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Autore: rose07    06/09/2021    0 recensioni
Valeryn e Vittorio sono due cugini di terzo grado che sono stati travolti da una passione tale da tradire la fiducia del migliore amico di lui e da non pensare alle conseguenze delle loro scelte avventate.
Dopo circa un anno, quelle conseguenze cominciano a palesarsi di fronte ai loro occhi, cambiando in primis la visione della realtà di Valeryn, la quale si ritrova a scoprire un fatto che le cambierà per sempre la vita.
Vittorio deve fare i conti con le volontà della ragazza, ma in momenti di difficoltà alcune persone inaspettate bussano alla porta offrendo una spalla di conforto. Quello che Vittorio troverà in Elia lo lascerà senza difese alcune, permettendo libero sfogo ad un piacere del tutto nuovo, cedendo a delle sensazioni che i due amici avevano da sempre fatto finta di non provare.
Seguito della mia vecchia storia "Splendida Follia", revisionata e corretta. Serie "Ubi Maior Minor Cessat".
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubi maior minor cessat'
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Valeryn si alzò dal letto tenendosi la pancia. Sentì la nausea coglierla di sorpresa, si portò una mano alla bocca e scappò in bagno. In meno di un secondo fu sul lavandino a vomitare anche ciò che non aveva mangiato. Si alzò sconvolta, aprì l’acqua e si sciacquò la faccia arrossata. Odiava vomitare, le faceva schifo. 
Scosse la testa pensando a chissà quante altre volte avrebbe dovuto vomitare in quel modo. Sentì la testa scoppiare, si portò una mano sulle tempie. 
Non sapeva se voleva tutto quello. 
Rosa, sua madre, entrò all’improvviso in bagno, spalancando la porta e guardandola con un cipiglio rassegnato. I suoi genitori da quando aveva saputo che era incinta erano freddi con lei, ma sua madre accorreva sempre se stava male. Tipo come il giramento di testa alla vigilia di Natale, quando si era dovuta sdraiare sul letto con un panno bagnato sulla fronte. 
«Hai rimesso?» chiese poi. Aprì l’acqua sciacquando tutto. Valeryn si sedette sul water tenendosi la testa. Si sentiva ancora scossa. 
«Stai bene?» continuò, incrociando le braccia. Lei annuì senza rispondere. Si sentiva così in colpa con i suoi genitori, sicuramente li aveva delusi molto, pensava. 
Rosa si sedette vicino a lei, sopra il bordo della vasca, poi guardò la pancia della figlia ancora piatta. 
«Quanto è passato?» 
La castana scosse la testa, facendo finta di non ricordare. E invece ricordava tutto perfettamente. Come si era sentita appena aveva visto il test, quando aveva provato la prima nausea, e sicuramente avrebbe ricordato anche quel giorno che aveva vomitato per la prima volta. 
«Credo tre settimane e mezzo» 
«Ah, bene» commentò sua madre scuotendo la testa, accigliata, incrociando le braccia. 
«E noi lo sappiamo solo da qualche giorno!» esclamò sarcastica. 
Valeryn negò con il capo debolmente. Non aveva avuto il coraggio nemmeno di dirlo a Vittorio, come faceva a dirlo a sua madre e suo padre con così tanta naturalezza? 
«N-non ce la facevo» mormorò. 
«Io sono tua madre, Valeryn, che ti piaccia o no io faccio parte della tua vita, ti ho cresciuta e ti aiuterò a crescere questo bambino» 
Quelle parole le fecero male come un pugno allo stomaco. Non aveva parlato seriamente con sua madre da quel giorno, i suoi lo avevano detto al resto della famiglia, e Rosa si era solo limitata a chiederle come stava e fissare degli appuntamenti per i controlli necessari. Ma adesso era arrivato il momento di affrontare anche lei. 
Si torturò le mani, nervosamente. 
«Io...» si fermò, si passò una mano tra i capelli, poi riprese «Io non intendevo deludervi, mamma» 
La donna fece un’espressione un tantino scettica, ma la lasciò parlare. 
«Ti giuro che sono sempre stata responsabile. N-non... non lo abbiamo mai fatto senza precauzioni e...» 
«Oh, e cosa, Valeryn?» l’interruppe lei con fare seccato, rimproverandola «Eppure i vostri ormoni vi hanno trascinato fin qui!» 
La vide abbassare lo sguardo e, sospirando, cercò di essere meno dura con lei. 
«Senti, io sono tua madre, e sono preoccupata per te. Anche papà lo è, seppur adesso sia molto arrabbiato» 
Valeryn sbuffò, sentendo per l’ennesima volta in quei giorni gli occhi bruciare 
«Tenere un bambino è una grossa responsabilità, e tu hai solo diciassette anni, non oso immaginare come farai. Mi fido di te, ma ho paura che tu non ce la possa fare» 
«Ce-ce la farò» sussurrò la ragazza, non tanto convinta. 
Rosa scosse la testa, non credeva proprio. Lei era forte, ma non lo era abbastanza da sopportare tutto quello, la gravidanza, le nausee, tutto... Era ancora una bambina infantile, in fondo, anche se aveva giocato a fare l’adulta. 
«Non credo Valeryn, dovrai mettere alla prova tutto il tuo tempo e la tua pazienza, dedicarti a questo bambino giorno e notte. Dovrai farlo davvero» 
La ragazza annuì, con lo sguardo perso nel vuoto. Rosa se ne accorse e decise di darci un taglio, almeno per il momento. Si alzò e fece per uscire dal bagno. 
«Cerca di crescere, ne avrai bisogno. E lunedì ti porto a fare delle analisi. Ho anche fissato una visita con il mio ginecologo per dopo capodanno» 
Detto ciò, si congedò. Valeryn l'osservò tornare a trafficare con l’aspirapolvere, la sua ossessione, si asciugò una lacrima e prese il cellulare osservando lo schermo. 
Un messaggio di Vittorio. Si morse il labbro, leggendo velocemente, mentre il cuore cominciava a battere più veloce. 
Voleva vederla. 
Era così confusa che non sapeva se le andava incontrarlo, non sapeva se ce l’avrebbe fatta. Rimase a pensare, insicura. 
  
  
  
  
  
  
 
  
  
  
Aveva ottenuto solo pochi soldi per la vincita della cinquina, non era mai stata molto fortunata a tombola. Si voltò verso sua cugina Clea, una ragazzina di tredici anni con dei morbidi boccoli castani quasi biondi, che si era messa in testa di vestirsi come le band pop-rock che seguiva, indossando degli anfibi neri che onestamente le invidiava. Lei era sempre stata brava, invece, stava quasi sempre al tabellone e sapeva fare tutte le rime e le battute sui numeri. 
«Settantasette, “le gambe delle donne”» fece una strizzata d’occhio, mentre Valeryn scuoteva la testa con un sorrisino. 
Era il ventisei di dicembre, una fredda serata che i suoi avevano deciso di passare a casa dei suoi nonni materni insieme agli zii e alle sue cuginette. 
Evelyn, la più piccola, stava imbronciata per non aver vinto. Era molto permalosa, si disse, anche lei era così già a quell’età. Clea continuò a chiamare numeri su numeri, ma nessuno dei suoi parenti sembrava vincere, e lei stava messa male. 
«Ehi, se continuate di questo passo finisce che la faccio prima io!» esclamò sua cugina riponendo l’ennesimo numero. 
Nove. 
Come i mesi che sarebbero dovuti passare. Come i mesi che avrebbe dovuto aspettare il suo bambino. Era tutto così esageratamente strano che le sembrava di scoppiare... 
Suo zio fece tombola proprio in quel momento, Evie scoppiò a piangere e quello fu costretto a donare tutti i soldi della vincita a lei per zittirla. 
Valeryn spostò i capelli dalla faccia, mentre il suo telefonino squillava. 
  
 “Affacciati, c’è una sorpresa per te” 
  
Era lui. 
Sospirando, si alzò dalla sedia catturando l’attenzione di suo padre che stava pagando un altro giro per lui e Rosa. Si affacciò dal balcone vedendo l’auto nera di Ross parcheggiata proprio lì davanti. 
Sorrise, immaginando Vittorio al volante che era venuta a prenderla. Era da tanto tempo che desiderava guidare una macchina, e dopo aver fatto il corso di patente con buoni risultati era riuscito a convincere Ross a prestargli la sua fino a quando non ne avrebbe comprato una nuova. 
Prese il cappotto e il cappellino, li indossò, poi salutò tutti senza guardarli in faccia. Si sentiva in imbarazzo adesso che tutti i suoi parenti lo sapevano, loro facevano finta fosse una buona notizia per non farla stare ancora più male, ma lei lo intuiva che non erano d’accordo per niente. 
Raggiunse la porta, ma prima si fermò per guardarsi allo specchio dell’entrata. Aggiustò i suoi capelli mossi sempre più insoddisfatta di sé stessa. 
Ed invece era bellissima. 
«Ehi, dove vai?» 
Clea la raggiunse, facendola quasi spaventare. Spuntò come un’ombra, una pantera silenziosa, e Valeryn si portò una mano al petto. 
«Mio Dio, mi hai fatto spaventare, idiota!» esclamò, sentendo davvero i battiti accelerare per la paura. 
Era diventata così talmente fragile e suscettibile... 
La ragazzina alzò un sopracciglio, poi piegò la testa di lato. Valeryn notò il suo trucco leggermente sbavato, il suo lucidalabbra che aveva un sottotono viola. 
«Beh, qui l’idiota sei tu, e ci sono anche le prove» disse allusiva. Valeryn cominciò a innervosirsi. 
«Che vuoi, che devo andarmene!» 
La cugina la fissò per qualche secondo, poi scosse la testa. 
«A dire il vero ci contavo su una cosa» ammise. 
«Cosa?» 
Clea fece un sorriso birichino.   
«Che le metti il mio nome. Anche se di Cléa ce n’è una sola, mi piacerebbe avere una cuginetta che si chiama come me» 
Valeryn scosse la testa, incrociando le braccia. Quella ragazzina ne sapeva una più del diavolo, e inoltre era la solita di sempre, quella che ironizzava su tutto. 
«Come fai ad essere sicura che sia una femmina?» chiese scettica. 
«Lo so e basta» le fece un occhiolino di intesa. 
Dopo la squadrò da capo a piedi. 
«Esci con Vittorio?» chiese, pronunciando il nome del ragazzo in modo strano, o almeno, le era sembrato. 
Valeryn sospirò guardandosi allo specchio. Non avrebbe dovuto fare così, si disse, lui era il suo ragazzo. Non poteva andarci con così tanto malincuore. 
Annuì lentamente. 
«Beh, non sembri molto contenta» commentò la ragazzina, squadrandola «Forse pensi di lasciarlo? No perché sai di solito è il contrario, l’ho visto così tante volte nei film, ma magari tu adesso non capisci niente e forse lo lasci» si fermò per un attimo a pensare concentrata, il dito laccato di smalto smangiato sotto il mento. 
«Sì, ti conosco troppo bene, lo lasci» confermò alla fine. 
Valeryn sbuffò innervosita, poi la salutò velocemente prima di scendere le scale ed arrivare al portone principale, quasi stesse fuggendo da un grande mostro che altri non era che dentro la sua testa. 
Perché le parole di Clea le facevano così male, tanto da riempirla d’inquietudine? Forse perché in qualche modo c’era qualcosa di vero dietro quelle frasi infantili? 
Uscì dal portone facendo finta di niente. 
La cugina chiuse la porta guardando la direzione in cui era scomparsa. 
«Lo lascia» soffiò, sempre più convinta. 
  
  
  
Aprì la portiera della macchina, salendoci su. Vittorio si voltò verso di lei facendole un sorriso pieno d’amore, poi si avvicinò per baciarla. Si limitarono ad un casto bacino. 
«Ce ne hai messo di tempo» disse lui mettendo in moto. Valeryn si morse il labbro, ripensando ancora alle parole della cugina. 
«Clea mi ha fatto l’interrogatorio, sai» fece cenno verso la sua pancia, ma se ne pentì amaramente, e prese a guardare fuori dal finestrino. 
Il ragazzo le lanciò uno sguardo. Le faceva così male parlare di quello? La vedeva così strana in quei giorni che non sapeva cosa dirle, come comportarsi. Eppure voleva solo stare con lei. La situazione era alquanto delicata, ma non sarebbe stata la gravidanza ad allontanarlo, anzi, l’avrebbe amata sempre di più. 
Ma forse Valeryn era così confusa che non lo capiva. Si passò una mano tra i capelli castani, in ovvia difficoltà. 
«Dove vuoi che andiamo?» chiese, mentre lei, distratta, alzava le spalle. 
«Dove ti pare» rispose secca. 
Vittorio sospirò, dando un’occhiata al cellulare. Erano solo le dieci di sera. Fece retromarcia con convinzione, guadagnando l’attenzione della ragazza. 
«Cosa fai?» gli chiese allarmata, non sapendo dove la volesse portare. Lui scosse la testa, continuando a guidare. 
«Allora, dove stiamo andando?!» alzò il tono della voce, spazientita. 
Vittorio le rivolse uno sguardo bieco, poi continuò a guardare davanti a sé, imboccando un’altra strada. 
Valeryn scosse la testa passandosi una mano sulla fronte. 
«Credevo avessimo fatto una passeggiata!» 
«Non m’interessa la passeggiata» mormorò lui, tra i denti. 
«E cosa t’interessa, sentiamo?» lo provocò la ragazza con gli occhi verdi che sprizzavano scintille. 
Vittorio la guardò con uno sguardo convinto, lei sentì il cuore accelerare di colpo. Quanto era bello. 
Si sentì in difficoltà, in chiara difficoltà. 
«Stare con te» lo udì rispondere dopo un po’. 
  
  
  
  
Parcheggiò di fronte a delle scale. Valeryn riconobbe quel posto, veniva chiamato da tutti il “Belvedere”, era una piccola piazzetta situata in un punto molto alto, si vedeva tutto il suo paese da lassù. Uno spettacolo di luci. Era sempre emozionante stare lì. 
Vittorio scese dalla macchina, poi le aprì la portiera. Lei lo guardò mordicchiandosi un labbro, poi scese dall’auto e aspettò che l’altro la chiudesse. 
“Beh non sembri molto contenta.” 
Strizzò gli occhi per cercare di cancellare quelle dannate parole dalla sua testa. Si portò una mano alla tempia, come se in quel modo potesse non sentire più la voce di quella ragazzina. 
Il castano le diede una mano a scendere le scale, trovandosi di fronte a dei piccoli spalti che rendevano l’idea di un anfiteatro, colorate di rosso, blu e bianco. Dei lampioni illuminavano lo spiazzo circostante, posizionati tra delle colonne bianche e delle panchine in pietra. 
I due ragazzi raggiunsero il muretto da dove si vedeva tutta la visuale notturna. Valeryn si sentì quasi sospesa nel vuoto. Le girò un po’ la testa, ma non lo diede a vedere. 
Vittorio ci teneva tanto a stare con lei, e quel posto era così romantico. Eppure c’era qualcosa che non andava dentro di lei, non si sentiva così a suo agio... 
 “Forse pensi di lasciarlo?” 
Sbatté la testa, no, non poteva mai pensare ad una cosa del genere. Amava davvero Vittorio, ma... Ma? C’era un ma a quel punto, si disse, e non sapeva trovare una risposta logica che lo giustificasse. 
Lui l’abbracciò da dietro, poteva sentire tutto il suo amore avvolgerla, e quelle braccia... quelle braccia che tante volte le avevano dato così tanta sicurezza, che l’avevano così tanto amata in quell’anno passato, sembravano volessero soffocarla. 
“No, perché sai di solito è il contrario, l’ho visto così tante volte nei film, ma magari tu adesso non capisci niente e forse lo lasci.” 
Sospirò pesantemente, un sospiro quasi disperato. Vittorio se ne accorse, la fece voltare per guardarla negli occhi, in quelle bellissime iridi verdi, belle come lei. 
Valeryn lo fissò talmente insicura, distolse lo sguardo, non ce la faceva a guardarlo, sembrava che i suoi occhi grigi potessero scrutarle l’anima, potessero travolgerla, leggerle la mente. 
«Non ti piace qui?» sussurrò lui, sperando che lei fosse un minimo entusiasta di tutto quello. Invece sembrava quasi disperata, non la capiva proprio. Sapeva solo che gli faceva male in quel modo. 
La ragazza annuì. Il posto era bellissimo, le era sempre piaciuto. Ma quella sera si sentiva diversa, non riusciva a godersi niente. 
Vittorio sentì gli occhi farsi lucidi, quel silenzio era devastante per lui. 
«Che cos’hai?» le chiese a voce bassa «Dimmelo, ti prego» 
Una fitta sì impadronì del petto di Valeryn non appena questi la pregò. Forse lui aveva capito il suo stato d’animo. Non voleva che se ne accorgesse, non voleva che ci rimanesse male... 
Negò con la testa, poi cambiò discorso. 
«Che bello che Ross ti ha prestato la macchina!» esclamò, tentando di sembrare entusiasta. 
Il castano si passò una mano tra i capelli nervoso. 
«Non m’incanti Valeryn, ripeto, cosa c’è?» 
Lei si fece piccola, piccola stringendosi nel suo cappotto. Quando Vitto perdeva la pazienza diventava freddo e lei non sapeva che dirgli. 
«Non ho niente» mormorò abbassando lo sguardo, lui non se la bevve affatto, lo percepiva dentro che qualcosa non andava. Era come se fosse tutto forzato. 
Valeryn si sentiva così in difficoltà che cominciò ad innervosirsi. La testa le faceva molto male, aveva voglia solo di andarsene a casa, non voleva affrontare lui, che adesso stava davanti a lei aspettando una risposta. 
  
“Sì, ti conosco troppo bene, lo lasci.” 
  
Proprio in quel momento alzò lo sguardo verso le scale, delle voci provenivano da lì. Apparvero scendere delle sagome, sagome che riconobbe come loro, i suoi amici. Fece un sospiro di sollievo, come se l’avessero appena salvata in tempo, mentre gli altri alzavano la voce e ridevano come al solito. 
Non appena si accorsero di loro si fermarono all’improvviso, guardandoli, capendo di avere interrotto qualcosa. Censeo tirò da una manica del giubbotto Daniel, che stava per primo con delle bottiglie di birra e una di Santero in mano. Fece cenno di tornare indietro e lasciarli soli, ma il ragazzo con i capelli a caschetto non capì, o fece finta di non capire, e si rivolse direttamente ai due ragazzi. 
«Ma buonasera, anche voi qui, che grandissima coincidenza!» si sedette sulle scalette dell’anfiteatro poggiando birre, spumante, tirando fuori sigarette, cartine ed un apri bottiglie. 
«Questa sera si esagera! E guai a chi dice qualcosa!» si voltò a fulminarli con lo sguardo in un tono che non ammetteva replica alcuna. 
Censeo, Carmine e gli altri scossero la testa. La discrezione non era mai stata il suo forte, né tantomeno l’acume. 
Valeryn però sorrise in direzione delle sue amiche e, divincolandosi da Vittorio, le raggiunse, sentendosi sollevata di aver trovato una scappatoia. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, sbuffando rassegnato. 
Aveva così tanto bisogno di parlare con lei... 
Il resto dei suoi amici stava ancora sulle scale, non sapevano se era il caso di scendere o no. Lui alla fine fece loro cenno di venire, e Censeo rivolse uno sguardo ad Alex e Carmine che, facendo spallucce, raggiunsero Daniel in preda all’euforia. 
Valeryn baciò tutte le sue amiche sulla guancia, poi si fece abbracciare da loro. Aveva tanto bisogno di quell’abbraccio confortante, si disse. Guardò Maia, che era venuta con il suo bel Steve quella sera, e le regalò un sorriso. 
«Meno male che siete qui» le sussurrò, abbassando poi lo sguardo, quasi pentendosi di quelle parole. La ricciolina fece una faccia interrogativa, poi si allontanarono un po’ dalle altre. 
«Perché, cos’è successo?» chiese apprensiva, scrutandola da cima a fondo. 
La castana scosse la testa, poi lanciò uno sguardo a Vittorio che era affacciato dal muretto ed era molto pensieroso. 
«Ho bisogno di parlare con qualcuno, Mai, ti giuro, non so che accidenti mi prende!» 
Maia rivolse uno sguardo veloce a Miriel, che le fissava con un cipiglio, poi scrollò le spalle. 
«Noi siamo qui, tesoro» annunciò. 
«Voi chi?» chiese la ragazza, non capendo a chi si riferisse. 
La riccia fece cenno verso Miriana. Era giusto che ci fosse anche lei, era la sua migliore amica, le avrebbe fatte riavvicinare. 
«Io e Miri» poi le sorrise e sorrise anche alla nominata in questione, che si avvicinò con le braccia incrociate. Valeryn sospirò titubante, poi le regalò mezzo sorriso, poi annuì. 
Avrebbe avuto bisogno di loro. 
  
  
  
  
  
  
Aveva bisogno di lui 
  
Il castano guardò il paesaggio illuminato sentendosi triste. Valeryn le sembrava così strana, così distante, non voleva nemmeno parlare con lui, era ovvio. Si sentiva così male a pensarci. 
Desiderava solo starle accanto, non chiedeva altro. Non voleva chiedere altro che non fosse... 
Lui. 
Scossa la testa, e adesso cosa diamine c’entrava lui? Perché si aggrappava a lui quando si sentiva perso? E perché sentiva quel bisogno disperato di sentirlo perennemente al suo fianco? 
Come risposta alle sue domande, Elia si avvicinò silenziosamente con due bottiglie di birra in mano. Poggiò i gomiti e la schiena sul muretto, e puntò gli occhi ambra su di lui. 
Il castano se ne accorse e mordicchiandosi il labbro inferiore alzò lo sguardo verso il suo migliore amico. 
Il biondo gli passò una birra in un gesto automatico, e ne bevve un po’ dalla sua. 
«Non era un buon momento» non formulò la domanda, l’affermò. 
Vittorio si stupì di come quel ragazzo riuscisse a capire assolutamente tutto. 
«Già, per niente» si passò una mano tra i capelli, bevendo un sorso, fissando il vuoto. Elia lo guardò ancora una volta, sentendosi davvero incapace di staccare gli occhi da lui. 
A parte che quegli occhi grigi sembravano due fanali nel buio, ma solo adesso si rendeva realmente conto di quanto il profilo di Vittorio fosse uno dei più belli che avesse mai visto. 
Strizzò gli occhi, ridestandosi dal pensare commenti fuori luogo in quel momento. 
Lui stava male, lo aveva capito, lo aveva percepito da appena erano arrivati lì come si era irrigidito alla loro vista e come Valeryn fosse corsa via, in preda al panico. 
«Che cos’è successo?» chiese serio. 
Era una domanda a cui non poteva non rispondere, si disse Vittorio. Non poteva resistergli, lui sapeva tutto, solo con lui riusciva a parlare. 
  
Lui era speciale. 

  
Sì, lo era. 
  
Ma non riusciva a spiegarselo nemmeno lui quello che stava succedendo. Con Valeryn gli pareva di afferrare il fumo con le dita per quanto era sfuggente, mentre con Elia non si sentiva del tutto normale. 
Forse era semplicemente il periodo, era stressato, non vedeva l’ora di trovare un appiglio di conforto e quello non era altri che lui. 
«Io...» si fermò un attimo, in difficoltà, poi si leccò piano le labbra. Un gesto così naturale che fece agitare qualcosa dentro Elia, una serie di fitte alla pancia che quasi dovette trattenere il respiro. Il suo stomaco si chiuse, e non seppe nemmeno il perché di quella reazione esagerata. 
 «Io non lo so» fece piano, mentre Daniel incominciava ad urlare cose senza senso facendo ridere le ragazze. 
«La vedo così strana, come se fosse confusa. Non è più la stessa, capisci?» 
Lui annuì, lo aveva provato sulla sua pelle un anno prima, ma non gliene fregava più. Si accese una sigaretta e ne passò una all’amico. Vittorio l’accettò e fece lo stesso. 
«È... è così distratta, come se non le interessasse davvero stare con me. Eppure noi aspettiamo un bambino, cazzo» 
Gettò una boccata di fumo, nervoso. Il biondo lo guardava, non riusciva a non guardarlo, ogni volta si perdeva a fissarlo come se andasse a caccia di qualcosa di imperfetto, una disarmonia. E ancora una volta si sentiva strano, ancora una volta non riusciva a trovarne nemmeno una. 
«Ehi, non è che sei diventato un tantino paranoico in questi giorni?» tentò di sdrammatizzare, facendo dei cerchietti con il fumo. 
«No» soffiò Vittorio, lanciando uno sguardo a Valeryn seduta insieme a Sara, che beveva un po’ di spumante. 
«Credimi, è la verità» affermò, triste. 
«Ti credo» udì dire dopo nemmeno un secondo. 
Elia gettò il filtro della sua sigaretta, facendo un ultimo tiro, alzando appena la testa. Odiava vederlo in quel modo, lui voleva solo vederlo sorridere, spensierato come quando facevano le cazzate insieme. 
Sempre insieme. 
Tornò a fissarlo, mentre il castano stava già facendo lo stesso, catturato dal modo in cui aveva rilasciato il fumo, un modo talmente sensuale, lo aveva fatto socchiudendo gli occhi e arrotondando le labbra. 
Stava delirando, doveva distogliere lo sguardo prima che se ne accorgesse. 
E poi successe tutto così in fretta. 
Elia poggiò una mano sopra la sua guancia, accarezzandolo piano, il pollice cadde giù a sfiorare le sue labbra. Vittorio rimase immobile, incapace di far qualcosa, il calore della mano dell’altro gli fece chiudere per un attimo gli occhi e sentì un tremito avvolgerlo per tutto il corpo. Ebbe una reazione spontanea e posò la sua mano su quella dell’altro. Fu come se non aspettasse altro che sentirlo così vicino. 
Riaprì gli occhi, accarezzandogli il dorso, ma a quel contatto entrambi ritirarono le loro mani come se si fossero appena scottati. Si fissarono, interrogativi, senza capire. Vittorio era annebbiato, si sentiva d’un tratto sconnesso, confuso, provò a schiarirsi la voce e fece per dire qualcosa ma non fuoriuscì alcuna parola dalla sua bocca asciutta. 
Elia lo vide che si guardava intorno, ma poteva giurare che si fosse agitato per quel gesto. 
Si morse il labbro. Forse era il caso che dicesse lui qualcosa... 
Censeo li salvò in extremis, li chiamò, invitandoli a sedersi sopra gli spalti. Il castano non se lo fece ripetere due volte, lo raggiunse evitando di guardare il biondo, che in quel momento si passava una mano nei capelli dandosi dello stupido. 
  
È Vittorio. 
  
E allora? 
  
E’ il tuo migliore amico 
  
Quella vocina aveva pienamente ragione, ma quella fitta al cuore non l’aveva solo immaginata. E nemmeno quelle allo stomaco. Succedeva sempre quando stava con lui, non riusciva a controllarle. 
  
Incominciava seriamente a non capirci più niente. 
  
  
  

  
  
  
  
nda 
Faccio questa nota con la speranza che qualcuno di voi mi faccia sapere come sta trovando la storia fino a questo punto. Nei prossimi capitoli avverranno sicuramente dei momenti più salienti, la storia deve ancora svilupparsi. Per adesso tutto procede lentamente, ma posso assicurarvi che arriveremo presto ad un punto. 
Noto che le letture ci sono, ma mi piacerebbe ricevere qualche recensione per incentivarmi ad aggiornare, la lentezza è dovuta a mancanza di pareri. 
A questa storia tengo molto, avrà molti sviluppi, però devo capire se vale la pena condividerla o tenerla solo per me, come ricordo. 
Vi aspetto. 
Rose 

 

   
 
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