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Autore: Mr Lavottino    16/08/2021    7 recensioni
*STORIA AD OC*
Zoey si ritrova rinchiusa all'interno di un luogo sconosciuto, con in tasca una carta raffigurante una volpe. Scopre, purtroppo, che è vittima di un sadico gioco nel quale l'obiettivo è uccidere proprio la volpe.
Dal testo:
- C’era una volta una volpe dal pelo rosso lucente. La volpe era ben voluta all’interno del bosco ed era considerata la regina incontrastata di quelle terre. Nessuno osava mettere in discussione l’autorità della volpe, perché tutti la amavano ed erano soddisfatti del modo in cui regnava sul bosco.
Tuttavia, un giorno un lupo osò sfidare la volpe. La volpe, che era buona e caritatevole, decise di accettare la sfida del lupo. Organizzò quindi una competizione all’interno del bosco, alla quale avrebbero partecipato tutti gli animali, perché era giusto che tutti avessero le stesse possibilità di vittoria.
La competizione consisteva in una caccia, alla quale parteciparono diversi animali. Il primo che avrebbe ucciso la volpe sarebbe stato il vincitore ed avrebbe ottenuto il titolo di re del bosco. -
Genere: Horror, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altro personaggio, Duncan, Nuovo Personaggio, Zoey
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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Gli occhi di Zoey si spostavano assiduamente dalla schiena di Duncan al corpo martoriato di quello che una volta era stato Owen. La visione del sangue, dei pezzi di cervello, del cranio e di tutti gli altri piccoli inquietanti dettagli, che non voleva sforzarsi più di tanto di vedere, la fece vomitare di nuovo. Quattro volte nel giro di dieci minuti.
Duncan, dal canto suo, sembrava non curante del cadavere a pochi metri da lui, anzi pareva solo leggermente infastidito dall’odore di ferro e di marcio che pian piano si stava propagando per la stanza. Quasi come se Owen non fosse stato che un secchio dell’immondizia da svuotare. Ed in effetti, dal suo punto di vista, non era poi così tanto diverso.
- Hai intenzione di riprenderti o vuoi studiare il suo intero processo di decomposizione? – sbottò dopo un po’, indicando con il pollice il corpo. Zoey fece l’errore di seguire la traiettoria del dito e di guardare nuovamente Owen. Vomitò per la quinta volta, sotto lo sguardo stufo di Duncan.
Le ci vollero altri cinque minuti, poi finalmente trovò la forza di alzarsi e di dirigersi, a tentoni, verso la porta. Quando i due uscirono dalla stanza vennero avvolti dall’odore di chiuso e bagnato tipico del corridoio. E se di solito quell’odore di muffa dava a Zoey parecchio fastidio, quella volta lo respirò a pieni polmoni come avrebbe fatto con dei croissant alla crema appena sfornati.
- Dove andiamo? – domandò Zoey. Teneva ancora la schiena leggermente ricurva e la mano destra  sullo stomaco, così da bloccare eventuali ulteriori rigurgiti. Sapeva che anche solo il ricordo di quello che c’era nella stanza alle sue spalle avrebbe potuto farla vomitare di nuovo, ma soprattutto il pensiero che era stata proprio lei a chiedere che tale scempio accadesse.
- Dimmelo tu. Sei tu che hai le visioni. – Duncan la guardò inclinando leggermente la testa. Attese una risposta che arrivò con fin troppa attesa.
- Ecco, io – Zoey aprì la bocca e la richiuse all’istante. Cercò di soffermarsi su quegli strani flash che aveva avuto e cercò di capire meglio cosa fossero.
- Tu? – la incalzò Duncan, sempre più indispettito ad ogni minuto che passava. Batté leggermente con la punta del tubo sul pavimento per pulirlo dai rimasugli del cervello di Owen, noncurante del fatto che Zoey fosse sull’orlo di rigettare ancora quel poco di acido gastrico che le era rimasto nello stomaco. La rossa trasse un forte respiro e mandò giù l’acido, al costo di assaporare quell’odore disgustoso in bocca per la restante mezz’ora.
- Io non lo so. – scosse la testa, senza aggiungere altro. Duncan sbuffò sonoramente, poi prese a camminare nella direzione opposta a quella che avevano percorso prima di arrivare nella stanza.
- Ho capito, se mi affido a te moriamo entrambi. – sbottò, per poi invitarla con un gesto ad andare con lui. Zoey non poté far altro che ridacchiare nervosamente ed aumentare il passo per stargli affianco. Ora come ora, Duncan era la sua unica possibilità di rimanere in vita.
- Dimmi un po’, quindi tu non ti ricordi niente, giusto? – chiese lui, dopo quasi cinque minuti di silenzio tombale.
- No, non – Duncan le fece cenno con la mano di abbassare la voce – Oh, scusa, hai ragione. – Zoey si mise entrambi le mani sulle labbra, poi riprese – Non ricordo niente di niente. Però prima mi sono venuti in mente i croissant. – non sapeva bene il perché glielo aveva detto, forse perché a conti fatti quell’odore nella sua testa era l’unica cosa che la legava al passato.
- Questo che cazzo vorrebbe dire? – Duncan alzò un sopracciglio e la guardò stranito. Zoey ridacchiò sottovoce, con la stessa spensieratezza di una bambina della elementari e Duncan non poté che pensare a quanto fosse strana. Nemmeno dieci minuti prima stava vomitando e piangendo davanti alla visione di un cadavere ed ora era come se niente fosse accaduto.
- Che mi piace l’odore dei croissant. – Zoey alzò le spalle.
- Dio mio. – Duncan roteò gli occhi e scosse la testa. Sì, quella ragazza era veramente svampita. Passare dal chiedere disperatamente di uccidere una persona al parlare dei croissant non era affatto da persone normali.
- Piuttosto – iniziò Zoey – tu hai già ucciso in precedenza. – Duncan strabuzzò gli occhi.
- È una domanda? – inclinò la testa.
- No, è un’affermazione. – concluse lei. Vomito, croissant e omicidi. Il climax e l’anticlimax dei suoi discorsi raggiungeva vette davvero elevate.
- Diciamo che le mie esperienze le ho avute. – replicò, con un velo di mistero, Duncan.
- Che significa? – Zoey cercò di spostare il velo, ma a far la guardia c’era un vero e proprio lupo aggressivo, feroce e facilmente irritabile,
- Non aggiungo altro. – uno sbuffo.
- Però – il secondo sbuffo fu più forte e più secco.
- Ho detto che non aggiungo altro. – fu il tono, simile a quello con cui aveva parlato ad Owen, a far desistere Zoey e la sua curiosità.
- Va bene, ho capito. – non poté far altro che accettare la sconfitta. Stette in silenzio per qualche minuto, alla ricerca delle parole giuste per poter continuare a conversare. Rimanere zitta non faceva che aumentare le sue ansie e le sue paure. Proprio quando aprì la bocca, però, Duncan fece uno scatto in avanti.
- C’è una porta! – disse soltanto, per poi avvicinarsi rapidamente. Era rossastra e, come quella che avevano visto prima, tutta arrugginita. Duncan le fece cenno di avvicinarsi a lui, la afferrò per una mano, sotto l’imbarazzo di Zoey, e poi abbassò lentamente la maniglia.
Ci fu un lungo cigolio, poi l’interno della stanza fu visibile ai loro occhi. Era abbastanza spaziosa, con al centro un quadrato formato da nove colonne rettangolari, alte un metro circa, poste su tre righe da tre l’una e a mezzo metro di distanza fra di loro, proprio come se fossero lì per un rituale. E Duncan quell’ipotesi la tenne subito a mente. Mosse un ulteriore passo all’interno e notò che ogni colonna, sulle rispettive quattro facce laterali, aveva inciso il volto di un animale. In cima, invece, c’era un piccolo rettangolo incavato con al centro una piccola lucina rossa.
- Che cos’è questo posto? – domandò Zoey, guardandosi attorno come se fosse finita in un cimitero abbandonato. Non le piaceva per nulla quella stanza. L’illuminazione, una luce che dal soffitto illuminava proprio le nove colonne, le dava ancora di più quella sensazione di pericolo.
- Non ne ho idea, mise sembra una di quelle mostre di Dugiamp che mi portavano a visitare alle medie. Una palla assurda. – sbottò Duncan,
- Duchamp, si dice Duchamp. – lo corresse Zoey, ottenendo come risposta uno sguardo seccato. A lei non rimase che constatare quando fosse permaloso.
Duncan superò le colonne ed i suoi occhi caddero sul leggio, simile a quello della stanza precedente, e sull’armadio che occupava tutta la parete pieno di libri, tutti con la copertina gialla.
Un particolare, però, attirò la sua attenzione. Il leggio aveva un microfono che spuntava dal legno, proprio come quello che aveva visto nella chiesa di Montreal quando a sette anni sua madre l’aveva costretto ad andare al matrimonio di suo zio. Seppur titubante, Duncan si avvicinò al leggio e lo osservò con attenzione. Il piedistallo su cui era attaccato il microfono aveva un bottone premuto su off e lui, senza pensarci due volte, lo spostò su on.
Si limitò a toccare due volte il microfono con la punta dell’indice, per richiamare l’attenzione di chiunque potesse sentirlo. Attese qualche secondo senza ricevere nessuna risposta. Spazientito, fece per parlare, ma Zoey gli afferrò la maglietta e lo tirò a se.
- Duncan, stai attento. Non sappiamo chi ci può ascoltare. – la sua paura era che quel microfono fosse collegato alle casse dell’intera struttura e che parlando avrebbe potuto, in qualche modo, rivelare la loro posizione agli altri. Duncan schioccò la lingua al palato, fece un cenno di assenso con la testa e si avvicinò al microfono piegandosi in avanti tenendo le braccia distese sui bordi del leggio.
- C’è nessuno? – chiese con un filo di voce. Inizialmente non accadde nulla, poi si sentì un lieve rumorino ed infine una voce rispose. La stessa che avevano sentito dalla cassa, quella che aveva dato inizio al gioco.
- Dimmi figliolo. – non aggiunse altro.
- Puoi sentirmi solo tu? – domandò subito Duncan, sotto consiglio di Zoey.
- Sì, solo io. – quella risposta lo aiutò a calmarsi – Dimmi pure ciò che vuoi sapere, cercherò di rispondere a tutto quello che posso. –
- Mi fa piacere saperlo. – Duncan si lasciò andare ad un ghigno – Dove siamo e, soprattutto, perché siamo qui? –
- Siamo nel covo della volpe per volontà della volpe stessa. – Duncan guardò Zoey, che si limitò ad alzare le spalle. Erano entrambi visibilmente confusi da quella risposta pragmatica.
- C’è un modo per uscire da qui senza uccidere la volpe? – chiese poi, sperando in una risposta più concreta che, effettivamente, arrivò.
- Sì, un modo c’è. – ci fu un attimo di attesa, nel quale Zoey, piena di euforia, guardò Duncan – Dovete radunare tutte e nove le carte ed appoggiarle sulle colonne. In questo modo si aprirà un passaggio e tutti i cuccioli potranno andarsene liberamente, senza però ottenere la loro ricompensa. – spiegò la voce.
- Bene, almeno so di non dover per forza fare una strage. – constatò Duncan.
- C’è altro che vuoi chiedermi? – domandò la voce.
- Chi è davvero Zoey? – Duncan  guardò la rossa di soppiatto.
- Lei è la volpe. – rispose, senza aggiungere niente.
- Okay, fin lì c’ero. Non puoi essere più specifico? – tutte quelle rispostine pragmatiche lo stavano facendo innervosire. Nessuna risposta da parte della voce. A quel punto Zoey si avvicinò al leggio ed incominciò a parlare.
- Ehm, scusi, posso sapere chi è lei? – chiese, cercando di essere la più educata possibile.
- Oh, volpe, che piacere udire la tua voce! Io non sono che un tuo umile servitore. – la voce dell’uomo si riempì di commozione, come se stesse parlando con il Papa in persona.
- Se sei un mio servitore, allora ti chiedo di fermare il gioco. – Zoey provò il tutto per tutto.
- Non posso farlo, perché sei stata tu stessa a dirmi di lasciarlo finire. – Duncan e Zoey si guardarono negli occhi sempre più straniti.
- Scusami, temo di non aver capito. – replicò Zoey, venendo però ignorata dalla voce.
- Lupo, c’è altro che vuoi chiedermi? – Duncan sbuffò, fece scansare Zoey e si avvicinò al microfono.
- No. – detto ciò, fece per spegnere il microfono, ma la voce lo fermò.
- Caro lupo, perché non vuoi uccidere la volpe? – Duncan rimase immobile con il dito sul pulsante. Ci pensò qualche secondo prima di rispondere.
- Perché, mi chiedi? – soffiò via un po’ d’aria dalla bocca e si mise a pensarci seriamente.
- Potresti ottenere tutto ciò che desideri e, inoltre, permetteresti anche agli altri di ottenere lo stesso. Sarebbe la scelta più saggia ed opportuna. – continuò la voce, lasciandolo di stucco. Duncan guardò Zoey e si accorse subito dell’espressione cupa e tetra che le si era impressa in volto.
- Non hai tutti i torti. – ammise scuotendo la testa. Zoey per poco non morì di infarto. Già si vedeva ridotta nelle condizioni di Owen.
- Allora perché non la uccidi? – Duncan strinse con forza il tubo, dopodiché si lasciò andare ad una lunga, grassa ed inquietante risata.
- Io sono libero. – disse – Io sono libero da tutto e da tutti. Ho promesso a me stesso che non avrei mai più obbedito agli ordini degli altri. Che siano persone o la società intera. – tenne lo sguardo fisso verso il pulsante.
- Non ti interessa nemmeno del tuo desiderio più grande? – domandò la voce.
- Per avere un cappio non ho bisogno che me lo dia tu. – detto ciò, schiacciò il pulsante e spense il microfono.
 
 
Kaylee continuava, di tanto in tanto, a guardarsi attorno. L’idea che quella voce che aveva sentita non fosse stata una coincidenza, ma bensì un messaggio indirizzato direttamente a lei, la metteva alquanto in soggezione. Non che ciò fosse impossibile, perché sapeva perfettamente dell’esistenza dei poteri e, tutto sommato, l’idea che ne esistesse uno in grado di far recapitare messaggi telepatici non era poi così tanto campata per aria.
Notando il modo maniacale e scrupoloso con il quale si guardava attorno, Luke non perse nemmeno un secondo per infastidirla.
- Che c’è, senti altre vocine nella testa? – si lasciò andare ad una risatina sottovoce, ma forte abbastanza da essere sentita anche da lei. La bionda da prima spalancò la bocca, come se volesse rispondergli a tono, poi cacciò un lungo sospiro e scosse la testa.
- Per adesso no. – puntò gli occhi azzurri verso il pavimento e si guardò la punta delle scarpe rossastre.
- Dite che dovremmo cercare gli altri? – chiese Mark. L’idea di essere in più persone possibile lo allettava particolarmente, ma al tempo stesso non voleva che ciò accadesse. Le brutte esperienze delle superiori lo avevano portato ad odiare gli agglomerati di persone.
- Più siamo meglio è, su questo non c’è dubbio. – rispose Luke – Tuttavia – si fermò per un istante. Portò lo sguardo verso il corridoio buio nel quale si stavano avventurando e rimase come incantato dal gioco di luci ed ombre che le lampadine gli mostravano – qualcosa mi dice che non è la migliore delle idee. – concluse poi, dopo aver messo apposto le sue idee.
- Su questo sono d’accordo. – Kaylee gli dette man forte – Vogliamo tutti uccidere la volpe, ma non possiamo sapere come gli altri intendano farlo e, soprattutto, se non ci sono variabili di cui non siamo a conoscenza. – specificò poi.
- Variabili x e variabili y. Cazzo, il liceo l’ho finito da un bel po’, non riportarmi alla mente quelle cazzate. – sbottò Luke, ripensando alle lavagne nere impregnate di gesso in improbabili grafici di funzioni tutt’altro che comprensibili. Non a caso, era uscito di scuola con un misero sessantaquattro.
- Spiegati meglio. – Mark la guardò con un’espressione corrucciata in volto.
- Te la metto così: supponi che qualcuno abbia deciso di partecipare solo per uccidere gli altri. Il suo scopo è solo quello di ammazzare gente a caso. – le parole di Kaylee lasciarono i due spiazzati.
- Dici davvero che potrebbe esserci un pericolo del genere? – domandò Luke.
- Ah, non ne ho idea. Sto solo sondando tutte le ipotesi possibili. – alzò le spalle – O le variabili. – aggiunse poi, guardando Luke con un sorrisetto in volto.
- Quindi, in poche parole, mi stai dicendo possiamo fidarci solo fra di noi. – dedusse Mark. Si lasciò andare ad un lungo respiro, poi appoggiò la schiena al muro freddo e portò gli occhi verso la luce tentennante sul soffitto.
- Neanche. – Kaylee scosse la testa – Potenzialmente, io stessa potrei essere una svitata vogliosa di ammazzare chi mi capita davanti. – Mark sgranò gli occhi, Luke si limitò a ridere.
- Quindi, secondo te, cosa dovremmo fare? – chiese Luke, guardandola di soppiatto.
- Fatemi vedere i vostri passati. – iniziò – Così facendo saprò se avete brutte intenzioni oppure no. – ci fu un attimo di silenzio, scandito solo dal rumore dei loro respiri asincroni.
- Ma che cazzo ti sei fumata? – obiettò immediatamente Luke. Si fece di un passo indietro e la guardò come se fosse una pazza.
- Sto cercando di capire se posso fidarmi di voi, tutto qui. – Kaylee portò le braccia al petto ed iniziò a tamburellare con le dita sui suoi avambracci in attesa di una risposta.
- No, no, no. Non ci sto assolutamente. I motivi per cui sono qua dentro sono esclusivamente cazzi miei. Non ti lascerò spulciare nella mia testa. – Luke scosse la testa con forza e guardò la ragazza assottigliando gli occhi. Non le avrebbe permesso in nessun modo di avvicinarsi, né tantomeno di toccarlo. Era pronto anche ad aggredirla se necessario.
- Per me non ci sono problemi. – Mark si scostò dal muro e tese la mano verso Kaylee. Luke lo guardò con gli occhi sgranati.
- Ma sei scemo? Vuoi davvero fidarti di questa qui? – obiettò.
- Non ho nulla da nascondere. – Mark puntò gli occhi scuri verso Luke mantenendo un’espressione seria. Luke, compresa la sua determinazione, non poté far altro che sbuffare ed allontanarsi di qualche passo smanettando.
- Fa come cazzo ti pare. – sbottò poi, prima di appoggiarsi al muro di peso. Puntò gli occhi sulla mano di Mark in attesa che Kaylee iniziasse. La bionda, dopo qualche istante di incredulità, rivolse a Mark un sorriso, poi allungò la sua mano e strinse quella del ragazzo. Non pensava che sarebbe riuscito ad incastrarlo in quel modo, certamente il suo discorso era veritiero, c’era davvero il rischio che qualcuno di loro decidesse di dedicarsi ad un bagno di sangue, ma le probabilità erano alquanto spicciole. In fin dei conti quella diatriba serviva più per convincerli a farle leggere i loro passati o meglio, per capire come la sua abilità funzionasse all’atto pratico.
Nel momento in cui i palmi delle loro mani entrarono in contatto, Kyalee trasse un respiro profondo e chiuse gli occhi. Si sentì come catapultata all’interno di un’altra stanza e, quando riaprì gli occhi, si rese conto di essere dentro ad uno spazio indefinito completamente bianco, talmente lucente da farle quasi male agli occhi. Il completo opposto rispetto al corridoio buio e tetro.
Si guardò attorno per un po’, senza riuscire a vedere nulla oltre il bianco tepore che la circondava. Sembrava quasi fumo, ma non poteva né toccarlo, né sentirne l’odore. Provò a scacciarlo da davanti con un gesto della mano, ma non si mosse di un millimetro, come se fosse parte stessa dell’aria.
Poi, all’improvviso, davanti a lei apparve una porta marrone con i cardini e la maniglia dorati. Passò una mano sul legno marrone scuro e pian piano scese con le dita fino a toccare la maniglia. La aprì, non senza qualche attimo di esitazione, poi entrò dentro venendo investita da un fascio di luce fortissimo.
 
Si ritrovò all’interno di una casa, circondata da mobili pieni zeppi di oggetti che le apparivano sfocati e da una nebbia fitta che le impediva bene di vedere alcune zone dell’appartamento. Kaylee si guardò attorno e subito si accorse delle due figure sedute su una poltrone a pochi metri da lei. Uno era un signore anziano, dai, pochi, capelli bianchi e dalla carnagione scura, l’altro era un bambino di poco più di otto anni, che stava seduto sul bracciolo.
- Abuelo, i ragazzi a scuola mi prendono in giro. – disse il bambino. Le parole arrivarono alle orecchie di Kaylee come ovattate, sembrava quasi che fra di loro ci fosse un sottile muro invisibile che le impediva di sentire bene.
- Chico, non ti preoccupare. – lo consolò il nonno, con uno marcato accento spagnolo – Quei ragazzi sono solo invidiosi di te, perché tu sei speciale! – l’anziano arruffò i capelli del bimbo, che iniziò a ridere.
- Grazie abuelo. – il bambino abbracciò il nonno.
Poi, tutto d’un tratto, l’immagine sparì e Kaylee si ritrovò in un campo durante una giornata piovosa. Le bastò guardarsi meglio attorno, seppur lo sfondo fosse tutto sfocato, per capire dove si trovasse: era ad un cimitero.
Il bambino di prima stava piangendo appoggiato ai piedi di una tomba in cemento che recitava “Qui giace Raul Ramirez, padre, nonno e persona meravigliosa”. Kaylee sentiva la pioggia batterle addosso, anche se non la bagnava.
Accadde la stessa cosa di prima, si sentì trasportata da un’altra parte, questa volta una scuola. Era circondata da armadietti rossi, da un pavimento giallognolo e da file di ragazzini che camminavano avanti ed indietro per i corridoi.
Davanti a lei c’erano quattro ragazzi che stavano picchiando un ragazzo della loro età. Kaylee non ci mise molto a capire di chi si trattasse. I quattro lo colpivano e lo deridevano, senza che nessuno cercasse di intervenire. Né gli studenti, né tantomeno gli insegnanti.
- Tornatene  nel tuo paese! – urlò uno dei bulli.
- Sì, qui nessuno ti vuole. – aggiunse un altro. Il ragazzino non poté far altro che scoppiare a piangere e coprirsi la faccia con entrambi i bracci mentre le lacrime scendevano fino a bagnargli la camicia rossastra.
Dopo aver riso della sua condizione, i quattro iniziarono a prenderlo a calci e schiaffi senza che nessuno facesse niente per fermarli.
L’immagine cambiò ancora, questa volta, però, fu più veloce. Vide il ragazzo prima spintonato, poi un’altra scena dove gli infilavano la testa nel cesso, poi un’altra dove lo picchiavano, una dove lo prendevano a pallonate ed un’altra ancora in cui giocavano a freccette tenendo il bersaglio appeso sulla sua schiena.
Kaylee si ritrovò all’interno di una piccola casa diroccata, con le finestre crepate, i muri scrostati ed i mobili graffiati. La sua attenzione cadde sulla cucina trasandata a pochi metri da lei. Fece qualche passo ed incominciò a sentire delle urla forti e chiari rispetto a quelle ovattate di prima.
- Non possiamo continuare a vivere qui! – urlò il ragazzo, agitando le mani con foga.
- Non abbiamo i soldi per andare a vivere da un’altra parte. Quello che possiamo permetterci è solo questo squallido appartamento. – suo padre, un uomo pelato e dalla barbetta incolta mezza nera e mezza bianca, rispose tenendo la gli occhi fissi sul tavolo.
- E allora cercate di fare soldi! – obiettò il ragazzo. Il padre colpì con forza il tavolo e poi si alzò in piedi tenendo gli occhi scuri incollati contro quelli del figlio. Era come se stesse guardando se stesso da piccolo.
- Tua madre fa tre lavori, io ne faccio altri due. Qui l’unico che non fa niente sei tu! Lo capisci in che situazione siamo? Se non troviamo i soldi, fra tre mesi rispediranno me e tua madre in Messico. – disse, per poi prendersi una breve pausa, come in attesa di una risposta che, però, non arrivò mai – Ah, ma a te frega solo della tua Harley, giusto? Ti importa solo di buttare lo stipendio dell’unico lavoro che tu abbia mai fatto per permetterti una stupida modo. Dannazione, Mark, ormai hai quasi vent’anni. Vedi di crescere!
Kaylee, a quel punto, si ritrovò in una piccola stanza grigia che ricordava fin troppo bene. L’immagine era parecchia nitida, tanto che riusciva a distinguere tutti gli arredi attorno a lei. C’era una riproduzione de “L’urlo” di Munch, un certificato di Laurea ad un’importante scuola privata e qualche altro quadro troppo sgranato per poter essere riconosciuto. Alle sue spalle c’era lo stesso lettino sul quale si era seduta anche lei e, a qualche passo di distanza, lo stesso dottore.
- Quindi accetti di partecipare? – domandò il dottore. Questo teneva i gomiti appoggiati al braccio e le dita delle mani intrecciate fra di loro. La sua faccia, tuttavia, non era distinguibile, Kaylee vedeva solo un grosso alone nero che gli circondava completamente il volto.
- Sì, accetto. – rispose il ragazzo, evitando accuratamente di guardarlo negli occhi.
- Ed in cambio, se tutto dovesse andare bene, vuoi dei soldi. – il dottore sciolse le dita dall’intreccio e le portò allo stetoscopio appeso al suo collo.
- Tanti. – il ragazzo non aggiunse altro.
- Va bene. – il dottore gli tese la mano e lui, non senza qualche istante di esitazione, la afferrò.
 
Quando Kaylee tornò alla normalità si sentì come se stesse per affogare. Respirò affannosamente cercando di riempire il più possibile i suoi polmoni con l’aria. Inspirò ed espirò per quasi un minuto intero, sotto gli occhi vigili e preoccupati di Mark e Luke.
- Non hai una bella cera. – la sfotté Luke. Kylee si asciugò la fronte con una mano e buttò indietro una ciocca di capelli biondi mossi – Allora, che cosa hai visto? Il nostro Mark è la reincarnazione di Jason di “Venerdì 13”? – aggiunse poi, in attesa che la bionda si riprendesse del tutto.
- Ovviamente non te lo dico. È un segreto professionale. – disse a bassa voce, cercando di riprendersi dai crampi allo stomaco che le stavano attorcigliando l’intestino. Non si aspettava di sentirsi così male.
- Esatto, preferirei non si sapesse in giro. – Mark le dette le spalle per l’imbarazzo. L’idea di confidare i suoi più grossi traumi ad un’altra persona, che fra l’altro nemmeno conosceva, non era forse stata la mossa migliore, ma in cuor suo sentiva come se il peso che portava da diverso tempo si fosse un tantino alleggerito.
- E così sarà. – replicò prontamente Kaylee rivolgendogli un sorrisetto. Non senza qualche difficoltà, si tirò su tenendosi appoggiata con una mano al muro – Su, adesso tocca a te. Fai il coraggioso. – Kaylee tese la mano libera verso di Luke, che la guardò come se fosse un coltello puntato alla sua gola. Poi il moro alzò il pollice ed iniziò a parlare.
- Per prima cosa, se facessi di nuovo una cosa del genere, molto probabilmente, ci rimarresti secca. – alzò anche l’indice – Seconda cosa, è più probabile che la volpe esca fuori a caso da una stanza qui vicino piuttosto che io ti lasci leggere il mio passato. – sollevò il medio – Terza cosa, muoviamoci. Abbiamo perso abbastanza tempo per stare appresso alle tue cazzate. –
 
 
- Mi sentite? Ehi, riuscite a sentirmi? Oh, giratevi, dannazione!
Jasper si girò di colpo verso di Seth. Lo guardò con un sopracciglio alzato cercando di capire se il riccio avesse parlato davvero o se fosse stata solo la sua immaginazione. Provò a balbettare qualcosa, ma dalla sua bocca non uscirono che delle vocali accennate. Fu proprio quel brusio a far voltare Alan.
- Oh, vedo che finalmente vi siete girati. – Seth trasse un sospiro di sollievo e si incamminò verso di loro – Questa è la mia abilità. Posso comunicare con tutte le persone con cui mi guardo negli occhi. – spiegò, come se fosse un cosa elementare.
- Cavolo, per un attimo ho pensato di essere pazzo. – rispose Jasper, per poi lasciarsi andare ad un sorrisetto. Alan rimase immobile. Lui non aveva sentito la voce. Si considerò fortunato di aver al suo fianco Jasper, che era talmente impacciato da poter essere utile in momenti come quelli.
- Scusate, mi andava di testarla. Inoltre questo può essere un modo per farvi fidare di me. Adesso sapete del mio potere. – spiegò Seth gesticolando e sorridendo al tempo stesso. Alan capì perfettamente dove volesse andare a parare. Di viscidi come lui nella vita ne aveva visti tanti, ma lui in particolare aveva, per qualche strana ragione, un aspetto fin troppo familiare.
- Non che la cosa mi interessi. – ribatté Alan. Non voleva nemmeno provare a fare l’amicone, sentiva in cuor suo che quel Seth sarebbe stato solo un impiccio per lui e, per di più, già si pentiva di aver rivelato a Jasper di non voler uccidere la volpe.
- Ma forse a Jasper sì. – Seth si avvicinò al biondo e gli appoggiò le mani sulla spalle. Jasper si sentì in soggezione, i trenta centimetri di differenza fra loro gli sembrarono quasi un metro.
- Beh, ecco, sicuramente è un’informazione utile. – balbettò il biondo, stregato dagli occhi chiari dell’altro. Alan si morse un labbro e quel piccolo gesto non sfuggì all’occhio vigile di Seth, che prontamente lo guardò e gli sorrise.
- Se non risulto scortese, potreste dirmi le vostre abilità? – chiese il riccio, mantenendo l’espressione fintamente cordiale in volto. Jasper guardò Alan, in attesa di una sua opinione, ma il moro rimase impassibile con gli occhi puntati contro quelli di Seth in un gioco di sguardi tutt’altro che amichevole.
- La mia mi permette di segnalare la mia posizione agli altri. – spiegò Jasper. Sia Seth che Alan lo guardarono. Seth stava già cercando di capire in che modo usare il suo potere, Alan, d’altro canto, aveva la certezza di doversi allontanare da lui immediatamente. Portarlo con se sarebbe stato troppo pericoloso.
- Uh, davvero interessante. Può essere utile per stanare la volpe. – Seth si crogiolò in dei complimenti finti che, paradossalmente, servirono solo a dare ancora più certezze ad Alan. Doveva assolutamente andarsene.
- Io la mia non la so. – mentì spudoratamente Alan. Nemmeno provò a risultare credibile.
- Particolare. – asserì Seth, che di bluff se ne intendeva parecchio. Il riccio si passò la lingua sulle labbra e si lasciò andare ad un sorrisetto – Questo però può essere un problema. – aggiunse infine.
- Che intendi dire? – Alan inclinò la testa da un lato.
- Come possiamo fidarci di te se non ci dici la tua abilità? – domandò Seth, tenendo impresso in volto un sorrisetto tutt’altro che amichevole. Ormai Alan lo aveva capito di che pasta era fatto quel tipo, così come aveva capito che per lui non c’era modo di tenere Jasper dalla sua parte.
- Hai ragione. – Alan scosse la testa in segno d’assenso – Non posso stare con voi, potrei esservi di intralcio. – detto ciò, indietreggiò di qualche passo.
- Ma no, Alan! Non importa. – Seth capì l’andazzo e cercò di sistemare la situazione senza dover ricorrere alle maniere forti. Non capiva il perché Alan volesse intraprendere quel gioco psicologico, ma era più che sicuro che ci fosse qualcosa sotto. Quel ragazzo era fin troppo sbrigativo.
- Abbiamo idee diverse. Obbiettivi diversi. – Alan assottigliò gli occhi - Preferisco non darvi fastidio, io andrò per la mia strada e voi per la vostra. – detto ciò, dette loro le spalle e se ne andò.
Seth, sulle prime, pensò di seguirlo, poi guardò Jasper e capì che, forse, era meglio così. Adesso aveva una pedina da usare a suo piacimento e nessuno che potesse in alcun modo ostacolarlo.
- Cosa facciamo adesso? – Jasper, che fino a quel momento era rimasto fermo come una bambola di pezza a guardare il loro battibecco. Tenne gli occhi azzurri fissi verso la schiena di Alan che spariva nel buio dei corridoi.
- Cerchiamo gli altri. – iniziò Seth – Più siamo meglio è, dico bene? – fece l’occhiolino verso l’altro che, dopo un secondo di esitazione, scosse la testa in un cenno positivo. Seth sorrise. Non voleva da subito passare per un capo, preferiva limitarsi a dare a Jasper libertà di scelta, ovviamente fra le opzioni che decideva lui, per far in modo di avere la sua fiducia.
- Hai ragione. – Jasper fece un passo in avanti, ma Seth si girò nella posizione opposta a quella dove era andato Alan. Prima di giocare all’acchiapparella con Alan aveva altri piani in mente. Ed uno di questi richiedeva di sapere tutti i poteri degli altri animali.
Seth, con il volto coperto dal buio, sorrise. A breve sarebbe diventato un dio.
 
 
ANGOLO AUTORE:
Spero che abbiate passato tutti un buon Ferragosto! Ah, comunque ciao a tutti!
Ho finito la stesura della trama (adesso devo solo scriverla LOL). Penso però che, forse, farò come feci con House of memories l’anno scorso. Ovvero che inizierò a pubblicare con regolarità solo dopo Settembre. Ancora non so, per adesso scrivo quando posso, ma fra lo studio e il lavoro l’impresa è bella ardua.
Torniamo a noi. Iniziamo a svelare i vari background dei pg, iniziamo con le prime liti e, soprattutto, capiamo robe. O forse le capisco io che già solo come va a finire LOL.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, scusate se sono sbrigativo, ma necessito di una doccia al più presto ;-)
Alla prossima!
   
 
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