Videogiochi > Sonic
Segui la storia  |       
Autore: Indaco_    03/08/2021    1 recensioni
Mobius era una tavolozza di colori, specie, caratteri, culture, cibi e via dicendo. Pulsante di vita, la città datata secoli era un variegato multi gusto. La sua crescita economica e sociale era intessuta da persone particolari, da eventi dimenticati e poco conosciuti e da tanti, tanti soldi.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sonic the Hedgehog
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La biblioteca straripante di libri e di preziosi oggetti d’antiquariato era davvero curiosa. Come ogni stanza dell’immensa villa, lo studio era stato interamente dipinto e decorato. Il blu notte che copriva tutte le pareti ed il soffitto era stato utilizzato come sfondo per un’accuratissima rappresentazione stellare.
Sonic aveva imparato così le costellazioni: da piccolo, comparare soffitti e pareti con il cielo reale, era uno dei suoi passatempi preferiti assieme alla mamma. Individuata la cintura, 0rione, accompagnato dai suoi due cani e dalla voce vellutata della madre, diventava l’eroe che, di stella in stella, l’accompagnava in un sonno profondo.
Sbattendo le palpebre, ancora intontito dal sonno che avrebbe dovuto essere ristoratore, il riccio blu lanciò un’occhiata all’orologio e sbadigliò sonoramente.
Borel doveva arrivare a minuti e lui era già profondamente annoiato, soprattutto nel constatare che la giornata limpidissima sarebbe stata ottima per una corsetta. Ma ovviamente le priorità non potevano essere i suoi passatempi.
Assorto nei suoi pensieri “corsistici”, riportò la concentrazione solamente quando sentì dei passi veloci e strascicati avvicinarsi, indubbiamente si trattava di The Mutton. “Finalmente” pensò tra sé e sé sapendo che la macchina era parcheggiata da interi minuti nel vialetto. Probabilmente l’ospite, tra entrata e scale titaniche, doveva aver perso parecchio tempo.
Il montone era risultato piuttosto strano al telefono: non aveva accennato ad una virgola del perché volesse vederlo.
Semplicemente, gli aveva domandato se era libero in quel momento. Aveva risposto in modo affermativo immediatamente ed ora il tizio si dirigeva verso di lui per chissà quale strano motivo. Dubitava comunque che fosse una semplice visita di cortesia dato il rapporto incrinato tra di loro.
Sfruttando la sua incredibile velocità si appollaiò sulla comoda sedia imbottita e, lisciandosi i fitti aculei con una mano, si preparò all’imminente incontro con il montone. La porta della stanza si aprì decisa e dal corridoio, come previsto, emerse Borel con sguardo fiero e preoccupato. Nonostante il colore latteo della pelle fosse più che naturale per lui, in quel momento il pallore tendeva al grigio più che al rosato. Le occhiaie scure sotto gli occhi e una ruga d’apprensione sulla fronte, che era stata sempre ben spiana, davano un aspetto malaticcio al montone regalandogli anni in più. 
Sconvolto da quel veloce degrado, Sonic, che si era promesso di non cedere e di mostrarsi freddo, non riuscì a contenere un’occhiata allibita e preoccupata. L’invitato non perse tempo in convenevoli, avvicinandosi alla scrivania in cui il blu si era relegato, spostò la sedia e vi sedette senza nemmeno curarsi di togliersi il leggero impermeabile.
Il riccio lo osservò fare tutto questo con un’alzata di sopracciglia che indicava chiaramente il fastidio. Il silenzio dell’ospite, oltre ad essere maleducato, era anche un forte segnale: doveva davvero navigare in brutte acque per non biascicare nemmeno un “ buongiorno”.  Accomodato l’ovino, i due si fissarono per qualche secondo sostenendo l’un l’altro uno sguardo ostile in attesa che qualcuno rompesse il silenzio.
< Mi devi aiutare > esclamò il bianco aprendo il discorso.
Il riccio si protese in avanti  e appoggiò i gomiti sul tavolo.
< Buongiorno Borel, qual buon vento ti porta qui? > esclamò con tono fintamente cordiale. Il timbro affettato stridette contro il tono sbrigativo del montone, il quale emise un sospiro paziente deglutendo altro orgoglio. Quella mezza frase aveva avuto l’obiettivo di svilire il suo comportamento e di sottolineare il fatto che i convenevoli, seppur in guerra, erano d’obbligo per loro.
Anche se, l’ovino era certissimo che il blu non si sarebbe comportato in quel modo se ci fosse stato qualcun altro al suo posto e nella sua situazione.
Zittendosi per ritrovare la calma persa e non lasciarsi andare alle parole, andò dritto al sodo per recuperare minuti.
 < Julius è scomparso > esclamò intrecciando le dita e portandosele alla fronte.
Il silenzio calò e Sonic sbarrò gli occhi abbandonando l’atteggiamento strafottente. Le iridi verdissime e si velarono di una crescente agitazione. Il suo pensiero volò, prima ancora che al topo, a Silver, tranquillizzandosi quando ricordò che doveva trovarsi ai piani superiori.
< Che cosa? > rispose allibito riportando alla memoria gli occhi giallo limone del soggetto in questione. Il riccio conosceva Julius da una vita ed in quella strana famiglia era uno dei pochi che stimava. Astuto ma di buon cuore gli aveva elargito consigli a non finire fin da ragazzino. Profondamente legato alla famiglia del montone rappresentava quasi un fratello per l’ovino, comprese il perché di tutta quella fretta e preoccupazione.
< Hai capito bene. Julius manca da ieri pomeriggio. E’ scomparso dal nulla. Il telefono è irraggiungibile e i miei uomini si danno da fare da ieri senza riposo. Non è uscito un capello. E come se non bastasse nessuno lo ha visto > mormorò coinciso coprendosi gli occhi che minacciavano di divenir lucidi.
Sonic aggrottò le sopracciglia.
< Dove è andato? Doveva fare qualcosa in particolare? > lo interrogò con puntigliosità il blu per crearsi una panoramica completa. Borel esitò un attimo valutando le parole e lasciando scorrere lo sguardo sulle pareti stellate.
< Era al porto, nel lato più orientale, doveva solamente consegnare delle stecche di sigarette. Una questione di un’ora al massimo >. Sonic sollevò nuovamente le sopracciglia: possibile che un lavoretto così semplice potesse creare problemi a qualcuno?  In pieno giorno oltretutto?
< E le hanno ricevute? >
< sì, il problema è sorto dopo: non è mai tornato a casa. Deve essere accaduto qualcosa di grave in quel frangente ed io ho intenzione di scoprirlo >
Il montone sbatté un pugno sul tavolo massiccio facendo sobbalzare il ragazzo di fronte a lui immerso nelle più lucide riflessioni.
< Ma non sono qui per metterti solamente al corrente. Tu mi aiuterai Sonic the Hedgehog. Voglio che tu perlustra palmo per palmo il porto, ogni fenditura, ogni curva e ogni sotterraneo. Solo così sarò sicuro che Julius non si trovi lì >
Il riccio sbarrò nuovamente gli occhi allibito da quell’ordine. Era la prima volta che qualcuno si rivolgeva in quel modo così autoritario.
< E chi ti dice che io sia disposto a darti una mano? Per fare una cosa del genere mi servirebbero come minimo due giorni solamente per i primi settanta chilometri! > sbottò alzandosi in piedi nervoso vedendo che il montone non ragionava. Una richiesta così impegnativa e dispendiosa era davvero un problema persino per sé.
< Tu mi aiuterai perché è il tuo compito! Hai un potere enorme e … >
< solo perché nel passato avevamo un particolare status di “protettori” non significa che oggi io debba fare la stessa cosa con voi! Inoltre la mia velocità non mi aiuterà poi così tanto vista la mole di chilometri quadrati! > rispose secco innervosendosi ancor di più.
Sentendo il bisogno di allontanarsi dal montone, gli bastò qualche passo per ritrovare miracolosamente la calma.
Tra dire e il fare c’era di mezzo il mare, i monti, lo spazio e molto altro. Ordinargli di setacciare il porto era come ordinargli di cercare un ago nel pagliaio. Con un grosso sospiro abbassò il tono di voce, per rispetto della perdita, e cercò di liberarsi il prima possibile di quell’individuo.
Capiva lo stato d’animo freddo e preoccupato e da un lato glielo perdonava, ma il tono aggressivo e quel suo volere tutto e subito lo facevano innervosire.
< Al massimo posso controllare nel circondario campagnolo. Ma non farò di più > continuò imperterrito pensando ad un’alternativa che potesse accontentare entrambi. Borel socchiuse gli occhi infastidito. Odiava dover dipendere da un ragazzino borioso che si comportava da prima donna. Come non sopportava il fatto che, persino in un momento di emergenza come quello, non si desse volontariamente da fare. Voleva smuoverlo, convincerlo, obbligarlo in qualche modo a fare quel controllo decisivo. Doveva, stando attento a non rivoltarselo contro ancor di più.
< E’ davvero impossibile ragionare con te. Anche se potessi salvarlo preferisci astenerti. Il tuo tempo è così prezioso da lasciar scorrere un innocente? >
< smettila di fare la vittima e sii realista. Due giorni sono troppi per concentrarsi sul dettaglio. Potrebbe esser caduto in un fosso ed essere la da qualche parte con una gamba rotta. Hai valutato questa ipotesi? > replicò infastidito chiudendo le palpebre pensoso.
Anche esercitando tutta la sua forza di volontà non riusciva ad ignorare Julius: per quanto Borel fosse fastidioso, il topo non centrava assolutamente nulla in quella faccenda non poteva perciò restare a guardare. Infatti non vedeva l’ora che se ne andasse per poter cercare il disperso.
< No, è troppo poco. Devi controllare ovunque. I miei uomini hanno già scandagliato la campagna > rispose sfregando le lenti degli occhiali con una piccola pezza di microfibra. Sonic ruotò gli occhi al cielo rimpiangendo la cella del giorno prima.
< Io non credo siano stati accurati. E’ davvero immensa persino per me. E’ impossibile, per loro, controllare a fondo in una giornata > esclamò rigido cercando di farlo ragionare. Non ebbe l’effetto sperato: il montone appoggiò la schiena allo schienale e guardò il ragazzo con aria di rimprovero. Gli occhi sembrarono infossarsi ancor di più nel grigiore, le sopracciglia si aggrottarono e una smorfia gli modificò i tratti del viso rendendolo più severo.
< Tuo padre non avrebbe detto “no” > esclamò di punta sperando di girare ben bene il coltello nella piaga.
La stanza rimase immersa in un silenzio grave per qualche attimo. Ma se Borel avesse avuto buon orecchio avrebbe senz’altro sentito il sangue pulsare al giovane.
Sonic incassò il colpo trovandosi senza parole per ribattere: difficile mandarlo a cagare senza provocare un’incresciosa rottura. Cosa che in realtà desiderava con tutto se stesso ma che avrebbe mandato fuori dai gangheri  la nonna, quindi era meglio evitare nonostante Borel avesse schiacciato il tasto dolente.
Stringendo i denti, dentro di sé si smorzò completamente la volontà di collaborare senza bisticci. Era tempo che l’idiota bianco si levasse di torno.
< Controllerò la campagna. Se troverò qualcosa ti farò chiamare > replicò asciutto. Il montone strinse il pugno tanto da farsi male: il puntaspilli blu, rivolto verso la parete, l’ignorava. Inutile insistere, purtroppo in quella famiglia la testa dura era intessuta nel dna. Doveva per forza accontentarsi di un aiuto a metà.
Alzandosi in piedi con rabbia rischiò di far cadere la sedia dietro di sé.
< Se Julius dovesse morire per colpa tua, ti giuro che … ! > 
< è passato quasi un giorno Borel. Credi davvero che sia ancora vivo? >
Sonic si voltò lentamente e lo fissò con la fronte aggrottata e le palpebre socchiuse rilanciandogli in diversa forma la stoccata di poco prima. Gli angoli della bocca del montone si stirarono in un ghigno e le sopracciglia presero una piega severa. Senza pronunciare una singola parola, l’ospite indesiderato, con un rapido dietrofront, si dileguò fuori dalla porta a lunghe falcate.
Il blu tese l’orecchio per ascoltarne i passi che rimbombarono dapprima nel corridoio, poi nelle scale, nel salone ed infine sentì la porta aprirsi e richiudersi con il consueto cigolio.
Un sospiro fuoriuscì dalle labbra del giovane. Erano passati appena quindici minuti dall’entrata del montone ma a lui sembrava che fossero trascorse ore intere.
La stanza, ridiventata silenziosa, era ben illuminata grazie alle enormi finestre da cui si poteva scorgere la berlina nera uscire con premura dalla superba entrata.
Accertato che Borel se ne fosse andato, Sonic si catapultò al pian terreno con l’umore sotto ai piedi a causa della visita malgradita. Il compito che doveva svolgere era davvero logorante e soprattutto minuzioso. Da solo avrebbe impiegato una giornata abbondante e il tempo era davvero scarso. Ricordò, per farsi coraggio, il viso di Julius, i suoi modi di fare veloci e frettolosi ed i suoi molteplici buoni consigli che regalava senza tenerne conto. Non poteva di certo starsene fermo di fronte ad un’emergenza del genere.

Ai lati dell’immenso salone vi erano due aperture le quali portavano l’una alla sala da pranzo mentre l’altra dirigeva in un’altra stanza utilizzata come sala bar. Fu nella prima che il riccio si diresse, cercando con gli occhi Silver che non doveva esser lontano secondo i suoi calcoli.
La sala da pranzo era gigantesca come tutte le altre stanze. Nel bel mezzo era stata collocata una tavola di legno massiccio lunghissima, decorata finemente lungo le gambe e su tutto il bordo. Il disegno floreale era stato riportato anche sulle sedie imbottite dall’alto schienale. Grandi finestre illuminavano naturalmente l’ambiente filtrate da tende di leggerissimo pizzo bianco. Sopra di esse, ad incorniciare quel prezioso tessuto, tendaggi alla mantovana, di velluto bordeaux, erano state ben aperte per consentire a quanta più luce possibile di entrare. Anche qui mazzi di fiori freschi e pregiati pezzi di arredamento davano bella mostra di se andando ad arricchire ancor di più la sontuosissima sala.
Al suo arrivo Blaze era appollaiata su una delle sedie intenta a scrivere una lettera. A sentire il rumore inconfondibile del blu in movimento, si drizzò incuriosita in cerca di novità.  
< Oh eccoti arrivato! Allora che voleva? > esclamò con impazienza posando la penna. Notando l’espressione accigliata del ragazzo, la viola aggrottò le sopracciglia.  Sonic sospirò.
< Julius è scomparso >.
La gatta rimase allibita e lo guardò serissima, le iridi dorate acquistarono una sfumatura dolente. Meglio di qualsiasi altro capiva la gravità di quella sparizione.
< E’ sparito già da ieri. Mi ha chiesto di poter controllare nei campi e nelle vicinanze ed io ho accettato. Anzi, voglio partire subito. Dove sono gli altri? > domandò guardandosi nervosamente attorno. Il pensiero che qualcuno della sua famiglia potesse sparire da un momento all’altro lo rendeva inquieto. Pur di proteggerli era pronto a stiparli in casa, tutti quanti. < Silver è al piano di sopra mentre Viola … a dir la verità non ho capito bene dove sia andata >.

Viola the Hedgehog, all’alba dei suoi sessantaquattro anni, era il ritratto di molte cose. La riccia dimostrava almeno dieci anni in meno, infatti, di un blu slavato e di altezza media, era in perfetta forma per i suoi anni. Il viso ancora grazioso splendeva di luce grazie a due iridi color ghiaccio. A regalarle un’aria un po’ demodé ma estremamente elegante erano un costante e severo chignon, la sacrosanta collana di perle, un paio di occhiali dorati e l’inseparabile spilla appunta al petto.
Nonna paterna e unica parente dell’adorato nipote  era una mobiana generosa, acculturata, gentile e permalosa. Mamma chioccia verso il nipote, che già da un po’ di anni gli era scappato dalle mani, era inflessibile, intelligente e severa al punto giusto: una diplomatica perfetta e un aiuto indispensabile negli strani affari di famiglia.
Con mille pensieri nella testa, la riccia non si accorse nemmeno quando il taxi si fermò alla meta da lei richiesta. Si stupì per un attimo quando il conducente, un airone dall’aria tranquilla, si voltò verso di lei e le chiese la tariffa di punto in bianco. Pagò la corsa lasciando il resto al tassista, il quale strabuzzò gli occhi nel vedere venti ring come mancia.
Scesa dalla macchina si guardò ben attorno con discrezione e, vedendo che nessuno la seguiva, si avviò per la sua strada a passo sicuro.

A fine città, nella zona più occidentale, a cavallo di una piccola riserva e la periferia, era stato costruito, e restaurato almeno tre volte, uno strano e vecchio orfanotrofio. La struttura enorme era stata ben utilizzata nel passato ma col passare degli anni, per fortuna, si era progressivamente svuotato lasciando il posto ad un piccolo convento di suore e ad un ufficio dei servizi sociali. Ormai in disuso, il grande edificio presentava ancora una scintilla di vita al suo interno: sedici bambini, di diversa età, vi alloggiavano accuditi da sette monache che si facevano in cinque per tirare avanti la baracca.
Le donazioni scarse e le spese sempre più gravose erano davvero problemi grossi nel convento. Viola lo sapeva benissimo, per questo, almeno due volte all’anno, vi si dirigeva personalmente in veste di generosa benefattrice.
Si sentiva sempre bene dopo aver sganciato considerevoli somme, d’altronde le sue tasche glielo permettevano e per lei era un elisir di lunga vita.
Il marciapiede percorso, in breve tempo, si trasformò in uno stretto viottolo che portava dritto dritto all’entrata. Un piccolo cortile delimitato da alte cancellate faceva da giardino all’edificio. Vecchi roseti e aiuole poco curate ingentilivano l’ambiente austero e severo.
Avvolta nel suo tailleur azzurro, la riccia, voltandosi,  si assicurò che non ci fosse assolutamente nessuno che potesse vederla. L’ultima cosa che voleva era appunto che qualcuno la riconoscesse o che si fosse ricordato di lei.
Attraversando il cortile, stando ben attenta a non farsi scorgere dalle finestre, raggiunse il lato dell’edificio dedicato all’allevamento dei pargoli. Per maggior sicurezza aggirò l’edificio per poter usufruire dell’entrata laterale. L’elegante figura che tentava di camminare il più velocemente possibile rasente i muri avrebbe fatto sorridere i sedici bambini che di visite non erano mai sazi. Un po’ per le scarpe ed un po’ per la fretta ondeggiava tra ghiaia e lastricato con la delicatezza di un pellicano.
Fermandosi solamente per sistemarsi la mise già perfetta, si guardò nuovamente attorno con la destrezza di un falco: nessuno la scorgeva , la via era libera. Il retro non era tanto diverso dalla facciata: un prato verde e qualche albero delimitavano il campo da gioco. Un orto già coltivato a piselli confinava con l’area degli scivoli scrostati dal tempo della vernice colorata. Viola bussò alla porta sistemandosi la lunga collana di perle. Era da un po’ che non faceva visita ai piccoli abitanti e alle loro tutrici, si sentiva per questo leggermente in colpa.

Uno scalpiccio leggero anticipò l’arrivo di una topolina che doveva avere più o meno la sua età. La pelle candida e gli occhi sereni arrossirono di gioia quando riconobbero nell’ospite una generosa amicizia.
< Oh Signora Viola! Che bella sorpresa! > esclamò rivolgendole una calorosa stretta di mano. La riccia si lasciò scuotere il braccio nascondendo la sorpresa sotto un sorriso tirato.
< Buongiorno a lei sorella. Sono passata appena ho potuto > cercò di abbreviare lei per liberarsi della topina in tempi brevi. Le mani candide della roditore strinsero quelle della riccia per altri due buoi minuti.
< Lei non ha idea di quali aiuti ci fornisce. I nostri grazie e le nostre preghiere sono sempre troppo poche in confronto alla sua generosità! >. Viola arrossì imbarazzata sforzando le labbra in una specie di sorriso: non era andata lì per farsi complimentare.
< Non è nulla di importante davvero. Vorrei parlare con la madre superiora se possibile >. Tagliò netto con tono pacato, non vedeva l’ora di trovarsi a tu per tu con lei. Almeno non si sarebbe consumata in elogi esagerati.
La topina annuì comprensiva e le indicò il corridoio. Accennando un ringraziamento con la testa la riccia scivolò all’interno dell’edificio, che conosceva a memoria, e si diresse al piano superiore.
Da una stanza al pian terreno la voce di una maestra risuonava cristallina di tabelline e numeri. Addolcita al ricordo del suo nipotino in tenerissima età, raggiunse la stanza prefissata dopo qualche attimo. Lisciandosi la piega della giacca, la riccia bussò con energia alla porta d’entrata. Si accorse solo in quell’istante dell’odore dolciastro dell’incenso che fuoriusciva dalla camera.
< Avanti >.

Spazio autrice:
Scusate il colossale ritardo ma il tempo è sempre poco ultimamente. Spero che questo capitolo sia di vostro piacimento comunque. 
Baci.
Indaco
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Sonic / Vai alla pagina dell'autore: Indaco_