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Autore: PrincessintheNorth    02/08/2021    0 recensioni
Nuova edizione della mia precedente fanfic "Family", migliorata ed ampliata!
Sono passati tre anni dalla caduta di Galbatorix.
Murtagh é andato via, a Nord, dove ha messo su famiglia.
Ma una chiamata da Eragon, suo fratello, lo farà tornare indietro ...
"- Cosa c’è?
Deglutì nervosamente. – Ho … ho bisogno di un favore. Cioè, in realtà non proprio, ma …
-O sai cosa dire o me ne vado.
- Devi tornare a Ilirea."
Se vi ho incuriositi passate a leggere!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morzan, Murtagh, Nuovo Personaggio, Selena | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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MURTAGH
Erano passate tre ore da quando avevo trovato Katie nei corridoi. Lei si era addormentata tranquillamente, per fortuna, e non sembrava stare avendo incubi. Nonostante vederla serena mi tranquillizzasse un po’, però, non potevo dire di essere perfettamente calmo.
La sua domanda continuava a ripetersi nella mia mente, ancora ed ancora, senza sosta. Se lei si fosse unita a Galbatorix volontariamente, cos’avrei fatto?
Una parte di me rifiutava di anche solo prendere quella possibilità in considerazione; un’altra – Castigo – si chiedeva perché diavolo volessi riflettere su una cosa che tanto non sarebbe mai successa, e un’altra pensava effettivamente alla risposta più sincera possibile.
Non che quella che avessi dato prima non lo era, anzi: le avevo parlato col cuore. Tuttavia, sapevo di aver più che altro eluso la domanda, dando a Katherine la risposta di cui aveva davvero bisogno. Doveva smettere di accurarsi di cose di cui non aveva colpa, e avevo cercato di farglielo capire.
Cos’avrei fatto?
Le sue braccia si strinsero intorno alla mia vita, e lo sguardo mi cadde sul suo volto, sull’espressione serena addolcita da un mezzo sorriso.
Non c’era verso che una persona come lei si sarebbe unita volontariamente a Galbatorix. La cosa non aveva senso, né per il suo carattere né per come era stata cresciuta; gli incubi ed il senso di colpa che ora la tormentavano ne erano la prova.
E nonostante ciò, la sua domanda continuava a tenermi sveglio, insieme ai freschissimi ricordi di cos’avevo fatto a Trianna.
Non potevo certo dire che non se lo fosse meritato; era stata per anni una spia di Galbatorix dai Varden, e successivamente aveva reso la vita di mia moglie un inferno. La cosa che mi tormentava era lo sguardo sul volto di Katherine quando le avevo detto di averla uccisa. La sola idea che pensasse di meritare anche lei quello che avevo fatto alla strega mi faceva torcere le budella dalla rabbia; Katie meritava tutto ciò che di bello c’era al mondo, la felicità e ogni cosa che il suo cuore desiderava.
Se non mi fossi fatto beccare lei non avrebbe mai saputo di Trianna e non avrebbe fatto questi pensieri, pensai, rammaricato per lei e infastidito con me stesso. Oggettivamente, però, non avevo avuto molto controllo sulla faccenda; ero stato talmente tanto sovrappensiero per quello che avevo appena fatto da non essermi accorto di lei fino all’ultimo secondo, quando mi era venuta addosso. Avevo fatto di tutto per distrarla e far sì che non si accorgesse di quella minuscola goccia di sangue che mi era rimasta sui vestiti, che mi ero cambiato dopo aver finito con Trianna, ma lei era troppo intelligente … e concentrata sulla caccia. Poteva anche essersi messa a ridere quando le avevo chiesto cosa ci facesse in giro, e aver detto di volermi salvare dalle cortigiane, ma la verità era chiara nei suoi occhi. Si era preoccupata, aveva avuto paura che mi fosse successo qualcosa ed era uscita a cercarmi per quella ragione, dunque i suoi sensi erano in allerta per captare ogni minimo segnale di pericolo, anche una gocciolina di sangue.
Cos’avrei fatto, se lei si fosse unita a Galbatorix?
La domanda ritornò, tormentandomi sempre di più, e strinsi Katie più forte. Sapendo che non sarei riuscito ad evitarla ancora per molto, iniziai a rifletterci onestamente. Forse, trovare una risposta avrebbe aiutato.
La risposta arrivò col mattino: verso le otto, Victoria si svegliò affamata e Katherine si alzò per nutrirla. Guardai Katie, il ritratto dell’amore e della maternità, e guardai nostra figlia, contenta e al sicuro fra le braccia di sua madre … e lo capii.
La mia Katherine non si sarebbe mai unita a Galbatorix di sua sponte. Quell’eventualità si sarebbe realizzata solo se la sua personalità avesse subito un cambiamento radicale, e questo … beh, l’avrebbe resa una persona diversa dalla Kate che conoscevo. Sarebbe stato orribile, sì, e devastante, ma avrei fatto quel che dovevo.
«Ti avrei uccisa» dissi dunque, evitando di guardarla negli occhi persino quando lei si voltò verso di me. «Se ti fossi unita spontaneamente a Galbatorix, nel pieno delle tue facoltà mentali, e senza essere sotto controllo mentale, l’avrei fatto. Non per … vendetta personale, voglio che tu lo sappia, ma per la sicurezza di tutti. Avrei saputo che non eri più tu e … e basta. Non saprei che altro dire».
Per qualche momento, fra di noi regnò il silenzio, e sentii un’orribile sensazione iniziare a crescere nel mio stomaco. Che diavolo mi era venuto in mente? Dire a mia moglie che l’avrei uccisa?
Stupido id …
Tutti i miei pensieri si ridussero a gelatina nel momento in cui sentii le sue labbra sulle mie … come sempre, del resto. Per quanto sorpreso, non persi tempo a restituire il bacio e, nonostante avesse Vicky attaccata al seno, la abbracciai.
«Grazie» Katherine sussurrò, e non ebbe bisogno di parlare ulteriormente per farmi capire perché mi stesse ringraziando. Se fossi diventato una minaccia per i nostri figli, per le persone che amavano e per il mondo intero, anche io avrei voluto che lei facesse tutto il possibile perché … beh, smettessi definitivamente di essere una minaccia.
Sentii la sua mano sfiorarmi il volto, e non potei trattenere un sorriso. Lo sapeva che quando mi accarezzava la guancia in quel modo mi faceva sentire così amato e voluto da farmi quasi esplodere dall’affetto e dalla commozione?
Ovviamente, Vicky dovette rovinare quel momento strillando e protestando per l’orribile crimine che avevamo commesso: non considerare solamente lei per tre secondi.
Tutta i suoi fratelli.
«Senti» feci alla piccola, che mi guardò con gli occhioni spalancati. «Come ho già detto agli altri, in questa casa ci sono delle regole, ed una di queste, che è la più importante, è che non bisogna interrompere la mamma e il papà quando si fanno le coccole».
Lei alzò gli occhi al cielo.
Victoria, una bambina di nemmeno un mese, che mi stava in una mano, ebbe il coraggio di alzare gli occhi al cielo.
Non sapevo se essere orgoglioso per questa sua nuova capacità od offeso per la sua faccia tosta.
Quando però la presi in braccio per farle fare il ruttino e mi regalò un gran sorriso, non riuscii più a tenerle il muso. Era pur sempre un progresso, in fondo.
Iniziai a camminare in giro per la stanza, come avevo sempre fatto anche con Belle ed Evan. L’unica differenza era che lei era piccolissima in confronto a loro: nonostante crescesse a vista d’occhio e la facessimo visitare spesso da Lyron, era difficile non preoccuparsi di fronte alla vista di quelle manine tanto piccole. Era così leggera che, ogni volta che la prendevo in braccio, avevo il terrore di farla cadere, molto di più che non con i suoi fratelli.
Almeno, però, era lì con me. Quella bimba era sopravvissuta alle torture subite da Kate, era stata fatta nascere in fretta e furia prima che fosse pronta a farlo nel bel mezzo di una battaglia, aveva rischiato di morire annegata e assiderata, aveva viaggiato a dorso di drago a pochi minuti di vita, eppure era lì, bellissima e forte.
«Sei una guerriera, vero?» mormorai continuando a vagare senza meta dalla nostra sala da pranzo alla camera da letto. «La bimba più forte di tutti …»
E fu a quel punto che lo capii. Il suo nome era tutto tranne che una barzelletta: mia figlia era stata sottoposta a prove terrificanti ancora prima di nascere e ne era uscita vittoriosa: non solo splendida come sua madre, ma perfettamente sana e con un bel caratterino.
«Victoria» sussurrai, e lei mi fece un gran sorriso. «Ho la sensazione che mi farai penare parecchio, di qui a qualche anno …»
Continuai a coccolarla per un po’, finché non fece il suo ruttino e protestò per tornare da Kate, che venne a prenderla nel giro di pochi secondi, già pronta per partecipare alla colazione e al pranzo che Orrin aveva voluto tenere per salutarci. Avevamo rimandato la partenza per Lionsgate di un giorno, più che altro perché era quasi impossibile separare Evan da Orrin, che adorava fare esperimenti con lui, ma ormai era giunto il tempo di tornare: se non altro, per preparare la festa di compleanno di Killian.
Abbiamo bisogno di un po’ di felicità dopo tutto questo, pensai andando nella camera dei bambini.
Li trovai tutti e tre svegli, seduti sul pavimento a giocare con i soldatini.
«Ottimi schieramenti» commentai sedendomi accanto a loro. «Ma la prossima volta, Evan, ricordati di non lasciare così scoperta la fanteria. Se vi vestite, andiamo a fare colazione con i nonni e lo zio Orrin».
Tutti e tre scattarono in piedi, diretti ai propri armadi: Belle scelse un vestitino lilla e delle scarpette bianche ricamate, per poi correre da Kate per farsi sistemare i capelli, mentre i ragazzi preferirono un abbigliamento più adatto a giocare e scorrazzare in giro. Inutile dire che quando Belle se ne accorse decise di cambiarsi d’abito, buttando in giro i vestiti che aveva indosso e tuffandosi nell’armadio per cercare qualcosa di più pratico.
Figurarsi. Se Belle non si cambiava almeno tre o quattro volte al giorno, avrei iniziato a dubitare del suo stato di salute.
Ci volle mezz’ora perché finalmente anche lei si dichiarasse pronta: la colazione ed il pranzo sarebbero stati eventi informali, limitati alle nostre famiglie, per cui nessuno di noi era vestito in maniera particolarmente elegante. Kate era persino priva di qualsivoglia tiara o corona, e questo la diceva lunga. Orrin mi aveva detto che da quando era giunta ad Aberon aveva sempre sfoggiato corone e gioielli reali sfarzosi – un comportamento che avevo interpretato come un meccanismo di difesa contro le malelingue, per ricordare a tutti loro chi fosse lei rispetto a loro. Vederla disposta ad abbandonare quelle particolari armi mi sollevò, perché era una prova che si sentiva più al sicuro, ora.
Beh, sa che né tu, né Orrin le fareste mai del male, Castigo osservò. È ovvio che si senta al sicuro, con due maschi che farebbero di tutto per accoppiarsi con lei. È un semplice meccanismo del tutto naturale.
D’accordo, come prima cosa smettila di prestare orecchio a tutte le stronzate che Antares dice, brontolai. E comunque Orrin …
Ad Orrin non dispiacerebbe affatto passare del lieto tempo con lei. Così come a molti altri maschi di questo luogo, e degli altri.
E secondo te questa è una cosa che mi interessava sapere?!
Percepii che sbatteva le palpebre, come a fingersi confuso, ma sapevo che mi stava solo provocando. Tengo solo gli occhi aperti, Murtagh – come mi hai sempre chiesto di fare. Controllo ogni possibile minaccia.
Gli altri uomini non sono minacce. Katherine è legata a me, e lo sanno bene. Non oserebbero fare nulla.
Per buona misura, però, strinsi la presa intorno ai fianchi di Katie.
 
 
 
 
Ore dopo, eravamo tutti pieni come uova sotto il sole di Aberon, rinfrescati dalle acque della piscina e dalla brezza. I bambini – i nostri e quelli delle sorelle di Orrin – saltavano fuori e dentro la piscina, gareggiando per vedere chi fosse il miglior nuotatore fra di loro.
«Mi mancherà avere gente normale intorno» Orrin commentò. «Gente con cui si possono avere conversazioni decenti e prive di secondi e terzi significati».
«Non fare il melodrammatico» ridacchiai. «Ci rivedremo comunque fra qualche giorno per il compleanno di Killian».
«Ho già insegnato al tuo mago personale l’incantesimo di trasporto» Katherine aggiunse. «E per buona misura l’ho legato al tuo sangue, così che solamente tu e la tua famiglia possiate usarlo. Sarà molto più facile gestire le relazioni internazionali senza dover intraprendere ogni volta viaggi di mesi e mesi attraverso l’intero continente. Potete provare ad usarlo per venire a Lionsgate … è una distanza minore da coprire rispetto a quella che c’è tra Aberon e Winterhaal».
Orrin annuì lentamente. «Questo incantesimo» fece. «Non è che …»
«È perfettamente sicuro» sospirai. «Non lascerai un braccio o una gamba da una parte del mondo ed il resto del corpo dall’altra».
Lui, tuttavia, non sembrava convinto, così gli dimostrai l’assoluta efficacia dell’incantesimo facendolo qualche volta nel giardino.
Questo sembrò rassicurarlo … almeno finché non gli comparvi alle spalle e lo buttai nella piscina, per il divertimento di tutti.
«Maledetto!» Orrin strillò, sputando acqua e marciando fuori dalla piscina. «Enorme, lurido, schifoso pezzo di …»
Si interruppe solamente di fronte allo sguardo glaciale di Belle, che onestamente avrebbe frenato persino un intero esercito. «La mamma dice che non devi parlare alle persone a meno che tu non abbia qualcosa di bello e gentile da dire» lo rimproverò. «E non mi sembra che tu stessi dicendo delle cose gentili al mio papà».
Il silenzio cadde sul giardino, tutti gli sguardi puntati sui due: il Re Supremo di Broddring, con alle spalle anni di regno e varie vittorie militari, e la Principessa di Winter Manor, quattro anni appena compiuti e nessun senso del limite.
Questa è la mia bimba.
Nel giro di due secondi, Orrin annuì e le diede ragione. «Il tuo papà è molto fortunato ad avere una guerriera così forte a difenderlo» commentò.
Belle, ovviamente, si crogiolò nel complimento, perché era una gran vanitosa. Passava troppo tempo con Saphira, ora che ci pensavo …
«Io sono forte» precisò. «Riesco persino a tirare su il tridente della mamma».
«Credimi, ho sentito di questa tua impresa» Orrin fece. «La tua mamma e il tuo papà mi hanno detto che erano molto orgogliosi di te, e per nulla spaventati».
Se farsela sotto vuol dire non essere spaventati Katherine ridacchiò.
Non è necessario che Belle lo sappia, no?
Immagino di no.  
«Io lo ero» Morzan precisò. «Mai stato così terrorizzato da quando … sì, da quando mi sono buttato in una fossa piena di tigri affamate per una scommessa. Ad ogni modo, penso sia giunta l’ora di andare».
I piccoli iniziarono a protestare, ma rimasero ammutoliti quando uno dei domestici di Orrin ci raggiunse con una cesta piena di regali.
«Nessuno lascia Aberon senza un regalo» Orrin disse, iniziando a distribuire i pacchetti. Il prato iniziò a ricoprirsi da carta da regalo rosa e blu mentre i bimbi la facevano a brandelli per scoprire cosa ci fosse al di sotto. «Né i piccoli, né gli adulti».
Un altro domestico si fece avanti: stavolta però i regali non erano impacchettati.
Fu così che io ricevetti una magnifica spada di puro acciaio di Dauth, che aveva i fabbri migliori di tutto il Surda, con la guardia crociata a forma di fiamma di drago. Dalla stessa fucina era stato prodotto il regalo per papà, ovvero una nuova armatura, visto che la sua si era irrimediabilmente danneggiata durante la battaglia di Teirm. Gli stessi motivi a spirale dell’acciaio di Dauth presenti nella scanalatura della mia lama decoravano la placca pettorale e le spalle, dove si fondevano insieme all’oro rosso decorativo che decorava i bordi.
«Speriamo non mi serva» commentò, per poi ringraziare Orrin.
«Questo credo fosse vostro, Lady Selena» Orrin fece porgendo a mia madre un semplice arco di faggio, liscio dall’usura. «Dovete averlo lasciato qua l’ultima volta che siete venuta in visita, anni fa».
La mamma fissò l’arco con gli occhi sgranati: la mano le tremava mentre lo prendeva dalle mani di Orrin, e quella reazione fu così inusuale da parte sua che attirò l’attenzione di tutti, persino dei bimbi, che si affrettarono a chiederle che cosa fosse.
«Credevo fosse andato distrutto» mormorò, accarezzando piano il legno, come se fosse un neonato. «Non pensavo che …»
«Ma che cos’è, nonna?» Killian chiese di nuovo, aggrappandosi al suo braccio.
«Questo, amore» lei spiegò. «È … è un ricordo di quando ero piccola. La mia famiglia era molto povera, e i miei genitori non erano bravi come i tuoi, e così … così mi costruii questo arco per andare a caccia e dargli da mangiare».
I piccoli trasalirono, e segretamente ne fui felice. Ero grato, infinitamente grato, che avessero la fortuna di non avere idea di ciò che volesse dire vivere in povertà e dover rischiare la vita per poter mangiare. Ed era un bene che una simile prospettiva li sconvolgesse e non li lasciasse indifferenti: era giusto che apprezzassero la propria fortuna.
«E chi ti ha insegnato?» Evan domandò.
Lei si strinse nelle spalle. «Nessuno» confessò. «Nessuno, nella mia famiglia, era in grado di cacciare. Così, per qualche tempo, ho seguito di nascosto i cacciatori del villaggio e sono diventata più brava di tutti loro».
«Quanti anni avevi?» questa volta fu Belle a parlare.
«Dieci o undici. Non molti, comunque» spiegò. «Allora, chi lo vuole provare?»
Un coro di “io!” riempì il giardino: un bersaglio venne montato contro la siepe e tutti i bambini si misero in fila per provare l’arco. Nessuno di loro fece un centro perfetto, perché erano tutti sotto i sette anni e quell’arma era troppo grande: quella che si avvicinò di più al centro fu Belle, che aveva evidentemente ereditato quell’abilità da mia madre, che fu obbligata a metterla in mostra quando i piccoli le chiesero di fargli vedere quanto fosse brava.
Il risultato che ottenne fu talmente eclatante che, al confronto, le capacità mie, di Alec e di Morzan impallidivano e sparivano.
Venti centri perfetti.
 
 
KATHERINE
 
 
Il clima di Lionsgate non poteva essere più diverso da quello di Aberon. Non appena avevamo trasmutato a casa, un enorme temporale si era abbattuto sulle nostre teste, eravamo corsi dentro ed avevamo inzuppato il pregiatissimo tappeto orientale dell’ingresso.
Alla fine – visti soprattutto i capricci dei bambini – eravamo riusciti ad andare via dal castello Farnaci solamente verso le sei di sera, e i bambini erano crollati subito dopo il bagnetto. Per fortuna avevano mangiato come dei lupi a merenda.
«Non ho capito cosa ti ha regalato Orrin» Murtagh fece, soffocando uno sbadiglio, mentre camminava lungo il perimetro della stanza con Victoria in braccio, cercando di farla addormentare. La bimba, però, sembrava avere intenzioni diametralmente opposte, perché continuava a ridere e giocare con i lacci della sua camicia, fregandosene del fatto che il suo papà stesse letteralmente per crollare di sonno.
«Un castello» commentai, senza riuscire a trattenere l’istinto di provocarlo. «Per delle bollenti fughe romantiche».
«Non sei più divertente» brontolò. «Vero, Vicky? Dillo alla mamma. Non fai più ridere».
Alzai gli occhi al cielo. «Una tiara nuova» ammisi alla fine.
Murtagh sollevò le sopracciglia. «Un’altra? Monotono».
«Beh, almeno non mi ha regalato un maglione» scherzai, ricordandogli ciò che mi aveva preso per il mio ultimo compleanno.
«Che stai indossando ora, se non sbaglio» rimarcò. «Non è che sono tenuto a farti regali costosi solamente perché sei una principessa. Corteggiarti mi è costato una fortuna … anche se poi mi ha reso incredibilmente più ricco …»
«Scegli con cura le tue prossime parole, tesoro».
«… come persona» precisò. «Non certo in termini di denaro. Assolutamente. Mi dai il cambio?»
Annuii e mi alzai, prendendo la piccola scalmanata dalle sue braccia e lasciandolo finalmente andare in bagno. Lei protestò un po’, perché da degna sorella di Belle era innamorata di suo padre, ma alla fine si accontentò anche di me. Nel giro di cinque minuti chiuse gli occhi, a riprova di quanto l’annoiassi.
La cullai ancora un po’ per farla scivolare in un sonno più profondo, e quando fui sicura che fosse ben addormentata, la misi nella sua culla. Veloce come il lampo, uno dei gattini della più recente cucciolata del castello saltò nella culla e si acciambellò ai piedi della bimba, iniziando a fare le fusa.
Nello stesso momento Murtagh uscì dal bagno, finalmente pulito e profumato. I capelli umidi gli si erano arricciati sulla nuca, e nonostante avessi acceso il camino si prese dei vestiti più pesanti per venire a letto.
«Non dirmi che hai davvero freddo» sospirai, beccandomi la sua occhiataccia.
«Sono già perfetto in tutto, Kate» borbottò. «La gestione del freddo è l’unica cosa che devo ancora migliorare prima di poter essere dichiarato nuovo dio … beh, di qualunque cosa sia rimasta ancora senza dio. E poi siamo appena tornati dal Surda, dove si stava benissimo» si lamentò, rovistando nei propri cassetti. «Tu non sai dov’è quella maglia rossa … sai, quella …»
Oh, quanto mi ricorda i bambini.
Mi alzai e lo raggiunsi, aiutandolo a cercare la tanto agognata maglietta e trovandola nel giro di un secondo.
Murtagh mi fissò con gli occhi sgranati. «Ma prima lì non c’era!»
«Fidati, c’era».
«No, Kate, ti giuro che non c’era!»
«Sai chi lo dice sempre? I tuoi figli, tutti e tre quelli in grado di parlare» ridacchiai mentre se la infilava. «Da qualcuno devono pur aver preso, no?»
Murtagh alzò gli occhi al cielo, ma si buttò sul letto accanto a me, stringendomi le braccia in vita e lasciandomi un bacio fra la spalla e il collo. Non potevo vederlo in faccia, ma percepii che il suo umore stava cambiando, e non esattamente per il meglio.
«Che ti prende?»
Sospirò. «Niente …»
Come al solito. Come mai sia lui a dare risposte da donna tra di noi, io non l’ho ancora capito.
«Murtagh …»
«Stavo pensando che forse dovrei davvero migliorare la qualità dei regali» osservò. «Dopotutto, ho saltato dei compleanni».
L’atmosfera giocosa e divertente che c’era stata fino ad un momento prima svanì, sostituita da qualcosa di più pesante, gonfio di dolore. Non potevo credere … non potevo davvero credere che si stesse ponendo certe domande, che stesse pensando di dovermi fare regali più costosi perché per due anni era stato tenuto prigioniero da Galbatorix e non aveva potuto farmene.
«Non lo dire nemmeno per scherzo» dissi dunque, voltandomi nella sua presa per guardarlo in faccia. «Non me ne faccio niente di un’ennesima corona, o diamanti, o di un altro castello. Mi hai regalato un maglione perché mi hai ascoltata quando ho detto che pensavo che quell’inverno sarebbe stato più freddo di quelli precedenti e hai deciso di tenermi al caldo e … ed è stato il regalo più bello di tutti, amore. Come il mestolo di due settimane fa. Tu e Killian ci avete pensato, ed è questo ciò che conta. Non quanto sia costato. Questo maglione e quel mestolo valgono più di qualunque gioiello, per me».
Un sorriso gli si dipinse sulle labbra, ingentilendogli i tratti. «Davvero?»
«Murtagh, per gli dei del cielo, ti ho appena detto che una corona è un regalo noioso!»
Lui ridacchiò e rafforzò la stretta intorno a me, premendomi un bacio sulla fronte. «Me ne ricorderò per il tuo prossimo compleanno».
Gli presi il viso tra le mani e lo baciai, lentamente, senza alcuna fretta, perché avevamo tutto il tempo che volevamo.
«Bene. Ora …»
Feci per muovermi sopra di lui, una mossa che lui assecondò più che volentieri … quando il pianto di Killian, fatto di singhiozzi frammisti a mamma e papà, interruppe tutta la magia del momento.
Murtagh sospirò rumorosamente, dandomi una leggera pacca sul sedere.
«Forza» sospirò. «Andiamo a vedere che gli prende».
Alla fine scoprimmo che si era solamente trattato di un brutto sogno, nulla che un po’ di coccole e la magica cioccolata calda al caramello di Murtagh non potesse risolvere. Killian rimase accoccolato fra le mie braccia, avvolto nella sua copertina, mentre il suo papà lo aiutava a bere la bevanda.
«Vuoi restare con noi, stanotte?» Murtagh gli chiese tenendogli la mano. Il piccolo annuì, persino quando gli dissi che c’era il rischio che Victoria lo svegliasse. Così, lo presi in braccio e ci sistemammo per bene sotto le coperte, con Murtagh che stringeva entrambi noi.
«Tanto perché sia chiaro» precisò. «Questo è solo per stasera, perché hai fatto il brutto sogno …»
Si interruppe quando realizzò che Killian si era già riaddormentato, pacificamente accoccolato contro il mio seno. Il più dolce ed innamorato dei sorrisi gli solcò le labbra, e si chinò a sfiorargli la fronte con un bacio.
«Scherzavo» sussurrò. «Puoi venire nel lettone quando vuoi».
Seguì Killian nel mondo dei sogni qualche minuto dopo, ed io non resistetti molto più a lungo. Non ebbi nemmeno l’intenzione, per la verità, di reprimere il bisogno di dormire, come nei giorni precedenti: le solide mura di Lionsgate, i potenti incantesimi di difesa lungo la proprietà, e la calda e pacifica atmosfera della stanza fecero sì che mi addormentassi senza temere incubi o attacchi a sorpresa.
Un buon nuovo inizio.
 
 

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Ciao a tutti! Come sempre in ritardo, ma ecco il nuovo capitolo. Il prossimo, purtroppo (o per fortuna) sarà l'ultimo. 
Se vi è piaciuto, fatemelo sapere con una recensione! 
Alla prossima!
   
 
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