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Autore: Cladzky    31/08/2021    2 recensioni
Ai margini dell'universo, sul piccolo planetoide del Linaker's Diner, fanno sosta degli stranieri che portano con loro il letterale seme della distruzione, turbando la pace della contea, fra la rabbia dello sceriffo, il disinteresse della signora Linaker e la fascinazione del benzinaio locale. Prima che i personaggi possano rendersi conto di quanto stia accadendo, persi nelle proprie piccole faide, il seme germoglia e così inizia il massacro ad opera di una creatura indefinibile. Bisogna ora distruggerla, prima che la sua assimilazione della materia vivente continui.
Tributo alla letteratura apocalittica della guerra fredda, il cinema horror degli anni 80, i film exploitation, ma soprattutto a un autore molto importante che ho incontrato qui su EFP. Si sto parlando proprio di te. Non sarei a questo punto se non mi avessi dato la spinta. Grazie.
Genere: Avventura, Commedia, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Il Linaker’s diner era l’ultimo baluardo umano prima dell’infinità di un vuoto mai esplorato. Situato sopra di un piccolo planetoide privo d’atmosfera, offre una meravigliosa vista sulla colorata nebulosa di Yeaworth, ideale sfondo per mangiare il cibo offerto dalla gestione familiare della locanda. Quantomeno questa era quanto stava stampato sull’opuscolo che davano in omaggio all’ultimo distributore, circa cinque anni luce più indietro. Era proprio vero che cenare lì significava cenare sul ciglio del nulla. Un disco giallo canarino sorvolò il parcheggio senza peso, scendendo come una piuma giusto fra un cacciapattuglia della polizia di sistema e un aviobotte di un gelato sottomarca. 

All’interno del locale, lo sceriffo Dawn, alzò per un momento lo sguardo dal suo caffè per ammirare il riflesso dello specchio oltre il bancone. Alle sue spalle, al di là del vetro, era appena atterrato un velivolo che non aveva mai visto prima. 

―Serata movimentata oggi.

―Non vedevo tre clienti in una volta dall’ultimo anniversario del locale― Commentò la bionda tinta, ormai oltre la mezza età, mentre serviva una zuppa ribollente a un altro avventore dai capelli simili alle frange di un mocio.

―No, sono convinto che quel giorno ne avemmo addirittura quattro― Si espresse quest’ultimo, prima di infilare una cannuccia nella brodaglia e succhiare rumorosamente. Sputò poco dopo, facendosi aria alla bocca, agitando le mani.

―Dieci anni che ti servo la stessa roba e ancora non hai imparato a aspettare che si raffreddi― Mise i pugni sui fianchi la proprietaria, prima di sbuffare e andare a pulire con un panno la chiazza che aveva lasciato sullo specchio, giusto sopra il ripiano dei liquori. Vedendo quella macchia disgustosa, Dawn si girò sulla sedia, per proseguire a spiare il nuovo arrivato senza dover ammirare anche la saliva di Lee.

―Ma dicono che il succo Centauri porti fortuna solo se bevuto tutto d’un sorso appena cotto― Si giustificò l’autista dell’aviobotte, rigirando la robaccia semiliquida che aveva nel piatto.

―A meno che non diventi ignifugo sarà il caso che ti cerchi una stella cadente.

La fusoliera del disco sbocciò meccanicamente, rivelando una figura rivestita d’una sgargiante tuta bianca e casco oscurato. Si guardò un po’ attorno, sgranchendosi le giunture. Saltellò su una gamba sola, elevandosi ben oltre un metro. Annuì come soddisfatto, fletté le braccia avanti a sé, spiccò un balzo e si lanciò in un salto mortale in avanti. Atterrò di faccia.

―Giusto un altro citrullo ci mancava a questo maledetto posto― Dawn si tolse il cappello e tornò a bere il suo caffé.

―Se ti può consolare non mi sei mai sembrato un citrullo― Gli fece eco Lee qualche sgabello più in là.

―Per favore― Lo pregò la signora Linaker, risistemandosi l’uniforme ―Lo sai che quando lo sceriffo vede un viso nuovo si agita, e quando si agita non è in vena di scherzi.

―Quali scherzi?

―Oh, per l’amor del cielo…

L’estraneo si era rialzato, scosso la polvere di dosso e preso a saltellare come fosse la prima volta che sperimentava la bassa gravità. Si approcciò alla camera di decompressione, citofonò e aspettò che gli aprissero. Linaker premette un pulsante sotto il bancone e la porta esterna si aprì lentamente, ripiegandosi da un lato. L’uomo in tuta bianca fece un passo dentro il corridoio di transizione e quasi cadde dall’improvvisa attrazione della gravità artificiale installata nel locale. Chiusasi la porta alle sue spalle e riempita la camera a tenuta stagna di adeguato ossigeno, fu il turno della porta interna di aprirsi.

―Maledizione Lee― Rise Dawn, senza togliere gli occhi di dosso da quel ridicolo costume innevato ―La tua roba è talmente orrenda che manda in bancarotta i gelatai. Questo si è ridotto a vendersi come acrobata da circo.

―Fosse almeno bravo― Aggiunse la donna.

―Va al diavolo, io non gli ho venduto niente a questo― Si offese l’autista dell’aviobotte, prima di bere tutto d’un fiato il suo succo Centauri.

―Bah, se l’umorismo fosse un libro lo useresti per pulirti il culo― Perdette subito il sorriso Dawn, muovendo una mano come a scacciare una mosca. Poi si rivolse al nuovo arrivato ―Quanto a te benvenuto al Linaker’s diner, fiocco di neve.

Il pilota portò le mani al casco e lo sfilò dalla chiusura ermetica, rilevando un viso piuttosto giovane, poco sopra i vent’anni, capelli castani tenuti in una cresta da punk e una barba corta, fuori posto.

―Siete sempre così ospitali da queste parti?― Fu la voce del nuovo venuto, fin troppo acuta.

―Ma certo giovanotto, ci teniamo a dare una buona impressione. Infatti i nuovi clienti ricevono sempre un aperitivo in omaggio― Esclamò la bionda, prima di far volare una palla di carta stagnola per la stanza, dritta verso l’uomo all’ingresso, che la prese a fatica, colto di sorpresa. L’aprì confuso, rivelando la morbida sfera di un frutto rugoso, violaceo, quasi blu.

―Dove sta l’aperitivo?

―Dentro: Lo mordi e ti esplode in bocca― Spiegò lei, priva d’ogni interesse, andando a lavorare su un pannello di controllo. Il planetoide ruotava in fretta e si era fatta subito notte. Prima che potesse farsi completamente buio le luci del locale entrarono in funzione. 

―Occhio, è molto aspro― Lo avvertì il camionista, voltando le sue spalle larghe e guardandolo oltre le lenti dei suoi occhiali a specchio, ancora con il succo che gli colava dalla bocca ―Tipico della cucina di Poseidon. Da un po’ di tempo hanno chiuso tutte le frontiere e commerci con l’esterno, dunque è difficile reperirne qualcuno.

―Grazie, ma non rientra nei miei gusti― Declinò l’uomo in bianco, rigirandoselo fra le mani.

―Dallo a me allora, odio il cibo sprecato.

Titubante glielo lanciò come avevano fatto con lui. Lee lo prese al volo, ma con i denti. Subito chiuse la mandibola e il frutto gli esplose per davvero in bocca come un gavettone pieno di liquido bianco. Una quantità non differente gli fuggì dalla bocca. Mandò giù e si leccò i resti sulle labbra. Il tutore della legge, dai capelli ormai radi, si coprì il viso per volgere lo sguardo e nascondere la sua reazione disgustata.

―Sei un vero animale― Rise la proprietaria, andando a prendere il necessario per pulire il pavimento a scacchiera sul retro, sparendo dietro una porta rossa con oblò in vetro. Confuso da questa accoglienza, il giovane cosmonauta si avvicinò al bancone, mirando il sedile imbottito dello sgabello fra lo sceriffo e il camionista.

―È libero questo posto?― Chiese, alzando un dito verso la superficie in cuoio. Lee non rispose, ancora intento a pulirsi il viso. Dawn alzò uno sguardo sbigottito. Poi rise letteralmente sotto i baffi.

―No, ci stanno le mie pulci ammaestrate là sopra.

Il ragazzo si chinò per ispezionare lo sgabello. Lo sceriffo alzò gli occhi al cielo. Gli diede una sonora pacca sulla spalla quasi da fargli affondare il viso nella copertura in cuoio.

―Siediti scemo― Grugnì irritato, mentre quello si ricomponeva, poggiando sullo sgabello con le mani che si stringevano l’un l’altra e incassando la testa fra le spalle. Dawn lanciò un occhio al camionista, oltre di lui ―Incredibile Lee, ne abbiamo trovato uno peggio di te.

―Ah― Alzò le braccia al cielo il ricevente, dopo essersele leccate per bene ―Delizioso, l’ideale per mandare giù il succo Centauri.

Dawn scosse la testa, non troppo sorpreso che quello non stesse seguendo affatto la discussione.

―Dopo l’inferno che ti sei bevuto prima anche la candeggina risulterebbe gradita― Finì il suo caffè, per poi dare un pugno sulla spalla del pilota in bianco, facendolo scivolare giù dal sedile a momenti ―Ma tu hai lo stomaco indistruttibile al contrario di questo palato delicato.

―Ma si può sapere qual è il tuo problema?― Sbottò il pilota tutto d’un tratto, dandogli uno spintone ―Non sopporto queste prese in giro. Cos è, sei ubriaco?

Di tutta risposta quello abbassò le sopracciglia, assottigliò gli occhi, contrasse una smorfia da deformargli i baffi e tirò fuori un distintivo dorato che gli piantò in faccia.

―Non bevo mai in servizio. Dimmi, sai leggere ragazzo?

Il giovane dai capelli castani ingoiò un groppo di saliva.

―Ma certo signor… Vincent Dawn.

―Solo gli amici mi chiamano Vincent― Replicò il tutore della legge, rimettendo a posto la placchetta sotto la giacca da borghese e lisciandosi i baffi ―Tu puoi chiamarmi signor sceriffo.

―Oh, non ci far caso ragazzo― Li interruppe la voce della proprietaria, che sbucò dalla porta cremisi armata di secchio e scopettone. Uscì da dietro il bancone e si mise a strofinare il pavimento ai piedi del camionista, ancora sporco di aperitivo ―Il nostro sceriffo adora la vita di paese e non vede di buon occhio novità nel suo sistema stellare. Qua ci conosciamo tutti, quindi è normale essere sensibili alla presenza di stranieri.

―Oh, ma io adoro gli stranieri, soprattutto a pranzo― Esclamò allegro il pilota dell’aviobotte, pulendosi il muso con un tovagliolo rosa e tendendogli una mano ancora unta ―La loro cucina intendo. Anthony Lee, per servirti. L’aviobotte là fuori è il Generale Lee, la più veloce di tutta la contea.

―Nonché distributore del miglior gelato artigianale di tutta la contea― Aggiunse la donna.

―E l’unico, purtroppo ― Concluse lo sceriffo, sghignazzando.

―Oh mi fate arrossire con questi complimenti― Ringraziò il camionista., soffiandosi il naso con lo stesso tovagliolo rosa sporco.

―E io sono Kay Linaker, proprietaria dell’ultimo diner umano prima della nebulosa di Yeaworth. Ottima vista non trovi?― Le dita callose della donna indicarono fuori dalla vetrata. Se prima che il debole sole del sistema tramontasse erano visibili costellazioni familiari, ora che la faccia del planetoide su cui si trovavano volgeva in senso opposto, sul cielo appariva solo una sfumatura di rosso fragola dai riflessi verdi, gemmata di sferette bianche. La palette cromatica, tutto sommato, si intonava perfettamente con l’interno del locale, ammobiliato alla moda degli anni ’50.

―L’opuscolo non mentiva affatto― Constatò il pilota. Dawn mugugnò.

―Ora che siamo meno estranei di prima― Continuò Linaker, portando via secchio e scopettone dietro il bancone con sé ―Spero non disturbi lo sceriffo se ricevo la tua ordinazione, signor…

―Cladzky. Solo Cladzky― Meditò il ragazzo, grattandosi il mento e studiando il menù stampato sopra la sua testa.

―Ti consiglio la costola di brontoschiato― Gli suggerì all’orecchio il camionista ―Una delizia locale, non la trovi da nessuna parte.

―Vada per quello. E da bere una bottiglia d’acqua, naturale.

Detto fatto, la donna si appuntò il tutto su un blocco note e sparì di nuovo sul retro. Lee prese a ingurgitare olive da un piattino di spuntini lì vicino. Dawn invece riprese a parlare con tono investigativo.

―E così è stato un opuscolo a portarti qui― Pensò ad alta voce ―Certo che ti ha portato lontano. Non è proprio una località turistica questa. Devi avere una gran bella motivazione per esserti spinto fino ai margini dell’universo conosciuto.

―Oh, una grandissima motivazione― Sorrise Cladzky, gesticolando ―Alle volte mi guardo attorno nella carlinga del mio disco e guardo le stelle. Allora mi chiedo chissà fino a quanto lontano posso andare e parto, lasciando tutto ciò che conosco alle spalle. Lo spazio è infinito e nessuno ha il tempo di vederlo tutto. Meglio approfittarne ed esplorarlo il più possibile almeno, no?

―Oh, anch’io lo farei― Lee sputò un nocciolo d’oliva dritto nel cesto dei rifiuti all’ingresso, circa cinque metri più in là ―Quanti piatti che vorrei assaggiare! Ma non posso abbandonare l’attività di famiglia, perché nessun altro ne prenderebbe l’eredità.

Cladzky lo squadrò. La grossezza del suo aspetto non tradiva il suo amore per il cibo. A sua volta Dawn squadrò il giovane castano. Gli pose una mano sulla spalla e lo costrinse a voltarsi e fissarlo nei suoi occhi di vetro.

―Non ho idea di cosa tu sia venuto a fare qui, bamboccio, ma nel mio sistema non ci sono mai stati problemi; mi piace così com’è e non ti permetterò di cambiare le cose. Dunque, se anche solo ti vedessi buttare una cartaccia per terra, stai sicuro che sarò lì per infilare nel tuo sfintere da vagabondo il mio stivale per intero da quanto forte ti prenderò a calci nel culo. Chiaro?

―Limpido, signor Dawn.

―Sceriffo Dawn.

Il campanellino del citofono suonò la sua elettronica sinfonia di quattro note. I due si voltarono immediatamente, ma non potevano vedere niente dietro quella paratia interna d’acciaio lucente. Potevano però vedere che nel parcheggio nessun altro velivolo era atterrato.

―E adesso chi diavolo è?― Gracchiò Dawn.

―Ci penso io― Squillò Lee, sporgendosi sopra il bancone fino a premere il pulsante dall’altro capo per l’apertura.

―Ma sei impazzito?― Gli urlò contro il balivo.

―La signorina Kay non poteva certo aprirgli― Si scusò l’omaccione, inforcando gli occhiali.

―Potrebbe essere chiunque, maledizione.

―Un ladro non busserebbe di certo― Fece notare Cladzky.

―Taci, che fosse stato per me potevi pure restartene fuori a fargli compagnia.

Il suono della camera di decompressione sibilò nell’aria, mentre, al di là della porta, la stanza si riempiva d’ossigeno. Lo sceriffo strinse la mano attorno il folgoratore nella fondina della cintura. La paratia slittò di lato. Una figura molto bassa apparve. Era una macchina cingolata, piccola, argentata, dalla cui base ricoperta di cavi e sensori, si alzava un antenna e un braccio artificiale. Avanzò lentamente sopra le piastrelle del pavimento, lasciando una breve scia di detriti rocciosi.

―Mark, ti avevo detto di restare a bordo!― Si lamentò il pilota in bianco.

―Conosci quella roba?― Alzò un sopracciglio lo sceriffo, togliendo le dita dall’arma.

―È il mio computer di bordo― Spiegò, prima di sobbalzare per l’arrivo improvviso della sua costoletta, servitagli alle spalle sul bancone da una appena giunta Linaker.

―E che ci fa fuori bordo allora?― Chiese quest’ultima, poggiando anche la bottiglia d’acqua minerale che aveva ordinato.

―Mah, l’automazione non la sopporto― Mormorò fra sé Lee, stavolta ingoiando un’oliva tutta intera col nocciolo ―Non sopporterei che il mio gelato fosse prodotto da una macchina.

―Prego, continuate a parlare come non ci fossi― Uscì scherzoso il tono sintetizzato da Mark, fin troppo cordiale per essere frutto di una bobina e magneti. Alzò una delle sue tre dita di plastica verso il suo pilota ―Quanto a te lo sai che non mi fido a lasciarti solo, e fare la muffa non mi piace.

―E tu lo sai che la tua unità mobile consuma troppo carburante per i miei gusti― Gli gridò di rimando Cladzky, tagliandosi la carne nel piatto.

―Fosse per te resterei per tutta la vita dentro quel maledetto disco. E poi, dopo l’ultimo trasporto che hai fatto, credo che tu possa permetterti questa spesa.

Dawn si grattò il mento, poggiandosi di peso sul bancone, mentre si faceva portare il conto. Lee, disinteressato a faccende così veniali, si alzò per andare in bagno. Kay Linaker si sporse, tirando fuori il taccuino.

―E tu vuoi ordinare qualcosa, signor…?

―Mark, Mark Zero. Dovrei cambiare l’olio se non vi dispiace.

―L’autocisterna che ci rifornisce passerà tra un’oretta. Spero non ti dispiaccia aspettare.

―Per nulla.

―Ti ricordo che i soldi sono miei― S’intromise Cladzky, portandosi la forchetta alla bocca.

―Ti ricordo― Replicò decisa la sua cassa audio, mentre il suo braccio si allungava a prendere un fazzoletto per togliersi la polvere di dosso ―che sono stato io a guidare per tre giorni di fila. Tu non vedresti un soldo senza il mio aiuto.

―E così ti occupi di trasporti― Affermò con voce interessata lo sceriffo, poggiando i soldi per il caffé ―Dalle dimensioni del tuo disco non si direbbe.

―Oh― Trasalì Cladzky, allontanando il pezzo di carne dalla bocca ―Nulla di grosso. Si tratta più di un favore che altro.

―Quando ti ho chiesto perché eri qui non mi hai detto nulla riguardo questa consegna― Si alzò in piedi, sistemandosi il cinturone. Quanto ad altezza faceva impressione, senza contare che Cladzky stava per giunta seduto.

―Ma che cos è, un interrogatorio?― Ridacchiò il pilota.

―Una specie― Dawn prese a camminare verso il suo robot. Lo scrutò dall’alto al basso, ridendo ―Dunque, signor Mark, questa non è una visita di piacere.

―Una cosa non esclude l’altra― Replicò il computer, mentre si ripuliva i cingoli. La fronte di Cladzky cominciò a imperlarsi di sudore.

―Quindi, questa consegna a cui voi avete accennato e che il vostro padrone mi ha tenuto nascosto, di cosa si tratta?― Si lisciò i baffi.

―Voi volete sapere che consegna abbiamo fatto?― Ripeté confuso il robot.

―Sì, è quello che ti ho chiesto!― Lo incitò impaziente Dawn ―Rispondimi subito. E ricorda che mentire è contro le leggi della robotica.

―Lo so meglio di voi caro il mio sceriffo Vincent Dawn― Si sentì uno spicchio di fastidio in quel diaframma artificiale, che apparve corrisposto da un eguale riflesso negli occhi da biglia del tutore della legge ―Solo non pensavo rientrasse nella vostra giurisdizione sapere se il mio padrone avesse o meno consegnato tre pacchi di preservativi alla scorsa stazione di servizio per fare un favore al gestore che non trovava una taglia abbastanza grossa nelle farmacie del vostro sistema.

Vincent Dawn si ritrasse un poco indietro stralunato. Poi rise.

―È proprio vero che i robot non mentono.

―Se volete telefonare per avere una conferma…― Insistette Cladzky, ma venne interrotto da un indice agitato in aria.

―Lasciamo perdere, ho già capito che avete un alibi di ferro per trovarvi qui. Finite le vostre costolette e vedete di filare, intesi?― Detto questo diede un calcio alla macchina, smuovendosela da davanti, ed entrò nella camera stagna, rivestendosi con la sua tuta per uscire dal locale. La porta si richiuse alle sue spalle, giusto mentre infilava il suo berretto da sceriffo sotto il casco.

―Testa di cazzo― Esclamò Mark, mirandosi il segno sulla fiancata lasciato dallo stivale. Cladzky ingoiò finalmente il primo pezzo di carne, insieme alla sua anima che era lì dal vomitare per la tensione.

 

***

 

Anthony Lee, dopo aver scaricato la vescica, uscì dalla cabina del cesso e si apprestò a lavarsi alacremente mani e viso. Poteva anche essere un maiale a tavola, ma aveva sempre cercato di tenere una buona igiene. Detestava che mani sporche potessero infettare il suo buon gelato. Già che c’era volle dare un occhiata al Generale Lee giusto fuori l’oblò dei servizi igienici che dava sul parcheggio. Da quando l’aveva appena riverniciata, la nave era molto più in tinta con la nebulosa che si affacciava a giusto qualche miliardo di chilometro dal loro sistema. Gli dava un aspetto decisamente più unico e accattivante con quella tinta magenta, che lo amalgamava con il paesaggio. Stava pensando anche di cambiare il nome del prodotto allo stesso modo. Anche se “gelato Lee” era stato portato avanti per generazioni dalla sua famiglia, non diceva nulla a chi abitava fuori dal sistema. Ma al di là del vetro non vide altro che il buio. 

“Strano”, Fu tutto ciò che poté pensare, mentre si asciugava le mani con l’irradiatore di calore lì vicino, nel mentre che un ticchettio prese a rimbombare per le pareti. Si avvicinò e all’oblò e di conseguenza anche al rumore, ma continuava a vedere solo uno strato nero perfetto, se si eslcudeva il suo riflesso. Ora era giusto a pochi centimetri. Il ticchettio proveniva giusto da dietro il muro. Qualcosa sbatteva contro la superficie del locale, là dove non c’era aria. Lee strizzò gli occhi. Là, nel buio, altri due occhi in penombra lo scrutarono a sua volta.

Colto dallo spavento fece un balzo indietro. Lo stesso fece l’individuo dall’altro versante. Quel buio era il casco oscurato di una tuta spaziale che stava sbirciando dentro i bagni. Smise di bussare sul muro e così cessò il ticchettio.

―Che razza di maniaco― Riprese fiato il camionista, indietreggiando verso la porta. Ma l’uomo nella tuta azzurra sollevò qualcosa. Una lavagnetta con scritte a pennarello due righe a caratteri storti.

DÌ A CLADZKY CHE LO ASPETTO FUORI

SUBITO

Lee guardò quel messaggio confuso, non avendo molta voglia di fidarsi di quello stramboide. Senza molte altre alternative però annuì. L’uomo in tuta azzurra gli mostrò un pollice alzato e saltò, sparendo verso l’alto. Il suo corpo divenne tutt’uno con il cielo stellato, deformandolo dietro di sé.

 
   
 
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