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Autore: JasonTheHuman    11/08/2021    0 recensioni
Umani.
Verità o finzione? Antica civiltà perduta o solo una vecchia favola dei pony?
Nessun pony ne ha mai visto uno, e molti non ne hanno neanche sentito parlare. Ma Lyra sa che queste creature meravigliose sono più di una vecchia leggenda, ed è determinata a scoprirne di più… e possibilmente far impazzire la sua coinquilina nel processo.
Genere: Avventura, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 20

DI NUOVO A CASA
 

Lyra stette lì congelata per un attimo. Non c’erano dubbi. Quell’umano era la stessa donna della sua foto. Aveva osservato quell’immagine ogni giorno, sin da quando aveva lasciato Equestria. Quella era la sua vera madre. E stava tenendo un cartello con sopra scritto il suo nome.

Si trovò a camminare verso di lei. Era quasi un movimento inconscio. 

“Tu s-sei…” Cominciò a dire.

La donna la osservò, come se non fosse quasi in grado di credere a quello che aveva davanti. “Lyra?”

Lyra riuscì solo ad annuire in risposta. Ricordò come si salutavano di solito gli umani, e offrì una stretta di mano, ma invece, sua madre le gettò le braccia attorno e la strinse in un forte abbraccio. 

Si staccarono lentamente, poi qualcosa attraversò per la faccia di sua madre. “I tuoi occhi…”

“Cos’hanno?”

“No, non è… niente,” disse lei. “Niente di cui preoccuparsi. Lyra…” Lei scosse la testa. “Quando tuo padre mi disse che ti aveva trovata, che aveva parlato con te, io non riuscivo a crederci.”

Lyra notò qualcosa. Guardò in giro, osservando tutti gli umani attorno a loro. “Ma lui dov’è?”

“È dovuto andare a prendere Chloe dal campo estivo, ma dovrebbero arrivare a casa non molto dopo di noi.”

“Mia sorella.” Lyra  stava sorridendo. “Non vedo l’ora di incontrarla. Sai, sono abbastanza brava con i bambini. Sono così eccitata di incontrarla.”

La madre di Lyra annuì. “Ma finché non sappiamo per certo… Non vogliamo dirle chi sei. Chi pensiamo che tu sia. Se c’è ancora una possibilità che non sei…”

“Capisco,” disse Lyra, anche se non era vero. Mise una mano nella borsetta al suo fianco, e tirò fuori la foto incorniciata. “Um, io avevo questa foto, e — “

“L’ho vista nella mail… Ricordo questa foto. Era una delle cose mancanti dalla tua stanza.”

“Quindi questa è una prova, vero? Di cos’altro avete bisogno?”

“Lyra, naturalmente ti crediamo, ma è stato difficile per tutti noi. Avremmo dato di tutto per sapere cosa è accaduto quella notte.”

“Sì, anch’io,” disse Lyra. Si portò una mano alla cinghia e spostò il peso della borsa sulla spalla. “Vorrei potervi dire che è successo, ma…”

“Non ricordi.”

“Niente.”

“Hai idea di come ti sei ritrovata con questa?” Sua madre indicò il portafoto che Lyra stava tenendo di fronte a lei. 

La notte dopo la sua esibizione al Gran Galà. Lyra era ancora sveglia sul letto, la Principessa Celestia le aveva appena rivelato che la sua intera vita era una bugia. E poi Dewey, l’unicorno che aveva adottato una qualche creatura da un altro mondo, le aveva dato questa foto, e ciò le fece credere che le cose potessero girare nel verso giusto. E ora era quell’esatto momento che Lyra aveva desiderato ed aspettato da quando aveva cominciato il suo viaggio. 

“Io… non ricordo da dove venga,” sentì sè stessa dire. “Ce l’ho avuta da tutta la vita. È tutto quello che so.”

Lo sguardo di sua madre si adombrò, e sospirò. “Beh, è meglio comunque portarti a casa.”

“Oh, um — devo riprendere le mie borse. Se le sono prese prima di imbarcarmi,” spiegò Lyra.

“Non me lo sono dimenticato.” Lei si accorse dell’espressione di Lyra. “Non essere così preoccupata. Saranno al ritiro bagagli,” disse sua madre. La sua testa scattò all’insù per cercare le segnaletiche appese al soffitto. “Quest’aeroporto è un incubo. Siamo dovuti andare avanti e indietro un po’ di volte. Non diventa mai più facile orientarsi.”

“Sei stata già qui?” chiese Lyra. “Questo è stato il mio primo volo… in un aeroplano, almeno.”

Sua madre la guardò strano, ma solo per un momento. “Seguimi. Cerchiamo di non perderci.”

Il “ritiro bagagli” era una grande stanza con delle specie di nastri semoventi che vi serpeggiavano attraverso e trasportavano un mucchio di trolley. Molti sembravano uguali. Lyra cercò di ricordare l’aspetto del suo… Sperava che fosse lì. Quell’intero sistema non aveva senso — perché prendersi le sue cose se poi arrivavano qui assieme a lei?

Guardò per un po’ gli altri umani mentre sollevavano i bagagli dal nastro e li trascinavano via. La folla si stava lentamente diradando. 

“E, uh… Dove hai volato? Hai detto che sei già stata qui,” disse Lyra. Non levò gli occhi dal nastro dei bagagli per più di pochi secondi.

“Principalmente convegni, o cose del genere, ma siamo anche andati un po’ di volte in vacanza adesso che Chloe sta diventando abbastanza grande.”

“È sempre così? Con i controlli di sicurezza e il resto?” chiese Lyra. Un uomo si infilò proprio davanti a lei per ritirare il proprio trolley dal nastro. 

“Sono molto più stringenti di una volta. È difficile credere che siano già passati più di dieci anni.” Dal tono, Lyra intuì che avrebbe dovuto sapere di cosa stesse parlando, ma a quei tempi era ancora un pony.

Individuò il suo trolley — ora si ricordava come fosse fatto. Stava girando l’angolo verso di lei. Si preparò ad afferrarlo — doveva essere veloce. Il manico non era girato dalla sua parte… Quando le passò vicino, lo ruotò con entrambe le mani, e quindi chiuse le sue dita sul manico per issarlo su e metterlo a terra davanti a lei.

“Eccolo. Pronta ad andare?” chiese sua madre.

“C’è anche la mia chitarra,” le rispose. Non voleva perderla. Aveva presente la custodia meglio del suo trolley, quindi una volta che sarebbe arrivata…

“Ho sentito che sei una musicista.”

Lyra annuì. “Sì. Beh, la chitarra è circa nuova per me. Ho imparato da poco a suonarla.”

I suoi occhi erano ancora fissi su tutti i bagagli che continuavano a passarle davanti. La chitarra sarebbe stata facile da individuare grazie alla sua forma lunga ed irregolare. Senza contare che ce l’aveva avuta davanti gli occhi per settimane, mentre andava e veniva dalle prove. Le sarebbero mancate.

“Un’altra artista in famiglia. Ti ambienterai subito.”

“Lo spero,” rispose Lyra.

Individuò la chitarra di Nathan — la sua chitarra — e la tirò via dal nastro. Per un attimo aveva avuto paura che si fosse smarrita. Ora c’era tutto, ed era anche con sua madre. Sentì una forte emozione di sollievo.

“Abbiamo tutto. Pronta ad andare a casa, Lyra?” chiese sua madre.


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“Questa è… la nostra auto?” disse Lyra. Girò attorno alla macchina, esaminandola. Non era molto diversa dalle altre che aveva visto prima. Grossa. Rossa. Non la stessa della foto, ma quella era datata anni prima. 

“Certamente,” disse sua madre. Aprì una delle portiere dietro. “Puoi mettere le tue cose sul retro.”

Lyra fece scivolare tutto sul sedile posteriore, e quindi si sedette davanti. Sul lato destro, dato che gli umani guidavano sempre sedendosi a sinistra. Stava imparando. Questo veicolo apparteneva alla sua famiglia… I suoi altri genitori non avevano mai avuto una carrozza privata. Non che fosse necessario. A meno di non dover lasciare la città, tutto nelle città dei pony era a distanza di pochi passi.

Si trovavano in un edificio scuro proprio come quello in cui la madre di Audrey aveva parcheggiato nell’altro aeroporto. Stessi pavimenti, mura, tetti, tutti freddi e grigi. Era strano quanto fossero simili. Era quasi come se si trovasse ancora nella stessa città. Avendo viaggiato per centinaia di chilometri, Lyra si aspettava di trovare qualcosa di molto diverso. Pensava a quanto sembrassero molto più variegate le città che aveva visitato in Equestria, nonostante fossero relativamente vicine in termini di distanze.

Guidarono dentro all’edificio grigio per un po’, quindi uscirono sotto la brillante luce del sole. Era strano. Sentiva come se fosse molto tardi, ma probabilmente era perché si era svegliata presto quella mattina. 

Fu un bel viaggio per arrivare a casa dall’aeroporto. Attraversarono una città che — per quanto impossibile — sembrava anche più grande di Des Moines. Gli edifici erano molto più alti, e di tutti gli stili diversi. Uno era riflettente, praticamente un enorme specchio, e si trovava di fronte ad un’altra torre fatta di pietra grigia. Questa era la loro casa…

Esatto. È qui. Era già stata in questo posto, circa un anno prima. Nei suoi sogni… Questa volta però non ci sarebbe stata Bon-Bon a svegliarla, perché era davvero qui. Si sporse vicino al finestrino, piegandosi per riuscire a vedere in alto.

“Hai vissuto nello Iowa? Non ci sono molte grandi città lì, vero?”

Lyra fece spallucce. “Beh, non ci ho davvero vissuto… Voglio dire, non ricordo dove vivevo, esattamente. Io però… penso fosse una cittadina più piccola.” Il che era abbastanza fedele alla realtà — Philadelphia avrebbe fatto sembrare Manehattan un paesucolo arretrato, per non parlare di Ponyville.

Lesse i nomi sui palazzi, negozi, e ristoranti mentre ci passavano davanti. Quello che all’inizio pensava fosse un déjà vu, si rivelò essere più di una strana sensazione. Alcuni degli hotel avevano davvero gli stessi nomi di quelli nell’area di Des Moines. Come se fossero stati sradicati da una città e ripiantati qui. 

Guidarono attraverso la città per un po’ prima che gli alti edifici cominciassero a farsi più radi. Attraversarono un ponte su un fiume largo e brunastro, quindi lo costeggiarono per un po’ e poi si infilarono in un quartiere circondato da alberi. La vegetazione si fece più fitta a mano a mano che continuavano, con case sempre più rade e lontane tra loro. Era ormai una foresta, più che un villaggio. 

E finalmente arrivarono.

Lyra aveva già visto questa casa miriadi di volte, ma solo in foto. Improvvisamente era davanti a lei.

Appena la macchina si fermò, si slacciò la cintura e aprì la portiera. Uscì fuori sull’asfalto e stette lì.

Non era cambiato molto in quei quindici anni. La riconosceva ancora, dopotutto. Era così grande però — due piani, alquanto larga, e il vialetto era più lungo di quanto credeva. La foto non mostrava neanche tutti gli alberi che li circondavano.

“Siamo a casa, Lyra,” udì sua madre dire.


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Questa casa — la sua casa, Lyra realizzò — era bella. Veramente bella.

Entrò nell’ingresso che aveva delle scale su un lato. C’era una terrazza che la attraversava, e poteva vedere un passaggio per un’altra stanza al piano sopra. Direttamente davanti a lei riusciva a vedere tutto fino al salotto. La luce entrava dalle finestre larghe, filtrata dalle foglie degli alberi fuori. Poteva già stimare che fosse grande forse il doppio della casa di Audrey.

Entrando ancora di più, notò un quadro alla parete. Un grande drago rosso, seduto in cima ad una montagna di tesori. Non ne aveva mai visto uno da vicino, o nella sua caverna, ma sembrava abbastanza combaciare con le descrizioni che aveva sentito dagli altri pony. E i dettagli erano abbastanza accurati — anche se i draghi si presentavano in una grande varietà di forme e dimensioni. Nell’angolo, c’era scritto un nome — Selena M.

“È uno dei miei vecchi dipinti.” La madre di Lyra aveva notato che lo stava esaminando.

“Lo hai dipinto tu?” disse Lyra, indicandolo. Si girò a guardarlo meglio. “Come facevi a sapere come fosse fatto un drago?”

“È basato sui racconti di Tolkien. Hai letto Lo Hobbit?”

“No… Non lo conosco.” Lyra scosse la testa. Probabilmente era un libro umano. “Avevo sentito che eri un’artista.”

“Tuo padre e io condividiamo l’amore per il fantasy. È come ci siamo conosciuti, in verità, tanti anni fa,” disse sua madre. “Ho creato le copertine per i suoi libri, a partire da Voice in the Dark. Quello è stato il primo.” 

“Lo stavo leggendo…” disse Lyra. Ricordava quale fosse la copertina. “Quindi, um… Ricordo l’immagine su quello. Mi stavo chiedendo, hai mai… cavalcato un pony?”

Sua madre rise, un suono leggero. “Ho fatto un po’ di equitazione. È stato molto tempo fa.”

Lyra annuì. Non sapeva cosa rispondere.

“Perché lo chiedi? Tu vai a cavallo?”

“N-no. Certamente no,” disse Lyra. “è solo che… beh… non importa.”

Si affrettò a superare il quadro ed entrò in un'altra stanza.

Il soggiorno era spazioso tanto quanto l’entrata, la sensazione di apertura accresciuto dalle grandi finestre sulla parete di fondo. C’era un camino di ciottoli, e Lyra fu un po’ scioccata dal vedere la spada installata sopra. Stava per chiedere informazioni, ma notò qualcosa di ancora più strano sul tavolino davanti al sofà. 

“Cosa sono quelle?” chiese Lyra, allungando la mano con esitazione a prendere una delle piccole statuine, ma fermandosi vicino ad esse.

“Quelle sono di tua sorel — Sono di Chloe.”

“Oh… Sono sue?” disse con la voce scossa.

Pensava che fossero solo delle piccole figure di cavalli all’inizio. Cavalli bianchi, con una certa grazia, come la Principessa Celestia, anche se non assomigliavano molto ai pony di Equestria. Non erano così tozzi. Le facce erano diverse. Ma poi aveva notato i corni. 

“Lo sai come sono le bambine piccole. Circa tutti passano attraverso una fase degli unicorni, almeno per un po’,” disse sua madre. Lei rise. “Forse io non ci sono mai uscita.”

“Um… già.” Lyra sorrise nervosamente.” Io… Io penso di aver chiuso con gli unicorni però… e con la magia.”

Sua madre semplicemente annuì. “Lyra… Abbiamo davvero perso così tanto tempo insieme. Non eravamo lì con te quando avevi quell'età…” Il sorriso le era svanito dalla faccia.

A quell’età, Lyra era un unicorno che studiava magia, e che scopriva gli umani per la prima volta. Quanto era diverso questo posto? Era lì in piedi con un umano a parlare di come draghi e unicorni fossero solo storie inventate per intrattenere i bambini. Era come parlare con Twilight, ma alla rovescia. 

“Dopo che ti abbiamo perso… Beh, nessuno di noi due voleva ripetere di nuovo una cosa del genere, ma sapevamo di volere comunque un figlio…” 

“Non credo che quello che mi sia successo fosse normale.”

“Probabilmente hai ragione.”

Entrambi udirono la porta d’ingresso aprirsi, e sentirono dei passi veloci attraversare l’ingresso. Quindi una piccola bambina umana corse nel salotto… e si fermò appena vide Lyra. Si guardarono l’un l’altra, senza dire niente. 

“Chi sei tu?”

“Um… Io sono — ” Lyra non riuscì a trovare le parole.

“Chloe, ti abbiamo detto che avremmo avuto un ospite, non è vero?” disse la madre di Lyra.

Un uomo seguì la bambina dall’ingresso. Era alto, con una corta barba dello stesso colore grigio-argenteo dei suoi capelli, tagliata accuratamente in modo da incorniciare la bocca. Notò immediatamente Lyra.

“Sei qui…”

Lyra annuì. Non era sicura di cosa dire. Anche se non aveva mai incontrato nessuno di questi umani prima d’ora — e la parte più strana era ancora che loro fossero umani — qualcosa in loro sembrava così familiare. Accogliente.

“Chloe…” L’uomo ritrovò la voce. “Questa è Lyra. Starà con noi per un po’.”

“Perché i suoi capelli sono così?”

Lyra doveva ammettere che si stava chiedendo la stessa cosa. Sia sua madre che sua sorella avevano capelli castani scuri. “È — è perché… Mi piace questo colore, così me li tingo.” Le lanciò un sorriso nervoso. In un angolo della sua mente, valutò di imparare come usare la tintura, in modo da farli tornare al loro colore originale. 

“Chloe, perché non vai di sopra per un po’?” disse suo padre, piegandosi leggermente e mettendole una mano sulla spalla.

Chloe annuì, lanciò un’ultima occhiata a Lyra e quindi si diresse verso le scale.

Lyra girò la testa al suono dei passi sugli scalini. Svanirono in lontananza. Si voltò di nuovo verso suo padre e sua madre. Le facce erano le stesse della sua foto. Le prime vere facce umane che avesse mai visto. Finalmente, suo padre parlò. “È andato bene il viaggio?”

Lei si grattò il retro della testa. “È stato ok.” 

Lui guardò il sofà dietro di lei, e fece un segno verso di esso. “Prego, siediti pure. Mettiti comoda.”

Lei ubbidì. Si sentiva stanca, anche se era stata seduta per ore sugli aerei. Non era stato per niente rilassante, con tutto quel rumore e venendo sparati a centinaia di piedi per aria.

“Sono passati così tanti anni…” disse suo padre. Attraversò la stanza e si sedette davanti a lei. “Pensavamo che non avremmo mai saputo cosa ti fosse successo.” 

Con un po’ di fortuna, non l’avrebbero mai saputo. Diede un’altra occhiata agli unicorni giocattolo di Chloe che erano poggiati sul tavolo. “Vorrei sapere anch’io cosa sia successo… è come ti ho detto al telefono. Prima di stare con la famiglia di Audrey, non riesco a ricordare niente.”

“Come ci hai trovati?”

“Avevo un… amico. Randall. Suonavo con lui in una band,” disse Lyra. “Gli ho mostrato la tua foto, e ti ha riconosciuto. Dai libri. Quindi Audrey ha usato il suo computer e ha trovato degli articoli di giornale…”

Suo padre annuì. “Non ne parleremo con i media stavolta. Quando sei scomparsa, hanno solo reso le cose più difficili.“

“Siamo solo contenti che tu sia a casa ora,” disse sua madre, mettendo un braccio attorno a lei.

Lyra sorrise. “Sì, anch’io.” disse, e poi “Solo una cosa…”

“Sì?”

“Non ho mangiato niente tutto oggi. Avete qualcosa per pranzo?”


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I suoi genitori furono sorpresi dal sapere che era vegetariana. Lyra stava avendo problemi a decidere cosa mangiare, quindi prese una mela da un cestino di frutta in cucina. Non ne mangiava da un po’. Probabilmente da quando avevano finito l’enorme borsa che Bon-Bon era stata costretta a comprare.

Continuarono a parlare durante il pranzo. Ci vollero pochi minuti perché tutti si aprissero, anche se l’imbarazzo non svanì mai via del tutto. Gli disse tutto su Des Moines. Era l’unica cosa che voleva raccontare. Quindi, girò le domande su di loro. Ne aveva decisamente molte. 

“Quella spada sul camino…” disse lei.

“Quella è una storia interessante…” quella domanda portò un piccolo sorriso sulla sua faccia. “È un regalo di un fan. Ho dozzine di storie che potrei raccontare… ho scritto per molti anni, ormai. Prima ancora che tu nascessi.”

“Però, è un’arma…”

“La lama è smussata. Il tipo che me l’ha data possiede una fucina per il metallo, e voleva ricreare la spada di Errian per me. L’ho incontrato ad una convention.”

Lyra annuì. “Stavo leggendo i tuoi libri. Sembri davvero interessato alla… magia. Anche se non capisco davvero il perché.”

“Sono le cose che attirano la gente al fantasy. Tutti vogliono fuggire a volte, verso mondi più interessanti dei propri. Penso sia quello che ci ha aiutato.” Lui guardò dall’altra parte del tavolo, a sua moglie, e poi di nuovo verso Lyra.

Lei fissò la mela e notò come la sua forma sembrasse adattarsi perfettamente alla sua mano. “Forse, su questo, hai ragione.”


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Dopo pranzo, le mostrarono la sua stanza. La stessa dove dormiva da infante, secondo i suoi genitori. Era stata reammobiliata da allora, e non la usavano spesso. 

Suo padre poggiò il trolley alla porta. “Ti serve una mano a disfare le valigie?”

Lei scosse la testa. “No, non ho molto.”

“Allora ti lascio sistemare le tue cose, Lyra.” Le diede un ultimo sguardo, prima di girarsi ed uscire.

Lyra non era davvero sicura di cosa si sarebbe dovuta aspettare. Era solo una stanza, dopotutto.

Era ammobiliata in maniera standard, con un letto, una cassettiera e un comodino, il tutto in legno scuro e lucido. Niente di troppo lussuoso, ma comunque carino. La finestra si affacciava al giardino sul retro, che era composto principalmente da foresta. Ripensando alla stanza degli ospiti a casa di Audrey, e a come si era abituata ad addormentarsi con il suono occasionale di una macchina che passava o di una sirena, questo sarebbe stato invece più simile che mai ad Equestria.

Quindici anni fa — beh, a questo punto, quasi sedici — era stato proprio qui, qualcosa era successo e l’aveva teletrasportata al centro di Canterlot. Una bambina umana, la prima che si fosse vista in Equestra da più di un millennio. Un fatto significativo, nonostante lei finì presto col diventare una delle tante facce nella folla di Ponyville. 

Ma supponendo che non fosse mai successo. Se fosse restata qui. A crescere con i suoi genitori umani, a frequentare la scuola — che starebbe ancora frequentando, probabilmente — e a vivere la sua intera vita da umano a Philadelphia. 

Probabilmente sarebbe diventata come il resto della sua famiglia. Affascinata dalla magia, dai draghi, e… dagli unicorni. Completamente ignara di quanto fosse fantastico questo mondo a confronto. Molti degli unicorni che Lyra conosceva non erano così interessanti. Aveva alcuni amici in Equestria… Non  come qui, però. Anche se si era lasciata alle spalle Des Moines, ne avrebbe fatti di più qui a Philadelphia senza problemi.

Lyra si inginocchiò e cominciò a trasferire i suoi abiti dal trolley nei cassetti. Una volta finito, appoggiò la chitarra nell’angolo della sua stanza. La sua borsa piccola era ancora sul letto. Tirò fuori la foto e la posò sulla cassettiera. Dopo averci pensato un po’, estrasse la lira e la appoggiò accanto alla foto.

Una volta finito di sistemare tutto, Lyra si stese sul letto, con le mani dietro la testa, e fissò il soffitto. 

Era lì. Quella era la sua casa. Era tornata.

Suo padre scriveva libri sulla magia… e sulla guerra. Sua madre dipingeva quadri che sembravano di Equestria. E sua sorella più piccola era apparentemente ossessionata dagli unicorni.

La giornata era stata veramente estenuante. Non si accorse neanche del momento in cui si addormentò.


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Il dottore umano le stava puntando una luce brillante in un’occhio. Lyra strizzò gli occhi e cominciò a lacrimare. Dopo un po’, lui terminò e spense la luce.

Era solo il suo secondo giorno qui a Philadelphia. Lyra era alla sua prima visita medica da umana. Sedeva su un sedile imbottito che era stranamente comodo. La routine era la stessa dei dottori in Equestria. Lo studio era pure simile — fatta eccezione per alcuni diagrammi anatomici, che lei cercò di esaminare con interesse ogni volta che poteva. Schemi dettagliati del corpo umano. Cosa avrebbe dato per averli potuti vedere anni prima.

Il dottore, un giovane uomo con capelli scuri accuratamente pettinati e con degli occhiali dalla montatura sottile e squadrata, le chiese se aveva fatto vaccini per alcune malattie che non aveva mai sentito. Apparentemente gli umani potevano contrarre la “influenza suina”. Aveva quasi confessato di aver già preso l’influenza equina quando era piccola, ma si era fermata in tempo. Non le era ancora chiaro a quante malattie di altre specie fossero suscettibili gli umani. Le infilarono un po’ di aghi nella carne morbida di entrambe le braccia. Era stato anche più doloroso di farsi iniezioni da pony.

Ma sapeva la vera ragione per cui era stata portata qui. Beh, circa. Non capiva in che modo l’avrebbero fatto, ma…

“State cercando di capire se sono davvero Lyra Michelakos, giusto?”

Il dottore annuì. “Abbiamo già preso i campioni. Sono stati mandati al centro analisi e dovrebbero metterci un paio di settimane per avere i risultati.”

Stava parlando probabilmente di quei campioni che avevano preso dall’interno della sua bocca. Non aveva idea del perché lo stessero facendo. Forse gli umani usavano le pozioni, come Zecora. Quelle potevano sopperire alla magia in alcuni casi. Altrimenti, cos’altro avrebbero potuto farci?

Lui tornò in silenzio a scrivere qualcosa sulla sua cartella. Lyra era seduta sul lettino, con le dita aggrappate al bordo inferiore. 

“Questo è il mio vero colore degli occhi” gli disse Lyra.

“La tua famiglia ha una storia di occhi castani.”

“Beh, um…”

“Il color ambra non è molto comune. Non è interamente inaudito che i colori degli occhi cambino nei primi anni dopo la nascita, però è molto raro.”

“Sono… sempre stati di questo colore. Da quanto ne so.” Lei cercò di guardare qualsiasi cosa nella stanza che non fosse lui. 

“Lyra, ricordi —”

“Te l’ho detto, come l’ho detto a papà tante volte. Non ricordo niente prima di Des Moines.” 

“Vivevi lì?”

“Sì. Beh, più o meno. Un’altra famiglia mi ha ospitato per qualche settimana.”

Lui annuì, prendendo altre note. Lyra era infastidita dal fatto che non riusciva a vedere cosa stesse scrivendo. “Come sei arrivata in quella città?”

“Io, um…” Lyra esitò. “Ho camminato.”

“E da dove venivi?”

Lei sospirò. “È tutto quello che so. Non riesco davvero a dirti nient’altro.”

Il dottore scrisse ancora appunti sulla sua cartella. Non disse nulla. Lyra cominciò ad agitarsi, e tornò ad esaminare uno dei diagrammi appesi al muro. L’interno dell’orecchio umano. Si tastò il suo, di come fosse quasi rigido. Molto meno flessibile delle orecchie dei pony. Non aveva mai notato differenze significative nella sensitività, ma solo che era più difficile muoverle.

“Avete parlato con i tuoi… ah, genitori, della terapia?” La guardò da sopra gli occhiali.

Lei si girò a fissarlo direttamente. “Non sono pazza.”

Lui sorrise. “Nessuno di sta chiamando pazza. Siamo solo preoccupati del tuo stato emotivo. Di come ti stai adattando alla tua nuova vita.”

Le ultime tre parole catturarono la sua attenzione. “Cosa intendi con ciò?”

“Non ho personalmente molta esperienza con casi come il tuo, ma gli assestamenti quando i figli vengono riuniti con le loro famiglie perdute, possono essere difficili. Non solo per te, ma anche per i tuoi genitori. E specialmente per la tua sorella minore.”

“Oh. Sì, ha senso.”

“Senti di essere a casa quando sei con loro?”

Lei improvvisamente ricordò quelle statuine di unicorni bianche che aveva visto sul tavolo. Non somigliavano a nessuno di quelli che conosceva, ma erano troppo simili per essere ignorati. “Diciamo di sì.” 

“Buono a sapersi,” disse. “Anche se darò comunque il numero di uno psichiatra a tuo padre.” 

Lei sospirò. C’era un qualcosa nella maniera in cui diceva “tuo padre” che non la convinceva totalmente. L’aveva notato anche da parte dei suoi genitori — come se volessero crederle, come se se lo fossero ripetuto più e più volte, ma non ci credessero ancora del tutto.

“Voglio solo sapere di più di questo test. Quando mi diranno se sono davvero Lyra Michelakos?” E le avrebbe fatto anche piacere sapere cosa facessero esattamente, anche se le parole “test di paternità” sembravano essere abbastanza eloquenti per tutti gli altri. 

“Quei risultati dovrebbero arrivare in circa una settimana.”

Lei si sdraiò all’indietro, la sua schiena pressata contro lo specchio al muro. Solo un’altra settimana. E poi avrebbero avuto le loro risposte.

   
 
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