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Autore: RedLolly    24/08/2021    2 recensioni
Era strano il mese di marzo. La giornata era iniziata con un pallido sole che si stagliava alto nel cielo azzurro poi, nel giro di poche ore, un vento insistente e freddo aveva radunato un manto di nubi scure che avevano iniziato a riversare una delicata pioggia sulle campagne di Resembool. Sì, marzo era proprio un mese strano.
Edward Elric afferrò la maniglia e aprì la porta con una veemenza in realtà non necessaria. Uscì di casa muovendosi spasmodicamente come se stesse emergendo da un’immersione in apnea e potesse finalmente prendere una boccata di aria e riempirsi i polmoni di ossigeno. Pioveva? Tanto meglio. Aveva bisogno di una rinfrescata, di sentire quell’acqua purificare la sua pelle e scorrere tra i suoi lunghi capelli. Per un attimo aveva bisogno di fare il vuoto nella sua testa. [...]
Era qualcosa di insostenibile perfino per lui, lui che si era sempre considerato coraggioso, testardo e risoluto… Era veramente scappato dalla sua stessa casa? Non che avesse fatto molta strada, lì sostenuto da quella recinzione.
Non seppe dire, preso com’era dal tentare di riprendere un minimo di autocontrollo sotto quella pioggia fredda, dopo quanto tempo Alphonse Elric lo raggiunse.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, May Chang, Winry Rockbell | Coppie: Edward/Winry
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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NOTE DELL’AUTRICE (IMPORTANTI):

sono di nuovo qui ad ammorbare con una nuova ff su fma, ormai non ho più un freno. Voglio solo avvertire chi mi leggerà che questo lavoro innanzitutto è considerato un seguito della mia precedente OS MidSummer, ma può essere tranquillamente letto come un lavoro a se stante, la trama non dovrebbe risentirne particolarmente. Ci ho messo un po’ di tempo a pubblicare questo racconto a cui tengo moltissimo, in quanto per me è particolarmente intimo. C’è molto di me stessa qui dentro, dei miei pensieri, delle mie emozioni, del mio essere madre di un bambino piccolo che è la mia ragione di vita. Ci sono tante riflessioni che ho fatto durante il rewatch di questo anime/manga splendido, riflessioni che ora mi sembra di fare in modo molto più consapevole di quando guardai fmab per la prima volta: parlo del senso genitorialità, di  viscerale amore materno/paterno/fraterno, della propria vita, del parto, che purtroppo per me è stato un evento per nulla piacevole (non esagero nel dire traumatico e per cui in un primo momento ho avuto anche dei sensi di colpa dato che non era andato come da aspettativa, complice sicuramente il giudizio altrui.) e che qui dentro ho quasi inconsapevolmente esorcizzato, buttando fuori delle cose che ho tenuto in me stessa. Mi scuso per questa filippica sicuramente noiosa, ma erano delle spiegazioni che dovevo dare sul perché di una ff un po’ particolare come questa.

In più ho pensato che potrei ampliare un po’ il mio progetto di OS su fmab con altre due storie, sempre sullo stesso filo di trama e con due tematiche: le stagioni e gli elementi. Se per MidSummer la stagione era l’estate e l’elemento il fuoco, per Child of my Heart sono la primavera e l’acqua. Vedrò se riuscirò a creare anche il resto con l’autunno/aria e l’inverno/terra.

Grazie per aver letto queste note fino qui.

RedLolly 

PS: I personaggi di questa storia ovviamente non mi appartengono, ma sono della maestra Arakawa.

 

 

 

 

 

 

 

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Era strano il mese di marzo. La giornata era iniziata con un pallido sole che si stagliava alto nel cielo azzurro poi, nel giro di poche ore, un vento insistente e freddo aveva radunato un manto di nubi scure che avevano iniziato a riversare una delicata pioggia sulle campagne di Resembool. Sì, marzo era proprio un mese strano.

Edward Elric afferrò la maniglia e aprì la porta con una veemenza in realtà non necessaria. Uscì di casa muovendosi spasmodicamente come se stesse emergendo da un’immersione in apnea e potesse finalmente prendere una boccata di aria e riempirsi i polmoni di ossigeno. Pioveva? Tanto meglio. Aveva bisogno di una rinfrescata, di sentire quell’acqua purificare la sua pelle e scorrere tra i suoi lunghi capelli. Per un attimo aveva bisogno di fare il vuoto nella sua testa.

 

Solo una tregua, solo dieci minuti. Poi torno dentro, giuro che torno dentro.

 

Attraversò il cortile con passo malfermo fino alla staccionata di legno che delimitava la loro dimora, si appoggiò esitante a quello steccato che lui stesso aveva costruito tempo prima sentendo le assi già zuppe scricchiolare sotto il suo peso. Le braccia gli tremavano impercettibilmente, doveva calmarsi. Cercò di imporselo, emettendo dei lunghi sospiri e cercando di controllare il movimento del diaframma.

 

Inspira, Edward. Espira. Cazzo, non riesco a calmarmi, non ce la faccio!  

 

Strinse così forte i suoi pugni da sentire vibrare ogni fibra dei suoi muscoli. Eppure era sempre stato così semplice, lo aveva fatto mille altre volte: bastava concentrarsi per una manciata di secondi sul suo respiro per liberare la mente e il corpo e ritrovare il controllo, tuttavia in quel momento era un’operazione al di fuori della sua portata: il cuore batteva nel suo petto troppo velocemente, incontrollabile e indomabile, in balia di sensazioni contrastanti e totalmente incongruenti. Si sentiva felice, ansioso, preoccupato, impaziente, angosciato, tutto insieme, tutto nello stesso momento. Si chiese come potessero convivere in una stessa persona tutti quei sentimenti. Era qualcosa di insostenibile perfino per lui, lui che si era sempre considerato coraggioso, testardo e risoluto… Era veramente scappato dalla sua stessa casa? Non che avesse fatto molta strada, lì sostenuto da quella recinzione. 

Non seppe dire, preso com’era dal tentare di riprendere un minimo di autocontrollo sotto quella pioggia battente e fredda, dopo quanto tempo Alphonse Elric lo raggiunse. Il suo adorato fratello minore era tornato da Xing per loro, per lui, qualche settimana prima, era partito quasi immediatamente dopo aver ricevuto l’ultima delle sue lettere. Il bello era che Edward non era stato così sfacciato da chiederglielo, era partito di sua spontanea volontà, senza ricevere nessuna pressione. Perché Alphonse era fatto così…

“Ed… Va tutto bene?”

La sua voce proveniva da dietro le sue spalle. Il maggiore dei due si voltò appena per guardarlo arrivare lentamente, una mano protesa in avanti e un’espressione inquieta sul viso.

“S-sì… E’ tutto a posto. Avevo bisogno di prendere un po’ d’aria. Lì dentro si soffoca. Deve essere il fumo di quegli incensi, qui non siamo per niente abituati ad utilizzarli…” Mentì in parte.

“Ma sta piovendo e c’è un gelo qui fuori! Sembra di essere di nuovo a gennaio. Non hai nemmeno messo una giacca, forse è meglio se rientriamo.”

“No. Ho bisogno di dieci minuti, non mi interessa della pioggia. Devo respirare un momento. Per favore, Al. Lasciami un attimo di tempo, mi devo schiarire le idee.”

Alphonse sospirò scuotendo leggermente il capo. Giunse lì accanto e si appoggiò alla staccionata a sua volta, fissando la linea dell’orizzonte, prima di abbassare lo sguardo verso l’erba fradicia di un bel verde brillante. Nonostante la temperatura, il colore dei prati indicava chiaramente che la primavera era arrivata.

“Finirai per ammalarti se prendi tutto questo freddo e questo non mi sembra il momento migliore. Devi essere in forma per i prossimi giorni.” 

 

E’ più forte di lui, si preoccupa per me prima che di se stesso. Sicuramente ha intuito che no, non sta andando affatto tutto bene. Per lui sono sempre, o quasi, un libro aperto. Non ci vedevamo di persona da tantissimo tempo eppure non è cambiato niente, adesso siamo qui, come se fossimo sempre stati assieme e non fosse passato un giorno dall’ultima volta... Io, Al e Winry tutti e tre insieme, com’era sempre stato. L’abbraccio che lei ci ha dato quando ci ha visti tornare dopo il Giorno della Promessa, lui nel suo vero corpo e io con il mio braccio destro non me lo scorderò mai.    

 

“Non riuscivo più a stare lì. Mi scoppia la testa.”

“Se vuoi sto nella camera con voi invece di aspettare in salotto.”

“No, Al, per carità, ma cosa ti salta in mente? Ci manchi solo tu in quel delirio!” 

“Va bene, come vuoi…” 

Alphonse aveva pronunciato le ultime parole con un tono mortificato.

“Non ho bisogno che mio fratello minore mi tenga la manina come se fossi un cazzo di cacasotto! Io la figura del coglione così non la faccio! Non la faccio, hai capito?” infierì Edward alzando la voce sentendosi offeso.

Stava arrivando quella sensazione, sentiva quel calore che lo aggrediva sempre quando si sentiva oltraggiato, germinava dal suo ventre e lo avvampava fino alla punta delle orecchie, spegnendogli il cervello e facendolo diventare paonazzo in viso mentre iniziava ad assalire verbalmente chiunque si trovasse di fronte a lui. Non si sarebbe comportato come un codardo, non dopo tutto quello che aveva passato! Quando era un ragazzo era uscito indenne dal ventre dell’Homunculus Gluttony, aveva combattuto contro Pride il Superbo, non aveva avuto alcuna paura di essere stato marchiato come Sacrificio per dall’essere che si faceva chiamare Padre, colui che voleva servirsi dell’intera Amestris con l’unico scopo di divorare Dio, non aveva avuto alcun timore di immolare un altro dei suoi arti dopo aver già perso una gamba per legare ad un’armatura l’Anima di Alphonse, né di sacrificare la sua Alchimia per riaverlo indietro! No, vigliacco proprio non lo era mai stato, nonostante qualcuno glielo avesse anche rinfacciato una volta… E allora perché adesso si sentiva inerme?

 

Perché si tratta di lei… Perché le avevo giurato che non avrebbe mai più sofferto a causa mia e non sono riuscito a mantenere la mia promessa. Sono stato proprio uno stupido. Mi sto pentendo… Vorrei non averla messa incinta…

 

“Scusa tanto se mi preoccupo per te… E non c’è bisogno che tu mi risponda in questo modo! Bastava un no, grazie, Al.”

Era strano sentire la voce di Alphonse irritata, un evento più unico che raro, ma era comprensibile dopo la replica acida che aveva ricevuto dopo che aveva solo cercato di essere gentile. In quel momento comunque l’ultima cosa di cui l’ex alchimista aveva bisogno erano le solidali frasette di circostanza su qualcosa che suo fratello minore non era in grado di conoscere nel profondo. Se c’era una cosa che lo mandava fuori di testa era quella di essere compatito: non voleva la pietà di nessuno, ancor meno quella delle persone a lui più care… 

 

Cosa ne sa Al della mia promessa? Non può comprendere cosa significa vedere la donna che amo in quelle condizioni per colpa mia! Non c’era prima in quella maledetta camera, lui era in salotto, seduto bello comodo sulla sedia a dondolo con un libro in mano, un cuscino dietro la schiena e il grammofono che gracchiava quel motivetto di merda vicino all’orecchio, proprio all’altezza giusta lì accanto, così da sentire il meno possibile le urla di dolore della mia Win…

 

Edward si maledì ricordando improvvisamente cosa era successo qualche giorno prima: non aveva obiettato quando Winry aveva concordato con May Chang che fosse quest’ultima a sovrintendere il lieto evento alla maniera di Xing non appena lei e Alphonse erano arrivati a Resembool dopo aver affrontato quel lungo viaggio. “Ti sentirai in totale e perfetta comunione con il tuo corpo e con il bambino o la bambina mentre lo accompagnerai a venire al mondo! Sarà meraviglioso!” aveva annunciato fierissima la giovane alkahestrista cogliendo immediatamente la palla al balzo. Erano entrambe galvanizzate dall’idea e Edward nonostante nutrisse qualche dubbio sulla questione aveva deciso di non opporsi a quella decisione, tanto più che l’alkahestry era una disciplina utilizzata largamente a scopo medico. Alla fine a partorire era lei e non se l’era sentita di imporsi in una scelta tanto intima, voleva solo che fosse serena e rilassata. Era perfettamente in grado di decidere per sé in autonomia senza bisogno che lui si intromettesse, tanto più che perfino sua nonna Pinako non era sembrata particolarmente apprensiva nei suoi confronti al riguardo di questa sua volontà… Ed ecco che nella sua camera da letto erano comparse grosse candele  e incensi un po’ dappertutto, i quali secondo Edward non avevano fatto altro che impestare l’ambiente con i loro fumi profumati contribuendo ad inasprire il suo mal di testa e a rendere l’aria pesante. Tutto era stato per lui molto peggio di quello che si aspettava. Sebbene in un primo momento la situazione si fosse rivelata tollerabile e Winry sembrasse controllare bene il dolore le cose erano cambiate piuttosto in fretta. Man mano che il tempo passava e più le sue urla si erano fatte lancinanti e a nulla parevano essere serviti gli strani intrugli simili a tisane che May le aveva fatto bere tra una contrazione e l’altra nonostante, almeno in teoria, avrebbero dovuta stordirla leggermente e tranquillizzarla. 

“Avrei dovuto fare di testa mia e chiamare il medico di Resembool. Magari se lo faccio ora sono ancora abbastanza in tempo. Sono preoccupato per lei, se qualcosa dovesse andare male io…”

“Non c’è nulla che non va, fratellone. – lo rassicurò Alphonse appoggiandogli una mano sulla spalla, perdendo immediatamente l’aria risentita di poco prima  – May te lo avrebbe detto subito se qualcosa non stesse andando per il verso giusto. Ci teneva molto a fare la sua parte oggi! E’ un’alkahestrista esperta, ha studiato in modo approfondito e ha già assistito ad un sacco di parti a Xing, lo sai anche tu che è molto meglio lei di un normale medico…”

“Sì, ma qui si tratta di Winry! A me non frega niente di cosa fate a Xing!”

Edward si voltò di scatto scansando con un movimento della spalla la mano fraterna che aveva tentato di confortarlo invano. Non si rese conto di aver nuovamente alzato la voce, accecato com’era dall’angoscia che lo dilaniava. Era vero, May era un’alkahestrista di grande talento competente in alchimia medica, eppure in quel momento la testa di Edward era vuota e le sue orecchie erano sorde ad ogni tentativo di rassicurazione.  

Ormai i suoi lunghi capelli biondi legati in una coda erano zuppi e la pioggia rigava il suo viso dai lineamenti fini gocciolando dalla linea della mandibola e dal mento. Si ritrovò a fissare per lunghi secondi con aria grave gli occhi dorati di suo fratello. 

“Se dovesse succederle qualcosa io non me lo perdonerei mai!”

“Sei troppo ansioso, Ed, stai esagerando! May è in grado di curare ferite anche piuttosto serie in pochissimo tempo, siamo in una botte di ferro, non c’è motivo di fare così!”

“Non voglio che mio figlio cresca senza una madre… Lo sappiamo entrambi cosa vuol dire essere orfani!”

“Basta! Smettila! Smettila di dire queste cose, Winry sta bene! Sei tu che sei preso dal panico!”

I due giovani rimasero entrambi zitti faccia a faccia. Il silenzio tra di loro venne squarciato da un forte grido soffocato dalle pareti della casa alle loro spalle, tuttavia perfettamente percettibile. Edward deglutì con fatica un grosso nodo che gli si era formato in gola, mentre una sensazione di oppressione intollerabile gli stringeva il petto. Avrebbe voluto sfogarsi, confessare ad Alphonse tutto quello che lo tormentava, i suoi dubbi e le sue paure, ma qualcosa lo tratteneva. Passarono istanti interminabili prima di riuscire ad desistere. 

Sospirò lasciandosi cadere a terra, seduto sull’erba bagnata appoggiando la testa sulle braccia, cercando di ignorare i brividi di freddo che gli scuotevano le spalle e percorrevano la linea fradicia della sua spina dorsale. Suo fratello minore lo imitò nuovamente, sedendosi a sua volta, senza preoccuparsi di sgualcire e sporcare i pantaloni di buon taglio che indossava. Era chiaro che non voleva saperne di arrendersi, di lasciarlo solo a rimuginare, quando qualsiasi altro essere umano lo avrebbe mandato a quel paese. Era testardo tanto quanto lui, nonostante il carattere più docile, tranquillo e comprensivo, sempre pronto ad aiutarlo e soccorrerlo in ogni modo, persino a sacrificarsi per lui. Il legame che li univa era speciale, trascendentale nella loro consanguineità.

“Forse se nostra madre fosse viva sarebbe tutto più semplice. Ci sarebbe lei al posto mio adesso e saprebbe cosa dirti, io invece no. Tutto quello che ti ho detto ora è servito solo a farti arrabbiare, scusami… Sicuramente ti avrebbe tranquillizzato, ti avrebbe detto di essere orgogliosa di te e ti avrebbe abbracciato forte. Sai, anche adesso che ormai siamo adulti… Io a volte cerco di ricordare com’era quando la mamma mi stringeva, quando lo fa May, mi capita di immaginare che sia lei. Forse è stupido, è una cosa da bambini… Ma non voglio che questo ricordo muoia.”

Edward rimase in silenzio senza rispondere questa volta, lo sguardo basso. La pioggia continuava a picchiettare fra i suoi capelli.

 

Al ha ragione. Ci fosse stata lei tante cose sarebbero state diverse, ma purtroppo è andata così. Possiamo solo ricordarla, tenere viva la sua memoria tra noi. Non ho il coraggio di ammetterlo, eppure capita che lo faccia pure io, quello che fa lui, quando Winry mi abbraccia. Da quanto tempo non parlavo della mamma con mio fratello… Nelle lettere che ci scambiamo scriviamo sempre di altro.

 

Alzò leggermente il capo e si mise a giocherellare con lo stelo di un trifoglio, arrotolandolo tra le dita. 

“Ti ricordi il suo profumo?”

“Sì… Aveva l’odore dei biscotti. Quando la mia Anima era legata all’armatura ho avuto paura di non poter sentire mai più una fragranza come quella, che sapesse di lei, e temevo che prima o poi l’avrei dimenticato. Ti ricordi che quando faceva le torte giocavamo con la farina e ne mettevamo in tutta la cucina? Poi quando eravamo tutti bianchi e andavamo ad abbracciarla lei invece di arrabbiarsi rideva.”

“E’ vero.”

“E-e ti ricordi che diceva che noi eravamo due stelle e che quando lei e papà ci hanno desiderati siamo scesi fin dentro la sua pancia per poter crescere e nascere?”

“Sì, è una bella metafora da raccontare a due bambini. La mamma era sempre romantica su tutto. Forse anche un po’ ingenua… Non l’ho mai vista triste o offesa, davanti a noi era sempre sorridente e piena di vita.”

 

Non come Hohenheim… Cosa ci trovasse in lui ancora non riesco a capirlo del tutto e probabilmente non lo comprenderò mai. O forse prima tra di loro era un po’ diverso e solo dopo che sono nato prima io e poi Al lui è diventato così cupo e distaccato… Anche quando ero un ragazzo prima del Giorno della Promessa ero troppo arrabbiato con lui e troppo orgoglioso per chiedergli un abbraccio, anche se in fondo avrei voluto che lo facesse lo stesso… Ma dopotutto, forse, non glielo chiederei nemmeno adesso se fosse ancora vivo.

 

“Secondo me anche per Winry è così, o qualcosa di simile: il vostro bambino è una stella che è caduta dal cielo! In questi giorni che ero qui ho visto com’è radiosa. Non vedeva l’ora che arrivasse questo momento.”

“E’ stata lei a chiedermi di fare un bambino.” Edward iniziò a raccontare senza sapere nemmeno il perché. 

Semplicemente, decise che era arrivato il momento di lasciarsi andare, di rivelare qualcosa di intimo, di confidarsi finalmente con quel fratello che amava come non mai e a cui era spasmodicamente legato. Non che avesse mai avuto timore che potesse rivelare dei fatti personali ad altri, era qualcosa di più complesso, una memoria speciale e segreta che aveva voluto custodire, e che eppure ora era pronto a condividere. 

 

Al è sangue del mio sangue e carne della mia carne.

 

“Era il Giorno del Solstizio quando me l’ha detto. – iniziò a raccontare sorridendo tra sé e sé ripensando a quella strana notte - Io non ci avevo mai pensato così seriamente, era una cosa che supponevo sarebbe arrivata con il passare del tempo, invece lei mi ha detto che era pronta. E’ stata la nostra prima volta, ed è stato come uno strano sogno. C’era il nostro falò tra gli alberi, lei aveva tanti fiori nei capelli e ballava inebriata, si è tolta i vestiti e ci siamo fatti delle promesse, era come un matrimonio, ma senza sacerdoti e dei, eravamo solo noi nudi davanti al fuoco… Io mi sentivo strano, come se avessi bevuto, non riuscivo più a trattenermi, mi sono lasciato andare, era una specie di istinto… Avevo detto che sarei partito il giorno dopo, invece ho ritardato la mia partenza per un bel po’ per stare ancora con lei, per… Fare quelle cose di nascosto. Insomma, è stato bellissimo, era come vivere fuori dal tempo, per me esisteva solo lei, e ogni volta che eravamo intimi lei mi diceva che voleva rimanere incinta, quasi mi supplicava… Poi dopo un po’ una mattina quel treno l’ho preso veramente. Non so perché l’ho fatto, forse perché dentro di me ne sentivo il bisogno, perché sapevo che sarebbe stata l’ultima volta per lungo tempo, non era per scappare, te lo giuro, Al! Winry ci ha messo un po’ a dirmelo, ma io ero quasi certo che fosse successo perché altrimenti me l’avrebbe detto subito che non era andata come lei sperava. Ogni volta che c’era un telefono disponibile l’ho chiamata e più passava il tempo e più quell’idea mi piaceva, volevo dimostrare a me stesso e a tutti gli altri che io non sono come Hohenheim, che sarei stato un buon padre, era l’occasione giusta. E un giorno di ottobre Win mi ha chiesto di tornare perché aveva bisogno di me e non ci ho pensato due volte… Non puoi capire, Al, io provavo ad immaginarla in continuazione, ma vederla davvero è stato indescrivibile. Non credevo che avrebbe potuto essere più attraente per me di quello che già era, ma mi sbagliavo! Era la donna più bella del mondo, quando sono arrivato qui alla stazione le si vedeva già la pancia! All’inizio cercava di nasconderla sotto dei vestiti larghi, come se un po’ si vergognasse, ma a me piaceva così tanto! Era meravigliosa quando se la accarezzava e parlava al bambino pensando che io non la stessi osservando, quando camminava avanti e indietro per casa e per l’officina facendo sempre più fatica, finché ha potuto ha lavorato, perché Win non si ferma mai… Era sempre più goffa, mentre la pancia cresceva sempre di più, ma per me era stupenda. Non mi sarei mai stancato di vederla così, con in grembo mio figlio...” 

Nella sua mente presero il sopravvento i dolci ricordi degli ultimi mesi: il ventre della sua Winry che cresceva lento ma inesorabile, i suoi baci, i movimenti del bambino che se era fortunato si potevano vedere sotto la sua pelle, le notti di passione convulsa a cui non riusciva a rinunciare e che lei stessa continuava a richiedere nonostante la sua condizione, lei che continuava a tenere aperta la sua officina senza smettere di lavorare, seduta su quella sedia al banco da lavoro accanto ad una stufetta per riscaldare l’ambiente, tutta concentrata nonostante la sua condizione non le permettesse di stare sempre comoda, con il ventre sporgente che rendeva la parte più fina del suo lavoro estremamente complessa, anche se non impossibile, non per lei. La rivedeva stiracchiarsi, asciugarsi distrattamente il sudore sotto il seno, alzarsi, passeggiare per qualche minuto per la stanza in quella strana posizione con il dorso inarcato che ormai aveva sempre da qualche mese quando stava in piedi, lamentandosi di avere male alla parte bassa della schiena e le caviglie gonfie prima di chiedergli di portarle un bicchiere d’acqua. E lui dopo averglielo portato l’aveva baciata e aveva iniziato a dare dei leggeri colpetti sulla sua pancia, aspettando come risposta dei calcetti che non si erano fatti attendere e che li avevano fatti ridere entrambi. Adorava fare quella cosa per mettersi in contatto con quel bambino non ancora nato, per creare un legame.

“Io ho sottovalutato il dolore che questo momento le avrebbe provocato, ho pensato solo a quanto mi piacesse vederla incinta e a quanto avrei voluto un figlio tra le braccia… Eppure le avevo giurato che non l’avrei più fatta soffrire…”

Alphonse lo ascoltava con interesse, con uno strana espressione emozionata. Edward se ne accorse dopo un po’ che aveva iniziato a raccontare, notando quella vena malinconica nel suo sorriso. 

“Non volevo offenderti prima, Al.”

“Non è questo… Anzi, io ti voglio ringraziare per le confidenze che mi stai facendo. Noi siamo sempre stati uniti, anche se da quando siamo così lontani è difficile dirsi proprio tutto come facevamo da ragazzini. Immagino che sei preoccupato, però non è il momento di perdere la testa, era quello che volevo dirti prima. Sai… Io ti invidio. – Alphonse fece un pausa e un lungo sospiro accorato serrando per qualche secondo le palpebre – Vorrei essere al tuo posto, vorrei essere io sul punto di diventare padre.”

“Al… Davvero?”

Edward era incredulo. Non aveva minimamente pensato a quell’evenienza, non immaginava che il suo fratello minore sentisse quel desiderio, e si sentì un egoista per averlo trattato con quella crudezza. 

“Sì… Io ci ho provato… Ma non succede niente. Non sappiamo quale sia il problema, non lo sa nemmeno May, forse è lei o forse sono io, forse entrambi, forse è così che deve andare. Il fatto è che per ora non ci è stato concesso di esaudire questo desiderio, e io ho imparato che a volere troppo una cosa si finisce per peggiorare la situazione. Io so quanto lei ci stia male, anche se non lo ammetterebbe con nessuno, e non posso farci niente. Voleva assistere Winry anche per questo, per rendersi utile qui come a Xing, per poter contribuire alla nascita di qualcuno della nostra famiglia. Non vediamo l’ora di poter abbracciare nostro o nostra nipote!” 

Il maggiore dei due si morse il labbro inferiore rammaricato, alzando il capo per fissare l’altro. Non si stupì nel vederlo sempre sorridere con un’espressione fraterna che celava malamente quel velo addolorato. 

“Non me lo avevi mai scritto nelle tue lettere… Non avrei dovuto raccontarti quello che è successo con Win.”

 “No! Te l’ho detto, sono contentissimo per voi! E’ bello che tu mi abbia raccontato quelle emozioni che hai provato, facendole vivere un po’ anche a me in un certo senso.”

Alphonse tentava visibilmente di non commuoversi faticando enormemente. Non era possibile non notare i suoi occhi diventati lucidi.

Avrebbe potuto anche immaginarlo conoscendo il suo carattere, sapendo da quanto tempo si era sposato, cosa che aveva fatto veramente, non come lui che dopo quella notte del Solstizio bruciante di follia in cui si era scambiato promesse eterne sotto la Luna con la sua amata alla fine non aveva ufficializzato niente davanti al resto del mondo. 

Lui era sempre così dolce e sensibile… Edward si sentì in colpa per essere stato concentrato così tanto sulla propria felicità, non aveva minimamente preso in considerazione l’eventualità che Alphonse a sua volta sognasse una famiglia e che questo suo sogno per ora non si stesse avverando. Sapeva di ciò che lo legava a May, conservava la lettera in cui glielo aveva annunciato come tutte le altre che gli aveva spedito negli anni. Non era stato semplice a causa delle rigide leggi in vigore in quell’esotico paese, principalmente a causa del lignaggio della ragazza, eppure grazie al favore dell’imperatore Ling Yao erano riusciti a rendere il loro fidanzamento ufficiale, ed erano convolati a nozze secondo una data decisa in pochissimi giorni secondo l’allineamento delle costellazioni, questa era l’assurdità che Alphonse gli aveva raccontato scrivendo fittamente sulla carta con calligrafia frettolosa e tremolante carica di impazienza, tanto che Edward aveva percepito tutta la sua emotività ma anche il rammarico per non aver avuto il suo amatissimo fratello al suo fianco durante un evento tanto importante. Si era scusato mille volte nella loro corrispondenza successiva, ma non aveva voluto sconvolgere quelle consuetudini radicate nella popolazione di Xing, per non incrinare i rapporti che si stava costruendo pian piano in quel paese straniero così bizzarro e diverso da Amestris. Dal canto suo, Edward, nonostante l’amarezza per non aver partecipato alla cerimonia a causa delle superstizioni imperscrutabili di quel popolo, aveva compreso perfettamente le sue motivazioni e non gliene aveva mai fatto una colpa. Era stato solo felice per lui, perché nonostante tutto quello che avevano passato e la loro catastrofica storia di famiglia, entrambi stavano provando a crearne una tutta loro senza rifuggirla, senza averne paura.  

 

Al sarebbe un genitore anche migliore di me. Quando la sua Anima era nell’armatura nascondeva dentro di lui tutti i gatti randagi che trovava per salvarli e trovare loro una casa, ha sempre amato prendersi cura di chi ha bisogno, lui ce l’ha proprio nel sangue. Sarebbe veramente un buon padre, comprensivo e affettuoso. Oh, se tu potessi vederci, Hohenheim… Siamo ciò che tu non sei mai stato per noi. Vorrei potertelo urlare in faccia che noi non siamo come te e prenderti a calci nel culo mettendomi a ridere! E come risposta vorrei quell’abbraccio che mi hai sempre negato ostentando una freddezza che mi ha ferito, tu non immagini nemmeno quanto il tuo sguardo indifferente mi ha straziato! Quando sei tornato prima del Giorno della Promessa, mi guardavi accigliato e mi parlavi come se fossi stato un estraneo accusandomi di aver bruciato la tua casa e di essere stato un vigliacco, come se non fosse successo niente alla mamma, come se io non fossi stato tuo figlio! E io ero furioso per come mi sentivo umiliato e rifiutato da te! Volevi proteggerci e hai rovinato tutto, anche se ci volevi bene, anche se in quella foto di famiglia in cui eravamo tutti insieme piangevi...  

 

“Al… Hohenheim ci voleva bene, vero?” chiese interrompendo quel silenzio e dando voce ai propri pensieri.

“Sì, io credo… Anzi, sono certo che papà ce ne volesse tanto e in fin dei conti ce lo ha dimostrato, no?”

“Io non riesco a chiamarlo papà con semplicità come fai tu. Ti viene troppo naturale, per me è difficile.”

 

Solo nei miei pensieri posso rivolgermi a te così qualche volta. 

 

 “Non ci riuscirò mai, anche se ora non sono più così arrabbiato con lui come un tempo, non è giusto metterlo sullo stesso piano della mamma. Lei ci ha portati e protetti nella sua pancia, a lei era attaccato il nostro cordone ombelicale, lei ci ha partoriti e chissà cos’ha passato per questo, lei ci ha nutriti, si è presa cura di noi e non è mai scappata, lei è il nostro genitore.”

Con un gesto istintivo strappò un ciuffo d’erba umida lanciandolo davanti a sé, ma quasi tutto gli rimase incollato alle dita e dovette strofinare stizzito la mano sui pantaloni per liberarsene.

“Non so come tu abbia fatto a perdonarlo del tutto dopo tutto quello che ci ha fatto. Ci ha rovinato la vita, anche se in buona fede.”

“Perché penso che tutti meritino delle seconde possibilità quando sbagliano, e ti conosco abbastanza bene da sapere che anche tu la pensi così, perché papà è l’unico a cui fai fatica a concedere un’altra occasione, anche adesso che non c’è più. Noi l’abbiamo avuta, guardaci! Io sono qui, posso respirare, dormire, sentire i profumi e la sensazione di questa pioggia sulla pelle, oh Ed, tu non ti rendi conto di come sono felice ogni volta che piove come oggi! Siamo fortunati, siamo vivi anche grazie a tutto quello che ha fatto nostro padre! Io sono così felice che tu sia qui con me, grazie a voi io ho potuto continuare a vivere!”

La voce di Alphonse si era caricata di entusiasmo, i suoi occhi brillavano di felicità e gratitudine. In un istante senza che Edward se ne rendesse conto si sentì stringere nel suo abbraccio. Il minore dei due era appena più alto di lui ormai, ed era sicuramente più robusto. La sua stretta intorno alle spalle fu forte, premurosa e amorevole come quella di un genitore. 

Quell’abbraccio Edward lo aspettava da tanto, tantissimo tempo. Appoggiò la fronte nell’incavo della sua spalla chiudendo gli occhi, ricambiandolo cingendo le braccia attorno al suo busto e aggrappandosi alla sua camicia grondante. 

“Devi darla anche a lui quella seconda possibilità invece di accanirti, a maggior ragione ora che sappiamo la verità, che lui non voleva veramente abbandonarci e farci del male. -  gli sussurrò senza lasciarlo andare – Io lo so che hai paura di essere come lui, anche se non lo dici te lo si legge in faccia che è questo che ti terrorizza. Ma io penso che somigli alla mamma, non a nostro padre. Tu sei come lei, mi devi credere. Tu non sei mai scappato di fronte a niente, lo hai detto tu stesso poco fa. Per questo voglio che torni dentro, ho paura che tu ti stia perdendo il momento più bello e importante della tua vita, ed io non posso permettere che succeda! Se non torni da Winry ad assisterla sono certo che te ne pentirai. Devi starle vicino e goderti questo momento. Io non lo posso vivere per ora, ma tu sì… Sei fortunato…”

Edward non avrebbe più voluto sciogliere quell’abbraccio vigoroso a cui tanto aveva anelato. Non era quello di Hohenheim, quello ormai non lo avrebbe mai avuto, ciononostante la stretta di suo fratello gli scaldava il cuore, suggellando per l’ennesima volta il loro legame fraterno, un cordone ombelicale esclusivo ed indissolubile, che si alimentava del loro stesso affetto. Ci sarebbero sempre stati l’uno per l’altro, in qualsiasi momento e non importava quanta distanza li avrebbe separati. 

 

Nemmeno la Verità è riuscita a portarti via da me. Niente può farlo. Niente! Ci salveremo sempre l’uno con l’altro, perché questo vuol dire essere sangue dello stesso sangue. Non ci siamo scelti, ma la nostra connessione è assoluta, totale. Al, fratello mio… Ti voglio così bene… Tu puoi darmi quello che ricercavo in qualcuno che ormai non è più qui…

 

Non seppe dire per quanto tempo rimase sotto la pioggia battente godendosi il respiro calmo e profondo di suo fratello, sentendo il placido pulsare del suo flusso sanguigno attraverso la fronte premuta contro il suo collo. Nel frattempo nemmeno Alphonse emetteva una parola. Si limitava ad accarezzargli dolcemente una scapola e i capelli appiccicati ai vestiti. Perfino l’ennesimo lamento femminile proveniente dalla casa gli parve meno straziante, al contrario: gli aveva fatto venire voglia di agire, di prendere coraggio e fare ciò che era giusto. Non fece tuttavia in tempo a lasciare la presa che avvertì la porta d’ingresso aprirsi nuovamente con un cigolio e sbattendo contro il muro esterno. 

“Edward Elric!” urlò indispettita una voce familiare.

L’ex alchimista la riconobbe immediatamente. Era già strano che Pinako Rockbell avesse atteso e fosse venuta a cercarlo solo in quel momento. Si convinse a lasciare l’abbraccio di Alphonse ed entrambi guardarono ammutoliti l’anziana donna scendere i due gradini dell’ingresso lentamente eppure con aria estremamente minacciosa. Nonostante con l’avanzare dell’età fosse sempre più piccola e curva e il viso fosse ormai segnato da una ragnatela di rughe, Pinako aveva mantenuto la sua proverbiale lucidità e causticità. Osservò con sguardo penetrante da dietro i suoi occhiali tondi i due giovani che si alzavano in piedi, prima di appoggiare tra le labbra l’estremità della sua pipa e tirare una boccata nervosa di fumo che si espanse in una piccola nuvola.

“Si può sapere che cosa sta succedendo, Ed? Sei veramente un’irresponsabile! La mia Winry è disperata, non ha capito perché te ne sei andato sbattendo la porta senza dire una parola e non lo capisco nemmeno io! Devi rientrare subito e cerca di non fartela addosso o di svenire come un rimbambito qualsiasi!”

Normalmente Edward avrebbe inveito ed iniziato a discutere con lei, scatenando uno dei loro risaputi e furiosi litigi, ma questa volta no.

“Avevo solo mal di testa… - ammise con voce nervosa, senza tuttavia alzare i toni della discussione – Stavo per rientrare, mi serviva una pausa.”

“Beh, direi che di aria fresca ne hai presa a sufficienza! Ti farà strano, ma un bambino che nasce non aspetta i porci comodi di suo padre! Di certo non avevi mal di testa quando ti sei preso la briga di mettere incinta mia nipote, quindi adesso dimostra di essere uomo e fila dentro immediatamente!”

“Ma smettila di brontolare, nonnetta, ti ho detto che stavo per tornare da lei.”

Il giovane si avvicinò alla porta con falcate decise seguito a ruota da Alphonse. 

“Ho avuto bisogno di parlare con Al, ma adesso è tutto a posto.”

“Dai, svegliati invece di giustificarti.”

L’anziana gli fece concitatamente cenno di entrare, continuando a spargere il denso fumo della pipa tutto intorno a lei e quando furono dentro richiuse la porta alle loro spalle prima di seguirli come un segugio. 

Il soggiorno era deserto, mentre il grammofono rivolto al nulla continuava a gracchiare motivetti ripetitivi un poco stonati. Den, l’ormai anziano cane dei Rockbell era nella sua cuccia. Alzò un orecchio, si guardò attorno, poi tornò a sonnecchiare.

Edward si diresse senza indugiare verso la camera da letto. Più si avvicinava e più sentiva il bisogno di stringere a sé la sua amata. Aprì la porta appena dopo che Winry ebbe emesso un breve grido angoscioso. Finalmente era di nuovo in quella stanza. Inspirò, cercando di abituarsi nuovamente a quel miscuglio dolciastro di odori che permeava l’ambiente: incenso, fiori, sudore acre, sapone. Questa volta non si sarebbe tirato indietro per niente al mondo. Deglutì a fatica fissando la scena davanti a sé, la sua mano destra tremava impercettibilmente. Si impose di calmarsi, di restare attento e di respirare il più profondamente possibile.  L’esser riuscito a sfogarsi con suo fratello poco prima gli aveva restituito la serenità necessaria per riuscire a controllare le sue reazioni.

Lei era lì nel letto, in posizione semiseduta, appoggiata ad una moltitudine di cuscini. Il suo corpo era celato da diversi strati di lenzuola tutta sgualcite in fondo alle quali spuntavano le sue gambe leggermente flesse. 

Aveva un’espressione stravolta eppure allo stesso tempo furente, i capelli biondi le si erano incollati alla fronte imperlata di sudore. Tutto di lei dimostrava lo sforzo smisurato che stava compiendo. Non gli sfuggirono i segni lucidi ed inconfondibili che le lacrime avevano lasciato sulle sue guance chiazzate di rosso. Vedendolo cercò di puntare le braccia sul materasso per alzarsi di più. Traballava vistosamente, tuttavia parve raccogliere le ultime stille di energia per compiere quel gesto.

“Dov’eri… Edward… - sibilò rabbiosa prendendo fiato – Dove… Dove cazzo te ne eri andato?”

“Scusami, Win, avevo bisogno di un po’ d’aria… Ma adesso è tutto ok…”

“Un po’ d’aria… Tu avevi bisogno di un po’ d’aria… - ripeté lei incredula – E mi hai mollata qui… Se te ne vai un’altra volta giuro… Giuro che non so cosa ti faccio…”

Lui ignorò volontariamente la minaccia: con un sospiro di sollievo aveva notato che per fortuna il bambino non era ancora nato. Il suo ventre gonfio che si alzava e si abbassava al ritmo dei suoi respiri era ancora lì esattamente al suo posto, ben visibile sotto le lenzuola. 

May era seduta a gambe incrociate in fondo al letto e dondolandosi a destra e sinistra lo salutò con un cenno della mano e un sorriso radioso che in quella situazione gli parve grottesco.

“Ciao, Ed! Bentornato! Qui va tutto bene, ci siamo quasi! Winry è bravissima, sai? Quasi non ha bisogno di nessuno, sa benissimo cosa deve fare! Anche quando non c’eri era concentrata, sa ascoltare perfettamente quello che le dice il suo corpo!”

Subito dopo alzò il lenzuolo per controllare la situazione e lo abbassò immediatamente senza che nessuno potesse effettivamente vedere cosa stesse succedendo lì sotto.

“Vuoi un po’ di tisana rilassante? Ne è rimasta una tazza sul comodino che sarà ancora tiepida.” Trillò subito dopo.

“No, grazie, va bene così. - Rispose Edward prima di rivolgersi nuovamente alla bionda – Win, io…”

“Sei un vero bastardo… - lo interruppe lei continuando a fare forza sulle braccia per raddrizzarsi invano ricadendo indietro – Te ne sei andato così, senza una parola! Non sapevo dov’eri, ero preoccupata! Mi hai lasciata sola…”

Winry non riuscì a terminare la frase che le morì in gola, contorcendosi tra i cuscini gemendo e tenendo le mani sulla pancia colta da una contrazione. 

“Ed… Aiutami… Fa così male… E’ una tortura…”

“Non ti lascio, Win, te lo giuro! Sono qui, rimango qui con te!”

 

Non posso perdermi questo momento. Io non scappo mai, io sono come mia madre, l’ha detto Al, e io gli credo, perché lui non mi mentirebbe mai!

 

Senza pensare a cosa stesse facendo sfilò la camicia fradicia di pioggia rimanendo a petto nudo. La pelle si sarebbe asciugata subito al contrario della stoffa bagnata, e non voleva crearle altri disturbi oltre a quelli che già stava sopportando. Voleva sentire il suo corpo contro il suo, trasmetterle calore e sicurezza.

“Riesci a metterti più avanti? Mi siedo dietro di te e ti aiuto, insomma… Ti tengo su così non scivoli.”

Winry continuò ad ansimare girando il capo verso May alla ricerca di una conferma che non tardò ad arrivare. L’alkahestrista fece un entusiastico segno d’assenso con la testa. 

“Questa è proprio un’ottima idea! Ti aiuterà a stare comoda e sarà di grande supporto! Puoi anche cambiare posizione, eh, mettiti come ti senti meglio!”

“No, non riesco nemmeno a muovermi…”

Edward la prese delicatamente per le spalle e la fece piegare in avanti per quanto le fosse possibile per sedersi dietro di lei, la circondò con le braccia e la invitò ad appoggiare la nuca sul suo petto, appena in tempo prima di avvertirla irrigidire di nuovo i muscoli, emettere un lungo gemito e infine abbandonarsi su di lui svuotata di ogni forza. 

Pinako era rimasta per tutto quel tempo appoggiata allo stipite della porta continuando a fumare irrequieta e perfino la testa bionda di Alphonse ora aveva fatto capolino dietro di lei. La curiosità era stata con tutta evidenza più forte di lui, ma non aveva osato né proferire parola né avvicinarsi di più a quella scena così intima.

Edward si concentro cercando di creare una bolla immaginaria ovattata intorno a sé. Non voleva sentire addosso gli sguardi altrui, voleva concentrarsi solo su Winry, sul suo parto, aiutarla a sopportare lo sforzo che stava compiendo per dare alla luce suo figlio e renderlo finalmente padre. Si sentiva emozionato, il cuore gli batteva impazzito nel petto.

 

La nascita è proprio un mistero… Mi sembra così strano che il corpo fragile di una ragazza come Winry abbia tutta questa forza di mettere al mondo un'altra vita… La Trasmutazione Umana è impossibile eppure… Questo è il modo di regalare la vita ad un'altra persona, quello che da alchimista non ho potuto fare l’abbiamo fatto io e lei in quei giorni d’estate… E’ strano, fa paura ed è bellissimo nello stesso tempo…

 

“Non ce la faccio, Ed… Mi sento morire… Non ce la posso fare…”

“Non è vero, tu ce la farai, Win… Vero, May, diglielo anche tu!”

“Assolutamente sì! Ancora qualche sforzo! Devi spingere quando te lo dico io!” rispose l’interessata entusiasta.

“Pensa che bello tra poco… Quando potremmo vedere il nostro bambino!”

“La fate facile voi… Cazzo, cazzo, cazzo… Fa male! Non ce la faccio più, non ho più forze!”

Un altro grido straziante annunciò l’ennesima contrazione, Winry inarcò la schiena puntando con forza la testa sul petto del compagno e Edward sentì le mani della ragazza aggrapparsi tenacemente alle sue braccia. La stretta era così violenta e disperata che poteva percepire le unghie quasi conficcarsi nella sua carne eppure non emise il minimo gemito, concentrato com’era. Ne approfittò invece per scostarle i capelli dalla fronte e asciugarle il viso bagnato dalle lacrime e dal sudore prima della contrazione successiva.

 

Winry è fatta per dare la vita agli altri! A me ha regalato gli automail quando ne avevo bisogno, mi ha dato così tante volte la forza di lottare… Quando era ragazza a Rush Valley aveva fatto partorire una donna, e adesso è lei stessa a regalarmi un figlio nonostante le sofferenze che sta patendo… Le sono così grato, e lei è così forte… Darei qualsiasi cosa per poter condividere il suo dolore, per aiutarla a sopportare...

 

“Ci siamo, ci siamo!” Ed, aiutala! Ci siamo quasi, io le tengo le gambe! - gridò May riemergendo dalle lenzuola sotto cui continuava a sparire – Winry, spingi ora! Ricordati di respirare, rilassati, sgombra la mente! Lasciati andare tanto c’è Ed dietro di te!”

Le mani di Edward si appoggiarono sul suo ventre. Non sapeva assolutamente quello che stava facendo, ma l’istinto gli suggerì di premere delicatamente verso il basso, come se quel gesto ingenuo avesse potuto esortare il bambino a farsi strada. 

“Dai, Win ci sei, quasi…”

“Ma tu cosa cazzo ne sai… - riuscì a rispondere lei prendendo fiato – Appena mi alzo da qui… Ti faccio a pezzi con le mie mani… Così forse capisci… Cosa sto passando… Mi sembra di morire! Di morire! Aiuto, sto morendo!”

Le lacrime solcarono di nuovo il suo viso, mentre gridava per gli spasmi e la paura. Ogni suo lamento era una pugnalata al cuore del giovane uomo, ma anche se si sentiva scoppiare di dolore doveva resistere, doveva farlo per lei, per darle coraggio, confortarla, coccolarla, o avrebbe peggiorato le cose. Le diede un bacio di incoraggiamento su una tempia e le accarezzò la pancia, quel sottile strato di pelle tesa e muscoli tirati che lo separavano da suo figlio.

“Lo vedo! Lo vedo! Oddio, è bellissimo, vedo i capelli! Ha i capelli biondi!” strepitò May euforica. 

Ancora poco e lo avrebbe incontrato, avrebbe potuto abbracciare quel figlio su cui tanto aveva fantasticato in quegli ultimi mesi. Non lo aveva nemmeno visto e già lo amava incondizionatamente. 

“No… No, no, no! Non di nuovo!”  strillò la bionda che pareva non aver sentito nulla di quello che le era stato detto sia da May che da Edward.  

Furono minuti interminabili e confusi. L’ex alchimista non si rese nemmeno bene conto di cosa successe, aggrappato al corpo della sua amata che continuava ad urlare e singhiozzare aggrappandosi alle sue braccia per un tempo indefinito. Strinse le palpebre abbracciandola più forte che poté. E poi finalmente sentì quel suono

Un neonato che piangeva. 

C’era confusione intorno a loro, tutto accadeva troppo rapidamente. Edward si guardava attorno spaesato, reggendo Winry per le braccia, completamente accasciata su di lui, ormai priva di forze. Non era svenuta, percepiva i suoi movimenti lenti e strascicati, debilitati dal sacrificio che aveva appena compiuto, e i singhiozzi che le scuotevano violentemente le spalle. 

Non riuscì a dire nulla prima di vedere l’alkahestrista emergere per l’ennesima volta di fronte a loro, ma questa volta tenendo delicatamente fra le mani una minuscola creatura che urlava a pieni polmoni, agitando i pugnetti stretti e con gli occhi ancora chiusi. 

“E’ un bellissimo maschietto!” esclamò la ragazza visibilmente emozionata a sua volta.

Lui continuava a fissarla immobile, talmente felice e stordito da non riuscire né a muoversi né a parlare. La vide armeggiare con alcuni strani oggetti, degli asciugamani e una bacinella d’acqua per pulire sommariamente il piccolo.

 

E’ qui… E’ davanti a me… E’ nato… Un bambino… Mio figlio… Io sono padre… Quasi non ci credo, è straordinario, è un sogno… Abbiamo avuto un bambino… Abbiamo creato la vita… E’ tutto così surreale… E’ il momento più felice della mia vita…

 

L’emozione esplose improvvisamente dentro di lui come un’onda inarrestabile. Il petto iniziò a fargli male, incapace di contenere tutta la gioia che stava provando, totalmente rapito da quel neonato che si agitava. Due grosse e calde lacrime stillarono agli angoli dei suoi grandi occhi dorati e percorsero lentamente il suo viso. Senza più remore, Edward scoppiò a sua volta in un profondo pianto liberatorio, denso di commozione.

Strinse forte Winry per le spalle, affondando il viso tra i suoi capelli fradici di sudore, condividendo le stesse sensazioni. Momenti interminabili, che si interruppero solo quando lentamente si scostò dalla sua posizione per scendere dal letto ed avviarsi con passo malfermo e sguardo perso verso May, spinto dall’irrefrenabile brama di abbracciare il suo primogenito.

Tese le braccia quasi supplichevole senza riuscire a smettere di piangere, e la ragazza glielo consegnò con delicatezza.

“Tieni, prendilo… Te lo meriti, è stupendo questo bimbo e sembra essere in ottima salute! Mettilo per un attimo contro la pelle, poi passalo a Winry, posalo sul suo petto. Ha bisogno del vostro calore e di mangiare…”

May sembrava sul punto di emozionarsi a sua volta nonostante paresse sforzarsi di rimanere razionale. Alphonse istintivamente doveva essersene accorto perché arrivò immediatamente da lei con un’espressione rassicurante e affettuosa, abbracciandola e sussurrandole in un orecchio delle frasi che Edward non riuscì ad ascoltare, prima di concentrarsi totalmente sul bambino.  

E’ leggero come una piuma ed è bellissimo! Ho quasi paura di fargli male tanto è piccolo! fu il suo primo pensiero non appena lo tenne tra le mani. Il neonato non smetteva di dibattersi e contorcersi urlando affamato a pieni polmoni. Era tutto rosso in viso per lo sforzo, aveva radi e sottili capelli chiari, le braccia e le gambe sembravano sottili e scarne come quelle di un ranocchio e un moncone di cordone ombelicale pallido e viscido serrato con una piccola pinza ancora attaccato al ventre. Edward gli sorresse delicatamente il capo e lo appoggiò contro il suo petto cullandolo. Non seppe dire se fosse solo suggestione, eppure gli sembrò che le sue urla fossero meno disperate, come se il contatto con un corpo caldo lo avesse rassicurato. 

“Ed… Edward… Il bambino… Il mio bambino… Fammelo tenere… Dammelo…”

Il sussurro affaticato e carico di urgenza di Winry lo esortò a raggiungerla sedendosi sul letto lì accanto. Lei tese subito le braccia continuando ad ansimare stravolta e stremata, eppure alla ricerca spasmodica ed istintiva del neonato che aveva appena partorito.

“Win, è bellissimo… Sei stata bravissima, ce l’hai fatta…”

La meccanica sorrise finalmente dopo tutto quel penare, mentre Edward posava il bambino su di lei avendo infine premura di coprirli entrambi con le lenzuola affinché non prendessero freddo. 

La pioggia di marzo non aveva ancora smesso di picchiettare contro la finestra, da cui si potevano osservare dense nuvole grigie sopra i campi di Resembool. 

Il neonato si rannicchiò contro la pelle della ragazza, i suoi vagiti inconsulti ormai ridotti a dei mugolii sommessi, nuovamente al sicuro e protetto dal calore materno che lo aveva avvolto per nove mesi. 

“Ciao, piccolino! Sono così felice di conoscerti… - lo salutò lei intenerita prima di rivolgersi all’ex alchimista con voce scossa – Non ci credo, Ed… Sono mamma adesso… Io l’ho aspettato così tanto… Mi sembra che un po’ ti somigli… Quando piangeva aveva la tua espressione quando ti arrabbi…”

Winry si lasciò scappare una debole risata liberatoria. 

“Guarda come si è tranquillizzato ora che è in braccio a te. Si vede che già ha capito che sei tu la sua mamma.”

Edward sentì l’ennesima lacrima solitaria solcargli il viso mentre pronunciava quelle parole. 

 

Quanto vorrei che fossi qui, mamma, insieme ai genitori di Win, sareste tutti così orgogliosi di noi. Sarebbe una festa bellissima, tutti insieme… Tu avresti fatto una fantastica torta, di quelle che io e Al adoravamo e che erano così buone e soffici, e magari anche i biscotti che ti lasciavano quell’odore addosso. Tu avresti potuto aiutarci a fare i genitori, io non so niente di come si allevano i bambini… Mi manchi più che mai… Mi servirebbe tanto il tuo aiuto e il tuo conforto…

 

Immediatamente scacciò quella malinconia dando un bacio sulla guancia della sua amata che nonostante fosse stremata aveva perso totalmente l’aria minacciosa che aveva durante il parto. Era rapita da quel bimbo indifeso e fragile, gli accarezzava il capo e gli parlava a bassa voce.

“Ehi, amore mio… Hai visto che la tua mamma è qui? Vedrai come ci divertiremo assieme, ti porterò con me in officina, staremo sempre insieme, sempre… Non ci lasceremo mai….”

Le parole di Winry avevano uno strano effetto anche su Edward, che si sentiva appagato e nello stesso tempo affranto. Era inutile provarci, quel vuoto dentro di lui faceva male, sanguinava come una ferita nei suoi visceri che non si rimarginava. Trisha gli mancava come l’aria per respirare… Più vedeva l’atteggiamento materno di Winry e più le immagini di sua madre si sovrapponevano a lei, i suoi capelli castani, il suo sorriso, la sua voce... Quando li teneva fra le braccia, lui e suo fratello, nel letto abbracciati a lei, li baciava e sussurrava quelle parole identiche “staremo sempre insieme, amori miei” e lui si appoggiava sul suo petto giocando con una ciocca dei suoi lunghi capelli e si assopiva al suono dei battiti del suo cuore, rassicurato e sereno. Quei ricordi vividi gli avevano bloccato la gola con un nodo doloroso tanto da faticare ad espirare.  

Interruppe quelle reminescenze, o si sarebbe messo ad urlare senza riuscire a controllarsi, se lo impose. Del resto c’era qualcun altro lì dentro che poteva lenire quei tormenti come un amorevole anestetico. Lo aveva già fatto…

“Al! Al, vieni a vedere!”

Si alzò in piedi e raggiunse concitato il fratello minore che era rimasto in disparte con il viso di May tra le mani, discreto come al suo solito nei momenti così intimi. Non appena si ricompose interrompendo le tenerezze verso sua moglie Edward lo prese per un braccio trascinandolo verso il lato del letto. Conoscendolo sapeva che se non ce lo avesse invitato lui stesso non avrebbe avuto l’ardire di disturbare Winry e il neonato per poterlo vedere. 

 

Dopo quello che mi ha confessato sotto la pioggia non posso non coinvolgerlo… Sangue del mio sangue, e di quello di questo bambino.

 

“Guarda che bello che è, questo momento è anche tuo, Al, devi conoscerlo…”

Alphonse ebbe un attimo di palese titubanza prima di accarezzare delicatamente la testolina bionda del neonato. Aveva un’espressione estremamente dolce in viso.

“Benvenuto al mondo, piccolo… Sono lo zio Al. Oh, già ti voglio così bene… Ti aspettavo tanto ed eccoti qui…”

A quel punto anche Pinako, che fino a quel momento aveva osservato la scena familiare sempre sulla porta, si avvicinò a piccoli passi, silenziosa e seria. Nessuna battuta caustica proferiva dalla sua bocca, e aveva nascosto la pipa dietro la schiena per infastidire il meno possibile il nuovo nato. Non disse nulla inizialmente, si limitò ad osservarlo posando una mano sulla guancia della nipote per confortarla.

“Mi hai fatto il più bel regalo che una nonna potesse desiderare… E’ bellissimo…” disse infine con la voce rotta di commozione. 

“Come lo chiamate?” chiese all’improvviso Alphonse.

“Penso che sia giusto che scelga Win il nome, fra quelli tra cui eravamo indecisi.” Rispose Edward.

Winry lo fissò interdetta arrossendo sulle gote.

“Ed…”

“E’ giusto così dopo quello che hai sopportato per farlo venire al mondo, dopo la forza che hai dimostrato di avere. L’ultima parola deve essere tua.”

Lei annuì e inclinò in avanti il capo per baciare il figlio. Ci rifletté per qualche secondo.

“Vorrei chiamarlo Yuriy come mio padre, in onore delle vite che ha salvato ad Ishval perdendo la propria, sperando in un futuro migliore per me… Per tutti noi…”

“E allora che il futuro ti sorrida, Yuriy Elric, speranza e futuro di questa famiglia. – esclamò solenne Pinako, evidentemente emozionata che il nome del figlio martire della guerra civile fosse stato scelto dalla nipote – Adesso direi che il caso di lasciare riposare Winry e il pupo tranquilli, noi possiamo andare in salotto a festeggiare.”

“Credo che abbia fame. Adesso provo ad allattarlo. Nonna, May, vi chiamo se ho bisogno, perché non so bene come fare…”

“Sciocchezze, è una cosa istintiva per noi donne, fidati di tua nonna! Ce la fanno tutte, anche tua madre e la madre di Ed e Al erano preoccupate di non riuscirci, me lo ricordo benissimo, ma alla fine è andato tutto bene. Devi solo prendere confidenza con Yuriy. Ti lasciamo la porta socchiusa, se vuoi che venga qui qualcuno non avrai che da chiamare.” la rassicurò l’anziana.

Lentamente uscirono tutti dalla camera, Edward per ultimo. Prima di richiudersi la porta alle spalle diede un’ultima occhiata dietro di sé mentre Winry si metteva comoda tra i cuscini. Mentre abbassava una spallina della canottiera ricambiò il suo sguardo e gli sorrise. Era il sorriso più bello e tenero del mondo, e lui quell’espressione se la ricordava bene, l’aveva vista tante volte quando era un bambino. Era il più dolce dei suoi ricordi.

 

E’ il sorriso di una madre.

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Era notte fonda. Un orologio ticchettava in quella camera da letto, la pioggia scrosciava sulla finestra regalando un piacevole sottofondo notturno. Edward Elric ascoltava quel suono chiedendosi quanto quella pace sarebbe durata. 

Illuminata dalla luce calda e tenue di una abat-jour sul comodino di fianco al letto, Winry Rockbell dormiva profondamente posizionata in obliquo tanto da occupare quasi tre quarti del materasso, supina, con le braccia vicino al viso come una bambina, le labbra semichiuse da cui sfuggivano dei respiri rumorosi. Dei fazzoletti di stoffa bagnata erano sparsi un po’ dappertutto: ne aveva due sulla fronte, un altro paio erano finiti sul materasso, uno era appoggiato tra la clavicola e l’ascella sinistra, molti erano appoggiati sul suo seno, uno le era scivolato verso l’ombelico. Era nuda dalla vita in su, crollata dal sonno con il piccolo Yuriy ancora attaccato a lei. 

Era nato da tre giorni e già quelle giornate erano state intense per lei, Edward se ne rendeva perfettamente conto. Non c’era stata solo la fatica del parto, ma il neonato richiedeva di esser nutrito ogni mezz’ora o anche meno piangendo in modo angosciante a qualsiasi orario, che fosse notte o giorno. Lei era rimasta praticamente sempre a letto, alzandosi solo per mangiare o per andare in bagno, il resto del tempo lo aveva passato con il neonato tra le braccia nonostante le mancassero le energie. A peggiorare le cose quella sera stessa era stata la febbre che le era salita in concomitanza con la montata lattea, che le aveva provocato dei forti dolori al petto e un profondo malessere che l’ex alchimista aveva cercato di mitigare con i pochi mezzi che aveva a disposizione: delle pezze imbevute di acqua fredda per abbassarle la temperatura e darle un po’ di sollievo. 

Così mentre lei dormiva, aveva delicatamente preso il figlioletto in braccio e senza svegliarlo si era seduto su una sedia a vegliarla. Solo un’altra volta in quei giorni era riuscito a goderselo in quel modo, e ne voleva approfittare a tutti i costi. Non aveva osato avanzare pretese a Winry, eppure l’impellente bisogno di stringere a sé il corpicino di suo figlio era diventato penoso ed insopportabile. Ed ecco che l’occasione gli si era presentata, permettendogli di godere di un momento con Yuriy, prima che la sua fame avesse preso di nuovo in sopravvento facendolo piangere, cosa che sicuramente avrebbe ridestato la giovane donna e interrotto forzatamente quegli attimi di profonda intimità.

Edward provò a svuotare la mente, concentrandosi sulla sensazione di sentire la pelle calda e i capelli di suo figlio sotto i polpastrelli. Lo accarezzava delicatamente, voleva fargli sentire la sua presenza e il suo calore ora che poteva. 

 

Io sono un buon padre… Io posso farcela… Non farò mancare niente a Yuriy, non lascerò che Winry faccia tutto da sola… Vorrei tanto che si affezionasse a me tanto quanto a lei… Sarò un padre di gran lunga migliore di Hohenheim… Non sbaglierò come ha fatto lui, non lo farò… Non sbaglierò… Non devo avere paura, non succederà… Maledizione! E’ tutta colpa sua se adesso mi sento così… Io sono un buon padre… Io sono un buon padre…

 

La sua mente era piena di dubbi e strani timori che continuavano a riproporsi martellanti.

Cosa avrebbe detto Hohenheim se avesse potuto vederlo?  Sarebbe stato orgoglioso di lui e felice di vedere suo figlio tenere in braccio suo nipote oppure sarebbe nuovamente fuggito dalla sua famiglia? Magari si sarebbe limitato a fissarlo con severità per poi congedarsi con qualche frase tagliente per nascondere i suoi veri sentimenti.

Guardò il piccolo Yuriy che dormiva con un misto di venerazione e di curiosità.

 

Questa creatura così piccola e fragile è parte di Winry. E’ parte di me. Hohenheim, quanto erano angosciati i tuoi pensieri per esserti negato questa gioia? Non posso credere che tu abbia tenuto tra le braccia me e Alphonse come io sto tenendo mio figlio senza che il tuo cuore ne fosse rapito. Come hai fatto allora ad abbandonarci?

 

Tante domande si affollavano nella sua mente. Avrebbe voluto avere più tempo per chiedergli ulteriori spiegazioni, quelle che aveva avuto ormai non sembravano più bastargli in quella fase della sua vita. Avrebbe voluto sentire dalla sua bocca le risposte ai suoi quesiti: com’era lui da neonato, minuto e fragile come Yuriy? Piangeva come lui quando era affamato o aveva bisogno del suo calore? Lo aveva stretto a sé, baciato e coccolato? Che cosa gli aveva suscitarlo vederlo per la prima volta, senso di protezione, tenerezza, amore? Cosa si erano detti lui e Trisha quando avevano deciso di avere un altro bambino subito dopo di lui? O forse Al era stato una sorpresa inaspettata? Cosa aveva provato a tenerli entrambi in braccio?  

Non era collera quella che sentiva nei suoi confronti: era tristezza, rimpianto, una certa pena. Che uomo infelice ed impaurito doveva essere stato, divorato dai tormenti per commettere un torto simile verso la sua famiglia ma anche verso se stesso? Doveva aver veramente toccato il fondo del baratro.

Yuriy emise un mugolio attirando la sua attenzione. Lo osservò immediatamente attento a capire se si stesse svegliando o meno, ma il neonato sbadigliò, scalciò pigramente un paio di volte, allungò un braccino e si aggrappò alla stoffa della sua maglia, prima di riassopirsi raggomitolato contro il suo petto. 

Edward assaporò ogni istante e impresse nella memoria quei movimenti che forse alla vista di un estraneo sarebbero stati insignificanti. Per lui non lo erano. Avvertire quel bambino, il suo bambino, accoccolarsi contro di lui gli suscitava un fortissimo senso di completezza. 

Accarezzò la manina che lo aveva afferrato avvertendo i battiti del suo stesso cuore, immaginandoli all’unisono con quelli di Yuriy. Ipotizzò che Winry per la durata della sua gravidanza doveva aver sentito sensazioni molto simili, anzi, addirittura maggiori, e il suo legame con il piccolo doveva essere ancora più stretto e irrevocabile, viscerale, per averlo ospitato e cresciuto quella piccola vita all’interno del suo stesso corpo per mesi. Finalmente comprese fino in fondo a che livello di disperazione avesse potuto giungere una persona risoluta e combattiva come Izumi Curtis alla morte di suo figlio, così simile a quella che aveva provato lui, quando l’unica cosa che aveva desiderato era poter sentire ancora il caldo abbraccio di Trisha. Dopo aver provato la straordinaria sensazione di avere tra le mani quel corpicino, quella nuova vita che era figlia del suo cuore, dovette ammettere di non riuscire nemmeno ad immaginare il grande terrore di suo padre, quello di poter sopravvivere alla morte di quella creatura indifesa che cercava il suo calore. Il solo pensarci era crudele ed innaturale. Non era un’eventualità che poteva essere contemplata, così come non lo era che qualcuno avrebbe potuto fargli fisicamente del male. Se solo qualcuno si fosse azzardato lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani. 

 

Come Hohenheim… Che alla fine ha difeso me e Al fino alla morte… Ed è morto felice per non averci visti morire prima di lui… Magari nell’Aldilà finalmente è tornato ad abbracciare la mamma dopo tutti questi anni in cui lei lo ha aspettato… No, io non ci credo a queste cose, però sarebbe così bello se mi sbagliassi, se fossero insieme e felici, senza più paure… Per sempre… 

 

Un’immagine amena si fece strada nella sua testa. Non poteva essere un ricordo, doveva essere per forza un’ingenua fantasia da cui tuttavia non riuscì a distogliere la mente, dolce droga che mitigava il suo bruciante vuoto. C’era una stanza simile alla sua, c’era sua madre che dormiva nel letto proprio come Winry, c’era suo padre su una sedia che lo custodiva fra sue grandi braccia sussurrandogli quelle parole d’amore paterno che avrebbe tanto voluto sentirsi dire con quella sua voce profonda, “ti voglio bene, Edward.”, “non ti lascerò mai, piccolo mio.”, “sei la cosa più preziosa che ho.”, mentre lui si sentiva minuscolo, protetto e sereno.

 

Perché non mi hai mai detto queste cose? Avresti potuto farlo, saresti sempre stato in tempo, anche quando avevo quindici anni… Perché… Perché non mi hai dato quella carezza?

 

Avrebbe voluto che quel tempo interminabile non finisse mai… E poi la visione cambiava, lui era in braccio a sua madre, ne riconosceva quel buon odore di biscotti, e non era più così piccolo, lì con lui c’era anche Alphonse, e adesso il neonato era lui. Si stringevano l’uno con l’altro, si aggrappavano al petto di Trisha, avevano fame e Al piangeva forte e…

Il suono improvviso dei lamenti di Yuriy riportò Edward definitivamente alla realtà, facendogli sgranare gli occhi. Sul viso del bambino si era disegnata una smorfia ed era diventato tutto rosso, mentre si agitava tirando calci con le gambe irrigidite. D’istinto lo strinse a sé e si alzò per sedersi sul letto accanto a Winry, mentre lei si muoveva nel letto svegliandosi e poi mettendosi lentamente a sedere mentre tutti gli stracci intrisi di acqua caddero fra le lenzuola. Aveva un’espressione assonnata e i capelli in disordine. 

“Cavolo… Mi sono addormentata…” disse con voce impastata senza preoccuparsi del fatto che non portasse nulla a coprirle il busto.

“Non ti preoccupare, hai fatto bene a dormire. Yuriy è stato un po’ con me. – rispose lui appoggiandogli la mano libera sulla fronte - Ti senti ancora la febbre?”

“Forse sto un po’ meglio. Dammi Yuriy, avrà di nuovo fame…”

La giovane donna prese il bambino tra le braccia, lo cullò lentamente dopo avergli dato un bacio, per poi ricominciare ad allattarlo, con una smorfia di fastidio che tuttavia scomparve nel giro di pochi secondi dal suo viso.

La proposta di Edward arrivò improvvisa poco dopo, bisbigliata al suo orecchio, uguale a quella che l’anno prima lei gli aveva sussurrato sotto la pallida Luna del Giorno del Solstizio.

“Winry, mi vuoi sposare?”

Il braccio libero di lei gli cinse un fianco, quella testa bionda arruffata si appoggiò alla sua spalla. Da quella posizione non poteva vederla in faccia ma lui sapeva che stava sorridendo, poteva percepirlo chiaramente.

Non ebbe bisogno di altra risposta che quella. 

 

 

Fine

  
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