Valeryn si alzò dal
letto tenendosi la pancia. Sentì la nausea coglierla di
sorpresa, si portò una mano alla bocca e scappò
in bagno. In meno di un secondo fu sul lavandino a vomitare anche
ciò che non aveva mangiato. Si alzò sconvolta,
aprì l’acqua e si sciacquò la faccia
arrossata. Odiava vomitare, le faceva schifo.
Scosse la testa pensando
a chissà quante altre volte avrebbe dovuto vomitare in quel
modo. Sentì la testa scoppiare, si portò una mano
sulle tempie.
Non sapeva se voleva
tutto quello.
Rosa, sua madre,
entrò all’improvviso in bagno, spalancando la
porta e guardandola con un cipiglio rassegnato. I suoi genitori da
quando aveva saputo che era incinta erano freddi con lei, ma sua madre
accorreva sempre se stava male. Tipo come il giramento di testa alla
vigilia di Natale, quando si era dovuta sdraiare sul letto con un panno
bagnato sulla fronte.
«Hai
rimesso?» chiese poi. Aprì l’acqua
sciacquando tutto. Valeryn si sedette sul water
tenendosi la testa. Si sentiva ancora scossa.
«Stai
bene?» continuò, incrociando le braccia. Lei
annuì senza rispondere. Si sentiva così in colpa
con i suoi genitori, sicuramente li aveva delusi molto, pensava.
Rosa si sedette vicino a
lei, sopra il bordo della vasca, poi guardò la pancia della
figlia ancora piatta.
«Quanto
è passato?»
La castana scosse la
testa, facendo finta di non ricordare. E invece ricordava tutto
perfettamente. Come si era sentita appena aveva visto il test, quando
aveva provato la prima nausea, e sicuramente avrebbe ricordato anche
quel giorno che aveva vomitato per la prima volta.
«Credo tre
settimane e mezzo»
«Ah,
bene» commentò sua madre scuotendo la testa,
accigliata, incrociando le braccia.
«E noi lo
sappiamo solo da qualche giorno!» esclamò
sarcastica.
Valeryn negò con il
capo debolmente. Non aveva avuto il coraggio nemmeno di dirlo a
Vittorio, come faceva a dirlo a sua madre e suo padre con
così tanta naturalezza?
«N-non ce la
facevo» mormorò.
«Io sono tua
madre, Valeryn, che ti piaccia o no io
faccio parte della tua vita, ti ho cresciuta e ti aiuterò a
crescere questo bambino»
Quelle parole le fecero
male come un pugno allo stomaco. Non aveva parlato seriamente con sua
madre da quel giorno, i suoi lo avevano detto al resto della famiglia,
e Rosa si era solo limitata a chiederle come stava e fissare degli
appuntamenti per i controlli necessari. Ma adesso era arrivato il
momento di affrontare anche lei.
Si torturò le
mani, nervosamente.
«Io...»
si fermò, si passò una mano tra i capelli, poi
riprese «Io non intendevo deludervi, mamma»
La donna fece
un’espressione un tantino scettica, ma la lasciò
parlare.
«Ti giuro che
sono sempre stata responsabile. N-non... non lo abbiamo mai fatto senza
precauzioni e...»
«Oh, e cosa, Valeryn?»
l’interruppe lei con fare seccato, rimproverandola
«Eppure i vostri ormoni vi hanno trascinato fin
qui!»
La vide abbassare lo
sguardo e, sospirando, cercò di essere meno dura con lei.
«Senti, io sono
tua madre, e sono preoccupata per te. Anche papà lo
è, seppur adesso sia molto arrabbiato»
Valeryn sbuffò,
sentendo per l’ennesima volta in quei giorni gli occhi
bruciare
«Tenere un
bambino è una grossa responsabilità, e tu hai
solo diciassette anni, non oso immaginare come farai. Mi fido di te, ma
ho paura che tu non ce la possa fare»
«Ce-ce la
farò» sussurrò la ragazza, non tanto
convinta.
Rosa scosse la testa, non
credeva proprio. Lei era forte, ma non lo era abbastanza da sopportare
tutto quello, la gravidanza, le nausee, tutto... Era ancora una bambina
infantile, in fondo, anche se aveva giocato a fare l’adulta.
«Non credo Valeryn, dovrai mettere alla
prova tutto il tuo tempo e la tua pazienza, dedicarti a questo bambino
giorno e notte. Dovrai farlo davvero»
La ragazza
annuì, con lo sguardo perso nel vuoto. Rosa se ne accorse e
decise di darci un taglio, almeno per il momento. Si alzò e
fece per uscire dal bagno.
«Cerca di
crescere, ne avrai bisogno. E lunedì ti porto a fare delle
analisi. Ho anche fissato una visita con il mio ginecologo per dopo
capodanno»
Detto ciò, si
congedò. Valeryn l'osservò
tornare a trafficare con l’aspirapolvere, la sua ossessione,
si asciugò una lacrima e prese il cellulare osservando lo
schermo.
Un messaggio di Vittorio.
Si morse il labbro, leggendo velocemente, mentre il cuore cominciava a
battere più veloce.
Voleva vederla.
Era così
confusa che non sapeva se le andava incontrarlo, non sapeva se ce
l’avrebbe fatta. Rimase a pensare, insicura.
Aveva ottenuto solo pochi
soldi per la vincita della cinquina, non era mai stata molto fortunata
a tombola. Si voltò verso sua cugina Clea, una ragazzina di
tredici anni con dei morbidi boccoli castani quasi biondi, che si era
messa in testa di vestirsi come le band pop-rock che seguiva,
indossando degli anfibi neri che onestamente le invidiava. Lei era
sempre stata brava, invece, stava quasi sempre al tabellone e sapeva
fare tutte le rime e le battute sui numeri.
«Settantasette,
“le gambe delle donne”» fece una
strizzata d’occhio, mentre Valeryn scuoteva la testa con un
sorrisino.
Era il ventisei di
dicembre, una fredda serata che i suoi avevano deciso di passare a casa
dei suoi nonni materni insieme agli zii e alle sue cuginette.
Evelyn, la più
piccola, stava imbronciata per non aver vinto. Era molto permalosa, si
disse, anche lei era così già a
quell’età. Clea continuò a chiamare
numeri su numeri, ma nessuno dei suoi parenti sembrava vincere, e lei
stava messa male.
«Ehi, se
continuate di questo passo finisce che la faccio prima io!»
esclamò sua cugina riponendo l’ennesimo numero.
Nove.
Come i mesi che sarebbero
dovuti passare. Come i mesi che avrebbe dovuto aspettare il suo
bambino. Era tutto così esageratamente strano che le
sembrava di scoppiare...
Suo zio fece tombola
proprio in quel momento, Evie scoppiò a piangere e quello fu
costretto a donare tutti i soldi della vincita a lei per zittirla.
Valeryn spostò i
capelli dalla faccia, mentre il suo telefonino squillava.
“Affacciati,
c’è una sorpresa per te”
Era lui.
Sospirando, si
alzò dalla sedia catturando l’attenzione di suo
padre che stava pagando un altro giro per lui e Rosa. Si
affacciò dal balcone vedendo l’auto nera di Ross
parcheggiata proprio lì davanti.
Sorrise, immaginando
Vittorio al volante che era venuta a prenderla. Era da tanto tempo che
desiderava guidare una macchina, e dopo aver fatto il corso di patente
con buoni risultati era riuscito a convincere Ross a prestargli la sua
fino a quando non ne avrebbe comprato una nuova.
Prese il cappotto e il
cappellino, li indossò, poi salutò tutti senza
guardarli in faccia. Si sentiva in imbarazzo adesso che tutti i suoi
parenti lo sapevano, loro facevano finta fosse una buona notizia per
non farla stare ancora più male, ma lei lo intuiva che non
erano d’accordo per niente.
Raggiunse la porta, ma
prima si fermò per guardarsi allo specchio
dell’entrata. Aggiustò i suoi capelli mossi sempre
più insoddisfatta di sé stessa.
Ed invece era bellissima.
«Ehi, dove
vai?»
Clea la raggiunse,
facendola quasi spaventare. Spuntò come un’ombra,
una pantera silenziosa, e Valeryn si portò una
mano al petto.
«Mio Dio, mi
hai fatto spaventare, idiota!» esclamò, sentendo
davvero i battiti accelerare per la paura.
Era diventata
così talmente fragile e suscettibile...
La ragazzina
alzò un sopracciglio, poi piegò la testa di lato.
Valeryn notò il suo
trucco leggermente sbavato, il suo lucidalabbra che aveva un sottotono
viola.
«Beh, qui
l’idiota sei tu, e ci sono anche le prove» disse
allusiva. Valeryn cominciò a
innervosirsi.
«Che vuoi, che
devo andarmene!»
La cugina la
fissò per qualche secondo, poi scosse la testa.
«A dire il vero
ci contavo su una cosa» ammise.
«Cosa?»
Clea fece un sorriso
birichino.
«Che le metti il mio
nome. Anche se di Cléa ce
n’è una sola, mi piacerebbe avere una cuginetta
che si chiama come me»
Valeryn scosse la testa,
incrociando le braccia. Quella ragazzina ne sapeva una più
del diavolo, e inoltre era la solita di sempre, quella che ironizzava
su tutto.
«Come fai ad
essere sicura che sia una femmina?» chiese scettica.
«Lo so e
basta» le fece un occhiolino di intesa.
Dopo la
squadrò da capo a piedi.
«Esci
con Vittorio?» chiese,
pronunciando il nome del ragazzo in modo strano, o almeno, le era
sembrato.
Valeryn sospirò
guardandosi allo specchio. Non avrebbe dovuto fare così, si
disse, lui era il suo ragazzo. Non poteva andarci con così
tanto malincuore.
Annuì
lentamente.
«Beh, non
sembri molto contenta» commentò la ragazzina,
squadrandola «Forse pensi di lasciarlo? No perché
sai di solito è il contrario, l’ho visto
così tante volte nei film, ma magari tu adesso non capisci
niente e forse lo lasci» si fermò per un attimo a
pensare concentrata, il dito laccato di smalto smangiato sotto il mento.
«Sì,
ti conosco troppo bene, lo lasci»
confermò alla fine.
Valeryn sbuffò
innervosita, poi la salutò velocemente prima di scendere le
scale ed arrivare al portone principale, quasi stesse fuggendo da un
grande mostro che altri non era che dentro la sua testa.
Perché le
parole di Clea le facevano così male, tanto da riempirla
d’inquietudine? Forse perché in qualche modo
c’era qualcosa di vero dietro quelle frasi infantili?
Uscì dal
portone facendo finta di niente.
La cugina chiuse la porta
guardando la direzione in cui era scomparsa.
«Lo
lascia» soffiò, sempre più convinta.
Aprì la
portiera della macchina, salendoci su. Vittorio si voltò
verso di lei facendole un sorriso pieno d’amore, poi si
avvicinò per baciarla. Si limitarono ad un casto bacino.
«Ce ne hai
messo di tempo» disse lui mettendo in moto. Valeryn si morse il labbro,
ripensando ancora alle parole della cugina.
«Clea mi ha
fatto l’interrogatorio, sai» fece cenno verso la
sua pancia, ma se ne pentì amaramente, e prese a guardare
fuori dal finestrino.
Il ragazzo le
lanciò uno sguardo. Le faceva così male parlare
di quello? La vedeva
così strana in quei giorni che non sapeva cosa dirle, come
comportarsi. Eppure voleva solo stare con lei. La situazione era
alquanto delicata, ma non sarebbe stata la gravidanza ad allontanarlo,
anzi, l’avrebbe amata sempre di più.
Ma forse Valeryn era così
confusa che non lo capiva. Si passò una mano tra i capelli
castani, in ovvia difficoltà.
«Dove vuoi che
andiamo?» chiese, mentre lei, distratta, alzava le spalle.
«Dove ti
pare» rispose secca.
Vittorio
sospirò, dando un’occhiata al cellulare. Erano
solo le dieci di sera. Fece retromarcia con convinzione, guadagnando
l’attenzione della ragazza.
«Cosa
fai?» gli chiese allarmata, non sapendo dove la volesse
portare. Lui scosse la testa, continuando a guidare.
«Allora, dove
stiamo andando?!» alzò il tono della voce,
spazientita.
Vittorio le rivolse uno
sguardo bieco, poi continuò a guardare davanti a
sé, imboccando un’altra strada.
Valeryn scosse la testa
passandosi una mano sulla fronte.
«Credevo
avessimo fatto una passeggiata!»
«Non
m’interessa la passeggiata» mormorò lui,
tra i denti.
«E cosa
t’interessa, sentiamo?» lo provocò la
ragazza con gli occhi verdi che sprizzavano scintille.
Vittorio la
guardò con uno sguardo convinto, lei sentì il
cuore accelerare di colpo. Quanto era bello.
Si sentì in
difficoltà, in chiara difficoltà.
«Stare con
te» lo udì rispondere dopo un po’.
Parcheggiò di
fronte a delle scale. Valeryn riconobbe quel posto,
veniva chiamato da tutti il “Belvedere”, era una
piccola piazzetta situata in un punto molto alto, si vedeva tutto il
suo paese da lassù. Uno spettacolo di luci. Era sempre
emozionante stare lì.
Vittorio scese dalla
macchina, poi le aprì la portiera. Lei lo guardò
mordicchiandosi un labbro, poi scese dall’auto e
aspettò che l’altro la chiudesse.
“Beh non sembri
molto contenta.”
Strizzò gli
occhi per cercare di cancellare quelle dannate parole dalla sua testa.
Si portò una mano alla tempia, come se in quel modo potesse
non sentire più la voce di quella ragazzina.
Il castano le diede una
mano a scendere le scale, trovandosi di fronte a dei piccoli spalti che
rendevano l’idea di un anfiteatro, colorate di rosso, blu e
bianco. Dei lampioni illuminavano lo spiazzo circostante, posizionati
tra delle colonne bianche e delle panchine in pietra.
I due ragazzi raggiunsero
il muretto da dove si vedeva tutta la visuale notturna. Valeryn si sentì
quasi sospesa nel vuoto. Le girò un po’ la testa,
ma non lo diede a vedere.
Vittorio ci teneva tanto
a stare con lei, e quel posto era così romantico. Eppure
c’era qualcosa che non andava dentro di lei, non si sentiva
così a suo agio...
“Forse pensi di
lasciarlo?”
Sbatté la
testa, no, non poteva mai pensare ad una cosa del genere. Amava davvero
Vittorio, ma... Ma? C’era un ma a quel punto,
si disse, e non sapeva trovare una risposta logica che lo giustificasse.
Lui
l’abbracciò da dietro, poteva sentire tutto il suo
amore avvolgerla, e quelle braccia... quelle braccia che tante volte le
avevano dato così tanta sicurezza, che l’avevano
così tanto amata in quell’anno passato, sembravano
volessero soffocarla.
“No,
perché sai di solito è il contrario,
l’ho visto così tante volte nei film, ma magari tu
adesso non capisci niente e forse lo lasci.”
Sospirò
pesantemente, un sospiro quasi disperato. Vittorio se ne accorse, la
fece voltare per guardarla negli occhi, in quelle bellissime iridi
verdi, belle come lei.
Valeryn lo fissò
talmente insicura, distolse lo sguardo, non ce la faceva a guardarlo,
sembrava che i suoi occhi grigi potessero scrutarle l’anima,
potessero travolgerla, leggerle la mente.
«Non ti piace
qui?» sussurrò lui, sperando che lei fosse un
minimo entusiasta di tutto quello. Invece sembrava quasi disperata, non la capiva proprio.
Sapeva solo che gli faceva male in quel modo.
La ragazza
annuì. Il posto era bellissimo, le era sempre piaciuto. Ma
quella sera si sentiva diversa, non riusciva a godersi niente.
Vittorio sentì
gli occhi farsi lucidi, quel silenzio era devastante per lui.
«Che
cos’hai?» le chiese a voce bassa
«Dimmelo, ti prego»
Una fitta sì
impadronì del petto di Valeryn non appena questi la
pregò. Forse lui aveva capito il suo stato
d’animo. Non voleva che se ne accorgesse, non voleva che ci
rimanesse male...
Negò con la
testa, poi cambiò discorso.
«Che bello che
Ross ti ha prestato la macchina!» esclamò,
tentando di sembrare entusiasta.
Il castano si
passò una mano tra i capelli nervoso.
«Non
m’incanti Valeryn, ripeto, cosa
c’è?»
Lei si fece piccola,
piccola stringendosi nel suo cappotto. Quando Vitto perdeva la pazienza
diventava freddo e lei non sapeva che dirgli.
«Non ho
niente» mormorò abbassando lo sguardo, lui non se
la bevve affatto, lo percepiva dentro che qualcosa non andava. Era come
se fosse tutto forzato.
Valeryn si sentiva
così in difficoltà che cominciò ad
innervosirsi. La testa le faceva molto male, aveva voglia solo di
andarsene a casa, non voleva affrontare lui, che adesso stava davanti a
lei aspettando una risposta.
“Sì,
ti conosco troppo bene, lo lasci.”
Proprio in quel momento
alzò lo sguardo verso le scale, delle voci provenivano da
lì. Apparvero scendere delle sagome, sagome che riconobbe
come loro, i suoi amici. Fece un sospiro di sollievo, come se
l’avessero appena salvata in tempo, mentre gli altri alzavano
la voce e ridevano come al solito.
Non appena si accorsero
di loro si fermarono all’improvviso, guardandoli, capendo di
avere interrotto qualcosa. Censeo tirò da una
manica del giubbotto Daniel, che stava per primo con delle bottiglie di
birra e una di Santero in mano. Fece cenno di
tornare indietro e lasciarli soli, ma il ragazzo con i capelli a
caschetto non capì, o fece finta di non capire, e si rivolse
direttamente ai due ragazzi.
«Ma buonasera,
anche voi qui, che grandissima coincidenza!» si sedette sulle
scalette dell’anfiteatro poggiando birre, spumante, tirando
fuori sigarette, cartine ed un apri bottiglie.
«Questa sera si
esagera! E guai a chi dice qualcosa!» si voltò a
fulminarli con lo sguardo in un tono che non ammetteva replica alcuna.
Censeo, Carmine e gli altri
scossero la testa. La discrezione non era mai stata il suo forte,
né tantomeno l’acume.
Valeryn però sorrise
in direzione delle sue amiche e, divincolandosi da Vittorio, le
raggiunse, sentendosi sollevata di aver trovato una scappatoia. Il
ragazzo alzò gli occhi al cielo, sbuffando rassegnato.
Aveva così
tanto bisogno di parlare con lei...
Il resto dei suoi amici
stava ancora sulle scale, non sapevano se era il caso di scendere o no.
Lui alla fine fece loro cenno di venire, e Censeo rivolse uno sguardo ad
Alex e Carmine che, facendo spallucce, raggiunsero Daniel in preda
all’euforia.
Valeryn baciò tutte
le sue amiche sulla guancia, poi si fece abbracciare da loro. Aveva
tanto bisogno di quell’abbraccio confortante, si disse.
Guardò Maia, che era venuta con il suo bel Steve quella
sera, e le regalò un sorriso.
«Meno male che
siete qui» le sussurrò, abbassando poi lo sguardo,
quasi pentendosi di quelle parole. La ricciolina fece una faccia
interrogativa, poi si allontanarono un po’ dalle altre.
«Perché,
cos’è successo?» chiese apprensiva,
scrutandola da cima a fondo.
La castana scosse la
testa, poi lanciò uno sguardo a Vittorio che era affacciato
dal muretto ed era molto pensieroso.
«Ho bisogno di
parlare con qualcuno, Mai, ti giuro, non so che accidenti mi
prende!»
Maia rivolse uno sguardo
veloce a Miriel, che le fissava con un
cipiglio, poi scrollò le spalle.
«Noi siamo qui,
tesoro» annunciò.
«Voi chi?»
chiese la ragazza, non capendo a chi si riferisse.
La riccia fece cenno
verso Miriana. Era giusto che ci fosse anche lei, era la sua migliore
amica, le avrebbe fatte riavvicinare.
«Io e
Miri» poi le sorrise e sorrise anche alla nominata in
questione, che si avvicinò con le braccia incrociate. Valeryn sospirò
titubante, poi le regalò mezzo sorriso, poi annuì.
Avrebbe avuto bisogno di loro.
Aveva bisogno di lui
Il castano
guardò il paesaggio illuminato sentendosi triste. Valeryn le sembrava
così strana, così distante, non voleva nemmeno
parlare con lui, era ovvio. Si sentiva così male a pensarci.
Desiderava solo starle
accanto, non chiedeva altro. Non voleva chiedere altro che non fosse...
Lui.
Scossa la testa, e adesso
cosa diamine c’entrava lui? Perché si
aggrappava a lui quando si sentiva perso? E perché sentiva
quel bisogno disperato di sentirlo perennemente al suo fianco?
Come risposta alle sue
domande, Elia si avvicinò silenziosamente con due bottiglie
di birra in mano. Poggiò i gomiti e la schiena sul muretto,
e puntò gli occhi ambra su di lui.
Il castano se ne accorse
e mordicchiandosi il labbro inferiore alzò lo sguardo verso
il suo migliore amico.
Il biondo gli
passò una birra in un gesto automatico, e ne bevve un
po’ dalla sua.
«Non era un
buon momento» non formulò la domanda,
l’affermò.
Vittorio si
stupì di come quel ragazzo riuscisse a capire assolutamente
tutto.
«Già,
per niente» si passò una mano tra i capelli,
bevendo un sorso, fissando il vuoto. Elia lo guardò ancora
una volta, sentendosi davvero incapace di staccare gli occhi da lui.
A parte che quegli occhi
grigi sembravano due fanali nel buio, ma solo adesso si rendeva
realmente conto di quanto il profilo di Vittorio fosse uno dei
più belli che avesse mai visto.
Strizzò gli
occhi, ridestandosi dal pensare commenti fuori luogo in quel momento.
Lui stava male, lo aveva
capito, lo aveva percepito da appena erano arrivati lì come
si era irrigidito alla loro vista e come Valeryn fosse corsa via, in
preda al panico.
«Che
cos’è successo?» chiese serio.
Era una domanda a cui non
poteva non rispondere, si disse Vittorio. Non poteva resistergli, lui
sapeva tutto, solo con lui riusciva a parlare.
Lui era speciale.
Sì, lo era.
Ma non riusciva a
spiegarselo nemmeno lui quello che stava succedendo. Con Valeryn gli pareva di afferrare
il fumo con le dita per quanto era sfuggente, mentre con Elia non si
sentiva del tutto normale.
Forse era semplicemente
il periodo, era stressato, non vedeva l’ora di trovare un
appiglio di conforto e quello non era altri che lui.
«Io...»
si fermò un attimo, in difficoltà, poi si
leccò piano le labbra. Un gesto così naturale che
fece agitare qualcosa dentro Elia, una serie di fitte alla pancia che
quasi dovette trattenere il respiro. Il suo stomaco si chiuse, e non
seppe nemmeno il perché di quella reazione esagerata.
«Io
non lo so» fece piano, mentre Daniel incominciava ad urlare
cose senza senso facendo ridere le ragazze.
«La vedo
così strana, come se fosse confusa. Non è
più la stessa, capisci?»
Lui annuì, lo
aveva provato sulla sua pelle un anno prima, ma non gliene fregava
più. Si accese una sigaretta e ne passò una
all’amico. Vittorio l’accettò e fece lo
stesso.
«È... è
così distratta, come se non le interessasse davvero stare
con me. Eppure noi aspettiamo un bambino, cazzo»
Gettò una
boccata di fumo, nervoso. Il biondo lo guardava, non riusciva a non
guardarlo, ogni volta si perdeva a fissarlo come se andasse a caccia di
qualcosa di imperfetto, una disarmonia. E ancora una volta si sentiva
strano, ancora una volta non riusciva a trovarne nemmeno una.
«Ehi, non
è che sei diventato un tantino paranoico in questi
giorni?» tentò di sdrammatizzare, facendo dei
cerchietti con il fumo.
«No»
soffiò Vittorio, lanciando uno sguardo a Valeryn seduta insieme a Sara,
che beveva un po’ di spumante.
«Credimi,
è la verità» affermò, triste.
«Ti
credo» udì dire dopo nemmeno un secondo.
Elia gettò il
filtro della sua sigaretta, facendo un ultimo tiro, alzando appena la
testa. Odiava vederlo in quel modo, lui voleva solo vederlo sorridere,
spensierato come quando facevano le cazzate insieme.
Sempre insieme.
Tornò a
fissarlo, mentre il castano stava già facendo lo stesso,
catturato dal modo in cui aveva rilasciato il fumo, un modo talmente
sensuale, lo aveva fatto socchiudendo gli occhi e arrotondando le
labbra.
Stava delirando, doveva
distogliere lo sguardo prima che se ne accorgesse.
E poi successe tutto
così in fretta.
Elia poggiò
una mano sopra la sua guancia, accarezzandolo piano, il pollice cadde
giù a sfiorare le sue labbra. Vittorio rimase immobile,
incapace di far qualcosa, il calore della mano dell’altro gli
fece chiudere per un attimo gli occhi e sentì un tremito
avvolgerlo per tutto il corpo. Ebbe una reazione spontanea e
posò la sua mano su quella dell’altro. Fu come se
non aspettasse altro che sentirlo così vicino.
Riaprì gli
occhi, accarezzandogli il dorso, ma a quel contatto entrambi ritirarono
le loro mani come se si fossero appena scottati. Si fissarono,
interrogativi, senza capire. Vittorio era annebbiato, si sentiva
d’un tratto sconnesso, confuso, provò a schiarirsi
la voce e fece per dire qualcosa ma non fuoriuscì alcuna
parola dalla sua bocca asciutta.
Elia lo vide che si
guardava intorno, ma poteva giurare che si fosse agitato per quel gesto.
Si morse il labbro. Forse
era il caso che dicesse lui qualcosa...
Censeo li salvò in
extremis, li chiamò, invitandoli a sedersi sopra gli spalti.
Il castano non se lo fece ripetere due volte, lo raggiunse evitando di
guardare il biondo, che in quel momento si passava una mano nei capelli
dandosi dello stupido.
È Vittorio.
E allora?
E’ il tuo
migliore amico
Quella vocina aveva
pienamente ragione, ma quella fitta al cuore non l’aveva solo
immaginata. E nemmeno quelle allo stomaco. Succedeva sempre quando
stava con lui, non riusciva a controllarle.
Incominciava seriamente a
non capirci più niente.
nda
Faccio questa nota con la
speranza che qualcuno di voi mi faccia sapere come sta trovando la
storia fino a questo punto. Nei prossimi capitoli avverranno
sicuramente dei momenti più salienti, la storia deve ancora
svilupparsi. Per adesso tutto procede lentamente, ma posso assicurarvi
che arriveremo presto ad un punto.
Noto che le letture ci
sono, ma mi piacerebbe ricevere qualche recensione per incentivarmi ad
aggiornare, la lentezza è dovuta a mancanza di pareri.
A questa storia tengo
molto, avrà molti sviluppi, però devo capire se
vale la pena condividerla o tenerla solo per me, come ricordo.
Vi aspetto.
Rose