Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: _Frame_    01/09/2021    1 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
---
[On going: dicembre 1941]
---
[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

N.d.A.

Quindi... sono tornata? All’incirca (^-^)”.

L’avevo promesso che non avrei smesso di scrivere il Miele nonostante il lavoro prioritario su Walpurgisnacht. In realtà, sto riorganizzando un sacco i miei scritti, vecchi e nuovi: fra la diffusione via social, o il raccoglimento dei capitoli del Miele nei volumetti che distribuisco sul blog... chiaramente vado un po’ più lenta, dato che la precedenza spetta sempre alle fatine.

Tuttavia, mi scoccia da morire vedere il Miele incompleto su EFP. E soprattutto mi manca lavorarci.

Dato che un paio di capitoli sono già pronti e altri sono in piena lavorazione, alla fine mi sono detta: tanto vale postarli! Spero possa essere una gradita sorpresa per chi è ancora qui a seguirmi. ^-^

Gli aggiornamenti dunque tornano anche su EFP, ma saranno sporadici. La lunghezza dei capitoli sarà variabile (alcuni più lunghi, altri più corti), ma io sarò comunque più presente.

Cercherò di tornare alla pari anche con le risposte alle recensioni, nel frattempo ringrazio di cuore tutti quelli che mi contattano e che continuano a supportarmi anche su Instagram, Tumblr e via dicendo. È soprattutto grazie a voi se riesco a tenere sempre accesa questa fiamma.

Quindi non mi resta altro da fare che dire “Bentornati a tutti!” e augurarvi come sempre una piacevole e spensierata lettura.

Vi voglio un mondo di bene, ciurmaglia mia!

 

p.s. Tanti auguri, Miele! Oggi sono sette anni che mi complichi la vita che ci teniamo a braccetto!

p.p.s Per chi volesse supportare la mia scrittura anche al di fuori dell’Internet™, i primi due volumi di “Walpurgisnacht” sono già disponibili e il terzo è in fase di arrivo. (^-^)/

 



221. Gli spari zittiscono il temporale e Un grido lacera la pioggia

 

 

“Mi aiuteresti?” Dopo quel singhiozzo di sorpresa che lo aveva fatto rimbalzare sulla seggiola, per poco America non si fece scivolare dalle mani il calice di vino rosso che Francia gli aveva servito, accompagnato da quella rivelazione inaspettata quanto una nevicata nel mese di luglio. America dovette sbatacchiare più volte gli occhi per assicurarsi di non star sognando, di essere ancora sveglio nonostante la lunga nottata. “Davvero?” Non seppe se sentirsi più entusiasta o più incredulo.

Francia sorrise, affabile e rilassato come quando era apparso nel boschetto di abeti. Fece oscillare il calice del vino rosso che aveva versato a tutti e due. Ormai era notte fonda. Lui e America si erano rifugiati in uno degli alloggi privati di America dove nemmeno Inghilterra avrebbe potuto scoprirli e spiarli. “Mais oui, altrimenti perché sarei corso da te con tutta questa fretta?” Bevve un sorso del suo vino – un Bordeaux dei vigneti del Médoc, riservato a pochi privilegiati – e fece ondeggiare il nettare nel bicchiere laccato di rosso. Allontanò una ciocca dal viso e posò su America due occhi che avevano assunto sfumature liquorose, già un po’ brille, ma che trasmettevano comunque un caldo senso di fiducia a cui ci si poteva appoggiare sentendosi al sicuro. “Qui c’è bisogno di agire, e sarà meglio farlo in fretta se non vorrai che la tua gente patisca inutilmente la crudele tirannide di Inghilterra. Non temere l’aspetto militare o burocratico, sono solo bazzecole, e potrò pensarci io per adesso.”

“Ma...” America irrigidì le dita attorno al calice di vetro, vi guardò dentro e si specchiò sulla superficie del vino rosso da cui non aveva bevuto nemmeno un sorso, dato che Inghilterra gli aveva sempre proibito di dare anche solo un’annusata agli alcolici. Il profumo inebriante e proibito del vino ricondusse infatti i suoi pensieri a Inghilterra, al modo in cui si erano separati, dandosi le spalle e giurandosi guerra nel caso uno dei due avesse intralciato l’altro. Disobbedirgli non era semplice come credeva.

Lui continua a trattare me e la mia gente come se fossimo una sua proprietà, meditò. Solo come un pezzo della sua terra che si trova al di là dell’oceano. Mentre Francia ha subito riconosciuto queste persone come il mio popolo, e non come semplici coloni. E poi crede nella mia capacità di combattere e di farmi valere come una vera nazione. America si morse il labbro e tamburellò le unghie sul calice, sollevando un trillo argentino. I dubbi persistettero. Ma questo basta a darmi la prova che posso fidarmi di lui? “Ma io non so come si combatte e non so nemmeno come si mette assieme un esercito,” gli disse. “Non ho mai fatto una cosa simile prima d’ora.”

Francia rinnovò il sorriso e sollevò il mento in una posa fiera. “Ed è per questo che ti servirà la mia alleanza, non? Lascia fare a me.” Strinse un pugno d’aria in un gesto rapido e combattivo, come se avesse agguantato l’elsa di una spada e avesse sfoderato la sua lama contro il soffitto. I suoi occhi azzurri scintillarono di entusiasmo. “Prenderò i tuoi uomini e li trasformerò in un esercito talmente invincibile che Inghilterra non sarà in grado di sconfiggere nemmeno in cinquecento anni.”

America lesse una sfumatura di avidità negli occhi di Francia, nelle iridi azzurre che, sotto l’ombra di quel gesto, si erano fatte più scure e misteriose. Lo studiò con sospetto andando oltre il luccichio suscitato dalle sorsate di vino. E se lo stesse facendo solo per se stesso e non realmente per aiutarmi? Ma quello non era l’unico pensiero a preoccuparlo. “Sul serio dici di farcela?” Posò il calice ancora pieno affianco alla bottiglia stappata. “Perché Inghilterra mi ha raccontato della vostra guerra, di quella dove lui e Prussia hanno sconfitto te, Austria e Russia. Quindi perché...”

“Perché qui la questione è diversa.” Quel piccolo scatto di Francia scosse anche il calice che reggeva in mano, fece spandere uno zampillo color rubino sulla sua pelle. Francia tossicchiò, adagiò le spalle sullo schienale della sedia, ritrovando la sua solita compostezza, e si asciugò la mano con un fazzoletto di stoffa. Annuì. “Lo ammetto.” Questa volta senza sorridere, senza più sforzarsi di mascherare le sue intenzioni. “La guerra in Europa mi ha giocato un brutto colpo, anche se non tanto come per Austria, ed è proprio per questo che voglio offrire il mio contributo qui e impedire che le conseguenze della mia sconfitta si riversino su qualcuno di innocente come te.” Rimise via il fazzoletto, poggiò l’indice sul bordo del calice, e lo fece oscillare avanti e indietro, cospargendo una cascata di riflessi rossi attraverso il tavolo. “Tu credi di essere al sicuro, America, ma ti sbagli, perché tu non conosci il lato oscuro di Inghilterra.” Sotto una ciocca bionda che gli era caduta sulla guancia e che lui non si era scostato dietro l’orecchio, i suoi occhi assunsero una sfumatura più profonda e misteriosa. “Lui si è ben guardato dal tenertelo nascosto,” disse ancora Francia. “Ma io lo conosco bene. Lo conosco bene, e ti assicuro che lui non esiterà a sprigionare quel suo lato oscuro anche contro di te.”

“Ma allora...” America si tirò indietro con le spalle, colto da un inconscio brivido di timore. Quella storia di volersi assumere le responsabilità da nazione adulta si stava rivelando più oscura e controversa del previsto. “Perché dovrei fidarmi di te? E se anche tu mi stessi imbrogliando? E se anche tu mi stessi tenendo nascosto il tuo...” Com’è che l’ha chiamato? “Il tuo lato oscuro?” Arricciò le labbra nella stessa smorfia che aveva mimato dopo aver dato la prima e ultima annusata al Bordeaux. “Perché dovrei fidarmi di te anziché di Inghilterra?”

Francia sollevò le fini estremità delle sopracciglia in un’espressione sorprendentemente ammirata e compiaciuta davanti alla brillantezza che uno sprovveduto come America era riuscito a dimostrare. Soffiò una soffice risata a fior di labbra. Raccolse la bottiglia di Bordeaux e si versò dell’altro vino. “Ti fiderai di me, America.” Bevve un solo sorso, accostò il calice alla guancia lasciando che la sua pelle si tingesse di un acquoso e ondeggiante color prugna. Gli occhi sottili e astuti come quelli di un felino in agguato. “Perché ti renderai conto di come questa sarà solo la prima di una lunga serie di difficili decisioni che dovrai imparare a prendere, se vorrai essere finalmente trattato come una nazione indipendente.”

America trasalì, incassando il peso inaspettato di quelle parole.

Francia fece scivolare il gomito lungo il tavolo, si avvicinò a lui tenendolo incatenato nelle profondità di uno sguardo infinitamente più anziano e vissuto del suo. “Dovrai imparare a pagare il prezzo della tua stessa esistenza. Un prezzo che fino a oggi è sempre stato Inghilterra a sdebitare per te. Dovrai imparare che nessuna strada da te intrapresa sarà priva di dolore, o priva di rischi, o di conseguenze non programmate.” Lo disse come se lui stesso avesse già dovuto sopportare un dolore simile. L’azzurro dei suoi occhi si annacquò di tristezza. “E dovrai imparare che certe volte non esiste alcun bene, ma solo un male minore. Dovrai imparare che ciò che è bene per te è male per altri, e che non c’è nulla che tu possa fare per evitarlo, perché è semplicemente così che funziona la vita di un adulto, umano o nazione che sia.” Trasse un lungo sospiro. “Chiarito questo...” Si rifece cadere sulla seggiola, si versò dell’altro vino, e bevve un lungo sorso che sciacquò via l’ombra di dolore dal suo viso. Le sue labbra tornarono a incresparsi in un sorrisetto sornione. “È certamente possibile che io stia accettando di aiutarti e di immischiarmi in una guerra oltreoceano solo perché guidato da un onesto senso di giustizia e libertà che voglio aiutarti a rivendicare.” Si strinse nelle spalle. “Come è possibile anche che io lo stia facendo solo per me stesso, solo per prendermi la rivincita su Inghilterra e per sfruttare a mio piacimento un’eventuale vittoria. Ma questo dipenderà da te, America.” Posò il calice sul tavolo e si rialzò dalla seggiola, allargando l’oscurità dell’ombra che gli traballava attorno. “Dipenderà tutto da quello che sarai tu a scegliere di fare e cominciare. Allora, cosa mi dici?” Distese il braccio, porgendo ad America la mano aperta, e sollevò le fini sopracciglia in un’espressione seducente. “Quale sarà la strada che condurrà alla tua libertà, America?”

I muscoli di America s’irrigidirono, il suo sangue gelò facendogli tremolare le gambe, le guance sbiancarono assumendo la stessa tinta lattea di cui quella notte la luna era carica. Posò gli occhi annebbiati di indecisione sulla mano tesa di Francia. Deglutì. Sudore freddo gli imperlò la fronte. Il suo respiro si fece pesante e gli compresse il petto come se l’aria della stanza fosse venuta a mancare. La voce dei suoi pensieri si rifece sottile e dolorosa come un fischio.

Quale sarà la mia strada?

Il peso del soldatino che custodiva nella tasca della giacca lo chiamò a sé, ricordandogli che una parte del suo cuore apparteneva ancora a Inghilterra.

La strada verso la mia libertà, verso la mia indipendenza?

Accostò la mano alla tasca, ma strinse il pugno tremante senza infilarlo sotto la stoffa.

I battiti del suo cuore accelerarono, si gonfiarono di angoscia e indecisione.

È chiaro che dovrò guadagnarmela da solo per dimostrare di esserne veramente degno. Francia ha detto che ogni mia scelta avrà delle conseguenze, ma combattere contro Inghilterra, diventare un suo nemico... è davvero questo l’unico modo per ottenere quello che voglio? Quando il suo popolo soffre per un’ingiustizia, cos’è che una vera nazione deve fare? Pensare al suo Paese, rischiare di sacrificare delle vite pur di ottenere ciò che la sua gente vuole, oppure arrendersi pur di non compromettere la pace?

Proprio com’era successo davanti a Inghilterra, una voce estranea ma familiare quanto il suo stesso pensiero gli si accostò all’orecchio, gli suggerì di allontanarsi dal peso del soldatino che gli gravava nella tasca, di dare le spalle al suo passato e di proseguire per la sua strada gettando al mare le catene forgiate da Inghilterra.

La confusione nella sua testa si diradò, il nugolo di pensieri si sgonfiò riportando luce dentro di lui. Fu un’immagine chiara e limpida: la nebbia trapassata da un raggio di sole, le nubi spazzate via da un alito di vento fresco. Il vento della libertà che soffiava sull’orizzonte della sua terra sconfinata.

Ma io so cosa voglio essere. So cosa voglio diventare.

Allontanò il pugno dalla tasca rigonfia, distese il braccio e aprì la mano.

Io voglio essere libero di costruirmi da solo il mio destino.

Si aggrappò alla mano di Francia, si lasciò scuotere dalla sua stretta morbida ma allo stesso tempo decisa, e siglò la prima vera importante decisione della sua vita, la più dura, la più difficile, la più consapevole, e anche la più giusta. Quella che lo avrebbe reso una nazione adulta agli occhi del mondo intero.

 

♦♦♦

 

1781

Virginia, Stati Uniti d’America

 

Inghilterra sgranchì le dita bendate facendo roteare la piuma d’oca con cui aveva scritto tutta la notte. Ne intinse la punta nel calamaio, la sgocciolò facendovi ricadere dentro qualche goccia d’inchiostro, e riprese da dove si era interrotto, calcando le parole nere sulla carta da lettere. Il polso scaricò una fitta di dolore che risalì fino alla spalla ingobbita. Inghilterra dovette fermarsi, massaggiarsi le bende, e riprendere a scrivere più lentamente per non rischiare di far scoppiare le vesciche gonfiate fra le falangi. Le sue mani erano consumate, nodose come vecchia corteccia d’albero. Nemmeno lui sapeva più se si fossero incallite a forza di tenere un’arma in mano o a forza di trascorrere ogni nottata piegato sullo scrittoio, a comporre lettere su lettere, a prosciugare inchiostro dai calamai e a consumare piume d’oca. Probabilmente entrambe le cose.

La guerra durava da tanti anni, ormai. Troppi. Inghilterra era sfiancato, consumato e avvizzito come una torcia rimasta accesa troppo a lungo, erosa e carbonizzata fino al cuore. Sapeva che ormai la sua era una causa persa, ma nemmeno quella consapevolezza riusciva a fermarlo, a impedirgli di continuare a reggersi in piedi fino allo stremo. Doveva andare avanti. Non c’era altro da fare.

Intinse di nuovo la piuma d’oca nel calamaio e, con mano tremante, ricominciò a scrivere la lettera indirizzata ad America.

La vista sfocò, le parole corsive si sdoppiarono, lucciole vertiginose gli ronzarono attorno alla testa e lo costrinsero a fermarsi.

Inghilterra posò la piuma sporca d’inchiostro, piegò i gomiti fra i fogli che teneva ammucchiati sullo scrittoio, e si stropicciò le palpebre sotto le dita bendate. Si svuotò di un sospiro esausto, quello di qualcuno che non trova più la forza di reggersi sulle proprie gambe e che si accascia dopo aver affrontato una corsa senza fine, senza meta.

Stava scrivendo al lume di candela. Grosse lacrime di cera rossa gocciolarono dal candelabro, picchiettarono sul legno dello scrittoio e si solidificarono, grandi quanto monete. La fiamma si mosse, riprese vigore. Le ombre incuneate nel viso di Inghilterra, solcato di dolore e stanchezza, lo fecero sembrare ancora più vecchio e consumato di quello che era diventato combattendo quella guerra maledetta. La peggiore della sua vita. La più crudele.

Smise di sprimacciarsi le palpebre gonfie e bluastre, e posò lo sguardo sulle lettere imbustate, su quelle stropicciate, su quelle appallottolate, e su quella che stava scrivendo.

Quante lettere spedite? Troppe. Quante risposte ricevute? Nessuna.

La distanza fra lui e America si era ormai fatta incolmabile. Eppure Inghilterra si rifiutava di accettare la sconfitta, di lasciarlo andare, di ritornare in Europa a leccarsi le ferite che non si sarebbero più rimarginate.

E quanto ancora dovrò soffrire prima di convincermi ad abbandonare questa lotta ormai persa?

Sgranchì di nuovo le mani che gli si erano indurite come pezzi di gesso. Strofinò un massaggio fra una nocca e l’altra, stando attento a non sciupare le bende, e fu trafitto da un altro crampo che gli fulminò le ossa, facendolo gemere.

Inghilterra, scuro in volto di dolore, si accartocciò su se stesso. “Maledizione,” grugnì. Ma nemmeno quell’esitazione gli impedì di riguadagnare le forze, di risollevare il capo, di strofinare via la patina di stanchezza dagli occhi, e di terminare la lettera.

La imbustò. Vi lasciò gocciolare sopra una sbrodolata di ceralacca rossa, vi spremette il sigillo sopra fino a che non s’indurì, e impilò la busta sopra alle altre lettere che aveva scritto durante la notte. Subito rimpugnò la piuma d’oca e ricominciò a scriverne un’altra, preso da quell’urgenza irrefrenabile e irrazionale che nemmeno lui sapeva dove lo avrebbe portato. E non gli importava se l’inchiostro nel calamaio si stava seccando, non gli importava se le candele stavano diventando sempre più corte e la luce sempre più bassa, non gli importava le giunture della sua mano cigolavano come ingranaggi arrugginiti, e non gli importava se le sue dita stavano perdendo sensibilità. Lui sarebbe andato avanti finché il suo corpo avrebbe retto, finché il suo cuore avrebbe conservato abbastanza battiti da permettergli di ritrovare la pace perduta.

Un lieve bussare toccò la porta dall’esterno della camera, seguito da un timido richiamo. “Inghilterra?”

Inghilterra trasalì – una chiazza d’inchiostro sporcò l’ultima parola che aveva scritto –, e si girò di scatto trattenendo il fiato. Il cuore in gola e le guance arrossate di emozione, le orecchie tese verso quella voce così simile a quella che aveva rincorso negli ultimi anni.

America?

La serratura scattò. Un piccolo spiraglio si aprì fra il battente e lo stipite, un primo passo s’infilò nella camera e un’ombra si allungò sulla parete. “Inghilterra, sei qui?” Il viso di America comparve da dietro la porta. Solo che la forma del viso era più tonda, i capelli più lunghi e più mossi, l’azzurro degli occhi tendeva a una sfumatura violacea. Non era il viso di America. Era il viso di Canada. “Ti disturbo?” domandò ancora. “Posso entrare?”

Una fredda doccia di delusione si rovesciò sulla schiena di Inghilterra, risucchiò il calore dalla sua pelle, gli impietrì il battito del cuore, e tornò a rendere il suo viso scuro e i suoi occhi umidi. Inghilterra si vergognò di quella sua reazione, dovette distogliere lo sguardo dagli occhi dolci e innocenti di Canada per non sentirsi sprofondare. “S... sì, Canada.” La colpa di quella situazione e di quel suo stato d’animo non era di Canada, dopotutto. “Entra pure.”

Canada si chiuse la porta alle spalle accostandola silenziosamente allo stipite. “Volevo solo sapere come stavi.” Pochi soffici passi lo portarono affianco a Inghilterra, alla luce del candelabro. “Se eri ancora sveglio.” I suoi occhi caddero sullo scrittoio, sulle chiazze di ceralacca e quelle di inchiostro, sulle lettere imbustate, sui fogli accartocciati, e sulla pagina che Inghilterra stava terminando di scrivere. “Sono...” I suoi dolci occhi violacei si bagnarono di dolore e sconsolatezza. “Altre lettere per America?”

Inghilterra guadagnò un respiro profondo e annuì. “Sì.” Strofinò un ultimo massaggio sulla mano bendata, impugnò la piuma d’oca, e si rimise chino per ricominciare a scrivere. “Anche se continuerà a non leggerle, anche se non le aprirà nemmeno, io non ho intenzione di farmi frenare da questo. Andrò avanti.” Intinse la piuma, la sgocciolò, e continuò fino in fondo alla pagina, nonostante la sua mano tremasse sempre di più e nonostante i suoi occhi stessero diventando sempre più rossi e affaticati. “Andrò avanti finché avrò abbastanza fiato per farmi sentire e per tentare di fargli cambiare idea.” Evocando il pensiero di America, il cuore di Inghilterra si strinse in un crampo di dolore. Dovette mordersi il labbro inferiore per non far tremolare la bocca. Ringoiò il sapore delle lacrime, strusciò la manica della camicia sugli occhi per non farli lacrimare. “E di farlo tornare da me.”

Un altro sospiro di dolore attraversò il petto di Canada. Lui scosse il capo, avvilito. “Non dovresti continuare in questo modo,” gli mormorò. “Ti stai facendo solo del male, stai continuando a soffrire inutilmente.” Compì un altro timido passo in avanti, provò a raggiungerlo, a lenire la sua sofferenza, a rallentare quel suo battito carico di angoscia. “America non tornerà indietro.”

“Non tornerà come prima.” Inghilterra calcò le scritte fin quasi a bucare la carta da lettere. “Ma questo non vuol dire che non potrà tornare.”

“Inghilterra...”

“Si convincerà,” insistette Inghilterra, e strinse la mano attorno alla piuma d’oca fino a far pulsare le vene sotto le bende. “Prima o poi si convincerà da solo dello sbaglio che ha fatto. Sarà lui a rendersene conto e a voler tornare indietro.”

“Inghilterra...”

“E non gli volterò le spalle, non sarò come lui.” Un’ansia frenetica accelerò il battito di Inghilterra. Un luccichio di follia attraversò gli occhi incavati nelle orbite livide. “Sarò disposto a riaccoglierlo, a ricominciare daccapo, e non lo respingerò come lui ha respin – argh!” Una fitta lancinante gli fulminò la mano e lo costrinse a mollare la piuma d’oca.

“Inghilterra!” Canada cadde in ginocchio, raccolse il polso che Inghilterra aveva stretto e protetto contro la pancia. “Sei ferito?” Gli girò la mano prima sul dorso e poi sul palmo, stando attento a non schiacciargli le dita o a spostargli le bende. Lo esaminò con sguardo allarmato. “Non devi sforzarti troppo, o non riuscirai più a usare le mani. Ecco, ti...” Si rialzò, puntò la porta e allungò una prima falcata di corsa. “Vado a prendere gli unguenti. Ti cambio le bende e...” La presa di Inghilterra, inaspettatamente forte, lo trattenne.

Canada si fermò. Sollevò un sopracciglio, stordito ma ancora pallido di preoccupazione, e voltò lo sguardo.

La mano di Inghilterra tremò attorno al suo polso, rafforzò la presa. Inghilterra teneva il capo basso, le spalle ingobbite, i capelli sfoltiti a cadere davanti alla fronte e a gettare ombra sul suo viso che non si faceva trovare, sfiorato dalla fioca e traballante luce delle candele gocciolanti.

Quella visione sprofondò nel petto di Canada, e il suo cuore batté un tonfo sordo che gli mozzò il respiro. “I...” Canada rinunciò alla falcata di corsa, arretrò di un passo. “Inghilterra?” Raccolse la mano di Inghilterra che si era tesa per raggiungerlo e si accovacciò affianco a lui. “Stai bene? Dimmi qualcosa, ti prego.”

Un brivido, un rapido e violento spasmo, scosse la schiena ricurva di Inghilterra. La sua mano strizzò quella di Canada, le sue spalle si accartocciarono in avanti, e un gemito soffocato fra i denti diede l’impressione che dentro di lui si fosse spezzato qualcosa, che l’affondo di una spada gli avesse trapassato la pancia. Inghilterra si coprì il viso dietro la mano e versò un pianto silenzioso e lancinante. Calde lacrime di cordoglio si sciolsero fra le dita bendate. “Perché?” Due singhiozzi gli rimbalzarono in gola. “Perché è dovuto succedere? Perché siamo arrivati a questo? Dove ho sbagliato? Questo...” Scosse il capo, ancora senza riuscire a sollevare il viso, a esporre gli occhi alla luce, e spinse il viso nell’incavo del braccio. “Questo è tutto ciò che ho sempre voluto evitare, e invece mi ritrovo ad affrontarlo comunque, come una punizione. Perché...” Inspirò fra le labbra tremanti, versò altre lacrime che gli annaffiarono la stoffa della manica. Deglutì. Un nodo di dolore gli soffocò la voce. “Perché non ho saputo evitarlo?”

Quell’ultima domanda, quelle ultime parole impregnate di rimorso, attraversarono il petto di Canada come una pugnalata, stampandogli addosso il bruciore di quella ferita, della risposta che stava per dargli. “Forse perché...” Tenne avvolta la mano di Inghilterra, senza smettere di sorreggerlo, e scosse il capo. “Non è semplicemente mai stato possibile evitarlo.”

I singhiozzi di Inghilterra si interruppero, le ultime lacrime rotolarono lungo le guance, e le sue palpebre batterono due volte, mostrando finalmente il verde delle iridi, un ritaglio della loro luce.

Canada non lo abbandonò, gli strofinò una carezza fra le nocche. Il capo basso come se fosse stato lui il colpevole, il responsabile di tutta quella sofferenza che gli era grandinata su così tante nazioni e così tanti uomini. “Il fatto che questi istinti si siano spontaneamente risvegliati nell’animo di America è la prova del fatto che tu lo hai cresciuto dandogli tutto quello di cui aveva bisogno per diventare una nazione forte e rispettabile. Forse...” Si strinse nelle spalle, mantenendo però un tono incoraggiante. “America ha sempre voluto questo. Ha sempre voluto renderti fiero dimostrandoti di sapersela cavare da solo grazie a tutto quello che gli hai insegnato. Quando tu hai cercato di sedare la sua ribellione, per lui è stato come sentirsi tradito, come se la sua crescita per te non avesse avuto alcun valore. Ecco perché ora prova tanta rabbia.” Accennò un sorriso agli occhi di Inghilterra. “Solo perché voleva essere guardato da te come un suo pari, e non sicuramente perché ti odia.”

Una carezza di sollievo alleggerì il peso fossilizzato nel petto di Inghilterra, permettendogli di respirare più liberamente e di cacciare indietro l’ondata di lacrime che gli era scivolata fra le labbra. Inghilterra raggiunse gli occhi di Canada, quello sguardo dolce e comprensivo che sapeva di non meritare, e smise di nascondersi. “F-forse...” Si passò la mano sugli occhi umidi. “Forse è così.” Pur tenendosi aggrappato alla mano di Canada, si sentì di nuovo andare alla deriva. “Anche tu potresti fare lo stesso, Canada.” Strinse la presa, ora preoccupato di vederlo alzarsi e andare via. “Anche tu potresti ribellarti a me come America, anche tu potresti voltarmi le spalle e assecondarlo nella sua lotta. Perché mi stai aiutando?” Lo guardò attraverso il velo di lacrime che non era riuscito ad asciugare. “Perché hai deciso di prendere le mie parti ritrovandoti in questo modo a combattere contro di lui?”

Canada sorrise, sereno, e scosse il capo. “Non temo un allontanamento da America. So che non succederà. Lui non è tipo da portare rancore, e io voglio esserci dove c’è più bisogno di me.” Sovrappose anche l’altra mano a quella di Inghilterra. “E ora sei tu ad aver bisogno di qualcuno affianco.”

Inghilterra si morse il labbro che sapeva di sale, soffiò un piccolo grugnito. “Già.” Fece roteare lo sguardo e si diede un’altra asciugata alle palpebre gonfie e arrossate. “America ha già qualcuno che lo sta aiutando e sostenendo, dopotutto.” A quel pensiero, rimontò un inevitabile risentimento nei confronti di Francia, di quel viso che si era ritrovato a fronteggiare e a maledire anche dall’altro capo del mondo, scoprendolo alla guida di America, dei ribelli a cui aveva insegnato l’arte della guerra.

Era inevitabile. Non importava in quale luogo si sarebbero ritrovati a combattere, o per quale causa. Loro due avrebbero sempre finito per darsele a sangue mantenendosi sui due lati opposti del campo di battaglia.

Distogliendo lo sguardo dal pensiero di Francia che gli si era rovesciato addosso come una secchiata di acqua gelata, Inghilterra posò di nuovo gli occhi sulle lettere sparpagliate sullo scrittoio. Le lettere indirizzate ad America, tutte quelle parole che lui non avrebbe mai letto, quella loro guerra che si sarebbe conclusa solo in due modi.

Comunque vada, pensò Inghilterra, fra me e lui nulla potrà mai tornare come prima. Se io vincerò la guerra, America sarà di nuovo sotto il mio dominio, e mi odierà comunque. Se sarà America a vincere la guerra, allora lui sarà libero dalla mia dipendenza e non vorrà mai più avere a che fare con me. Rimarrà mio nemico per sempre, e io non smetterò mai di essere la nazione che ha acceso e contrastato la sua ribellione, che ha stretto le catene su di lui invece che allentarle. A prescindere da come questo disastro finirà. “Cambierà tutto da adesso in poi, non è vero?” Esiste solo una certezza in tutta questa situazione. “Nulla sarà mai più come prima fra me e America, a prescindere da chi vincerà questa guerra.”

Ancora una volta, Canada fu partecipe del suo dolore. Ancora una volta non riuscì a contraddirlo. “Forse non è poi così brutto.” E ancora una volta si sentì in dovere di tenergli la mano stretta e confortarlo. “Anche questo è una lezione che ci hai insegnato tu, no? Sono proprio le esperienze più dolorose che ci fanno crescere, purtroppo. Forse è vero che tu e America vi guarderete con occhi diversi, da ora in poi.” I suoi occhi, sempre intiepiditi di apprensione, si ravvivarono di speranza. “Ma può anche darsi che questo vi porterà a scoprire un lato di voi che prima non potevate notare.” Strinse più forte le mani attorno a quelle di Inghilterra, ma senza fargli del male. “Magari proprio quel lato che America ha tanto cercato di mostrarti durante la sua ribellione.”

Un lato di noi che prima non potevamo notare, ripeté Inghilterra dentro di sé. Un lato nuovo.

Quelle parole avrebbero dovuto confortarlo.

Un lato nuovo di America?

Ma Inghilterra non fu proprio in grado di assimilarle, gli passarono attraverso come aria, perché non era un nuovo America che voleva guadagnare, non un rapporto con l’ennesima nazione adulta, disperata e senza cuore come lui. Lui rivoleva quel sorriso dolce che lo accoglieva dopo i lunghi viaggi in mare; rivoleva lo sguardo puro e innocente di quel bambino che non aveva mai fronteggiato uno sparo o un’esplosione; rivoleva quelle soffici manine che non avevano mai impugnato un’arma o versato una goccia di sangue.

E se quel vecchio lato di America non tornerà da me...

Voltò il capo di nuovo verso l’ammucchiata di lettere chiazzate d’inchiostro e di buste sigillate dalla ceralacca, ma questa volta il suo sguardo oltrepassò lo scrittoio e si posò su una scintilla d’argento custodita nel cantuccio della stanza. La punta della baionetta incastrata sulla volata del moschetto.

Il suo cuore batté un tonfo sordo, il sangue ribollì in fondo allo stomaco, la fronte si contrasse in un’espressione carica d’ira, un’ombra densa e cupa calò sul suo volto, gli occhi fiammeggiarono nel buio.

Sarò io ad andarmelo a riprendere, a non farlo più sfuggire dalle mie braccia. Anche a costo di trascinarlo all’Inferno assieme a me.

 

♦♦♦

 

They don’t know you

Not like I do

Only you and I were meant to be

Understand you

Just like I do

Just like you and I were meant to be forever

One day you will

Learn to love me

One day you will

Thank me, you’ll see

If I can’t have you

No one can”

 

(Toy Soldiers, Marianas Trench)

 

 

 

 

ottobre 1781

Yorktown, Virginia

Stati Uniti d’America

 

Un gonfio ululato di vento travolse e inclinò le scure chiome d’abeti che isolavano la landa su cui era stata costruita la roccaforte di Yorktown. Il fischio dell’aria risalì le nuvole straripanti di pioggia, rovesciò un abbondante acquazzone che scrosciò sulle mura di pietra e sul terreno del campo di battaglia circondato dal fumo. Il diluvio si riversò sulle file di soldati, riempì le loro impronte tatuate al suolo, inzuppò le loro uniformi, ticchettò sul metallo dei cannoni, e perforò come una miriade di aghi il vapore risalito dai crateri raffreddati e dalle rocce frantumate fra gli scavi delle trincee.

Una saetta lampeggiante ramificò attraverso la cappa di nuvole. Il secco schioppo di tuono fece tremare il campo di battaglia, urla di uomini alla carica ruggirono sopra il suo eco metallico. “Ritirata del fianco destro! Ritirataaa!” Le cannonate delle retrovie sputarono le loro munizioni e la scia di brontolii si mescolò ai gorgoglii dell’acqua sempre più abbondante nel terreno diventato ormai molle e colloso.

Inghilterra accasciò la schiena contro la parete di pietra e boccheggiò per riguadagnare fiato. Quell’aria lo nauseava: sapeva di polvere da sparo, di ferro e di fango stagnante. Si strofinò la faccia per asciugarla dalla sberla di pioggia che gli aveva graffiato le guance. Inspirò forte dal naso. Sbatacchiò le palpebre brucianti e appesantite dalle luci e dai fumi della battaglia. Gocce d’acqua sbrodolarono dalle punte dei capelli, rotolarono fra i battiti di ciglia, rigarono le guance diventate fredde e insensibili come pezzi di ghiaccio. Inghilterra rabbrividì sotto la sua uniforme rossa che ora non aveva nulla della tinta sgargiante spennellata sui soldatini che aveva donato ad America. La stoffa era scura e fradicia, grattava la pelle, ed era pesante da indossare come una pelliccia d’orso. Inghilterra scollò una mano dall’impugnatura del suo moschetto, usò le unghie per strofinarsi il collo e il petto, ma il disagio non passò.

“Le polveri da sparo!” gridarono i soldati britannici che come lui resistevano fra le mura del forte. “Mancano munizioni, qui! Portate più munizioni!”

“Mortaio danneggiato! Arretrate, arretrate!”

“Carica!” Scintille gialle e bianche scoppiettarono fra gli zampilli di pioggia grigia, consumarono la miccia. “E fuoco!”

Lo scoppio dell’esplosione pareggiò un tuono del temporale, volò sopra le teste di Britannici e Ribelli, si schiantò sull’impalcatura di una trincea, frantumò una cascata di pezzi di legno e di sassi incandescenti, e fece tremare il suolo.

Colto da quello scossone improvviso, Inghilterra si ritrovò ad ansimare e a trattenere il fiato, a rabbrividire di paura come mai gli era capitato prima durante una guerra. Rannicchiò le ginocchia al petto, tenendosi abbracciato al moschetto. Le unghie scalfirono il legno del calcio, la lama della baionetta gli toccò la guancia. Era dura e pungente, ma seppe tenerlo fuori dal pozzo di melma nera che era lì in agguato per inghiottirlo.

Attorno a lui si cosparse una nebbia di fumo grigio. Passi corsero attraverso la coltre. Le sagome dei suoi soldati si ridussero a un’orda di chiazze scarlatte sparpagliate come zampilli di sangue. Inghilterra batté ancora gli occhi, ma la pioggia caduta dai capelli gli impedì di mettere a fuoco l’ambiente che lo circondava, annebbiato dai respiri dei cannoni che nemmeno i rovesciamenti di pioggia riuscivano a diradare.

Un peso gli cadde affianco, sbatté la schiena sul muro di pietra, ed esalò una serie di affanni che gli rimbalzarono fra gola e labbra. “Va male, signore.” Il capitano separatosi dalle truppe tirò le gambe più vicino, allontanò la faccia dalle luci delle esplosioni che gli lampeggiarono sulle guance, e si asciugò la faccia sporca di pioggia e nerofumo per riuscire a incrociare lo sguardo di Inghilterra. “Le sentinelle sono rientrate, hanno capito perché l’avanzata dei Ribelli non si arresta. Hanno costruito una seconda linea di trincee, in parallelo alla prima, quella che abbiamo avvistato a settembre. I cannoneggiamenti continui ci hanno impedito di avvistare i lavori.”

Inghilterra inghiottì l’ultimo respiro di fatica e socchiuse le palpebre per resistere alle sferzate di pioggia più secca e violenta che lo stavano accecando. Una seconda linea di trincee? “A che distanza?”

“Circa quattrocento yards dalla prima.”

“Ma come hanno fatto?” gridò Inghilterra, per farsi sentire sopra gli scoppi degli spari. “Con un terreno del genere, poi...”

“I francesi, signore,” rispose il capitano. “Sono i loro genieri che continuano a guidarli.”

Al gelo della pioggia si sostituì un bruciante ardore di rabbia che Inghilterra indirizzò a un solo francese in particolare. Bastardo. La nebbia della sua mente si diradò, scoprì il ricordo di Francia che lo guardava di schiena con aria di beffa, con gli occhi sorridenti e compiaciuti di chi stava per prendersi la rivincita sulla guerra in Europa. Giuro che se mi capita fra le mani non so cosa sarei capace di fargli.

L’ennesimo cannoneggiamento sfondò le mura del forte, spalancò un forte rigetto di fumo e calore, scosse l’intera struttura, e fece franare una parete.

Lo scroscio della caduta di pietre e cocci di cemento si ritirò. Seguirono le grida dei soldati in fuga.

“Frana!” Rapidi passi in successione scavalcarono le macerie, le bocche dei cannoni arretrarono, le volate dei fucili abbassarono la mira, e le braccia sventolarono verso i soldati. “Indietro, indietro, tutti al riparo!”

Anche Inghilterra rotolò via, mulinò una mano contro il fumo giunto fino a lui, e tossì, riprendendo fiato e forze dopo quello spavento. Sta davvero per finire? Il suo cuore perse un battito. Finirà così? Ormai è andata? “Ma la loro artiglieria?” Schiacciò pugno e gomito sul muro per reggersi sulle ginocchia e fronteggiare il capitano che lo aveva seguito al riparo. “Non è danneggiata, maledizione? Com’è possibile che stiano soffrendo di così poche casualità?”

Nonostante i tremori di fatica, il capitano trovò la forza di scuotere la testa. “Le loro munizioni sono più abbondanti,” rispose. “Noi siamo rinchiusi fra le mura del forte, dove i rinforzi non possono raggiungerci. La nostra è una postazione difensiva ben più vulnerabile della loro. Secondo le nostre previsioni, oggi stesso i Ribelli potrebbero decidere di ingaggiare un assalto diretto. C’è il pericolo che i fanti risalgano i parapetti, che neutralizzino le nostre postazioni, e che ci facciano prigionieri.”

Inghilterra sgranò le palpebre annerite. Che facciano prigionieri? Si voltò a guardare in alto, verso lo sventolio delle bandiere britanniche schiaffeggiate da vento e pioggia. Un lampo di luce brillò fra le aste che sorreggevano gli stendardi, ma il tuono fu basso e innocuo. Inghilterra tornò a guardare in basso, si sporse verso le truppe dei Ribelli sempre più vicine e sempre più presenti nonostante l’accumulo del fumo a separarli dalla roccaforte. Le uniformi dei Ribelli erano blu come quelle dei francesi che li avevano guidati attraverso la guerra.

Allora forse dovrei pensare innanzitutto a mettere in salvo Canada, prima che la situazione degeneri. Almeno lui. Che si salvi almeno lui da questa follia.

I comandanti dei Ribelli in prima linea impennarono fucili e baionette al cielo e ruggirono come il temporale che li sovrastava, “Rush on, boys!”, indirizzando le grida alla fanteria e non più agli artiglieri.

L’orda di soldati Ribelli, un fiume blu rovesciato sull’erba infangata, avanzò all’unisono, scavalcò le trincee, superò le schiere dei cannoni e degli obici, attraversò fumo e pioggia, scorticò zolle di terra sotto il suo passaggio, e si lanciò all’assalto del forte.

Un tuono esplose dietro gli abeti, fece sobbalzare il cuore di Inghilterra, e riflesse nei suoi occhi quella bianca e dolorosa saetta di terrore.

Inghilterra tornò a pulirsi la faccia dalla pioggia e si rimise accucciato dietro il muro di pietra. I battiti accelerati, le braccia tremanti attorno al moschetto, e il respiro affaticato. Ma io non voglio cedere. Non voglio arrendermi per nessun motivo al mondo, specialmente ora che so che è grazie a Francia se i Ribelli sono riusciti ad assemblare un piano d’assalto così efficace per espugnare l’ultimo caposaldo della nostra resistenza. Se non fosse stato per Francia, America non avrebbe avuto i mezzi, non avrebbe avuto le capacità strategiche e logistiche per imbastire un conflitto del genere. Bastardo.

Digrignò la mandibola.

Francia sta sfruttando America solo per farmela pagare per quello che è successo in Europa. Ma non gli permetterò di continuare a usarlo.

Un lampo di follia gli restrinse le pupille, fece tremolare il verde delle iridi, infossò un’ombra nera attorno alle palpebre.

America è mio!

E se lo sarebbe ripreso.

Passi di una cadenza diversa, più leggera rispetto a quelli degli ufficiali e dei soldati britannici, attraversarono il corridoio del forte e raggiunsero il cantuccio occupato da Inghilterra.

“Inghilterra!”

Quella voce familiare alleviò la pressione che quei pensieri deliranti stavano schiacciando fra le pareti della sua testa, riportò Inghilterra a galla.

Il corpicino tremante di Canda gli cadde affianco, vestito di rosso, fradicio come un gattino, anche lui aggrappato al suo moschetto, ansimante dopo la corsa sotto il diluvio ghiacciato. Le mani così sottili scivolarono attraverso il corpo dell’arma, tornarono ad appendersi. Gli occhi vacillarono di paura, accecati dai lampeggi incessanti delle armi, e le ciocche di capelli biondi s’incollarono alle guance rosse e bagnate. “Hanno spostato lo sforzo principale sulla seconda linea di trincee.” Un brivido gli attraversò la gola e le labbra. “Ormai le sentinelle hanno detto che i fanti sono a ridosso dei parapetti, e che...”

“E che l’artiglieria continua a essere incrementata e sostituita, al contrario della nostra.” Inghilterra strinse i denti per contenere un grugnito e si diede una nervosa strofinata ai capelli bagnati. “Lo so, dannazione, lo so.”

“È...” Canada si strinse nelle spalle. “È perso? Il forte...” Sobbalzò dopo uno sparo più vicino. “Il forte è perso? Dobbiamo alzare bandiera bianca?”

“Neanche per sogno.” Inghilterra spinse il capo all’indietro, tornò a guardare alle sue spalle, verso la scura piana di terra che circondava il forte di Yorktown. “Ho ancora un’idea.” Aguzzò lo sguardo, resistette alle punture della pioggia contro gli occhi, mise a fuoco le diverse Giubbe Blu che brulicavano fra i grumi di fumo, e si sforzò di distinguere il viso di America fra quello dei soldati, quasi volesse sottrarlo alla battaglia e avere così la possibilità di parlargli – di combatterlo – senza presenze estranee a interferire. Non vide nulla. “Avanziamo anche noi con la fanteria.”

Canada gemette e sbiancò come un lenzuolo. “Co...” Scivolò più vicino a Inghilterra, premendo la spalla sulla sua, e lo guardò come se stentasse a credere alle sue stesse orecchie. “Cosa?”

“Mi hai sentito,” rispose lui. “Se non riusciamo a impedirgli di espugnare il forte, allora dobbiamo abbandonare le postazioni di difesa e passare all’attacco diretto.”

“Ma...” Canada flesse le sopracciglia in un’espressione perplessa. “Ma i cannoni, e i mortai...” Come a rispondere al suo appello, una sequenza di tre cannonate esplose e volò sopra le loro teste. “È impossibile farli scendere dalle mura così velocemente senza che si danneggino o che le esplosioni nemiche li travolgano.”

“Facciamo avanzare solo la fanteria,” esclamò Inghilterra. “Ingaggiamo uno scontro corpo a corpo.”

“È troppo rischioso. Se si fosse trattato di farlo all’inizio della battaglia, forse...” Canada si morse il labbro. “Ma ora...” Si guardò attorno, circondato dal grigio della pioggia e delle esalazioni di zolfo e polvere da sparo, e focalizzò la sua attenzione sulle ombre in corsa dei soldati, non più sul lampeggiare delle armi. “Ora gli uomini sono stanchi, il nemico è troppo avvantaggiato, ci sarebbero troppe vittime.”

“Perché è così che funziona in guerra!” Riemerse l’ombra di follia di Inghilterra, quella parte di sé che gli annebbiò i pensieri, accecò lo sguardo e avvelenò la lingua. “Non ho mai preteso di arrivare alla fine di una guerra senza casualità.” Quel lato di se stesso disposto a sacrificare orde di uomini mortali pur di raggiungere America, di impossessarsi del suo obiettivo e ritrovare la sua pace eterna. “Io sono preparato, questi uomini sono preparati, ed è loro dovere eseguire i miei maledettissimi ordini fino a quando...”

“Ma non se si tratta di una causa persa! Inghilterra...” Canada riguadagnò fiato e forza attraverso un tremito. “Inghilterra, ti scongiuro.” Gli raccolse entrambe le spalle, senza usare troppa forza. “Ti scongiuro, torna in te.”

“Io sono in me!” Inghilterra si sottrasse con uno strattone. “E non mi renderò protagonista di una sconfitta, non oggi!”

“Non sarà una sconfitta, sarà un massacro! Io...” Canada si accasciò sulle ginocchia, lasciò cadere il moschetto a terra. “Io non posso.” Scivolò indietro, scosse il capo tenendo lo sguardo basso, senza il coraggio di posare gli occhi su Inghilterra, con il terrore di finire bruciato da quella fiamma di delirio incontrollabile. “Non posso eseguire i tuoi ordini se tutto questo si trasformerà in un massacro senza senso. Non posso.”

Spiazzato come il giorno in cui era stato costretto a sparare il primo colpo di fucile sul suolo americano, Inghilterra si sentì pietrificare, attraversato dall’incessante scorrere della pioggia che lo risucchiò nell’oscurità soffocante di quella battaglia.

Sono solo.

Non serviva l’arguzia di un generale per rendersene conto. Erano circondati da settimane, i Ribelli erano a un passo dalla conquista, i Britannici erano stremati, e il forte era spacciato. Questione di giorni, forse addirittura di ore.

Sono di nuovo da solo, allora, come quando ho cominciato questa guerra. È naturale. Sapevo che sarebbe andata a finire così. Sapevo che nessuno sarebbe stato in grado di comprendere quanto per me sia importante mantenere il potere su questa terra.

In un ultimo gesto guidato dalla disperazione, volse lo sguardo alla miriade di Giubbe Blu che si stavano ammassando fra la loro trincea più esterna e le mura del forte, seguiti dalla corsa dei cannoni, dai fucili tesi imbracciati dai fanti, e dallo sventolio di bandiere appartenenti ai nuovi Stati Uniti.

Abbiamo cominciato questa guerra da soli, America.

Andò incontro a quell’immagine con la speranza di aggrapparsi a un giovane paio di occhi blu che sapeva lo stavano aspettando, che bramavano come lui quell’ultimo confronto, che volevano dimostrargli di avere abbastanza fegato di terminare ciò che avevano cominciato.

Inghilterra seppe di star cercando la stessa cosa.

E la finiremo da soli.

Impugnò il suo moschetto, se lo caricò sulla spalla, rimbalzò lontano dalla parete appena scossa da una cannonata, e corse via, abbandonando la postazione.

“Inghilterra.”

Il richiamo di Canada gli passò attraverso come acqua, come lo scroscio del diluvio.

“Inghilterra, Inghilterra! Aspetta, non andare!” Un rombo di temporale sovrastò la sua voce. “Fermati!

Inghilterra superò i suoi soldati, corse giù dal forte e slanciò le falcate di corsa attraverso la piana di terra oscurata dalle nuvole e dalle chiazze di bosco infittite dal maltempo. Si lasciò trasportare verso un campo di battaglia su cui solo lui e America avrebbero potuto lasciare per sempre le loro impronte.

 

.

 

Il ramo di una saetta squarciò il fodero di nuvole che rivestiva il cielo in tempesta. Lo schioppo del tuono cadde proprio dietro la corsa di Inghilterra, e il ruggito dell’eco rincorse il ruzzolare delle sue falcate che divoravano terreno sguazzando fra fango e pioggia. Scuri schizzi di terra bagnata zampillarono fra le sue gambe, chiazzarono l’uniforme e gocciolarono dalle mani strette sul fucile, già rese grigie e gelide dalla caduta di pioggia che non accennava a fermarsi.

Un’altra tuonata di temporale accese il cielo e illuminò il tratto di foresta in cui Inghilterra si stava addentrando, percorrendo le impronte tatuate da America e inseguendo la sua presenza che lo attirava a sé come il polo opposto di una calamita.

Il vento fischiò fra le chiome di abeti sempre più fitte e sempre più scure, gli echi degli spari e delle cannonate si allontanarono, riducendosi a un brontolio distante, e il cielo annuvolato sembrò abbassarsi, schiacciare Inghilterra sotto il suo peso.

Inghilterra annaspò, assorbendo il sapore ferroso della pioggia. Rallentò la corsa, sprofondando con gli stivali nel fango colloso che gli arrivava alle caviglie – squish, squish, squish! –, e staccò una mano bagnata dalla presa del fucile per poter spalancare il braccio e scostare il ramo cadente di un abete.

L’ambiente della foresta si aprì su un vuoto silenzio dove abitava solo il grigio rovesciarsi della pioggia, lo scuotersi degli alberi, il brontolio delle nubi a cui si scioglievano i pennacchi di fumo, e le cannonate distanti che echeggiavano fra le alture di Yorktown.

America lo aspettava in quel silenzio che apparteneva solo a loro. Era immerso nello stesso fango e infradiciato dalla stessa pioggia, circondato dal fragore della stessa guerra che risuonava anche nelle orecchie di Inghilterra.

America si strinse al suo fucile, indurì i lineamenti del viso bagnato di pioggia, e tenne gli occhi azzurri fissi su Inghilterra, proteggendosi dietro quello sguardo combattivo e senza timore, così adulto e consapevole, e vestendosi di quella posa così fiera fasciata dall’uniforme blu.

Davanti a quell’immagine, Inghilterra soffrì una fitta di dolore e nostalgia, evocò il ricordo dei soldatini che gli aveva regalato da piccolo. America sembrava tirato fuori dalla medesima scatola di legno smaltato. Ecco, pensò con rammarico, abbassando il braccio e superando il ramo d’abete che aveva scostato. Ecco finalmente la resa dei conti.

“Solo io e te, America,” gli disse con tono solenne, “come ti avevo promesso.” Spremette pesanti affondi nel fango che si deformò attorno alle suole degli stivali. “E come ti avevo promesso...” Sollevò il fucile, indirizzò la punta scintillante della baionetta contro il petto di America, e socchiuse le palpebre sotto i capelli gocciolanti. “Non mostrerò alcuna esitazione se si tratterà di colpirti.”

America contrasse le spalle senza però arretrare di un singolo passo, senza permettere all’intemperia di gettare ombra sui suoi occhi aperti e luminosi, senza abbassare lo sguardo davanti alle minacce di Inghilterra. Non ne aveva paura. “Potrai colpire me...” Staccò una mano dal suo fucile e volse il braccio aperto ai lampi degli spari indistinguibili dal tambureggiare luminoso del temporale. “Ma non potrai mai uccidere tutti loro. Ormai è troppo tardi, Inghilterra. Il desiderio di libertà si è radicato nei cuori di questa gente, li ha resi il mio popolo. Potrai anche fermare questa battaglia...” Avanzò – davanti alla sua camminata, la pioggia parve spalancarsi come una tenda di tanti fini aghi grigi – e tornò a sollevare il fucile. “Ma non potrai mai sedare la sete di rivolta che non si placherà finché...” Un passo più incerto, una piccola esitazione. “Finché non sarò io ad aver raggiunto la pace.”

Inghilterra contrasse un angolo della bocca in una smorfia di disgusto. “Pace?” Un tuono brontolante sottolineò il suo disappunto. “E questa tu la chiami pace?” Strinse le mani attorno alla sua arma. Le nocche grigie e i rami di vene attraversati dal freddo scorrere della pioggia. “È così che ti ho insegnato? È per questo che ti sei messo d’impegno per crescere così in fretta? Per diventare un barbaro che sa solo servirsi di violenza e brutalità per ottenere ciò che vuole?”

“Mi hai insegnato a dare valore a ciò che ritengo giusto,” esclamò America. “Mi hai insegnato ad ascoltare la voce di quella che è diventata la mia gente, mi hai insegnato a salvaguardare la loro vita e la loro libertà, e mi hai insegnato che se il mondo si rivela troppo pericoloso allora è mio dovere imparare a diventare forte per sopravvivere a ogni minaccia, a ogni nemico. E ora sei tu quel nemico, Inghilterra. Ed è per questo...” Sollevò la culatta del fucile, incastrandola fra il gomito e il fianco, irrigidì le braccia tenendole distese come gli aveva insegnato Francia, e appoggiò l’indice sul grilletto. “Che nemmeno io esiterò a colpirti per salvaguardare la mia vita.”

Inghilterra digrignò, i suoi occhi fiammeggiarono d’ira. “Razza di ingrato.” Inclinò la punta del moschetto, facendo grondare la pioggia lungo la lama, e caricò la rincorsa. “Ti farò rimpiangere anche solo di averci provato!”

Un colpo di fucile brillò in mezzo agli abeti, sfrecciò affianco ad America, ed esplose davanti ai piedi di Inghilterra, facendo zampillare uno schizzo di fango fra le sue gambe.

Inghilterra rimbalzò all’indietro, si strinse il fucile al petto. I suoi occhi caddero sul foro fumante che si spense subito sotto lo scrosciare della pioggia.

Anche America abbassò il fucile e guardò alle sue spalle, in direzione dell’eco metallico che si stava diradando.

Una voce sospirò dalla stessa ombra da cui era sbocciata l’esplosione. “Mon Dieu,” lenti passi attraverso il sottobosco reso spugnoso dal diluvio, “senti da quale pulpito arriva la predica sulla brutalità.” Nonostante la doccia di pioggia a inzuppargli l’uniforme e ad appiattirgli i capelli sulle guance, Francia emerse circondato da una luminosa aura di incessante eleganza che fece brillare i suoi occhi azzurri – due chiare gemme d’acqua limpida – nel grigio del campo di battaglia racchiuso in quell’angolo di foresta.

Francia superò il fianco di America, gli camminò davanti per mettersi fra lui e Inghilterra, staccò una mano dalla baionetta per scostare una ciocca bagnata dal viso e mettere in risalto il fine sorriso rivolto al suo rivale. “Staremmo anche combattendo dall’altra parte dell’oceano, ma il tuo temperamento rimane sempre lo stesso, mon cher Angleterre.” Cinguettò una smorfia contrariata. “E poi saresti tu il gentleman?”

Inghilterra masticò un digrigno che vibrò fino alle ossa, conficcò le unghie nel legno del suo fucile, contrasse la fronte in una tetra espressione di disprezzo – l’odio più nero e marcio che avesse mai provato nei confronti di Francia –, e si sentì bruciare la nuca dalla rabbia, nonostante il rovesciarsi continuo del diluvio gelato. “Bastardo.” Calpestò il foro di fanghiglia nel quale si era conficcato il proiettile. Tornò a sollevare la sua arma, a puntare la mira su Francia per sfogare tutto il risentimento che aveva accumulato in quei sanguinosi e oscuri anni di guerra.  “Sei stato tu a ficcargli in testa queste idee, non è vero? Sei stato tu a spingerlo alla ribellione, a questa stupida e insensata guerra, e solo per prenderti la rivincita su di me che...”

“Io?” Il sorriso sbiadì dalle labbra di Francia, i suoi occhi rabbuiarono. “Io non l’ho spinto a fare assolutamente nulla. Non sono stato io a infondergli un senso di ribellione che è sorto spontaneamente solo a causa della tua ingiusta oppressione.”

“Non gli avrai dato l’idea,” ringhiò Inghilterra, “ma l’hai assecondata.”

“E come avrei potuto non farlo?” Francia compì un passo di lato per tenere America protetto dietro il suo profilo. La gatta davanti al leoncino. La chioccia davanti all’aquilotto. “America ha deciso di immolare la sua nazione ai valori sui quali io stesso ho costruito la mia. E se questi valori sono stati alimentati proprio da un conflitto nei confronti del mio eterno rivale...” Riabbassò l’indice sul suo grilletto. Lo scroscio del diluvio coprì il suo mormorio. “Chi sono io per tirarmi indietro davanti a una simile occasione di vendetta?”

Inghilterra intercettò la contrattura della sua mano, si sentì gelare, trafitto da una scossa di paura, e compì uno scarto di lato prima ancora che lo sparo gli esplodesse addosso. Schivò lo sfrecciare del proiettile che si piantò dietro ai suoi piedi. Tenne salda l’impugnatura sul corpo bagnato del suo moschetto, e si avventò su Francia compiendo uno slancio attraverso la tenda di pioggia. La lama della baionetta fendette l’aria con un fischio, tracciò un arco d’argento, e si abbatté sul fucile di Francia, strappando una scheggia di legno via dalla volata.

Francia incassò il colpo con un breve ansito di sorpresa. Piantò i piedi nel fango, fece strusciare le suole resistendo alla spinta, e irrigidì i muscoli delle braccia per spingere via Inghilterra e rispondere al colpo – cleng! – colpendolo con un altro affondo di moschetto.

Inghilterra andò a sbattere sul tronco di uno degli abeti, strizzò gli occhi in una smorfia di dolore, e cadde su un ginocchio.   

Francia riprese fiato, assorbendo il ferroso e umido sapore di pioggia che gli bagnava le labbra. Allontanò i capelli bagnati dagli occhi e accorciò la distanza fra lui e Inghilterra, tenendolo sotto la traiettoria della sua mira. Il suo sorriso, incrociandosi con lo sguardo di Inghilterra, fu buio e rassegnato. “Dunque è oggi che lo sapremo.” L’ombra che circondava i suoi occhi gli donò un’espressione anziana e remota, mise allo scoperto il lato più nero e maledetto della nazione secolare che viveva in lui. “Sapremo davvero come andrà a finire.”

Quella frase picchiò su Inghilterra con la prepotenza di una martellata. L’eco di quel sordo dolore lo risucchiò indietro, a un tempo lontano, così etereo che dubitava persino fosse esistito. Non era più nel boschetto di Yorktown. Si ritrovò a respirare l’odore del Tamigi che ristagnava nel quartiere di Blackwall, a socchiudere gli occhi per respingere i raggi di sole filtrati dalle nubi di fuliggine sorte dal centro di Londra, a stringersi nel suo pastrano rosso per proteggersi dalle correnti d’aria, e ad affrontare le amare predizioni con cui Francia lo aveva benedetto prima di vederlo partire alla volta del Nuovo Mondo. “Staremo proprio a vedere come questa storia andrà a finire.”

Allora è così? gli venne da chiedersi, intrappolato nell’eco del ricordo che era tornato a spalancarsi su di lui. È così che tutto questo era destinato a finire? Lui già lo immaginava?

Era destinato a finire proprio come Francia aveva predetto: Inghilterra sconfitto e sofferente, succube delle sue stesse azioni e dei suoi errori, vittima del suo stesso orgoglio, perso e brancolante dopo aver rincorso la fiaccola di un sogno irraggiungibile.

Ma allora...

Una botta di dolore gli sciolse le forze dai muscoli delle gambe, lo fece cadere anche sull’altro ginocchio.

Avrei potuto evitarlo? Se avessi dato ascolto alle sue parole fin dall’inizio, invece che dare retta unicamente alla voce del mio egoismo, tutto questo non sarebbe mai successo?

Nulla gli diede la forza di risollevarsi, anche davanti alla minaccia di morire per mano di Francia – prima o poi sapevano che a uno dei due sarebbe toccato, o no?

Davanti a quella scena – Inghilterra finalmente sconfitto e in ginocchio davanti a lui –, gli occhi di Francia furono impossessati da un’ombra che nemmeno America fu in grado di riconoscere. L’indice di Francia si contrasse attorno al grilletto, la mira si alzò verso la fronte di Inghilterra, la falange scese.

Allarmato da quel gesto, America rabbrividì di paura. La compostezza del suo volto si frantumò. “A-aspetta.” Allungò una mano verso Francia. “Non farlo, non serve che...”

Una voce si elevò al di sopra degli abeti, “Fermi!”, attraversò la foresta, superando l’attrito di vento e pioggia, e fece girare tutti, bloccando lo sparo di Francia.

Canada corse fuori dal bosco, volò sopra un tronco d’abete caduto, e un lampo di temporale illuminò il cielo plumbeo alle sue spalle. “Fermatevi!” Il tuono si schiantò – crash! – lo fece inciampare, ma lui sbracciò e si rimise a correre, un affanno dietro l’altro. “Non combattete!”

Inghilterra spalancò gli occhi. Il suo cuore si alleggerì e si sentì di nuovo protetto, curato dal senso di abbandono. “Canada.”

America strabuzzò lo sguardo. “Ca... Canada?”

Francia calò il fucile, sfilò l’indice dal grilletto, e compì un passo indietro, anche lui tornato alla ragione.

“Fermi!” Canada si gettò a stringere le braccia attorno a Inghilterra. “N-non...” Annaspò. Grosse gocce di pioggia a sciogliersi dai capelli e a rotolargli sulle guance. “Non fategli del male, vi prego.” Strizzò forte le dita sulla giacca di Inghilterra. “Smettiamola di combattere in questa maniera, smettiamola e basta!”

Il viso di Francia, di nuovo in luce, si screpolò in un’espressione di pentimento. I suoi occhi bassi e addolorati davanti a quella scena pietosa. “Oh, mon petit chou...”

Inghilterra si portò davanti a lui – non voleva che lo prendessero di mira, neanche per sbaglio – e gli raccolse le guance fredde di pioggia. “Non dovevi seguirmi.” Il suo volto, seppur rasserenato, si fece scuro di apprensione. “Dovevi rimanere al sicuro, al riparo assieme agli altri soldati.”

Canada scosse la testa, non volle sentire ragione.

Come era successo prima a Francia, questa volta furono gli occhi di America ad animarsi, a vacillare, toccati da una saetta di risentimento. “E perché tu ti sei alleato con lui?” Camminò davanti a Francia. Fece vedere chi era il vero padrone di quella guerra. “Perché hai accettato di combattere contro di me? Pensavo che tu mi capissi più di tutti, Canada. Pensavo che mi avresti sostenuto, che saresti stato dalla mia parte.” Il dolore trasmesso dai suoi occhi era lo stesso che aveva provato quando Inghilterra gli aveva puntato il moschetto contro. Adesso era Canada, a tradimento, a tenergli la lama della baionetta sospesa sul cuore. “E invece mi hai voltato le spalle.”

Canada scosse il capo, senza però separarsi dalla stretta di Inghilterra. “Io volevo...” Tenne gli occhi bassi. “Io credevo... speravo... io speravo solo che...” Strinse i denti, inspirò, cacciò fuori una voce più decisa. “Che tutto si sistemasse. Non volevo che ci fossero più queste guerre fra di noi, e non volevo che a nessuno accadesse qualcosa di male. Non l’ho fatto per tradire te, io non voglio dover scegliere da quale parte stare, voglio solo che tu e Inghilterra facciate pace. P-perché...” Un singhiozzo di pianto spezzò le sue parole. “Perché non possiamo far tornare tutto come prima? Quando eravamo felici.”

Lo scroscio incessante del diluvio riempì il silenzio. Le nuvole brontolarono, il vento schiaffeggiò le cime degli abeti, una violenta rovesciata di pioggia grandinò sul prato e fra le mura della lontana roccaforte, coprendo il frastuono della battaglia dove scie di spari si incrociavano per aria, perforando terra, uomini, e grida.

America abbassò lentamente gli occhi. “Fare pace.” Strinse le mani sul suo moschetto fino a far diventare le dita bianche. “Le cose non potranno mai più tornare come prima, Canada. Ormai...” Inspirò a fondo. La sua voce tonante pareggiò quella del temporale che imperversava sopra di lui. “Ormai io sono una nazione indipendente, e non tornerò mai più a prendere ordini dal governo di qualcun altro. Sarò la nazione che io ho deciso di essere, e non quella costruita da un altro impero. E affronterò chiunque minaccerà la mia libertà.” Tirò su il fucile – l’azzurro dei suoi occhi splendette in mezzo all’aria grigia – e prese la mira. “Chiunque!” Spinse l’indice sul grilletto.

L’occhio di Inghilterra fu più veloce. “No!” Diede una gomitata a Canada e lo scagliò lontano dallo sparo. Bang! Il proiettile gli esplose davanti alle gambe ancora accasciate, il foro fumò e si spense subito. Inghilterra sbracciò verso Canada che era caduto poco lontano. “Canada, scappa!”

Canada esitò, tremante nello sguardo e rigido nel corpo. “M-ma...”

“Scappa!” gridò ancora Inghilterra. “Scappa subito!” Si girò verso America, lo trafisse con un fulmineo sguardo rosso d’ira, e riagguantò il suo fucile. “Non t’azzardare a fargli del male.”

Francia spalancò un braccio davanti ad America e si mise fra lui e Inghilterra. “Vai,” gli ordinò. “Corri, mettiti in salvo!”

Lo sguardo di America si spostò da Francia, a Canada, a Inghilterra, e infine solo sulle sue mani che reggevano il moschetto ancora fumante con cui aveva appena sparato. Corse via.

Quando America fu al sicuro, in fuga fra gli abeti, Francia rivolse un sorriso felino a Inghilterra, gli andò incontro, e gli puntò di nuovo la baionetta addosso, senza nemmeno preoccuparsi di scostare una ciocca bagnata scivolata lungo la guancia. “Di nuovo solo tu e io, mon ami?”

Inghilterra corrugò la fronte e gli ringhiò contro. “Non credo proprio.” Piegò un braccio davanti al petto, si rialzò con uno slancio, e affondò una gomitata nel ventre di Francia, facendolo accartocciare di dolore. Non perse altro tempo. Imbracciò il suo fucile, scavalcò il corpo tremante di Francia, e scattò all’inseguimento di America.

Nessuno dei due aveva ancora finito.

 

.

 

Un’ennesima saetta di temporale lacerò il gonfiore del cielo, spalancò le nuvole e scaricò una gettata di pioggia così fitta che la figura di America, in fuga attraverso il diluvio, si ridusse a un’ombra nel grigio. I fulmini cadevano sempre più vicini, gli rimbombavano sotto i piedi. America accelerò la corsa attraverso le gelide frustate di vento e pioggia, annaspò, usò una manica della giacca per strofinarsi il viso bagnato, e boccheggiò avide sorsate d’aria. Resistette all’insistente pressione sul petto, al dolore allo stomaco, al bruciore dei polpacci, e guardò alle sue spalle, verso la presenza di Inghilterra che sapeva lo stava inseguendo attraverso quella porzione di foresta più scoscesa e isolata dal forte di Yorktown.

Una falcata di America sdrucciolò sul terreno sfaldato dalla pioggia, la gamba si flesse di lato e il suo ginocchio precipitò al suolo. “Wah-ah!” America perse l’equilibrio, rotolò giù dalla parete di roccia cedevole, picchiò il fianco su uno spuntone di pietra, si scorticò una guancia su una radice d’albero che emergeva dalla terra, e affondò le dita nella fanghiglia per frenare la caduta.

Trovò un punto più saldo, vi batté più volte i piedi sopra per assicurarsi che reggesse, e s’infilò in una piccola nicchia creata sotto lo stesso tentacolo di radice su cui aveva sbattuto. Appiccicò la schiena alla parete umida da cui rotolò qualche sassolino, recuperò il fucile, lo strinse fra le braccia incrociate, spremendoselo al petto, e rallentò il respiro per poter tendere l’orecchio verso l’alto, verso la corsa di Inghilterra che si avvicinava attraverso la pioggia.

Le falcate nemiche rallentarono. I passi uscirono dalla boscaglia, schiacciarono una pozzanghera, deformarono il suolo fangoso, e si fermarono, facendo rotolare qualche sasso lungo il pendio in cui America era nascosto. “Smettila di fuggire, America!” Un passo più forte. Il grido di Inghilterra s’inasprì. “Affrontami!” Uno schianto di tuono illuminò il cielo. “Affrontami se vuoi davvero guadagnarti la tua libertà!”

Il fiatone di America non accennò a diminuire. America chiuse gli occhi. Al pensiero di ritrovarsi ad affrontare da solo quel lato sanguinario di Inghilterra che lui gli aveva sempre tenuto nascosto, sentì sorgere un’ondata di paura che gli attorcigliò le budella. Gli venne da chiedersi se non fosse il caso di starsene lì al riparo.

Strinse il moschetto per far cessare il tremore, riaprì gli occhi, tornò freddo sia in viso sia nel sangue, e lasciò che quel desiderio di fuga si sbriciolasse come il terreno sotto di lui. “Io me la sono già guadagnata.” Sbucò fuori dal rifugio, ruotò il busto per sporgersi da sopra la radice d’abete, e tese il fucile sorretto fra i gomiti. “Me la sono già presa, la mia libertà.” Questa volta, sparò su Inghilterra senza esitazione. “Sei solo tu che ti rifiuti di accettarlo!”

Inghilterra si tuffò a terra, schivò il colpo sfrecciatogli sopra la spalla. Accostò un pugno alla guancia bagnata e ripulì il sangue dello sfregio e gli schizzi di terra. Serrò un ringhio feroce. “Razza di ingrato.” Inseguì America lungo il pendio. “Tu mi devi tutto!” Da sotto i suoi stivali franò uno strato di terra molle tenuto assieme da una rete di radici sottili. “Se non fosse stato per me tu non saresti diventato la nazione che sei, saresti ancora a vagare per i campi come un animale selvatico! Io ti ho fatto crescere, io ti ho dato di che sfamarti, io ti ho reso quello che sei diventato!”

America cadde all’indietro e sollevò il fucile davanti a sé, per difendersi dietro la lama della baionetta. “Non mi hai mai dato quello di cui avevo realmente bisogno!”

“Perché tu non hai mai saputo quello di cui avevi bisogno.” Inghilterra sollevò la sua arma. “Tu non sai cos’è meglio te, io so cos’è meglio per te!” E la abbatté su America.

Le lame delle due baionette cozzarono l’una sull’altra, strusciarono una sottile cascata di scintille metalliche, e i due moschetti s’incrociarono come spade.

America gonfiò i muscoli delle braccia per resistere alla pressione che gli schiacciava la schiena a terra. “Il tempo in cui io ti dovevo qualcosa è finito!” Il cuore accelerò i battiti, la presa delle mani tremò, i suoi occhi s’inchiodarono senza paura sulle fiamme ardenti che si erano impossessate dello sguardo di Inghilterra. “Non potevi pretendere di controllarmi per tutta la vita. Sapevi fin dall’inizio che anch’io ero una nazione, sapevi che non ero un bambino umano, e sapevi che prima o poi me ne sarei reso conto.” Gli spinse un piede sulla pancia e se lo tolse di dosso. “Non è giusto che tu mi faccia questo e che tu mi tenga imprigionato solo perché mi hai conquistato prima degli altri! Che colpa ne ho? Solo perché sono nato dopo di te?”

Inghilterra si aggrappò alla curva di una radice per non rotolare giù dal pendio. Le sue dita artigliarono la terra, spremendola sotto le unghie. “Stupido!” Picchiò i piedi sulla radice su cui aveva sbattuto, resse il fucile con un braccio e con l’altro si arrampicò appigliandosi agli spuntoni di roccia. Risalì il pendio con il vento a scuoterlo e la pioggia ad annaffiargli la faccia. “Tu non hai idea di cosa significhi essere liberi.” Rivoli di sangue rotolarono fra le dita, stamparono impronte rosse sulla nuda roccia. “Non hai idea di cosa significa possedere una simile responsabilità! Tu con me sei al sicuro, sei protetto, là fuori invece c’è un mondo che non avrà mai pietà e che sarà solo capace di sbranarti!”

“Ma è per quello che mi hai cresciuto!” America si tenne difeso con il fucile puntato in avanti. Non toccò il grilletto. “Per insegnarmi ad affrontarlo!”

“Io ti ho cresciuto per proteggerti!” Inghilterra agguantò la baionetta di America, la strinse fino a farsi sanguinare la mano. “Perché non sarebbe mai dovuto accaderti nulla!”

“Pe...” America esitò. La gola bruciava, gli faceva male il petto, e gli tremavano le labbra. “Perché?” Perché fra tutti proprio io?

Lo schianto improvviso di un tuono penetrò la punta di un abete, spruzzò una cascata di scintille elettriche lungo il tronco, e lo spaccò in due. L’abete compì un sobbalzo, un ultimo guizzo di vita, si rovesciò sotto una spazzata di vento, e si schiantò a terra, sbriciolando una frana che travolse il pendio su cui America e Inghilterra si trovavano ancora in bilico.

Travolto dalla sassata piovuta dal cielo, America si riparò con un braccio, ma il terreno cedette sotto di lui, lo fece precipitare nel vuoto strappandogli un battito dal cuore. “Ah!

Inghilterra si slanciò su di lui, gli agguantò una manica della giacca tenendosi appeso alla radice, per sorreggere entrambi, ma un masso lo colpì alla schiena, gli mozzò il respiro, e l’ondata di terra li divorò.

Crollarono entrambi alla base del pendio.

Il fruscio dell’albero caduto spezzò i rami degli abeti sopravvissuti, scorticò le ultime radici rimaste aggrappate al terreno, e giacque in mezzo alla boscaglia, spaccato in due come un ciocco da ardere. Dalla ferita lacerata dal fulmine sbocciarono le prime fiammelle. Il fuoco sfrigolò, annaffiato dall’acquazzone incessante, e gonfiò un denso fumo colloso attraverso cui si respirava il pungente odore di legno bruciato.

America strinse i denti e strizzò le palpebre. Era caduto di schiena. Infilò una mano sotto il fianco, gemette di dolore, “Ghnn”, riaprì gli occhi lampeggianti e, sotto il riverbero rossiccio dell’incendio, individuò la luce d’argento proveniente dalla baionetta del suo moschetto. Si dimenticò del dolore e si precipitò sul fucile.

Inghilterra strizzò due volte una mano, tastò la consistenza del suo moschetto, diede uno strappo, ma incontrò resistenza. Si girò e scoprì che metà dell’arma era sepolta sotto la frana di terra che li aveva trascinati lì in basso. Inghilterra impallidì, sudori di terrore gli bagnarono la faccia già fradicia di pioggia. Oh, no. Si aggrappò alla volata del moschetto, diede uno strattone di spalle all’indietro, ne diede un altro, picchiò il fucile con un calcio, indurì i muscoli delle braccia, e ci riprovò, smuovendo solo un grappolo di sassolini. Merda, merda, merda, vieni fuori, non farmi questo, non adesso!

America impugnò il suo fucile con entrambe le mani, scivolò sul fianco, tenne l’arma alta, mirò alla schiena di Inghilterra, e sparò senza pensarci.

Bang!

Il proiettile centrò la spalla di Inghilterra e la trafisse, facendo zampillare una scura esplosione di sangue. “Ah!” Inghilterra si aggrappò al braccio ferito e si accartocciò in avanti. Rabbrividì di dolore. I mugugni di sofferenza si mescolarono al brontolio del temporale in allontanamento. Inghilterra aprì la mano con cui si era aggrappato alla ferita, la girò sul palmo, e il rosso lucido del sangue si specchiò nel suo sguardo. I suoi occhi furenti divennero dello stesso colore.

Inghilterra si riappese al suo moschetto sepolto sotto la frana, sganciò la baionetta dalla volata, impennò il braccio sopra la testa, e si gettò su America.

Il fucile di America cadde nel fango. America sbatté la schiena e la nuca, preso di mira dalla punta di baionetta sospesa sulla sua testa e schiacciato dal ginocchio di Inghilterra che gli era atterrato sulla pancia.

Accecato dal dolore della ferita al braccio, e ancor più dalle fitte che gli soffocavano il cuore, Inghilterra fece calare il colpo. La sua baionetta graffiò un arco d’argento in discesa contro il petto di America.

America strizzò gli occhi, trattenne il respiro, e attese il colpo senza parare. Affrontò a viso alto il suo destino.

Inghilterra indurì il pugno attorno alla lama, e arrestò l’affondo. Un rigagnolo di pioggia discese il profilo della baionetta e gocciolò sul petto di America che aveva solo sfiorato, senza riuscire a penetrarlo.

Davanti agli occhi di Inghilterra, il corpo che giaceva sotto di lui smise di essere quello del nemico, tornò a essere l’immagine di quel bambino che aveva cresciuto e amato fin dal primo istante in cui aveva messo piede in quella terra sconfinata.

Le manine arricciate in due pugnetti troppo piccoli per sorreggere un fucile; i capelli color grano incollati al viso bianco e paffuto ora corrugato in una smorfia di terrore; lacrime di pioggia a sciogliersi fra le ciglia strizzate e a scendere lungo le guance paffute; e i respiri accelerati a scuotergli le labbra socchiuse.

Un affondo di dolore trapassò l’animo di Inghilterra, più bruciante dello sparo che gli aveva scorticato il braccio, più pesante della frana che gli era crollata addosso.

Inghilterra rilasciò la tensione del pugno. La baionetta gli scivolò dalla mano, cadde su un sasso – cleng! – si ribaltò in mezzo al fango e giacque immobile, silenziosa. Inghilterra crollò con le spalle in avanti, abbandonò ogni forza, ogni desiderio di portare avanti quella guerra, e singhiozzò, piangendo assieme al cielo che continuava a lacrimargli addosso quella pioggia grigia e dura come piombo.

Affondò il viso nei palmi, annaspò, pianse più forte, la sua schiena s’incurvò, spezzata dai singhiozzi sempre più vicini, e lui fu costretto ad accasciarsi sul petto di America. Si sciolse in un mare di lacrime amare da cui non riusciva a emergere nemmeno per prendere fiato. Soffocò nel dolore che lui stesso aveva causato.

Il temporale si era allontanato, attorno a loro scrosciava solo il ticchettare di una pioggia più sottile, lo sfrigolio delle fiamme nate dall’abete abbattuto. L’odore di corteccia e resina bruciata superò quello delle polveri da sparo. Il riverbero rossastro del fuoco rischiarì il grigiore del maltempo.

Mentre ancora piangeva, i singhiozzi di Inghilterra si riversarono sul petto di America su cui era accasciato. “Tu eri...” Si aggrappò alla stoffa della giacca in un ultimo tentativo di resistenza. “Tu sei stato la cosa più bella che mi sia mai capitata,” sibilò. “Tu sei stato l’unica cosa buona che io abbia mai realizzato in tutta la mia vita.”

America provò un guizzo al cuore nel ritrovarsi davanti a quella prostrazione, al suo capo basso, alle sue spalle chine, alla sua schiena tremante, e al suo viso sciolto in lacrime e pioggia. Provò una compassione tale da sentire lui stesso gli occhi pizzicare e diventare umidi. Eppure non riuscì ancora a pentirsi di...

Inghilterra si strofinò un braccio sul viso. “Quando sono in Europa,” ancora un singhiozzo, “non faccio altro che essere circondato dalle cicatrici di tutti i dolori e i massacri che ho seminato nel corso della storia. Tutte le guerre che ho causato, che ho combattuto, tutto il male che ho provocato in favore della mia sopravvivenza e supremazia. Sono circondato dai resti delle nazioni che ho contribuito a distruggere e dai fantasmi di tutte le vite umane che ho spezzato. Mi sento circondato solo dall’odio.” Strinse più forti i pugni aggrappati al petto di America. “Dall’odio che io e le altre nazioni continuiamo a scaricarci addosso per poter vivere anche solo un giorno in più.” La macchia di sangue si espanse sulla manica sfregiata della sua giacca, gocciolò lungo il braccio e cadde al suolo, mescolandosi ai rigagnoli della pioggia che stava diminuendo. “Quando lasciavo l’Europa, quando venivo qua e incontravo i tuoi occhi, sentivo per la prima volta di aver fatto una cosa buona, crescendoti. Mi sentivo in pace, come se tu fossi nato e mi avessi raggiunto solo per alleviare tutto il dolore che mi tormenta. Per la prima volta...” Singhiozzò attraverso il respiro, e la sua voce ebbe un cedimento. “Sentivo di essere amato incondizionatamente. E avevo giurato a me stesso che niente e nessuno ti avrebbe contaminato, che non avrei mai permesso al mondo di renderti come me, che saresti rimasto innocente per sempre.” Gli premette la fronte su una spalla, scosse il capo. “Non puoi lasciarmi, America.” Un altro amaro gemito. “Non puoi portarmi via questo, non strapparmi dal cuore l’unica parte buona di un miserabile come me. Torna.” La presa dei pugni strinse più forte sulla stoffa della giacca. Un guaito di dolore lacerò il tremolio della sua voce. “Torna da me, America. Ti scongiuro.”

America fu in grado solo di continuare a respirare, di assecondare il martellio del suo cuore attraverso la gola e contro le tempie. Gli occhi immobili sulla figura prostrata di Inghilterra si annacquarono di una compassione genuina. Il dolore di Inghilterra era reale, non gli stava mentendo, e America lo sentiva vibrare fino alle corde del suo cuore. Ma nemmeno questo bastò a farlo tornare indietro. “Mi dispiace, Inghilterra.” Scivolò a sedere. Per la prima volta si guardarono negli occhi, ed entrambi lasciarono cadere la feroce maschera di nazione in guerra. “Io ho il mio destino,” gli disse America, “e devo seguirlo, proprio come tu hai seguito il tuo. Io non dimenticherò mai tutto quello che hai fatto per me, io continuerò a vivere sapendo che quello che diventerò sarà anche grazie a quello che mi hai insegnato, a come mi hai cresciuto. Ma anche se tu mi ha cresciuto e mi hai dato tutto quello che potevi...” Raccolse la baionetta che Inghilterra aveva alzato contro di lui. “Questo non ti dà il diritto di tenermi legato a te per sempre.”

Inghilterra intercettò il lampo d’argento e si pietrificò. Ecco, si disse. Ecco che finalmente arriva il colpo di grazia. Attese il colpo, senza alcun desiderio di sottrarsi.

America calò la lama e lacerò un lungo lembo blu dalla sua giacca. “Io non sono una tua proprietà, Inghilterra.” Allacciò il pezzo di stoffa attorno al braccio ferito di Inghilterra, fermando la perdita di sangue. “Io non sono unicamente qualcosa che può confortarti quando stai male o che ti può consolare davanti ai tuoi sbagli e alle tue sfortune. Io sono una nazione, ho un cuore mio, ho una testa mia, e non posso lasciare che tu mi controlli per sempre. La tua felicità non può dipendere da me. Puoi tenermi nascosto quanto vuoi dal resto del mondo, ma non potrai mai impedire che io segua il mio destino e che prenda parte alla realtà a cui appartengo.” Gli sorrise con un’innocenza che non aveva ancora perso. Le labbra sottili inarcate verso l’alto – fu un sorriso malinconico – e gli occhi azzurri carichi di vita. “Io ti ho sempre ammirato così tanto. Quando ero piccolo, non sapevo cosa sarei diventato da grande, non conoscevo ancora il mio destino o il mio scopo, ma sapevo che avrei voluto renderti orgoglioso, sapevo che avrei voluto essere forte come te. Se io sto facendo tutto questo, è solo perché ho sempre voluto che tu mi guardassi come una nazione e non come qualcuno da continuare a proteggere per sempre. In tutto questo tempo, non ho fatto altro che cercare la tua approvazione, non ho fatto altro che cercare quegli sguardi che non arrivavano.” Sospirò, abbassò il capo scosso da un tremolio. “Poi ho iniziato a sentire il grido della mia gente che reclamava la sua libertà. La loro voce era diventata improvvisamente più forte della tua. Non potevo ignorarla. E allora ho capito.” Guardò lontano, verso gli ultimi rovesci di pioggia che stavano estinguendo sia il fuoco dell’incendio sia i fulmini della battaglia. “Per la prima volta nella mia vita ho davvero capito cosa significa essere una nazione, ho davvero sentito il peso e la responsabilità del mio popolo, ho davvero sentito la voce della mia terra. E non posso tornare da te, Inghilterra, se questo significa abbandonare la mia gente. È questo che deve fare una nazione. Se scegliessi te, allora davvero dimostrerei di non meritarmi la mia libertà.” Scivolò con le gambe all’indietro, spostandosi dal peso di Inghilterra. “Ma sei stato tu a insegnarmelo...” Raccolse il suo moschetto, lo usò come sostegno, e si rimise in piedi. “E per questo te ne sarò per sempre grato.”

Inghilterra si ritrovò inginocchiato ai suoi piedi. Le gambe accasciate nel fango, un braccio fasciato e sanguinante, le ciocche di capelli fradici riverse sulle sue guance e sulla sua fronte. Gli occhi ancora gonfi e rossi di pianto, smarriti come quelli di chi ha appena perso una parte della sua stessa esistenza.

Fu doloroso per America vederlo ridotto in quelle condizioni. Di solito era lui a guardarlo dal basso, quando era piccolo. Era lui a dover sollevare la testolina per poter incontrare gli occhi di quella nazione che una volta gli era apparsa così grande e irraggiungibile.

“Ho sempre pensato che tu fossi la nazione più grande e forte del mondo,” disse America, con rammarico, “ma se tu ti ritrovi a crollare per una cosa così, comportandoti come un essere umano, allora forse mi sono sempre sbagliato.”

Inghilterra sbarrò gli occhi, ammutolito, e quello fu l’ultimo affondo, l’ultima pugnalata al cuore, la più crudele e la più dolorosa che gli fece sentire il sapore del sangue sulla lingua.

“Non tornerò, Inghilterra.” America si caricò il fucile sulla spalla e scosse il capo. “Non c’è più nulla che possa riportare indietro il tempo fra di noi. Anche se dovessi perdere questa guerra, ormai fra noi sarà tutto diverso.” Si girò. “E io non potrò mai più guardarti con gli stessi occhi.” Imboccò l’oscura via che si perdeva in mezzo agli abeti e alle nuvole più basse che erano scese a inghiottire la boscaglia.

Inghilterra sbatté gli occhi annacquati da pioggia e lacrime, le ultime due righe trasparenti discesero gli angoli delle palpebre e carezzarono il profilo delle guance. Il braccio dolorante, le gambe senza forze, il cuore spezzato e sanguinante, il suo sguardo ancora annebbiato di dolore e smarrimento. Cos’era appena successo?

“America.” Scattò sulle ginocchia. “America, no.” Cadde nel fango, ingoiò il sapore amaro della pioggia. “No, ti prego, torna. America...” Tese il braccio, inseguì la sua figura sempre più piccola, distante e sfocata, trasse il suo ultimo lungo respiro e versò il suo ultimo pianto di disperazione. “Americaaa!”

America scomparve nel bosco. La pioggia cessò, le cannonate tacquero, i Britannici alzarono bandiera bianca, i Ribelli esultarono fra le mura della roccaforte espugnata. La guerra era finita.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: _Frame_