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Autore: HideSaka    05/08/2021    0 recensioni
Rayla è un’elfa abile e leggiadra quanto impulsiva e testarda, proveniente da un regno dove draghi, spade e magia si fondono quotidianamente. Garfield è un ragazzo determinato ma insicuro, viene da un gruppo di vigilanti che aiutano a ripulire le strade di New York dalla criminalità dilagante. La storia comincia con l’improbabile incontro tra i due individui, che si trovano persi e disorientati tra le fredde lande di una terra a entrambi sconosciuta. Collaborare sembra l’unica maniera logica per affrontare la situazione, così i due, grazie ai consigli di misteriosi personaggi, cominciano a cercare una strada che li possa ricondurre alla propria casa.
[Crossover The Dragon Prince-Titans-Skyrim e altri!]
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ivarstead




La previsione di Garfield si rivelò esatta: impiegarono circa un’ora per raggiungere Ivarstead, e vennero accolti da un'atmosfera apparentemente tranquilla. Era più o meno mezzogiorno, il sole irraggiava l’atmosfera rendendo il freddo più accettabile, quasi piacevole. Tre ragazzini correvano per la via principale inseguendosi, e uno per poco non urtò Garfield, che vedendo i fanciulli non poté far a meno di sorridere. Rayla fece altrettanto. Le case non erano particolarmente alte, tutte costruite in pietra, circondate da piccoli giardini con orti personali annessi. Un fabbro stava affilando delle spade ad una mola, generando un leggero stridore che si mischiava allo scrosciare dell’acqua, mentre un paio di grossi uomini erano impegnati a spostare tronchi d’albero vicino a una segheria sulla sponda del fiume.

«Questo mantellino ha funzionato alla grande! Non ci sta guardando male quasi nessuno, visto?»

«Sembri leggermente più normale, ma ancora non puoi passare inosservato.» disse Rayla passando velocemente la mano tra i capelli del ragazzo.

«Sarebbe stato più semplice se avessi avuto anche un cappuccio, forse.»

«Non direi. Due ceffi incappucciati desterebbero sospetto, io basto e avanzo.»

Passarono davanti al porticato dove un uomo lavorava alla mola, stava affilando una lunga spada d’acciaio dall’impugnatura a due mani. Entrambi notarono che il fabbro aveva un paio di orecchie a punta, e Rayla andò subito a guardargli le mani: tozze, vene in evidenza e cinque dita.

«Buongiorno, siete viaggiatori?» domandò l’elfo quando si accorse che i ragazzi si erano fermati in mezzo alla strada a fissarlo. Sorrideva.

«Buongiorno a lei. Sì, siamo di passaggio.» rispose Rayla, colta alla sprovvista.

«Per forza! Ivarstead è famosa giusto per la noia. Ah ah!»

Seguì qualche attimo di imbarazzo, ma l’elfo non si arrese: «Posso esservi d’aiuto?»

«Cerchiamo un umano- cioè, un uomo di nome Kimmek. Sappiamo che vive qui, saprebbe indicarci dove si trova?»

L’elfo cambiò espressione, ed emise un sospiro sconsolato. «Mi dispiace, ragazza, ma temo che tu non possa essere accontentata. Il vecchio Kimmek è mancato qualche giorno fa.»

Rayla si portò una mano al mento e si fece silenziosa. Avevano dato retta ad un vecchio che non era aggiornato, ottimo, pensò.

«Cavolo, ci dispiace. È stata una morte inaspettata?» intervenne Garfield per rompere quello strano silenzio.

«No, ma sì. Volete entrare? Possiamo parlarne davanti ad un piatto di minestra. »

«Non abbiamo soldi, signore. Inoltre io e la mia amica non vorremmo disturbarvi in alcun modo.»

«Non voglio soldi, ma per chi mi avete preso? Ad Ivarstead saremo noiosi, ma l’ospitalità è un valore che rispettiamo. Ah ah! Prego, seguitemi pure.»

L’elfo si alzò e mise la spada su un bancone lì vicino. Si diresse verso una porticina di legno, non lasciando ai ragazzi molta libertà di scelta. Rayla e Garfield lo seguirono un po’ titubanti.

La casa li accolse con un intenso profumo di salvia e rosmarino. Il fuoco su cui cuoceva il minestrone riscaldava discretamente l’ambiente, e il profumo delle verdure fece risvegliare nei ragazzi il bisogno di un buon pasto. L’elfo li invitò a sedere, mentre iniziava a preparare i piatti.

«Puoi anche tirare giù il cappuccio, signorina. Ah ah!»

«No, non tirerò giù il cappuccio.»

«Come preferisci. Allora, come mai cercavate il povero Kimmek?»

«Dovremmo scalare la Gola del Mondo, e un conoscente ci ha detto che Kimmek avrebbe potuto aiutarci.» fece Garfield con gli occhi fissi sulla minestra che gli era appena stata servita.

«Dovete raggiungere Hrothgar Alto? Cosa vi spinge a voler salire fin lassù, se posso?»

«Dobbiamo parlare ai Barbagrigia. Ci è stato detto che possiedono alcune informazioni che potrebbero esserci utili.»

«Capisco. Ha a che fare con il boato che si è sentito due notti fa?»

«Senta, lei è stato gentile ad ospitarci, ma non siamo qui per un interrogatorio. Kimmek non c’è più, lei può aiutarci a scalare la montagna? Se sì, le saremmo eternamente grati. Altrimenti ce ne andiamo e la scaliamo per conto nostro.»

«Rayla, ma che dici? La scusi, signor… Signor?»

«Mi chiamo Hattor, piacere.»

«Il piacere è nostro signor Hattor. Io sono Garfield, e lei è Rayla. Stavo dicendo di scusare la mia amica. È un periodaccio. Ha qualche consiglio per superare questi settemila gradini

L’elfo sorrise, mentre col cucchiaio giocherellava con la minestra. «No, scusatemi voi. Sono stato troppo invadente. Ah ah! Se è un consiglio quello che volete, allora ecco a voi: lasciate perdere. Kemmik era un esperto, percorreva i settemila gradini almeno una volta a settimana per portare rifornimenti a Hrothgar Alto. Ha subito un pesante attacco da un branco di troll, e ci è rimasto secco. Non era uno sprovveduto, sapeva come affrontare quelle bestie. Evidentemente un branco è migrato recentemente vicino al sentiero e vi ha stabilito una tana. Credo che per ora il percorso sia inagibile, a meno che non abbiate fretta di passare a miglior vita.»

«Invece ci saliremo. Grazie per la zuppa, buona giornata.» Rayla si alzò dal suo posto facendo strusciare la sedia; Garfield aveva imparato ad interpretare quel gesto, la sua compagna non era in vena di farsi dire “no”.

«Barknar.»

«Come, scusi?» domandò Garfield paonazzo.

«Cercate Barknar. La sera mangia sempre alla locanda Vilemyr, mentre il giorno è sempre in giro per il bosco o a meditare per i settemila gradini. Chiedete a lui una mano.»

«D’accordo, la ringraziamo infinitamente!» mentre Garfield porgeva la propria gratitudine Rayla aveva già aperto la porta per uscire.

«Buona fortuna, ragazzi.»

[…]

«Rayla, ma che ti prende? Non puoi comportarti così con tutti, ti è andata bene che il signore fosse molto gentile! Era anche un elfo come te, possibile che non -»

«Non era come me. Dovresti lavorare sullo spirito di osservazione. Aveva cinque dita.»

«Avremmo comunque potuto fargli delle domande.»

«Garfield, vuoi farti entrare in testa che non possiamo attirare l’attenzione? Con meno persone parliamo e meglio è. Le risposte ce le daranno i Barbagrigia.»

Uscendo dalla casa di Hattor la locanda Vilemyr si trovava sulla loro destra, immediatamente visibile e segnalata da un’insegna con l’omonima scritta. Garfield si accinse ad aprire la porta, ma Rayla lo prese per un braccio e lo tirò indietro.

«Ma che fai?»

«Hattor ha detto che Barknar si trova qua dentro, mi sbaglio?»

«Non entreremo in locanda. Scaleremo i settemila gradini direttamente.»

«Cosa? E perché?»

«Perché non ho paura di due stupidi troll. Ho affrontato di peggio in vita mia, questo pellegrinaggio non mi spaventa.»

L’elfa indicò un punto oltre il villaggio, alla base della montagna che incombeva su di loro.

«Vedi quel ponte dove curva il fiume? Si vedono degli scalini scolpiti, oltre la costruzione. Deve essere l’inizio del percorso.»

L’aria era fredda, i vestiti tenevano a malapena il calore, e salendo sulla montagna la temperatura sarebbe scesa sempre di più. Garfield si chiese come avrebbero potuto raggiungere la struttura sulla cima in quello stato. Non vedeva neanche una possibilità di successo. Sebbene fosse impulsivo, nemmeno Dick Grayson avrebbe tentato di scalare una montagna in quelle condizioni. «No, Rayla. Stai esagerando. Cerchiamo Barknar e chiediamo aiuto a lui.»

Rayla chiuse gli occhi per qualche secondo, strinse i pugni, in piedi in mezzo alla strada. «Va bene. Vai, allora, e cerca Barknar. Io salgo sulla montagna, e una volta su ti saluto i Barbagrigia.»

Garfield era pronto ad insistere, ma l’elfa non sembrò ammettere quella possibilità. Girò i tacchi e si incamminò verso la montagna. Gar pensò che avrebbe dovuto fermarla, non ce l’avrebbe fatta, ma Dick diceva che era una pessima idea, ma Rayla era l’unica a condividere la sua condizione, ma seguendola sarebbero morti tutti e due. Il tempo di perdersi nelle paranoie che già Rayla era sparita. Faceva sul serio, era partita senza di lui. Che faccio? La cosa meno stupida. La riporto indietro.


[…]


Prima dell’avvento degli uomini,

i draghi regnavano su tutto il Mundus.

La loro parola era la voce,

e parlavano solo per le Vere Necessità.

Perché la voce poteva oscurare il celo

e inondare la terra.


Una tavoletta, protetta dalle rocce, riportava questa scritta. Rayla la guardava, chiedendosi quale fosse stato il significato dietro alle parole incise sulla pietra. Anche qui i draghi. Aveva rischiato, un paio di volte, di essere fatta a brandelli da un drago. Leggere quel nome la costringeva a fare un passo indietro, a riconoscere una superiorità che non sarebbe stata mai in grado di pareggiare. I draghi erano grandi, potenti, furiosi, dal potere incontenibile. Si chiese a quali tempi si riferisse quello scritto, e se a Skyrim ci fossero ancora dei draghi in circolazione. Il pensiero le provocò timore, ma anche una strana eccitazione. La sensazione che una tale creatura le suscitava non era una paura istintiva, ma una magica arrendevolezza nei confronti dell’inaffrontabile. Si guardò alle spalle, ormai il villaggio lo osservava dall’alto. Vedeva il fiume, e tra gli alberi si poteva distinguere il sentiero che lei e Garfield avevano percorso. Constatò che Garfield non l’aveva seguita; nessun rumore, solo il vento che si era fatto più forte, nessuna voce irritante che la chiamava. Tornò a guardare di fronte a sé, i gradini continuavano ripidi, e la strada da fare era ancora molta.

Spruzzate di neve iniziavano a ricoprire il sentiero, e la temperatura scendeva di pari passo con la scalata. L’elfa strinse a sé il proprio mantellino, e continuò imperterrita il percorso. Non credeva che la cima avrebbe significato “casa”, ma aveva bisogno di chiarimenti, di risposte. I Barbagrigia erano considerati i saggi di quel mondo, se non loro chi altro poteva guidarla nel ritorno verso la propria terra?

Una capra le tagliò bruscamente la strada. Sbucò fuori da un paio di rocce sulla destra dell’elfa, così velocemente che per poco l’animale non precipitò lungo il versante. Emise un acuto belato che lasciava poco a pensare: la bestiola stava fuggendo. Rayla portò le mani alle spade, e con lo sguardo puntò la direzione dalla quale era arrivata la capra. Aguzzò le orecchie, e sentì rumori veloci, leggeri e in avvicinamento. Lupi, non sapeva dire quanti. Indietreggiò, facendo attenzione a rimanere distante dal precipizio. Due lupi scesero dalle rocce e piombarono davanti a Rayla, fiutando immediatamente la sua presenza. Puntarono l’elfa, e cominciarono a a ringhiare. Musi insozzati di sangue, forse avevano catturato una preda che non li aveva soddisfatti a pieno. Quel fabbro bastardo poteva avvisare.

Spade sguainate, Rayla scattò in avanti e menò un fendente contro il lupo sulla sinistra, che riuscì a malapena ad evitare il colpo. Un acuto latrato causato da una ferita sottile, mentre l’altro aveva cominciato l’assalto. Rayla approfittò dello slancio del primo colpo per eseguire una piroetta ed affondare l’altra spada tra le fauci del lupo alla sua destra. Una ferita mortale, squisitamente degna di un’elfa dell’Ombra della Luna. L’altro nel frattempo era indietreggiato, e ringhiava più forte di prima.

«Sta’ indietro, non ho intenzione di ucciderti.» intimò Rayla alla bestia. Come se potesse capirmi.

Il lupo, di tutta risposta, balzò, pronto a sbranare l’elfa. Rayla schivò di lato, contrattaccando con un fendente che squarciò il fianco del lupo. La bestia cadde e cominciò a guaire, il colpo l’aveva sconfitta. Rayla guardò l’animale in fin di vita, si chinò su di esso. Pensò che avrebbe dovuto finirlo, non poteva lasciarlo lì così, avrebbe sofferto un dolore indicibile. Prese la spada, rigirandola con la lama verso il basso. Un colpo alla testa e sarebbe tutto finito, avrebbe restituito la pace al lupo bianco.

Una freccia colpì la bestia sul capo, prima che Rayla riuscisse ad infliggere il colpo fatale.

«Esiti troppo, viandante.» affermò una voce femminile proveniente dal sentiero. Rayla alzò lo sguardo, e più avanti, nel percorso, una donna stava riponendo il proprio arco dietro la schiena. Vestiva con una pesante pelliccia che le copriva l’intero busto, e aveva lunghi capelli castani scossi dal vento gelido. «In un’altra occasione saresti morta.»

Rayla pulì le armi e le rimise nel fodero, poi intercettò lo sguardo della donna: severo, maternale, profondo. Duro come le rocce della Gola del Mondo.

«Cosa ci fai, qui, ragazza?»

«Passeggio. Ammetto che la vista, da qui, è mozzafiato.»

«Ottimo. Anche a me piace farmi permeare dall’aura della Gola del Mondo. Il vento, gli ululati lontani, i sospiri degli spiriti…»

Rayla si fece vicina alla donna. «Poetico, davvero. Ma ora devo andare.»

«È molto pericoloso, più avanti. Non oltrepassare lo sbarramento con il ramo, dopo c’è una tana di troll. Non torneresti a casa intera.»

«Grazie per l’avvertimento, tornerò appena lo vedrò. Buona giornata.»

«Altrettanto.»

Rayla superò la figura e imboccò una nuova rampa di gradini, ma con un orecchio sentì che la donna era ancora ferma nella sua posizione. Probabilmente si era girata a guardarla.

«I troll ti faranno a pezzi.»

La voce della donna, in quell’istante, la colpì come una freccia congelata sulla schiena. L’aveva capita, sapeva che aveva mentito. Dopo essersi fermata un attimo Rayla continuò, senza voltarsi.

   
 
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