo parlato», gli spiegò Eddie.

Il pensiero che Carlos fosse venuto a conoscenza del legame che condivideva con Buck improvvisamente e lo avesse dovuto affrontare da solo, per giunta anche dovendo dare spiegazioni al posto suo, gli fece stringere il cuore. Era convinto che fosse stato suo padre a parlargliene, con la delicatezza che lo contraddistingueva.
Poi si rese conto di cosa implicassero le parole di Eddie.

«Aspetta, Buck sa?» domandò urgentemente.

«Buck sa tutto», si intromise una voce.

«È più complicato di così», rispose contemporaneamente Eddie che, resosi conto della presenza dell’amico, si allontanò per lasciarli parlare. 

 

⋄◉⋄

 

Dopo aver salutato tutti i componenti della 126 e averli rassicurati sulla sua salute, Buck era uscito dalla caserma. Il capitano Strand gli aveva detto che Eddie e TK erano rimasti fuori a parlare e lui non era riuscito a trattenersi dall’andare a cercarli.
Li aveva individuati poco dopo e si era avvicinato lentamente, ascoltando le ultime battute della loro conversazione e intromettendosi deliberatamente. Stavano parlando di lui dopotutto.

Quando gli occhi di TK incontrarono i suoi, ogni fibra del suo corpo sembrò protendersi nella direzione del paramedico dagli occhi verdi e notò a malapena Eddie allontanarsi.
Gli sembrò di essere completamente catturato da essi.
Preso in contropiede e non sapendo assolutamente cosa fare, Buck cercò di mostrandosi molto più sicuro di sé di quanto in realtà si sentisse e aprì le braccia, aspettando che fosse TK ad avvicinarsi. 
Rimase sorpreso dalla velocità con cui il ragazzo ci si tuffò all’interno.

Non appena strinse le sue braccia attorno al corpo del più giovane, Buck sentì quella sensazione di aspettativa che sentiva da giorni finalmente sciogliersi.
Gli sembrò che i suoi sensi si fossero amplificati, nonostante i vestiti riusciva a percepire il respiro di TK e il calore proveniente dalla sua figura accarezzare la propria pelle, in un modo che non aveva mai sperimentato. Era bello. Era strano. Era giusto.
Per quanto potesse essere moralmente discutibile, non riusciva a sentirsi in colpa nei confronti di Carlos o di Eddie per quel contatto che era sicuramente molto più intimo di quanto sembrasse.
Si stava prendendo qualcosa che il suo inconscio sembrava necessitare più di qualsiasi altra cosa.

Sperò non finisse mai. 
Appoggiò il capo su quello del più giovane, inalando il suo profumo mescolato all’odore di fumo che difficilmente sarebbe riuscito presto a togliersi di dosso.
Non poté fare a meno di sorridere a come TK si fosse appoggiato quasi completamente a lui, nascondendo il viso nel suo petto.
Quando dopo un tempo indefinito TK fece scorrere le mani lungo la sua schiena per poi allontanarsi leggermente, entrambi sentirono immediatamente un senso di mancanza.

Spinto dell’istinto, Buck prese con dolcezza il polso sinistro di TK e questi glielo lasciò fare, stupendosi di non percepire alcuna invasività nel tocco dell’altro. Solitamente l’istinto gli faceva allontanare quasi violentemente chi sfiorasse anche per sbaglio quella zona, anche Carlos.
Il pompiere di Los Angeles si stupì di non trovare altro oltre alla manica a coprire la frase in nero che spiccava sulla carnagione chiara di TK. Da quanto sapeva, le persone tendevano a nasconderla.

Sii presente per loro. TK, sto fottutamente morendo.

Restò per un po’ a guardarle ipnotizzato, prima che TK rompesse il silenzio che era sceso fra loro.

«Solitamente le copro, ma in questi giorni non ci sono riuscito», ammise.

«Sono in rilievo», si sentì rispondere Buck mentre passava gentilmente il pollice sulla scritta, quasi sorpreso dal sentire la propria voce.

TK venne attraversato da un brivido.
«Già, da quando le hai pronunciate si sono fatte diverse», rispose.
«Senti Buck, mi dispiace», iniziò il paramedico abbassando gli occhi. «Speravo di poterti evitare questo fardello».

«Avresti preferito non dirmelo?»

«Forse sarebbe stato più facile», rispose TK.

«Per me o per te?», chiese Buck.

La domanda aleggiò nell’aria, senza che nessuno dei due si preoccupasse di rispondere.  

«In ogni caso l’avrei scoperto comunque», affermò Buck.

Sotto lo sguardo interrogativo di TK, il pompiere si tolse le bende dal polso destro, mostrando a TK quello che vi era comparso. 

Non scherziamo neanche in Texas.

«Quando…?» domandò il più giovane.

«Mentre ero in ospedale, pensavo di essere troppo vecchio per queste cose», rispose Buck accennando un sorriso.

Fu la volta del paramedico a rimanere come ipnotizzato, sorpreso dalla nuova e inaspettata piega che avevano preso gli eventi.
Mille pensieri gli passarono per la testa senza che gli fosse possibile afferarli tutti.
Alzò lo sguardo incrociando finalmente gli occhi azzurri di Buck e li vide essere attraversati dalle stesse emozioni che stavano scuotendo la sua anima e la stavano facendo risuonare come mai prima d’ora era successo.
Erano meravigliosi. Si sarebbe volentieri perso in quelle gemme di un azzurro cristallino, dolce e sincero che sembravano guardarlo come se fosse tutto il loro mondo.
Si chiese nuovamente come sarebbe stato se, lasciato Carlos, avesse avuto la possibilità di conoscere meglio Buck, la sua anima gemella. A cosa li avrebbe portati?

 

Per un momento ci furono solo loro, ma la realtà si abbatté presto su entrambi, tarpando le ali a qualcosa che non aveva avuto nemmeno il tempo di sbocciare.

Buck e TK vennero bruscamente portati al presente dal suono della sirena di un’auto della polizia che stava sfrecciando verso Pinos Altos.
Il paramedico perse la prese sul polso di Buck, il quale si allontanò di qualche passo sedendosi sul muretto.

«Carlos?» chiese il vigile del fuoco.

«Abbiamo litigato. Ero ancora sconvolto e ho detto delle cose che non avrei dovuto. Non so se vorrà ancora avere a che fare con me», rispose TK raggiungendolo.

«Dev’essere stato un duro colpo per lui», disse Buck. «Troverai un modo per riappacificarti».

«Eddie come l’ha presa?» gli domandò TK.

«Non lo so, al momento si comporta da amico e la cosa non sembra turbarlo più di tanto. Vedremo come andrà una volta tornati a L.A.» rispose Buck.

Come evocato dai loro pensieri, Eddie li chiamò, in quanto il mezzo che avrebbe riportato la squadra in California sarebbe partito a breve.

«Ti do una mano con la fasciatura, se Eddie la vede fuori posto è capace di staccarmi la testa», disse TK .

«Se entra in modalità mamma chioccia è la fine», affermò Buck sbuffando una risata.  

Dopo che TK gli sistemò le bende, i due si avviarono verso la caserma.
Erano entrambi consapevoli che le poche parole che si erano scambiati erano insufficienti per affrontare un argomento tanto delicato, ma al momento avevano deciso di avere altre priorità.
Per Buck l’intera faccenda delle anime gemelle era nuova, doveva ancora abituarsi e non aveva idea di quanto potesse essere importante, di quanto potesse essere pesante svegliarsi ogni mattina con delle maledette lettere sul polso che sembravano voler decidere della tua vita.
Per TK era invece come se fosse stata riaperta una vecchia ferita. Si era abituato ad esse e aveva imparato a convivere con l’incertezza che portavano con loro.
Nonostante conoscesse finalmente il volto celato dietro quelle parole, amava Carlos e, se il poliziotto glielo avrebbe permesso, si sarebbe impegnato per dimostrarglielo ogni giorno.

Il paramedico afferrò delicatamente Buck per un braccio appena furono a pochi passi dal mezzo e gli chiese quello che più al momento gli premeva sapere: «Tra noi è tutto a posto?»  

Buck lo guardò stranamente consapevole e annuì. Perché non dovrebbe esserlo? Pensò.

«Bene», disse TK sorridendo leggermente. 

«TK, siamo sempre noi. Non è cambiato niente», aggiunse Buck.

Una dolorosa bugia, ma necessaria ad entrambi.

 

Quando raggiunsero gli altri venne il momento di salutarsi.
Le due squadre si scambiarono qualche battuta, con l’invito di fare attenzione e di mantenersi in contatto.
Buck vide TK stringere la mano sia a Hen che a Eddie, notando negli occhi del compagno di squadra un malcelato rancore nei confronti del paramedico. 
Quando venne il suo turno, aprì nuovamente le braccia e strinse velocemente TK.
Non erano più da soli e non voleva che le sue azioni, il suo desiderio di trattenere a sé il corpo del più giovane causasse ad entrambi, ma soprattutto a TK, troppe domande scomode.
Pareva che anche il paramedico fosse dello stesso avviso, dato che non si dilungò, limitandosi a sfiorargli la fasciatura mentre gli chiedeva di stare attento e di prendersi cura di sé.

Buck sorrise a quelle parole. Lo sguardo carico di affetto che gli rivolse TK sembrò imprimersi a fuoco nella sua mente.
Gli strinse leggermente un braccio prima di salire sull'auto pompa e chiudere la porta.
A TK non rimase altro che rimanere a guardare il mezzo allontanarsi.

 

⋄◉⋄

 

TK rimase silenzioso per tutto il viaggio di ritorno e, una volta in caserma, tornò a rifugiarsi in sulla terrazza.
Una nuova malinconia sembrava averlo colpito e non volerlo abbandonare.
Parlare con Buck aveva sicuramente aiutato a dare un peso reale a tutto quello che era successo.
Pensandoci ora, TK si rese conto che avrebbe potuto affrontare il tutto in maniera decisamente diversa, ma si sa, del senno di poi sono piene le fosse.
Il trauma che aveva subito era indubbio ed era sicuro di non averlo superato del tutto, ma l’essere riuscito a rimanere più o meno in piedi era quasi una soddisfazione.

«Hey papà», salutò TK quando notò il padre raggiungerlo.

«Come ti senti?» chiese questi.

«Meglio», rispose TK. «Anche se...»

Anche se è come se dentro di me ci fossero due forze che spingono in direzione opposta, pensò.
Ed era così.
Dopo aver riflettuto a lungo, si era reso conto che il pensiero di rompere con Carlos era una colossale idiozia. Amava il poliziotto ed era ricambiato. Carlos era un ragazzo formidabile, gentile e deciso. Era tutto ciò che si sarebbe potuto desiderare.
Eppure c’era un bisogno atavico e sottile che non riusciva a soffocare. Una sensazione quasi impercettibile di irrequietezza che non gli dava pace.
Qualunque cosa fosse, TK era ben deciso ad ignorarla. Per il suo bene e quello di Carlos.

«… niente, non importa», concluse.

Owen preferì non indagare.

«Ho sbagliato con Carlos, me ne rendo conto. Sai quali saranno i suoi turni?», chiese poi al padre.

«È tornato stamattina ad Austin, alcuni suoi colleghi di Houston gli hanno dato un passaggio», rispose il capitano.

«Oh, capisco», disse TK. «Gli parlerò non appena torneremo a casa».

Il silenzio calò fra di loro.
Owen era orgoglioso di come il figlio si fosse reso conto dei propri errori e di come non volesse scappare da essi. Forse del ragazzo che aveva trovato in overdose sul pavimento del suo appartamento a New York non era rimasto quasi niente.

«Papà, posso essere sincero con te?»

La domanda di TK interruppe i pensieri di Owen, che annuì.

«Questa cosa delle anime gemelle ha senso», confessò dopo aver preso un profondo respiro. «C’è sempre stato qualcosa in Buck che mi attirava, specialmente perché sembrava che la sua presenza facesse fermare una sottile sensazione di essere fuori posto che non mi ha mai abbandonato da quando mi è comparsa la scritta».

Ed era questa la cosa che più lo addolorava, il fatto di non poter negare il modo in cui aveva reagito alla vicinanza di Buck, così come non poteva negare la potenza delle emozioni che lo avevano colpito dal momento in cui aveva creduto fosse morto.

«Non significa che non possa provare amore per qualcun altro e scegliere di stare con lui», continuò il ragazzo. «È semplicemente diverso».

Owen annuì, colpito dal discorso del figlio ma incapace di comprenderlo fino in fondo.
Quando dopo poco TK si allontanò dopo avergli augurato la buonanotte, l’uomo rimase sulla terrazza col viso rivolto verso le stelle, chiedendosi se mai il figlio sarebbe stato in grado di ritornare quello di un tempo o se l’aver scoperto di Buck lo avesse cambiato per sempre.
 



Amo questa storia, ma, ad essere onesti, ho un debole per alcune scene, e naturalmente, l'incontro tra Buck e TK è in cima a quelle.
Grazie a tutti coloro che dedicheranno del tempo a leggere e magari a lasciare un commento! ❤
   
 
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