Cat'sEye!AU - OcchiDiGatto!AU Elsa è una giovane donna che di giorno gestisce un locale chiamato Ice Café, mentre di notte è una ladra che, supportata dalla geniale sorella Anna, ruba per scoprire quali segreti si celino dietro il loro triste passato. Jackson, Jack, Overland è un brillante detective del distretto di polizia della città, ha una cotta non poi troppo segreta - probabilmente ricambiata - per la proprietaria del bar che è solito frequentare e ha un solo e unico scopo nella vita: catturare la ladra Snow Queen. Rating: Arancione |
L’umore
del detective Jackson, per gli amici Jack,
Overland era livido, così come il suo occhio destro.
Aveva passato la notte praticamente in bianco sulle tracce della ladra
che, da
diverso tempo, stava facendo ammattire tutti i corpi di polizia del
paese, lui
compreso. Snow Queen era il suo
nome e sembrava uscita
direttamente da un romanzo o da uno di quei cartoni animati giapponesi
dove il
ladro - o le ladre - inviava un biglietto di sfida alle forze
dell’ordine,
mettendo con arroganza i riflettori su quello che sarebbe stato il suo
prossimo
colpo e, nonostante questo, riusciva sempre ad andare a segno e farla
franca.
Nessuno l’aveva ancora ufficialmente avvistata per cui la sua
identità era
avvolta dal totale mistero, c’era anche chi era assolutamente
convinto che,
nonostante il nome, sotto quelle mentite spoglie ci fosse un uomo,
forse perché
pensavano, più o meno inconsciamente, che un essere umano di
sesso femminile non
avrebbe potuto mai
essere così scaltro. Jackson, però, non era fra
questi, il suo sesto senso gli
suggeriva chiaramente che si trattasse di una giovane donna e quella
figura
minuta avvolta da capo a piedi in un’aderente tuta scura, che
quella notte
aveva inaspettatamente attirato la sua attenzione, non aveva che
confermato i
suoi sospetti. Peccato che l’inseguimento, scattato subito
dopo, si era
concluso con la più grande figura da pollo della sua
carriera, grazie al quale
si era guadagnato l’occhio pesto e le risate di scherno dei
suoi agenti.
Per questo riservò uno sguardo tagliente alla porta a vetri
che si era appena
aperta docile al suo passaggio, consentendogli l’ingresso
all’Ice Café,
se non che la contrazione della guancia gli provocò una
scarica di dolore che
gli fece scappare un grugnito infastidito dalle labbra.
Dopo la caccia fallimentare era tornato a casa a lavarsi via
l’onta del
disonore e a cercare di recuperare alcune – poche –
delle ore di sonno perdute
ma, prima di tornare di nuovo al lavoro, aveva davvero bisogno di
mettere
qualcosa sotto ai denti e, sì, anche il solo passare qualche
minuto con una
persona in particolare non avrebbe di certo guastato. Quando la vide
dietro al
bancone, bellissima come sempre, improvvisamente si pentì
della sua scelta,
visto lo stato pietoso in cui si trovava, sembrava finito
sotto…
«Ehi, Jack!» esordì una giovane ragazza
dai capelli rossi, seduta ad uno dei
tavolini, mentre finiva di riempire la sua tracolla «Snow
Queen ti ha travolto
con una schiaccia-sassi, per caso?»
Ecco, appunto.
«Anna…» la riprese la sorella,
mentre finiva di asciugare un bicchiere «Non
si prendono in giro i clien… oddio!»
sgranò gli occhi non appena posò lo
sguardo su di lui «Che cosa ti è
successo?»
Jack trasalì «Infortunio sul
lavoro…» buttò lì,
arrossendo un poco
«Colluttazioni, cose così…»
di certo non le avrebbe detto che si era schiantato
contro ad una porta a vetri come un fesso.
Elsa, perché questo era il nome della ragazza dietro al
bancone del bar,
sghignazzò appena, come se fosse consapevole che le stesse
nascondendo qualcosa
di imbarazzante di proposito «Anna…»
disse inaspettatamente «Hai ancora qualche
minuto prima delle lezioni, giusto?»
Quella annuì «Sì, Kristoff non
passerà a prendermi prima di un quarto
d’ora…»
L’altra liberò la spalla dai capelli raccolti in
una morbida treccia
che vi era appena scivolata
sopra e si sfilò il grembiule «Allora bada un
attimo tu ai clienti, per
favore…»
«Agli ordini, capo» concesse la sorella minore,
facendole un occhiolino carico
più che mai di sottintesi eloquenti.
Elsa roteò gli occhi al cielo e si avvicinò al
detective, prendendogli una mano
con la sua «Coraggio, seguimi»
Jackson balbettò un imbarazzatissimo
«D’accordo…» per ritrovarsi,
poco dopo,
seduto su di un piccolo sgabello del bagno sul retro.
«Chiudi gli occhi…» la sentì
dire mentre gli dava le spalle, obbedì.
Ci fu un piccolo schiocco e il fruscio dei movimenti di lei che
armeggiava
con qualcosa «Se ti faccio male dimmelo…»
Annuì e cominciò ad avvertire il picchiettio di
una spugnetta morbida
sull’attaccatura del naso tumefatta, inevitabilmente
tirò appena l’occhio per
via del dolore. La vide sorridere dalle palpebre socchiuse
«Faccio
presto, te lo prometto…»
Fu assolutamente di parola.
«Allora? Che ne dici?»
Jack si guardò allo specchio, il livido sparito
«Wow…» e non era dato sapere se
lo disse perché era sinceramente ammirato dal suo lavoro o,
più che altro, dal
riflesso che lo specchio gli stava regalando.
Dovette fissarla un po’ più di quanto fosse
consono perché Elsa arrossì un poco
«Che c’è?»
«Niente…» scattò quello
sull'attenti all'improvviso, altrettanto in imbarazzo
«Grazie davvero… sembra proprio che non mi sia
successo niente»
Lei alzò le spalle divertita «Figurati,
è stato un piacere aiutarti… coraggio,
andiamo di là che ti preparo la colazione, non ti rimane
più molto tempo»
Lo anticipò per uscire da quella stanza che sembrava essersi
ristretta
misteriosamente, costringendoli a stare un po’ troppo
vicini rispetto a quel che erano di solito. Prima che potesse farlo,
però, lui la
bloccò, riportando la mano nella
sua «Posso offrirti una cena Sabato sera?»
Questo improvviso slancio di coraggio, da sempre nascosto dietro a
sguardi e
sorrisi fugaci, lasciò per un attimo entrambi perplessi.
Elsa fece scivolare impercettibilmente lo sguardo sulle loro mani unite
e
decise di rivestire l’imbarazzo con un bel cappotto
d’ironia «E’ solo per
ringraziarmi del trucco o vuole essere un vero appuntamento?»
gli chiese,
inarcando un sopracciglio. Sperò che il suo tono di voce
fosse fermo quel tanto
che bastava a nascondere il cuore che le rimbombava nel petto
all’impazzata.
Ormai era decisamente tardi per fare marcia indietro «Ti
darebbe fastidio se lo
fosse?»
Questa volta fu il turno di lei di spazzare via ogni timore,
ritornò verso di
lui e gli posò la mano libera sulla spalla, alzandosi in
punta di piedi per
andare a lasciargli un leggero bacio sulla guancia «Decifri
questo indizio
detective e, sono certa, lo scoprirà»
Il loro primo appuntamento era andato a gonfie vele. Inizialmente, il
mangiare il sushi al nastro non era sembrata ad Elsa un'idea
prettamente
romantica ma, con l’andare della serata, si era dovuta
ricredere perché
l’essere seduti affiancati li aveva privati
dell’imbarazzo di trovarsi occhi
negli occhi, evitando che inopportuni silenzi calassero tra loro,
riempiti
dalla foga dell’accaparrarsi al più presto le loro
pietanze preferite o il
disperarsi quando un vicino gliele soffiava per un pelo. La
necessità di
toccarsi, poi, veniva magistralmente celata dalle sedie troppo vicine,
per cui
non era strano se le spalle si sfioravano per caso o se le mani
scivolavano
contemporaneamente verso il contenitore della salsa e lo
sporgersi per
guardarsi negli occhi, regalarsi un sorriso, diventava qualcosa di
voluto e non
un’imbarazzante costrizione.
Dopo la cena avevano
camminato a lungo e parlato senza freni, ritrovarsi con le
mani allacciate una nell’altra era stata una conseguenza
quasi annunciata,
mentre gustavano una deliziosa crepe sul lungo mare e lui le
impiastricciava
bonariamente il naso con la copertura dell'impasto.
Il bacio che si erano
scambiati davanti alla porta di casa di lei era stata la
giusta conclusione di una serata magica e Jack se
n’era andato
con un sorriso ebete stampato sulla faccia che si era presto tramutato
in una
vera e propria risata quando, dal nulla, tutte le luci del salone si
erano
accese, rivelando come Anna non stesse affatto dormendo ma stesse
aspettando la
sorella per farle il terzo grado. Prima di salire in macchina per
tornarsene al
suo appartamento, si era morso appena le labbra a ricercare il sapore
di lei
che sapeva di gloss e zucchero a velo. In cuor suo, sperò
ardentemente che
quell’appuntamento fosse solo il primo di una lunga serie.
Il
secondo appuntamento, però, finì con l'andare
inesorabilmente in fumo perché Snow Queen aveva pensato bene
di far coincidere
quello che sarebbe stato il suo ennesimo colpo proprio con lo stesso
giorno e
Jackson era stato, per forza di cose, risucchiato dai suoi doveri di
poliziotto. Al telefono con Elsa si era sentito mortificato e visto che
nuovamente la ladra sembrava magicamente sparita, rendendo quella
serata
rovinata vana, era - al momento - anche molto arrabbiato.
A notte fonda, tutti
gli agenti si erano ormai ritirati mentre lui era rimasto
perché l’ennesima sconfitta gli bruciava talmente
tanto che non era ancora
riuscito ad allontanarsi da quel muro di cinta della villa residenziale
da cui
era stato appena sottratto un preziosissimo manufatto.
«Pare
proprio che ce l’abbia con me, detective»
Una voce metallica
alle sue spalle lo fece sobbalzare: seduta sul muretto, a
pochi passi da lui, c’era proprio la ricercatissima Snow
Queen. Come la prima
volta in cui l’aveva vista di sfuggita, era completamente
fasciata da una tuta
nera aderente e l’unica cosa che spuntava dal cappuccio era
un visore notturno
che le copriva interamente gli occhi, vederle anche solo un lembo di
pelle era
impossibile. Sul fatto che fosse una donna, beh, non c’era
più alcuna ombra di
dubbio.
«Tu…»
esordì preso completamente alla sprovvista «
…sei sempre stata qui, non
sei mai andata via»
La voce contraffatta
gli inviò una leggera risata «Perché darsi tanta pena
di scappare quando bastava aspettare che tutti se ne
andassero?»
«I cani non
ti hanno sentito…»
Lei saltò
agilmente giù dal muro «Detective, non
vorrà mica che le sveli tutti
i miei trucchi, adesso»
Jackson strinse i
denti «Perché mostrarti ora? Per
sfottermi?»
Snow Queen si mosse
in maniera deliberatamente lenta, sfrontata persino,
girandogli attorno «Così mi offende:
l’ho vista qui, tutto solo e abbattuto…
probabilmente con i piani per la serata rovinati. Non so, magari ha
dovuto dare
buca alla sua ragazza… e mi sono sentita in colpa»
gli passò un dito guantato
sotto al mento.
Lui si ritrasse
appena, facendo un paio di passi indietro e, quando le sue
spalle sfiorarono il muro, si rese conto di essere finito nella sua
trappola
«E’ il mio lavoro, lei lo
sa…»
La ladra
sembrò quasi delusa «Ah, allora una ragazza
c’è… che peccato»
Jack la vide
avvicinarsi nuovamente: questa volta non si sarebbe fatto cogliere
impreparato, l’avrebbe aspettata quel tanto che bastava per
sfoderare la
pistola e costringerla alla resa. Ancora un solo passo e avrebbe agito
ma,
prima di riuscire anche solo a portare la mano alla fondina, lei si era
abbassata agile come un leopardo delle nevi e lo aveva colpito alle
gambe,
facendolo cadere.
Aveva chiuso gli
occhi nel momento in cui la testa gli aveva sbattuto contro il
muro e, quando li aveva riaperti, se l'era ritrovata praticamente
addosso: le
gambe allacciate al bacino, il seno fasciato dalla tuta attaccato al
viso
mentre, con le mani, gli costringeva le braccia verso l’alto.
«Non
è per niente carino puntare armi contro ad una signora, non
la facevo così
maleducato, detective» lo rimproverò, mentre un
quasi impercettibile bip testimoniava
che avesse appena azionato qualche congegno. Ci fu come un leggero
sbuffo e
qualcosa di freddo avvolse i suoi polsi, incatenandoli ad un tubo
lì vicino.
«Manette di
ghiaccio?» chiese incredulo.
«Belle,
vero?» gongolò quella, riportando il volto coperto
all’altezza del suo
«Mi domando cosa direbbe la sua ragazza se ci vedesse
adesso… oh» disse,
stringendo appena le cosce, aumentando il contatto fra i loro bacini
già
estremamente vicini «Sono sicura che questo non lo
apprezzerebbe»
Jackson
arrossì violentemente, per l’imbarazzo e la stizza
di non riuscire a
contenere i fremiti che quel corpo tonico – praticamente nudo
- allacciato al
suo gli faceva scorrere sotto alla pelle, andandosi a concentrare in un
punto
ben preciso «Questo non significa
niente…»
Le labbra di Snow
Queen si tirarono sotto alla maschera, quasi stizzite «Non
sta a lei decidere…» gli diede un piccolo buffetto
sul naso e si alzò,
regalandogli ancora una volta una panoramica del suo corpo mozzafiato
«Fra un
paio d’ore si allenteranno…» lo
avvisò, con un leggero cenno del capo verso le
manette «E’ stato davvero un piacere, detective.
Chissà se ci sarà una prossima
volta…»
Jackson
scalciò «Fermati, maledetta, fermati!»
le urlò dietro, mentre cercava
invano di liberarsi dalla sua prigione di ghiaccio, ma quella non si
voltò più
e sparì nell’oscurità della notte.
Ben lontano dal farsi mettere i piedi in testa, però, si era portato a casa le copie delle diverse planimetrie dell’hotel di lusso che, da avviso, sarebbe stato il luogo del prossimo colpo. L’asta di quadri e gioielli si sarebbe tenuta nell’enorme e sontuoso salone del pianterreno, circondato dalla vigilanza privata a cui la polizia avrebbe dato man forte, era quindi improbabile che Snow Queen decidesse di agire sotto quelle luci sgargianti e gli occhi di centinaia di persone. No, molto probabilmente avrebbe agito nei magazzini, ad asta conclusa, prima che i nuovi proprietari potessero a tutti gli effetti accedere ai beni appena comprati. Quella stanza, tuttavia, era cieca su più lati e aveva solo una porta, mentre il ricambio d’aria era garantito da un innovativo processo di aerazione che precludeva ogni contatto con l’esterno. Il vecchio condotto era, invece, stato murato con due metri di cemento armato. Come diavolo avrebbe fatto ad entrare e, soprattutto, uscire da lì? Si sarebbe travestita? Non ne aveva idea. Stanco morto scivolò nel sonno direttamente sul tavolo della propria cucina, con solo una convinzione nella mente: non avrebbe agito come Hans si immaginava.
Per
il corpo agile e allenato di Snow Queen, scivolare
nei condotti di aerazione era un’azione quasi naturale.
Mentre saliva sempre
un po’ più in su, le venne
quasi da sorridere: fino a poco
tempo prima, la messa in atto di quel piano pareva impossibile
perché l’unico
modo per poter accedere a quel magazzino – e alle sue opere
– sembrava proprio
il vecchio condotto murato. Raggiungerlo e aprirlo senza farsi
scoprire, però, si
era rivelata un’impresa infattibile e stavano quasi per
rinunciarvi. Un aiuto
inaspettato era, incredibilmente, arrivato proprio dal cambio di
gerarchia
avvenuto sul suo caso. Nonostante fosse sollevata - e dispiaciuta al
tempo
stesso - che il detective Overland fosse stato ufficialmente
affiancato, e
ufficiosamente rimosso,
l’arrivo di Westergaard era
stato per lei una manna
dal cielo. Sebbene lo vedesse praticamente tutti i giorni e il loro
rapporto
fosse ben presto scivolato in qualcosa di più di una
semplice amicizia, Jackson
era sempre stato molto riservato sui dettagli di ciò che
avrebbe messo in atto
per contrastarla, rendendo di fatto ancora più eccitante l’idea
di sfuggire ai suoi tentativi di cattura ma Hans, al contrario, era un
vero e
proprio pavone: pienamente sicuro nelle sue capacità - che,
doveva ammettere,
sembravano notevoli – non aveva disdegnato di lasciarsi
andare a qualche
confidenza di troppo, dopo un paio di drink ingollati assieme ad
un’avvenente
ragazza dai capelli
corvini e
sognanti occhi
verdi, totalmente
rapiti dal suo acume e dalla sua bellezza. Era proprio così
che Anna,
sapientemente travestita, era venuta a conoscenza di ciò che
persino Jackson
ignorava: la collana di diamanti che doveva recuperare ad ogni costo,
non
sarebbe mai tornata nel magazzino dopo l'asta, lì avrebbero
portato una
semplice imitazione per attirarla in trappola, mentre quella vera
sarebbe stata
custodita in una delle suite dell’ultimo piano, in attesa che
il compratore
andasse a reclamarla.
In quella stanza,
beh, non c’erano condotti di aerazione
bloccati: immettere
del gas narcotico nell’aria condizionata era stato un gioco
da ragazzi; sfilare
la collana dal taschino di Westergaard che dormiva beato era stato
quasi
divertente; i ganci di ghiaccio con cui stava risalendo verso il tetto
si
sarebbero sciolti di lì a poco e non avrebbero lasciato
alcuna traccia, ancora
pochi metri e sarebbe uscita, pronta a fuggire.
Aprì la
grata sopra alla sua testa, sicura di averla fatta
franca ma non appena
mise mano sul pavimento per scivolare fuori, una manetta
scattò attorno al suo
polso sinistro e si sentì issare di peso sul cemento del
tetto.
«Snow
Queen, ti dichiaro in arresto»
Era lui: Jackson. Lo
stupore durò solo un istante,
d’altra parte, se si era
innamorata di lui – perché sì, lo amava
– un motivo doveva pur esserci: era
brillante, ok, anche irritante e talvolta sciocco ma possedeva un
coraggio e
una determinazione senza uguali, senza contare
quell’incredibile potere che
aveva di riuscire sempre a rallegrarle anche le giornate più
buie. Quell’unico
appuntamento che avevano avuto l’aveva fatta stare
così bene che si era
spaventata a morte: come avrebbero potuto stare insieme? Erano uno la
nemesi
dell’altra e il piano suo e di Anna veniva prima di tutto,
anche dell’amore.
Perciò, mandare tutto a rotoli le era sembrata la soluzione
migliore, sebbene
avesse fatto - e continuasse a fare - maledettamente male.
«Accidenti,
detective…» cercò
di ricomporsi «Questa volta mi ha proprio
fregato»
«Come hai
fatto a riaprire il condotto murato?»
chiese lui ignaro e, per
maggiore sicurezza, allacciò l’altra manetta al
proprio di polso.
Lei rise
«Suvvia, non mi faccia domande a cui sa
già non otterrà risposta» si
mosse appena e con la mano libera fece scattare qualcosa nella sua tuta
che
riavvolse velocemente il cavo a cui, fino ad un attimo prima, era
appesa «Piuttosto, come ha fatto lei ad indovinare che sarei
proprio uscita da qui?»
Jackson
assottigliò gli occhi «Non
muoverti» le intimò, senza soddisfare la sua
curiosità.
Snow Queen
aprì il palmo in segno di resa e sbuffò
«Giustamente anche lei ha i suoi segreti, lo comprendo. Sa
cos'altro mi domando, invece? E’
lei che ha preso me o sono io che ho preso lei?» e non appena
finì di
pronunciare quelle parole, si avventò su di lui, saltando
dal parapetto.
Jackson avrebbe
voluto darle della pazza ma il senso di vuoto che
s’impadronì
del suo petto gli tolse tutto il fiato per farlo. Sentì le
mani di lei che lo
guidavano a sistemarsi nella posizione corretta: durò tutto
una piccola manciata
di secondi, giusto il tempo di percorrere in un lampo quella distanza
che li
separava dalla terrazza con piscina, venti metri più sotto.
Scivolarono
nell’acqua dritti come fusi, toccando il fondale con i piedi.
L’impatto
improvviso e l’acqua ghiacciata dall’aria della
notte colsero il detective
completamente impreparato: avvertì a malapena i tentativi di
lei di trascinarlo
verso la superficie – i loro polsi ancora allacciati
– e scivolò nel
buio dell’incoscienza.
Riaprì gli
occhi solo grazie a delle spinte energiche di due
mani sul petto,
sputò l’acqua via dai polmoni senza ritegno.
Neanche perse tempo a domandarsi
come avesse potuto liberarsi dalle manette, l’unica cosa
su cui riusciva a
concentrarsi era quel mento delicato che spuntava dal cappuccio ora
leggermente
rialzato e poi c’erano loro: quelle labbra sottili che gli
avevano - molto
probabilmente – appena eseguito una respirazione bocca a
bocca salvandogli la
vita e, chissà perché, prima di richiudere gli
occhi, gli sembrò di avvertire
sulla lingua il sapore dello zucchero a velo.
Il fatto di aver deliberatamente disobbedito agli
ordini e di aver messo la sua stessa vita in pericolo era costato al
detective
Overland l’ufficiale estromissione dal caso e un lungo
periodo di ferie
forzate: da quel momento, Jack aveva smesso di frequentare
l’Ice Café. Elsa lo
aveva visto una volta soltanto: indaffarata com’era fra le
ordinazioni
mattutine, aveva alzato appena lo sguardo per via di quella costante
sensazione
di sentirsi osservata e lo aveva scorto fuori dalla vetrata, con
un’espressione
indecifrabile sul viso, mentre la fissava: non appena si era accorto di
essere
stato notato, aveva distolto lo sguardo e se n’era andato.
Era vero, non si era
presentata in ospedale quando l’avevano trattenuto un paio di
giorni per
assicurarsi che la caduta non avesse causato danni, soprattutto dato il
quasi
annegamento e la doppia perdita dei sensi, ma il fatto che Snow Queen
lo avesse
quasi ucciso – nonostante, poi, lo avesse anche salvato
– aveva definitivamente
aperto quella voragine di senso di colpa che la sua doppia vita aveva
scavato
pian piano.
Prima di inviargli un messaggio e chiedergli come stesse, si era
bloccata,
domandandosi per un attimo se lui avesse potuto riconoscerla ma,
scuotendo il
capo, si era detta che quell’eventualità era
impossibile: visto lo shock era
davvero improbabile che si ricordasse di quell’attimo in cui
aveva aperto gli
occhi prima di riscivolare nell’incoscienza e anche se
così fosse stato, alla
fin fine, che aveva visto? Giusto il suo mento per una piccola frazione
di
secondo.
Così aveva premuto invio e quel laconico Bene, che
aveva
ricevuto in risposta solo un paio di ore dopo, era stato un
po’ come ricevere
uno schiaffo in piena faccia, schiaffo che sentiva apertamente di
meritare.
Anna stava lavorando al computer su quello che sarebbe
stato il loro prossimo piano: nonostante le proteste di Elsa, al
momento di
sopra a concedersi un po’ di relax, sembrava non esserci
alternativa al far
entrare in azione anche la sorella minore, fino a quel momento geniale
spalla e
brillante supporto dalle retrovie. Dopotutto, bardate da Snow Queen,
nessuno
avrebbe mai potuto dire che sotto a quella tuta potessero esserci due
persone
diverse:
già si pregustava la stampa in visibilio per il fatto che
la famosa ladra sembrasse dotata anche del dono del teletrasporto. Certo, non
avrebbero mai dovuto farsi
vedere
vicine, in quel caso quei centimetri di altezza che le differenziavano
sarebbero stati più che mai rivelatori, ma lei sarebbe
dovuta essere l’esca per
distrarre gli inseguitori e permettere alla sorella di scappare, niente
di più,
niente di meno. Presa com’era dai suoi progetti, non
sentì subito il campanello
della porta, lo percepì solo quando suonò
più insistente. Si portò gli occhiali
da riposo sulla testa e mosse appena i lunghi capelli rossi dietro alle
spalle:
non aspettavano visite, prima di andare ad aprire abbassò
con cura lo schermo
del suo laptop.
Quando vide oltre lo spioncino e scoprì
l’identità del loro inaspettato
visitatore, ringraziò mentalmente quel riflesso automatico e
aprì la porta
«Ciao Jack, come mai qui?»
«Ciao…» la salutò lui senza
prestarle troppa attenzione, lo sguardo attento in
cerca di una certa chioma bionda «Dov’è
tua sorella?»
Lei si spostò per farlo entrare, ignara di quel turbinio di
pensieri che
vorticava nella mente del giovane detective «E’ di
sopra a fare il bagno, puoi
aspettarla qui se vu… ehi!» gli urlò
dietro quando lo vide prendere con
decisione la via delle scale. Lo rincorse e lo superò
decisa, impedendogli di
proseguire «Hai capito cosa ho detto? Bagno, mia sorella
nuda:
non credo sarà contenta di vederti
entr…»
«Anna» la interruppe lui, con
un’espressione che non gli aveva mai visto
riflessa negli occhi nocciola «Fammi passare… per
favore» quasi sospirò, come
se parlare gli costasse un immenso dolore.
E forse fu proprio per quello sguardo che la ragazza si
spostò e non gli impedì
di prendere il corridoio e sparire dietro l’angolo.
«Se poi ti uccide non dirmi che non ti avevo
avvisato…» borbottò e, con un'alzata di
spalle, tornò al piano di sotto.
Quando
sentì la maniglia della porta girare, i
riflessi di Elsa la portarono ad alzare la testa di scatto
«Anna, che succed…
Jack!»
Quasi
sobbalzò nel vederlo sulla soglia: si portò
immediatamente entrambe le
braccia a coprire il petto, ringraziando mentalmente la schiuma che
ancora non
si era dissolta. Rossa in viso come non mai, un po’ per il
calore e un po’ per
l’imbarazzo, scivolò un pochino di più
sotto il pelo dell’acqua per coprirsi
meglio di quel che già era «Che diavolo ci fai
qui? Come ti sei permesso di
entrare?» lo rimproverò arrabbiata.
Lui la
congelò con lo sguardo, non disse nulla e avanzò
risoluto verso la
vasca: si sedette sul bordo davanti alla sua espressione esterrefatta e,
rapido, tuffò un mano verso il basso, dritta verso il suo
petto, ancora coperto dalle
braccia, incurante di bagnarsi completamente la manica della camicia.
Elsa chiuse gli
occhi, umiliata, e li riaprì solo quando avvertì
il proprio
braccio sinistro – stretto nella morsa di lui –
fuori dall’acqua.
Jackson strinse i
denti: eccolo lì, quel segno roseo sul polso, prova
inconfutabile di un taglio recente che si stava rimarginando. Si era
più volte
chiesto di come potesse essergli finito quel sangue sulla camicia
bianca, il
giorno che era caduto in quella maledetta piscina assieme a Snow Queen:
lui non
aveva tagli o escoriazione di alcun genere, perciò quella
macchia rossa non
poteva che essere stata lei a lasciarla, probabilmente ferita
dall’acciaio
delle manette, mentre cercava di liberarsi dal peso del suo
corpo morto che aveva
rischiato di farli annegare entrambi.
«Come te lo
sei fatto questo?» sibilò.
C’erano
infinite scuse che lei avrebbe potuto usare per giustificarsi
– come
l’essersi tagliata nel preparare un panino per il bar, o le
verdure di una cena
sua e di Anna – ma, ormai, non aveva più senso
alcuno: Jack aveva capito. Puntò
lo sguardo nel suo, orgogliosa nonostante la nudità
«Lo sai…»
Il giovane detective
quasi ringhiò «Perché?» le
lasciò il braccio che ricadde mollemente
nell’acqua «Perché
non me l’hai detto?»
«E cosa
dovevo dirti?» obiettò sarcastica «Ehi,
sai quella ladra che ti sta
facendo ammattire? Beh, sono io!»
«Sono lo
zimbello della polizia, cazzo!» sbottò nuovamente,
sempre più alterato
«Mi hai anche quasi ucciso…»
«Io…»
balbettò «Non volevo: nessuna delle due
cose» chiarì «Non ti avrei mai
lasciato morire, anche se questo avesse significato farmi
catturare…»
La
sincerità che avvertì in quelle parole ebbe lo
strano potere di
tranquillizzarlo «Perché rubi tutte quelle
cose?»
Questa volta fu lei
ad alterarsi «Io non rubo niente!»
sbottò «Quelle cose sono
nostre!
Facevano tutte parte della collezione dei nostri
genitori…»
«Vostre?»
Elsa annuì
«Conosci la storia della famiglia Blekett?»
Certo che la
conosceva, la notizia dell’affondamento del loro yatch era
stata
sulle prime pagine di tutti i giornali: l’intera famiglia
reale del piccolo Stato autonomo di Arendelle
distrutta,
inghiottita dalle onde del mare, i corpi mai
ritrovati… non era
possibile «Voi
non potete essere... quelle
ragazze sono morte!»
«No,
invece! Noi non eravamo sulla nave. Quell’affondamento non fu
un
incidente, i
nostri genitori erano evidentemente di troppo e dovevano sparire.
Noi ci
siamo salvate solo perché un amico fidato ci ha permesso di
fuggire,
portandoci in un nuovo continente, nascondendoci dietro un nuovo
cognome e
regalandoci un’attività con cui poter
vivere in questa città»
sospirò «Pensavamo di aver
chiuso con il passato ma, dopo anni, abbiamo
visto in vendita una statuetta appartenuta ai nostri genitori e da
lì abbiamo
compreso che qualcuno aveva disperso la
loro collezione…»
puntò gli occhi velati di lacrime dritti nei suoi
«Riaverla indietro e scoprire
chi si cela dietro a tutto questo è l’unico modo
che abbiamo per arrivare alla
verità»
Tutto, gli aveva mentito su tutto:
Elsa non solo era Snow Queen, era
anche - di fatto - la regina
di un Paese disperso nel Nord Europa…
chi diavolo aveva frequentato
lui per tutto quel tempo? Di chi si era innamorato?
«Ero solo
un mezzo per te? Cosa ha significato il nostro appuntamento e tutte
quelle
moine che mi hai fatto dietro alla maschera di Snow Queen?»
le chiese, duro.
Avrebbe potuto
rispondergli di sì e spezzargli il cuore una
volta per tutte, sarebbe stato doloroso – certo –
ma era sicura che poi lui avrebbe
trovato il modo di andare avanti… su di lei, invece, non lo
era altrettanto.
Sospirò, Jack si meritava la verità anche se,
probabilmente, avrebbe fatto male
comunque «No…» sussurrò sul
pelo dell’acqua che, ormai, aveva perso quasi tutto
il suo calore. Attirò le gambe verso il petto, per
proteggere quello che la
schiuma ormai dissolta aveva smesso di coprire «Lo ammetto,
provocandoti a quel
modo come Snow Queen ho davvero esagerato ma la realtà
è
che quella sera che abbiamo passato assieme è stata
così perfetta da farmi paura e … come
potevano funzionare le cose tra noi con
quello che ti stavo nascondendo? Come potevo chiederti di scegliere fra
il tuo
lavoro e me?»
«E, quindi,
hai pensato bene di fare tutto tu: non solo mi hai messo da parte ma
hai anche deciso per me…»
«Mi
dispiace…» gli disse, sinceramente pentita.
Il giovane detective
rimase muto per alcuni interminabili secondi, il
suo respiro profondo era l’unico rumore percepibile
nell’intera stanza.
Incapace di resistere
oltre, Elsa ruppe il silenzio «Che vuoi fare adesso? Vuoi
denunciarmi?»
Jackson
aggrottò entrambe le sopracciglia stupito e poi
lasciò andare un sonoro
sospiro «C’è solo una cosa che voglio
fare adesso…» e prima ancora che lei
potesse comprendere le sue intenzioni, si buttò nella vasca
completamente
vestito: l’acqua fuoriuscì dai bordi, mentre le
loro bocche si cercavano – e
trovavano - con un’urgenza quasi bruciante.
Il fatto che Elsa
fosse completamente nuda perse d’importanza, anzi,
all’improvviso erano diventati gli abiti zuppi di Jackson ad
essere di troppo.
Liberarsene in quello spazio ristretto fu un’impresa
piuttosto complicata che
strappò ad entrambi più di un sorriso, tutte le
tensioni di un attimo prima
momentaneamente sepolte sotto a quella necessità di toccarsi
e
scoprirsi senza
più maschere. Indubbiamente il loro domani li avrebbe
accolti con ancora tante
domande e decisioni da prendere ma quello era, appunto, il futuro e
avrebbero
avuto tutto il tempo per pensarci, poi.
Ciao a tutti! Ho questo specchietto in caldo da nemmeno io so più quanto (sicuramente da ben prima che "La Notte del Lupo" vedesse la luce) eppure tabula rasa, non riuscivo a buttare giù due righe in merito e, inaspettatamente (forse complice anche la recente visione della serie Lupin), è venuta fuori adesso. Lo ammetto, la mia idea iniziale era quella di costruirci sopra una mini-long, tuttavia, la mia ispirazione mi ha guidato verso questa one-shot che spero vivamente vi sia piaciuta. Il finale è volutamente aperto per omaggiare il manga grazie a cui questa OS è nata, il quale si conclude con un finale dolce/amaro per Hitomi(Sheila) e Toshio(Matthew) che rimane in bilico ma fa presupporre come i due ragazzi, alla fine, riusciranno a stare insieme nonostante tutto. Povero Jack, ha resistito anche troppo con Elsa nuda lì davanti XD Invece, sono ragionevolemente sicura che Anna (che in questa storia prende le vesti della più piccola delle sorelle: Ai(Tati) e ha una piccola rivincita personale su Hans, ingannandolo lei per una volta) abbia deciso di chiamare Kristoff e farsi portare a prendere un gelato, visto come le cose al piano di sopra stessero andando per le lunghe XD Al solito sapere che ne pensate mi renderebbe molto felice ^^ Grazie per aver letto! Alla prossima Cida |