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Autore: Imperfectworld01    30/08/2021    1 recensioni
Corre l'anno 1983 quando la quindicenne Nina Colombo ritorna nella sua città natale, Milano, dopo aver vissuto per otto anni a Torino.
Sebbene non abbia avuto una infanzia che tutti considererebbero felice, ciò non le ha impedito di essere una ragazza solare, ricca di passioni, sogni e aspettative.
Nonostante la giovane età, sembra sapere molte cose ed essere un passo avanti alle sue coetanee, ma c'è qualcosa che non ha ancora avuto modo di conoscere: l'amore.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Scolastico, Storico
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Quattordici.

Non pensavo che dopo aver sentito le parole di Vittorio in merito a quell'assurda questione del primo bacio, ne sarei diventata letteralmente ossessionata. Stava diventando più forte di me. Nei giorni successivi sembrava non sapessi fare altro che fissare le coppie per strada che si baciavano, non riuscivo proprio a farne a meno.
E pensare che fino a poco tempo prima non mi era mai importato molto, anzi, quasi mi disgustava vedere due persone scambiarsi quel tipo di effusioni, tanto che distoglievo subito lo sguardo.

A differenza di prima, non mi faceva più così tanto senso, al contrario, non riuscivo letteralmente a togliere gli occhi di dosso da tutte le coppie che mi capitava di incrociare: che fosse per strada, a scuola, sui mezzi pubblici, al supermercato, al parco.
Anche quando mi capitava di vedere un bacio in televisione, la mia reazione era totalmente diversa rispetto a prima che avessi quel discorso con Vittorio: prima ritenevo superfluo, scontato e nemmeno così necessario che in ogni singolo film o programma televisivo ci fosse sempre almeno un bacio fra i protagonisti; ora sembrava che fosse l'unica cosa che mi interessava realmente vedere.

E non si trattava solo di vedere, stavo proprio a osservare il tutto nei minimi dettagli, per non perdermi nessun particolare: occhi chiusi, teste leggermente inclinate per non far scontrare i nasi, mani sul viso, o sui capelli, oppure intrecciate a quelle dell'altra persona, o magari sui fianchi.

Cose ovvie e palesi a tutti probabilmente, ma a cui io non avevo mai prestato attenzione. Avevo sempre pensato fosse qualcosa di facile, e in effetti tutte le persone lo facevano sembrare facile, come se non si potesse sbagliare niente e si potesse essere pratici ed esperti fin dall'inizio. Ma a me stava iniziando a sembrare tutt'altro che semplice. C'erano così tante cose che, se mi fossi dimenticata, avrebbe reso il tutto molto imbarazzante, ancor prima di iniziare a baciare qualcuno. Avrei dovuto curare molto l'alito, per esempio. Ma come si faceva ad avere sempre un buon alito, se in teoria non potevo sapere quando sarebbe arrivato il momento di baciare qualcuno?

Non era come una verifica o un'interrogazione di scuola, per le quali potevo sempre studiare e prepararmi al meglio per il giorno stabilito. Non era qualcosa che si poteva programmare. A meno che... a meno che non decidessi di fare come aveva fatto Vittorio.

Dio, era assurdo anche solo il fatto che ci stessi pensando. E poi chi sarebbe mai stato così malato di mente da volermi baciare?

Se fossi andata ad una festa, ci sarebbero state sicuramente tante ragazze in grado di attirare l'attenzione molto più di me, nessuno mi si sarebbe avvicinato, e io non ero il tipo da andare per prima da un ragazzo per provarci. Cioè, non ci sarebbe stato niente di male nel farlo, ma non avrei saputo nemmeno da dove cominciare. Ero molto più brava a dare consigli agli altri, piuttosto che ad applicare tali consigli a una mia situazione personale, semplicemente perché non avevo mai avuto né il bisogno né la necessità di farlo.

E nemmeno adesso, a dirla tutta, ce l'avevo. Non avevo fretta. Non mi piaceva nessun ragazzo, così come era stato per tutti i quindici anni precedenti della mia vita, quindi non c'era bisogno di allarmarsi così tanto, giusto?

«Che hai?» chiese mia sorella, interrompendo il flusso dei miei pensieri. «Sei stata parecchio silenziosa oggi a cena.»

«Ma te non sei quella che si lamenta sempre della mia parlantina?» feci, per evitare di rispondere alla sua domanda, prima di iniziare a preparare la cartella per il giorno successivo.

«Ovvio, grillo parlante, solo che mi sembri parecchio strana oggi.»

Scrollai le spalle, chiudendo lo zaino e tornando a letto. «Non ho niente, Benni, tranquilla. Ora puoi continuare a isolarti dal resto del mondo come fai sempre.»

«Certo che a volte sei proprio una stronza, Nina! Per una volta che cercavo di essere gentile, guarda come...»

«Nessuno ti ha chiesto di esserlo» la interruppi. «E poi sei la prima a non raccontare mai nulla... che c'è, ti aspetti che le persone ti vengano a confidare ogni cosa solo perché sei tu, però poi tu te ne stai sempre con la bocca cucita?»

Guardando l'espressione dipinta sul suo volto, per nulla irritata ma al contrario compiaciuta, capii di essermi appena tirata la zappa sui piedi. «Ahhh, allora sì che c'è qualcosa!» esclamò, lanciandosi letteralmente sul mio letto con un balzo, atterrando tra l'altro sul mio piede col suo peso. «Ahia, cazzo!» urlai.

«E dai, quanto la fai tragica, e poi mica l'ho fatto apposta» disse, spostandosi dal mio piede.

A quel punto afferrai il mio cuscino e glielo tirai in faccia. «Questo sì che è fatto apposta» dissi, prima che Benedetta me lo restituisse.

«Vi state picchiando di nuovo?» giunse la voce di nostra madre dall'altra stanza. Io e Benedetta ci fissammo per qualche secondo stando ferme e in silenzio, prima di scoppiare a ridere incontrollatamente, dimenticandoci in un nanosecondo dell'accaduto.

La porta della nostra stanza si spalancò pochi secondi dopo ed entrò nostra mamma, con la classica espressione e posa da rimprovero: occhi socchiusi, fronte aggrottata, labbra serrate e mani sui fianchi. «Quand'è che crescerete? Soprattutto te, Benedetta, hai quasi diciotto anni» fece con tono severo.

«Ma è più divertente risolvere i litigi in questo modo. E comunque ha iniziato Nina» rispose mia sorella e io la fissai stralunata: «Scherzi? Sei tu che ti sei catapultata col tuo sederone sul mio povero piedino!»

«Quel piedino intanto puzza come poche cose al mondo. E poi, sederone a me? Almeno a me vanno ancora tutti i miei jeans» ribatté e, se non ci fosse stata mia madre lì presente, avrei aggredito nuovamente Benedetta. «Quand'è che ti finisce il ciclo, comunque? Non ti sopporto davvero più» aggiunse.

Feci qualche calcolo per poter rispondere alla sua domanda. «Allora, oggi è giovedì, quindi... allora, dato che mi è arrivato la prima volta lunedì, ciò significa che...»

«Se sei fortunata, domani sarà l'ultimo giorno» mi precedette mia mamma. «E fra ventiquattro giorni circa dovrebbe ritornarti, sempre se è regolare, ma è probabile che non lo sarà la seconda volta.»

«Come ci riesci a essere così precisa?» domandai, visibilmente colpita. Ci aveva messo un attimo a rispondere, e non era nemmeno il suo ciclo.

«Tesoro, tu hai appena cominciato, ma io ci faccio i conti da più di trent'anni.»

Dopodiché, uscì dalla stanza e richiuse la porta. Ci fu un attimo di silenzio, Benedetta tornò a sedersi sul suo letto e io rimisi il cuscino a posto. Poi mia sorella riprese la parola. «Comunque, se mi dirai cos'è che ti turba tanto, io ti dirò una cosa che...»

«Aspetta un attimo» la interruppi, e mi alzai in piedi per uscire dalla stanza. Sentivo delle voci provenire dal salotto, di cui una in realtà pareva provenire da più lontano.

Ecco che, infatti, una volta giunta in sala vidi la portafinestra spalancata e Vittorio affacciato al balcone. Lo raggiunsi, solo per rimanere profondamente delusa nel vedere Filippo sotto il nostro balcone, per strada.

«Dai, sali. Vengo ad aprirti» disse Vittorio.

Alzai gli occhi al cielo. «Ma non ce l'ha una casa questo?» dissi, più che altro fra me e me, dal momento che Vittorio mi guardò storto dopo quella mia uscita, e successivamente si diresse verso la porta d'ingresso.

Filippo, infatti, aveva appena citofonato, e Vittorio andò ad aprirgli il portone. Dopodiché si portò avanti, aprendo anche la porta di casa, lasciando un piccolo spiraglio aperto, piccolo a sufficienza da non far uscire il gatto fuori dall'appartamento, come succedeva di frequente quando lasciavamo la porta spalancata ed evitavamo di chiuderla subito una volta dopo essere rientrati a casa.

Non che ci fosse un reale pericolo che il gatto scendesse le scale e scappasse, dal momento che era così pigro e fifone che al limite si faceva un breve giro del pianerottolo, prima di piazzarsi a terra sul tappetino davanti alla nostra porta d'ingresso, ma comunque era sempre meglio prevenire.

Comunque, in pochi attimi, il ragazzo biondo che avevo appena visto in lontananza affacciandomi al terrazzo, era comparso e si trovava ora a pochi passi da me.

Lui e Vittorio si scambiarono qualche parola sottovoce che non riuscii a capire. Poi Filippo andò a dirigersi probabilmente verso la stanza del suo amico, mentre quest'ultimo esclamò: «Pa', c'è qui Filo, si ferma a dormire!» avvisando suo padre, oltre che me, che quella notte avremmo avuto un ospite, a mio parere indesiderato.

Mi avvicinai a Vittorio per chiedergli cosa fosse successo e per quale motivo Filippo si fosse presentato sotto casa nostra alle nove meno un quarto di sera e perché non potesse rimanersene a dormire a casa sua invece che stare da noi, ma non appena giunsi al suo fianco, lui mi diede le spalle e raggiunse Filippo in camera, il quale lo aveva appena chiamato.

Ma io non volevo darmi per vinta. Ero sicura ci fosse qualcosa sotto, ed ero più che intenzionata a scoprirlo.

Così tentai di ingegnarmi in qualche modo per intromettermi fra quei due, e quella palla di pelo che aveva appena cominciato a strusciarsi contro le mie gambe mi sembrò per la prima volta un ottimo alleato. Mi inginocchiai a terra e lo presi in braccio. «Vieni con me, Beppino» gli dissi sottovoce, prima di inscenare il mio teatrino: «No, basta! Mi hai davvero rotto!» esclamai, rivolta al gatto, sperando che anche il resto dei miei familiari mi sentisse. Poi mi diressi verso camera di Vittorio e aprii la porta. «Te lo puoi prendere? Quest'inutile felino continua a starmi addosso» dissi a Vittorio, prima di rimettere il gatto a terra.

A giudicare dagli sguardi dei due, sembrava se la fossero bevuta. Filippo emise un flebile sorriso, che in realtà sembrava parecchio forzato, mentre Vittorio si chinò a prendere il gatto in braccio come un bebè, facendo sì che appoggiasse il suo testone peloso sulla sua spalla.

Non dissero nulla, e sembrava stessero attendendo che mi levassi dai piedi, ma non volevo farlo. Così, dato che loro non proferirono parola, decisi di farlo io: «Perché non guardiamo un film?» proposi.

«Fai sul serio? Ogni volta che te lo chiedo mi mandi a quel paese» rispose Vittorio, ridacchiando.

«Sì, perché ti ricordo ancora di quella volta mi hai fatto vedere un film horror nonostante sapessi che non mi piacciono, e poi mi innervosisce il fatto che tu debba sempre commentare ogni minimo particolare e anticipare le scene che stiamo per vedere. Ma stasera non sarei da sola, magari in due ce la facciamo a farti stare zitto» dissi.

Vittorio mi fissava con gli occhi socchiusi, sembrava sospettare del mio tono stranamente accondiscendente e gentile, e della mia improvvisa voglia di trascorrere il resto della serata in compagnia di Filippo. O forse ero io a credere che lui si stesse facendo tutti quei viaggi mentali, quando in realtà ero solo io a farmeli.

«D'accordo, io ci sto. Ma decido io il film, so che stasera ne danno uno carino sulla Rai» disse Vittorio, lasciando il gatto sul suo letto e cominciando ad avviarsi fuori dalla sua stanza.

«Vale a dire?» chiese Filippo, ed era la prima frase che gli sentivo pronunciare da quando era arrivato. A differenza del solito, aveva un tono di voce piuttosto grave e rauco.

«Seguitemi e lo scoprirete» fece con un tono che non prometteva nulla di buono.

*

«Mi rifiuto di guardare una stronzata simile. Non se ne parla proprio» sbraitò Filippo, e per la prima volta eravamo d'accordo su qualcosa.

«Ma dai, perché?»

Gli presi il telecomando dalle mani e cambiai canale. «Il tempo delle mele 2, fai sul serio?» Già sapevo che se avessimo guardato quel film, Vittorio non avrebbe fatto altro che fare battute su me e Filippo, dato che tempo prima ci aveva paragonato ai due protagonisti. «Comunque i due protagonisti si chiamano Vic e Philippe, quindi forse è il caso che lo guardiate voi due da soli, magari porterà alla nascita della vostra storia d'amore» feci ironica e loro mi ignorarono totalmente.

«Di che ti lamenti tu? Se l'altro giorno ti ho beccata mentre guardavi quella telenovela noiosissima da nonne» mi rimbeccò Vittorio e io lo fissai con gli occhi ridotti a due fessure.

«Te l'ho già detto, non c'era niente di meglio, e comunque non ci stavo neanche prestando attenzione» provai a difendermi.

«Sì certo, tanto non ci crede nessuno. Ora però non metterti a piangere» ribatté, strappandomi il telecomando dalle mani e cambiando nuovamente canale.

«Ma chi, lei? Hai più probabilità di metterti a piangere tu» commentò Filippo, seduto alla mia destra.

«Oh no, non in questi giorni, credimi. Nina ha il ciclo, quindi è un sacco vulnerabile e frigna per ogni cosa, oppure è più scontrosa del solito, va un po' a momenti alterni.»

Sentii le guance andarmi a fuoco, sia per la rabbia sia per l'imbarazzo. «Vittorio!» esclamai a gran voce girando la testa a sinistra, mentre Filippo se la ghignava in silenzio.

«Che c'è? Non pensavo fosse un segreto...»

«No, infatti» intervenne Filippo: «Raccontami di più, tanto non ho idea di che cosa sia.»

«Magari allora è meglio che sia così» risposi, rigirandomi dall'altra parte. A breve mi sarebbe venuto il torcicollo a furia di girarmi da una parte all'altra di continuo.

«È qualcosa di troppo assurdo, te lo giuro: per cinque giorni circa, ogni mese, semplicemente sanguinano... lì sotto» spiegò Vittorio e Filippo storse il naso in segno di disgusto. «E poi anche un sacco di cose strane, tipo dolori alla pancia, sbalzi d'umore, fame incontrollata.»

Bene, visto che aveva praticamente riassunto il tutto, direi che si poteva andare oltre e chiudere quel discorso. All'improvviso l'idea di vedere quel film non mi pareva così tanto male.

«E come fanno a non sporcarsi?» domandò Filippo. A quanto pare no, ne avrebbero parlato ancora per molto.

«Mettono delle cose tipo i pannolini dei bambini» replicò Vittorio, scoppiando a ridere, seguito dall'amico.

«Si chiamano assorbenti» precisai, prima di sbuffare. Stavo davvero perdendo la pazienza.

«E scusa, quindi stai sanguinando anche in questo momento?» chiese il biondino, iniziando a fissare in maniera ossessiva le mie parti basse.

«Smettila di guardarmi! E finitela, non sono un saltimbanco da circo!» esplosi, alzandomi in piedi e preparandomi a ritirarmi nella mia stanza. I due continuarono comunque a ridere ininterrottamente, nonostante la mia sfuriata.

«Aspetta Nina, girati. Mi sa che... forse... sì, mi sa che hai una piccola macchiolina qui dietro» fece Vittorio, tornando serio. Mi voltai verso di lui preoccupata e mi portai una mano sul sedere. Poi, non appena il mio sguardo incrociò quello di Vittorio e riprese a ridere, capii che era stato solo uno stupido scherzo.

«Sai che lo fanno di continuo tra di loro, le ragazze? Non fanno che controllarsi a vicenda di non essere sporche, perché a volte può capitare, nonostante i pannolini, che si sporchino lo stesso di sangue» spiegò a Filippo, il quale rise: «Allora ecco perché ogni tanto a scuola vedo una ragazza che cammina e l'amica che la fissa, oppure a volte in pieno inverno te la vedi a maniche corte e con la felpa in vita che gira per i corridoi!» esclamò, riprendendo a ridere.

Stavo per strapparmi i capelli dal nervoso. «Siete proprio due bambini dell'asilo, e non fate ridere neanche un po'! Ecco perché non volevo parlarne, perché siete in grado di trasformare una cosa normale in qualcosa di cui vergognarsi! In realtà gli unici a doversi vergognare dovreste essere voi due!» mi lamentai, prima di incamminarmi verso il corridoio che portava alla mia stanza. Mi stoppai non appena sentii qualcuno affermarmi il polso e tirarlo affinché tornassi indietro: «Dai Nina, scusami. Scusaci, anzi. Stavamo solo giocando» disse Vittorio, fissandomi con un'aria pentita.

Rimasi in silenzio e cercai di liberarmi dalla sua presa, ma a quel punto lui si alzò in piedi e mi si piazzò davanti per sbarrarmi la strada e impedirmi di lasciare il salotto.

«Non me ne faccio niente delle tue banalissime scuse» sputai, incrociando le braccia al petto.

«Cosa vuoi che faccia allora? Ho capito: ho superato il limite, perché non mi dici come posso rimediare?» chiese, e sembrava davvero dispiaciuto.

Forse me l'ero presa troppo come mio solito... Anzi, no. Ero fiera di quello che avevo detto. Loro avevano esagerato e io li avevo zittiti e messi al loro posto. Ma comunque almeno avevano capito di aver sbagliato, cioè, Vittorio sicuramente, ed era quello l'importante.

«Come puoi rimediare? Semplice: prova a metterti nei miei panni, scommetto che neanche a te piacerebbe ricevere battute di questo tipo.»

«Tu mi fai sempre battute di questo tipo, solo che io ho più senso dell'umorismo a differenza tua e ci rido su» ribatté e io lo fissai in cagnesco. «D'accordo, d'accordo. Se ti dà fastidio, allora non ci scherzerò più» disse, prima di invitarmi a tornare seduta sul divano.

Rimasi qualche istante a pensarci, in silenzio, e alla fine tornai a sedermi in mezzo ai due ragazzi. Poi mi voltai verso Filippo. «Be', tu non hai niente da dirmi?» chiesi.

«Ti devo ricordare che l'ultima volta che ci siamo visti mi hai chiuso fuori in balcone? E mi hai capovolto un cono gelato sui capelli? Tutto nello stesso giorno, per giunta. Direi che ora siamo pari.»

Ancora con quella storia?

«Pari? Io ti ho chiesto scusa. E meno male che sei quello che non porta rancore...»

Filippo emise un piccolo sorriso. «Sto scherzando, peperoncino. Dovresti smetterla di prendere ogni cosa che ti viene detta così tanto sul serio.»

«E tu dovresti smetterla di chiamarmi peperoncino» ribattei, ma in effetti non aveva tutti i torti. Era una cosa che facevo molto spesso, e che mi rendeva parecchio irascibile.

«Ma dai, io non capisco perché non ti piaccia! Fa pure quasi rima col tuo nome: Nina, peperoncino... arancino, o arancina. Che ne pensi, vuoi che ti chiami arancina?»

Roteai gli occhi. «Hai finito?»

«Sì. E mi dispiace. Era quello che volevi sentire? Ora puoi dormire sonni tranquilli?»

«Ovviamente no, sapendo che dormirai nella stanza accanto alla mia.»

Mi sarei aspettata che a quel punto avrebbe fatto una delle sue solite battutine, scontate, squallide e di pessimo gusto, qualcosa come: «Se vuoi possiamo dormire nella stessa stanza». Sarebbe stato qualcosa molto da lui, qualcosa che avrebbe detto per farmi saltare i nervi come a suo solito, oltre che per provarci ottenendo scarsi risultati, invece non disse niente di tutto ciò. Non disse nulla e punto, in realtà.

Magari allora era vero, che non aveva più intenzione di "darmi la caccia". Chissà, forse ora che si era tolto quell'insensata fissa per me, saremmo diventati amici.

 

   
 
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