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Autore: Jeremymarsh    10/08/2021    5 recensioni
Una volta si erano ripromessi di affrontare ogni cosa insieme, ma poi lui le aveva lasciato la mano, abbandonandola di nuovo.
Ora lei lo ha ritrovato e riportato nel Dritto, incurante delle conseguenze, ma si renderà conto che la parte più difficile deve ancora arrivare.
Ofelia e Thorn scopriranno che prima di amarsi, prima di cominciare quella vita tanto agognata, dovranno trovare il coraggio per affrontare ciò che sono diventati. Eppure nemmeno quello avrà importanza, se prima non impareranno a condividere i rimorsi e le proprie paure.
Scopriranno che l’unico modo per curare le ferite e colmare i vuoti sarà affidarsi all’altro e cominciare un nuovo viaggio insieme.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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N/A: Se da un lato è sembrato abbastanza naturale scrivere questo capitolo, dall'altro è stato anche particolarmente complesso. Per l'intera durata della saga siamo quasi sempre spettatori attraverso gli occhi di Ofelia, inserirsi nella mente di Thorn diventa dunque una sfida. Spero che nel tentativo di cominciare a farlo mio per questa storia io non abbia commesso qualche errore imperdonabile. Mi affido al vostro giudizio.

Buona lettura!





 
 

Sentimenti

 

Thorn aprì gli occhi di scatto e si girò di schiena non appena Ofelia ebbe chiuso la porta dietro di sé. Il movimento fu repentino e gli provocò una fitta alla gamba priva di armatura. Allungò un braccio pieno di cicatrici per afferrare l’orologio da taschino che aprì e chiuse mezzo secondo, abbastanza per controllare l’orario.

La permanenza della ragazza accanto a lui aveva prolungato di molto il suo presunto riposare e in altre occasioni avrebbe fatto una smorfia, rendendo più profondo il cipiglio tra le sopracciglia, ma visto che non aveva doveri da adempiere si rendeva anche conto che non era una perdita sostanziale. Era consapevole che, fosse stata quella un’altra occasione, un altro giorno e un altro mondo, non avrebbe mai formulato un pensiero del simile: un altro Thorn avrebbe considerato un’eresia rimanere lì più di quanto dovuto con o senza doveri. Era anche conscio del fatto che sua moglie cercasse di passare del tempo con lui in quel modo perché al momento le sembrava uno dei pochi a sua disposizione.

Quella mattina aveva dunque fatto finta di dormire quando lei era entrata in punta di piedi e si era lasciato ugualmente confortare dal cigolare delle dita di metallo. Anche se faceva fatica ad ammetterlo, era grato della sua presenza, pur non riuscendo a rivolgersi a lei.

Volse lo sguardo verso il soffitto, aprì e chiuse le palpebre per tre volte consecutive prima di dischiudere le labbra senza che anche solo un suono ne uscisse, solo un respiro che nel freddo della stanza formò un’altra piccola nuvoletta. Erano poche le parole che aveva pronunciato da quando era tornato da quel lato esattamente sette giorni, tre ore, ventitré minuti e quindici secondi fa. La media era di otto parole al giorno; non era ancora riuscito a ritrovare la forza di parlare correttamente. Forse il lungo soggiorno nel Rovescio aveva condizionato questa sua abilità – tra le altre cose.

L’ozio e l’indolenza non erano mai state cose da lui approvate eppure, per ironia del destino, non aveva concluso nulla in quei sette giorni, non avrebbe potuto. Anche la razionalità, la fedele amica che lo aveva sempre aiutato a calcolare i risultati di ogni cosa che faceva, sembrava averlo abbandonato e lui, che mai come ora si era sentito così inutile, non sapeva che fare.

Nella sua vita aveva sempre avuto uno scopo e un obiettivo, anche quando forze esterne avevano cercato di precludergli la sopravvivenza.

Era stato intendente del Polo e vi aveva tratto molta soddisfazione personale perché poteva metteva in pratica ciò che sapeva utilizzare meglio: i numeri e la matematica. Nonostante la corte fosse un luogo corrotto e spietato, nonostante le minacce di morte qua e là, aveva trovato il suo posto.

Era stato sir Henry e anche in quell’occasione il suo obiettivo avrebbe potuto essere ricondotto a una parte importante di sé: Ofelia e il sentimento che provava per lei. Ogni ricerca, ogni compito svolto era da ricondurre al desiderio di allontanarla da quel terribile complotto in cui erano stati entrambi invischiati.

Ma chi era ora? Qual era il suo scopo?

Ricordava il momento nel Rovescio in cui si era specchiato: si era sentito sicuro di sé per la prima volta nella sua vita e ora si chiedeva dove fosse finito quell’uomo. Logorato da ogni secondo passato nel silenzio ingombrante fatto di Aerargyrum, si rispose meno di un attimo dopo.

L’unica cosa che lo aveva fatto sopravvivere era stata la consapevolezza di essere stato indispensabile ad Ofelia e aver impedito alla matita rossa di Seconda di compiere la sua profezia. Il sollievo, però, era durato poco e Thorn era caduto preda di quel mondo, dimenticando l’immagine di sé nello specchio, fermo e immobile nei sensi di colpa e con i se che si ripetevano nella sua mente come un disco rotto.

Se Ofelia stesse bene.

Se il mondo fosse ora un posto sicuro.

Se Ofelia avesse chi la proteggesse al posto suo.

Se i due popoli avessero imparato a convivere.

Se Ofelia sentisse la sua mancanza.

Se nuove guerre avessero dilaniato una pace difficilmente conquistata.

Se Ofelia fosse al sicuro.

Se la pace fosse stata effettivamente conquistata.

Se… se… ancora se…

Quelle domande e quei dubbi non avevano mai smesso di assillarlo, né avevano smesso ora che era disteso su un letto troppo corto per i suoi ingombranti arti. Dentro di sé tutto era agitazione pura come il perfetto opposto dell’angosciosa calma che pervadeva il suo essere all’esterno.

Era sempre stato sempre così.

Una figura posata e calma che indossava un’espressione impassibile, o al massimo contrariata, che aveva sempre il controllo su tutto ciò che lo circondava – almeno era questa l’impressione che dava. Erano però i numeri a dargli quella parvenza di controllo, per questo li aveva sempre amati, ma dentro di sé dilagava il caos di sentimenti più disparati. Una sola volta era arrivato quasi a controllare anche quelli, o meglio ad avere sotto controllo un sentimento specifico.  Era l’amore che provava per quella ragazzina goffa e in apparenza debole che la zia Berenilde gli aveva scelto come futura moglie tra le altre.

Sebbene fosse logorato dal dubbio e dalla gelosia, almeno lui era sicuro del sentimento che provava per lei e in quanto tale era in controllo, non perché l’amore fosse davvero razionale – non lo era mai, per quanto lui ci provasse a renderlo tale – ma perché lui era sicuro di esso.

Aveva avuto il controllo di quel sentimento anche quando sapeva di non essere ricambiato e il dolore sembrava volergli scavare il petto. Amava Ofelia, bastava essere certi di quelle due paroline. Lo era ancora ora, quella sicurezza almeno non lo avrebbe mai abbandonato, eppure non riusciva a farsi avvicinare dalla donna che era il destinatario di tale affetto.

La verità era che se prima aveva faticato ad accettare il fatto che lei lo ritenesse degno di essere amato, ora gli sembrava inconcepibile. Non si sentiva dunque il marito di Ofelia.

Aveva tentato di salvarle la vita quando le aveva lasciato il polso attraverso lo specchio, anzi lo aveva fatto. Si era sentito indispensabile e sapeva di aver fatto la cosa giusta. Lei non meritava di restare in quello spazio silenzioso, aveva già perso se stessa una volta, e lui aveva volentieri sacrificato l’amore che li univa per permetterle di vivere una vita normale.

Ciò che però Thorn non aveva calcolato era che una persona potesse essere ugualmente logorata dalla sua assenza, lui che era sempre stato un essere indesiderato e odiato da tutti; nemmeno sua madre lo aveva voluto. E per quanto all’epoca avesse accettato che Ofelia ricambiasse il suo sentimento in tutto e per tutto, aveva genuinamente creduto che lei avrebbe potuto superare la sua scomparsa dal Dritto e proseguire oltre.

All’equazione, inoltre, non aveva aggiunto la tenacia della moglie e per questo il risultato era uscito errato.

Ofelia lo aveva cercato, cercato e cercato ancora. L’Attraversaspecchi aveva preso sul serio la loro promessa mentre lui aveva dato per scontato che la loro vita insieme si fosse conclusa quando era riuscito nel suo intento di salvarla e si era portato con sé l’Altro.

Solo quando i loro riflessi si erano scontrati in un vecchio specchio crepato, gli occhi sgranati e le labbra aperte in un grido muto, aveva compreso il suo errore e si era odiato.

Si era odiato perché era stato la causa della sofferenza della moglie – per l’ennesima volta. E poco importava se alla fine il suo sacrificio era stato necessario a liberarsi dell’Altro, quello che importava a Thorn era la sofferenza causata a Ofelia. 

La sua vita da che aveva messo quella prima volta piede su Anima era stato un susseguirsi di gesti volti a soddisfare quella donna eppure aveva continuato a sbagliare, farla soffrire e metterla nei guai. Come poteva definirsi degno? Come poteva lei considerarlo tale? Come poteva lei voler sfiorare un essere tanto impuro?

Da quando si era reso conto di amarla aveva cercato in ogni modo di esserle d’aiuto, evitarle ogni dispiacere ed era stato convinto che solo la sua assenza avrebbe potuto salvarle la vita, poco importava se era lui a soffrire. In realtà quella piccola discendente di Artemide gli aveva dimostrato che entrambi davano il meglio di sé se univano le loro menti e i loro sforzi.

Eppure aveva commesso di nuovo lo stesso errore lasciandola andare e lasciandola sola.

Si odiava ancora perché oggi più che mai si sentiva insufficiente e per nulla meritevole del suo affetto puro.

Quando i loro riflessi si erano scontrati per puro caso, dopo innumerevoli viaggi di lei e innumerevoli se di lui, Ofelia non aveva perso tempo e, con nuove dita che avevano lo stesso colore dei suoi occhi non più impenetrabili, non lo aveva lasciato andare. A metà tra il Dritto e il Rovescio, Ofelia lo aveva trascinato di nuovo nel loro mondo, incurante delle conseguenze, incurante delle regole e delle contropartite.

Si chiedeva se alla fine la contropartita richiesta non fosse stata la sua anima che ora era a stento la metà – e lui non si era mai reputato chissà quale persona. L’altro mondo gli aveva strappato parte della suo essere che mai era stato completo per permettergli di tornare nel suo mondo d’origine.

Ofelia lo aveva trascinato con forza nel Dritto, lei una figura minuta che vinceva su un gigante come lui, ed erano caduti entrambi sul pavimento. Thorn l’aveva automaticamente avvolta con le sue lunghe braccia cercando di difenderla dall’impatto incurante dei propri dolori e della gamba che da quest’altro lato tornava a far male. Nonostante lo shock l’aveva stretta forte a sé come se fosse la sua ancora di salvezza, l’unica cosa che davvero contasse – e lo era, per lui – e si era beato di quel contatto, affondando il lungo naso nei sui capelli ribelli. Con sollievo l’aveva sentita ricambiare la stretta, non si era ritirata.

Poi erano cominciate le lacrime, seguite dalle proprie, e le parole non erano uscite – non riusciva a parlare – e si era liberato di scatto. Aveva portato le gambe al petto e le aveva strette a sé come un bambino dopo aver perso la strada di casa.

Doveva essere un’immagine alquanto bizzarra quella di un gigante come lui che si piegava su se stesso.

Quelle lacrime gli avevano aperto la mente al dolore di Ofelia e si era odiato. Aveva inteso tutte le implicazioni del suo ritorno nel Dritto mentre ancora nemmeno riusciva a comprendere di essere nuovamente lì; si era detestato. I rumori di un nuovo giorno li avevano raggiunti dall’esterno per rivelargli che non era più circondato dal silenzio mentre la mente era ricaduta in una matassa ancora più pericolosa di se.

Cosa aveva fatto? Cosa avevano fatto? Perché lo aveva salvato? Lui non era degno.

Lei lo aveva guardato con occhi carichi di dolore malcelato e si era asciugata le lacrime dal volto. Ofelia gli aveva sorriso – un sorriso così luminoso nonostante tutto e per un attimo il suo proposito era vacillato – e aveva compreso. Thorn non capiva ancora come e perché, ma aveva proprio letto una scintilla di comprensione in quel sorriso.

In qualche modo Ofelia aveva capito che quello che aveva salvato non era la stessa persona che Seconda aveva spedito nel Corno dell’Abbondanza né quello che aveva riportato alla zia la figlia o rispedito l’Altro nel Rovescio. Thorn aveva letto poi determinazione e tenacia sotto strati di sofferenza in quegli occhi scuri.

Lui si era solo chiesto perché lei non lo abbandonasse ora che non era altro che uno scheletro del suo precedente essere. Se prima non si era mai sentito abbastanza per lei, nonostante le sue rassicurazioni, il suo affetto, il suo amore fisico e non, come faceva a sentirsi degno ora?

Erano passati sette giorni, tre ore, ventitré minuti e quindici secondi da che era tornato nel Dritto e lui aveva pronunciato una media di otto parole al giorno, tra cui la metà era il nome di lei. La moglie invece aveva continuato imperterrita a parlare con lui, nonostante Thorn fosse restio a farsi anche solo sfiorare.

Gli aveva detto che ora che lo aveva trovato non aveva alcuna intenzione di abbandonarlo, perché gli aveva promesso una volta che avrebbero fatto tutto insieme e cosi sarebbe stato. Lei non aveva intenzione di permettere a lui di abbandonarla, perché anche Thorn le aveva fatto la stessa promessa. E se in quel momento facevano fatica a riconoscersi non importava, perché avrebbero superato anche quello. Costi quel che costi.

Poi avrebbero lasciato quell’arca che per quanto nuova le ricordava troppe cose spiacevoli, avrebbero lasciato New Babel strappandogli i bei ricordi condivisi e sarebbero tornati al Polo. Lì Thorn avrebbe potuto avere quel processo giusto che aveva desiderato e annullare il loro matrimonio; lei gli avrebbe chiesto di sposarla e non avrebbe accettato un no come risposta.

Thorn in quei momenti la guardava con il suo solito cipiglio e le labbra incurvate verso il basso chiedendosi come facesse a esserci tanta determinazione in un corpo così piccolo. Ignorava, in realtà, che dall’interno Ofelia era logorata tanto quanto lui, che si mostrava forte solo per lui.

E d’altronde quella era la scelta giusta, perché se Thorn avesse visto quanto sofferenza si celava in lei si sarebbe odiato ancora e ancora. Ma c’era davvero spazio per altro odio per quanto grande il corpo di lui?

Ciononostante, lui amava sentire la sua voce e osservarla con lo sguardo, evitando però con accuratezza quegli occhi pieni di tristezza.

Ignorava anche che quegli occhi tristi non erano pieni di risentimento né gli stavano attribuendo alcuna colpa. Erano pieni di rimorsi e impotenza perché Ofelia si abbatteva per non essere riuscita a far sentire Thorn un uomo amato e voluto come si era ripromessa. Ma lui continuava a evitare il suo sguardo. Se avesse letto il suo viso con più attenzione, invece, forse avrebbe riconosciuto l’amore e il desiderio, lo stesso che provava anche lui quando non era consumato dai sentimenti negativi.

Perché in fondo Ofelia e Thorn sentivano profondamente la mancanza dell’altro, avrebbero voluto più di ogni altra cosa perdersi l’uno tra le braccia dell’altro, ma erano invece sopraffatti dai sensi di colpa che non li facevano riflettere lucidamente.

Quello di cui avevano bisogno di ogni altra cosa era comunicare, ma non lo sapevano. Thorn parlava poco e Ofelia parlava troppo di cose che non erano quelle giuste. Un osservatore esterno, qualcuno che avesse preso appunti durante tutta la loro relazione, avrebbe probabilmente commentando dicendo che era sempre stato il loro problema quello, la mancanza di comunicazione, e ora ritornava a galla più potente che mai.

Sarebbe bastato che lei gli parlasse delle sue presunte colpe affinché lui ritrovasse qualche parola in più, ma in realtà l’Animista non voleva dargli ancora più peso e lasciava passare la cosa.

Gli occupava le giornate con il chiacchiericcio che talvolta risultava anche un po’ vuoto e non era altro che la conseguenza della necessità di Ofelia di essere presente in qualche modo. Venendo a mancare quel contatto che Thorn al momento non accettava, lei voleva stargli vicino in altro modo e parlava, parlava, parlava… raccontandogli i suoi piani, facendo la lista di quello che aveva fatto in quei due anni, di come New Babel fosse cambiata, e in che modo la vita nelle vecchie arche stesse procedendo per assimilare nuovi e vecchi abitanti. Non si rendeva nemmeno conto che con quel vocio un po’ ossessivo diventava in parte come la madre e la sorella che in vita loro non avevano forse mai ripreso un po’ di fiato – se ne fosse accorta probabilmente avrebbe fatto una smorfia molto simile a quella indossata perennemente dal marito.

Thorn, dal canto suo, aveva sempre odiato quelle conversazioni un po’ vane e faceva uno sforzo enorme per far sì che la sua incredibile memoria registrasse e ricordasse solo ciò che era necessario: Ofelia che organizzava la loro vita insieme semmai entrambi avessero trovato il coraggio di affrontarsi, dando l’impressione di essere più ottimista di quel che in realtà era; Ofelia che si preoccupava di lui nonostante il dolore che le aveva procurato; Ofelia che si affaccendava attorno a lui nonostante il rifiuto a lasciarsi sfiorare.

L’ex-intendente, sebbene avesse sempre odiato il blaterare nervoso, prendeva quell’operarsi di Ofelia per quello che era: il tentativo di ritrovare in qualche modo un contatto con il marito che aveva tanto cercato e del quale sentiva ancora la mancanza, nonostante ora fosse lì, vivo e vegeto, accanto a lei. Thorn riconosceva il bisogno di lei perché era anche il suo, ma continuava a odiarsi mentre nella mente continuava la cantilena di se, chiedendosi quanto sarebbe stata facile la vita della moglie se lui non ci fosse mai entrato; se non avesse mai chiesto alla zia di trovargli la migliore lettrice di Anima per un puro tornaconto personale.

Era diviso da quell’amore che gli lacerava l’anima e gli faceva apprezzare la voce flebile della donna, la sua presenza e la consapevolezza di essere inadeguato.

Ancora una volta, preoccupazioni e dubbi che consumavano, ma che erano trattabili, curabili, come le ferite dell’animo, se solo avesse avuto il coraggio di lasciare che Ofelia le mendicasse.

“Ofelia,” mormorò nel silenzio della stanza, con lo sguardo rivolto al soffitto – che contava la bellezza di 34 macchie e mezza fetta di pane imburrato finita lì chissà come, diventata ormai parte dell’arredamento – e il tono marcato del Nord, pronunciando la prima parola della giornata. “Ofelia,” ripeté. Il conteggio si alzò a due parole e di questo passo, se avesse continuato, avrebbe superato la media giornaliera.

Quel nome andò per un momento a sostituire i se nella sua mente. Pensò che forse, una volta alzatosi da quel letto scomodo, quel giorno avrebbe avuto il coraggio di ripeterlo quando le avrebbe rivolto il Buongiorno con quella sua erre marcata e scricchiolante – era poco, se ne rendeva conto, ma era un passo avanti.

Con un’agilità di cui non pensava di essere mai stato dotato, l’uomo mosse il corpo ricurvo a causa della posizione che aveva tenuto per troppo tempo su quel materasso, e andò a sedersi sul bordo del letto che fino a poco prima era stato occupato da Ofelia; le coperte avevano mantenuto la sua forma e gli dimostrarono un po’ di contrarietà non appena lui vi si posizionò sopra.  

Controllando il proprio respiro, si aggiustò i capelli biondi, quasi argentei sotto l’influsso dei raggi del sole che provenivano dalla finestra, e si mise composto andando a formare un angolo retto perfetto con la posizione del busto e delle gambe. Fece scattare una seconda volta l’orologio da taschino per controllare che non avesse perso troppo tempo a fissare il soffitto e poi lo ripose nuovamente sul comodino; lo avrebbe ripreso dopo essersi accuratamente lavato e vestito con ciò che Ofelia gli aveva poggiato sull’unica sedia della stanza. Poco dopo si rese conto che la precedente posizione di quest’ultima a bordo letto non era simmetrica né centrale, e dato che lo disturbava profondamente scivolò lungo il perimetro per posizionarsi perfettamente al centro. Le coperte si agitarono; chissà se a causa dell’animismo della giovane donna o per quello da lui ereditato. Si osservò le lunghe e ossute dita che erano sempre più grandi di quelle artificiali di Ofelia e la gamba ormai storpia; la ruga tra le sopracciglia si accentuò per un secondo a causa di una fitta di dolore che Thorn non fece trapelare in nessun altro modo.

Alzando gli occhi e percorrendo con essi la stanza, notò il bastone che lei gli aveva procurato ai piedi del letto. Per un attimo rimpianse la vecchia armatura fornitagli dai Genealogisti, ma poi dimenticò quel pensiero perché nella sua mente non c’era spazio per altri rammarichi al momento. 

Si alzò repentino dal letto e il capo, che toccava pericolosamente il soffitto, per poco non urtò la fetta preistorica di pane. Thorn fece una smorfia e si piegò di conseguenza; avrebbe preferito attraversare la stanza incurvato piuttosto che permettere a quello sporco secolare di sfiorargli solo i capelli.

Si chiese cosa avessero fatto quei tanti automi per tutti gli anni in quella casa se non erano stati nemmeno in grado di pulire decentemente, poi si disse che forse era meglio anche cambiare stanza; la vecchia casa di Lazarus non ne aveva poche. Gli venne allora in mente l’altra camera che aveva utilizzato nel suo precedente soggiorno lì e si chiese in quale Ofelia stesse dormendo visto che gli aveva fatto intendere di non utilizzare quella.

Quando, infine, ebbe concluso i rituali quotidiani si apprestò a lasciare quel luogo. Prima di allungare la mano verso il pomello della porta e aprirla, controllò nuovamente l’orologio da taschino. Dal momento in cui Ofelia aveva lasciato la stanza erano passati undici minuti e 20 secondi; mentre si preparava aveva calcolato i suoi movimenti in modo tale da evitare sprechi di energia e recuperare un po’ di tempo.

Un’altra giornata era già cominciata e lui sperava che osservando la moglie nelle sue attività quotidiane avrebbe trovato una risposta e soprattutto un modo per esserle di nuovo indispensabile nonostante al momento si sentisse tutto fuorché utile.






 


N/A: Se siete arrivati a fine capitolo significa che molto probabilmente non siete su una spiaggia a godervi il cocente sole di Agosto e magari vi ho fatto un po' compagnia. 
Spero che la matassa di sentimenti ed emozioni che Thorn sta provando in questo momento non vi sia sembrata troppo confusa e di essere riuscita a illustrare quella che era la mia idea di base. 
Se il capitolo vi è piaciuto e volete farmelo sapere mi piacerebbe molto leggere i vostri commenti. 

Alla prossima! 💞

   
 
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