El gioveneto adorno
Ruggiero era sdraiato nel
giardino, lo sguardo perso e assonnato.
Improvvisamente sentì un
suono sconosciuto. Alzò l’orecchio e ne giunse un secondo.
Si alzò di scatto e prese a
correre verso le mura del castello. A ogni nuovo eco i passi del ragazzo si
facevano più veloci lungo i corridoi di acciaio; erano suoni di corni, di lance
infrante: suoni di guerrieri.
Si arrestò davanti alla
vetrata e spiò frenetico le pendici della montagna. Il collo si allungava a
destra e a sinistra, le mani premevano sul cristallo incantato. Ed eccoli, in
mezzo al grigio e al verde, riquadri di mille colori: stendardi e tende; un torneo!
«Che succede? Che hai da
correre così, ragazzo?» borbottò una voce roca. Claudicante comparve un vecchio
con una lunga barba bianca e una veste svolazzante.
«Maestro, guardate» gridò
eccitato Ruggiero. Atlante si sporse accanto a lui e strinse gli occhi rugosi.
«Questa poi! Chi diavolo organizza una mischia tra i monti?»
‘Già, chi?’ Si ritrovò a
pensare il ragazzo. I cavalieri erano piccoli come formiche, non scorse alcuno
stemma, ma immaginò dovessero essere molto valorosi per essersi spinti fin lassù
a Carena. Le grida, i nitriti e il cozzare delle armature gli rimbombavano nel
petto.
«Maestro, vi prego,
lasciatemi scendere a vederli» disse saltellando da un piede all’altro. Atlante
aggrottò subito la fronte. «Ve ne supplico, vorrei avvicinarmi solo per vederli
meglio. Nient’altro» mormorò senza staccare gli occhi, le mani si tormentavano irrequiete.
«Oh, ragazzo mio… È troppo
pericoloso! Tu sai bene il destino che ho letto nei tuoi astri: se tu andassi
in battaglia saresti ucciso ancora nel fiore degli anni, per un orribile
tradimento. Dammi retta, non devi avere niente a che fare con quella gente
laggiù». Il mago si voltò e tornò indietro zoppicante.
Ruggero rimase con la bocca
aperta. Riportò gli occhi sulla scena a fondo valle. Voleva solo vederli più da
vicino, vedere finalmente un altro combattente. Il suo posto era in mezzo a
loro, guerrieri come lui. Perché non poteva andare? Il viso gli divenne
paonazzo e urlò di botto: «Invece voglio incontrarli!»
Atlante girò lentamente la
testa, scrutandolo torvo. Il ragazzo gonfiò il petto e continuò a gettare fuori
grida: «Conosco bene il destino che mi attende, maestro, ma se tanto non c’è alcun
modo per impedirlo, tanto vale che gli vada incontro fiero. Mi avete addestrato
tutta la vita per combattere, non c’è bestia che mi tenga testa e se anche laggiù
ci fosse qualcuno in grado di uccidermi, meglio un’ora da guerriero che una
vita rinchiuso in questa montagna».
Il vecchio respirò
profondamente e sospirò: «Ruggiero, figliolo…»
«Non chiamatemi figliolo. Non
sono vostro figlio e voi non siete mio padre, perciò non potete tenermi
rinchiuso qui come uno dei vostri animaletti fatati».
Atlante lo fissò imperturbabile.
«Sei solo un ragazzo, non ti rendi conto di ciò che perderesti. Non voglio più
sentir parlare di questa storia. Tu resterai qui, al sicuro».
Il ragazzo strinse i pugni.
«Sappiate che se non mi fate
uscire, allora scenderò da solo a vedere quei guerrieri. Mi getterò giù da
queste mura, così sarete certo che andrò incontro a una morte prematura!» L’aria
rimase accesa delle sue parole. Ruggiero guardò dritto negli occhi il suo
mentore e quella che era solo una minaccia diventò un proposito. Atlante ora
aveva l’espressione preoccupata, passava veloce le dita sulla barba.
«E sia» mormorò rassegnato.
«Seguimi».