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Autore: coopercroft    24/09/2021    0 recensioni
Laura Lorenzi è un giovane dottoressa italiana, arrivata a Londra per specializzarsi in patologa forense. Convive con un doloroso passato che l'ha chiusa in una solitudine forzata.
Quel lavoro, che tanto ha voluto, le fa conoscere un uomo complicato e singolare con cui inizia un rapporto altalenante pieno di luci e ombre: Mycroft Holmes, fratello maggiore del più noto Sherlock.
Quella frequentazione problematica trascina Laura in gioco di potere, di attentati, di omicidi che logorerà entrambi.
Tra discussioni e riavvicinamenti, si ritroverà a combattere con caparbietà per quel sentimento tormentato che li avvolge sempre più strettamente: una "solitudine elettiva" che li porterà ad aprirsi reciprocamente.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Sherlock aveva deciso di riportare a casa il fratello nel pomeriggio. Mi ero accordata con Molly per poter tornare a Baker street in anticipo.

Per tutta la mattina ero stata nervosa, alternavo alla gioia di rivederlo, la paura del suo rifiuto. Nel pomeriggio sul tardi, mi arrivò un sms di Sherlock che mi avvisava che erano parcheggiati di sotto. Scesi i pochi gradini di Baker Street, incespicando, con il cuore in tumulto.

Mi davo mentalmente della stupida, senza riuscire a calmarmi. Ero felice di rivederlo, anche se tremavo pensando che i soli due baci che ci eravamo scambiati, potevano non essere stati sufficienti a cementare il nostro amore.

Non ero sicura di lui, tanto quanto ero sicura di me. Avvolta nella giacca, la strinsi forte e mi decisi ad accettare la sua reazione, qualunque essa fosse.

La berlina nera era ferma poco oltre l'inizio della via. Sherlock era già sceso, si era portato vicino allo sportello posteriore. Si girò un solo attimo verso di me, fece un cenno con il capo.

Mi avvicinai titubante, non distavo che pochi metri. Mi fermai, seguii con lo sguardo il giovane Holmes che aprì la portiera e aspettò con pazienza.

Mycroft scese con lentezza, si raddrizzò con fatica, Sherlock non lo aiutò, lo lasciò fare sapendo l'indole del fratello maggiore piena di dignitosa alterigia. Solo alla fine gli allungò la stampella che aveva sostituito il suo amato ombrello.

Mi si gelò il sangue, quando vidi com'era dimagrito. Il cappotto era diventato largo, la sciarpa appena appoggiata, mancava della cura con cui la annodava. Intravidi le sue mani delicate parzialmente fasciate, poche dita libere, alcune riusciva a muoverle, perché impugnò la stampella, cercando stabilità.

Zoppicando, fece alcuni passi. Il lampione illuminò il suo volto. Mi sentii mancare quando vidi i suoi capelli, troppo corti e radi, anche se in qualche punto stavano già ricrescendo. Aveva ematomi sul collo e piccoli tagli vicino all'orecchio. Altri sulla guancia.

Uno molto più profondo sul lato destro della fronte, scuro e irregolare che era stato suturato con pochi punti.

Si incamminò lento, il capo chino, ma come se mi avesse percepito si girò e mi vide.

Rimasi immobile, senza respirare, i suoi occhi sui miei. Avvertii il suo dolore passare dentro di me, senza riuscire a confortarlo. Mi feci sorridente e diedi fondo a tutta la mia capacità di attrice.

Feci i pochi passi che ci separavano. Quelli che avevo sognato di fare per abbracciarlo in quei quaranta giorni. E invece rimasi immobile, una statua di sale.

"Ciao, bentornato. Giusto per cena." Gli sorrisi garbata. "Vedo che hai avuto qualche divergenza di vedute con i tuoi rapitori." Cercai di essere spiritosa, anche se me ne pentii subito. Una battuta idiota.

Lui bofonchiò qualcosa di incomprensibile. Un'ombra passò nei suoi occhi, ma subito tornarono limpidi. Mi studiava, valutava quello che vedeva. "Ciao Laura. Sei cambiata." Mormorò esitante.

"In meglio o in peggio? Perché potrei preoccuparmi!" Mi sforzai di fare una mezza risata. Il mio impulso era quello di abbracciarlo forte, di accarezzarlo e di confortarlo. Invece lui, e tutto il suo corpo si era irrigidito, si era fermato, creando una linea di sicurezza. Un fossato d'acqua immaginario. Nessun ponte levatoio abbassato. Allora capii che dovevo stare alle sue regole, si era allontanato da me ancora una volta, aveva resettato tutto il sentimento che c'era stato tra noi. Mi sentii sprofondare, insieme al mio amore a senso unico.

Mycroft impostò la voce, come se fosse distante. "Sembri più forte, più sicura, e i tuoi capelli sono più lunghi." Non cambiò in volto e questo mi spaventò, mi mancavano i suoi sorrisi sinceri.

"Questo lo prendo per un complimento, detto da te. E sì, ho lasciato crescere i capelli, mi piacciono così, mi fanno sembrare più matura." Li toccai distrattamente.

Stavolta accennò una smorfia. "Dici? Sei sempre stata testarda, più che matura." Non raccolsi quel rimprovero gratuito, forse tre mesi prima sarebbe nato il solito battibecco, ora non ne avevo voglia e rimasi zitta.

Si rizzò in tutta la sua altezza e si avviò lentamente, mentre Sherlock che era rimasto al suo fianco silenzioso, prese la borsa dal baule.

Salutai con un gesto Albert, che aveva una faccia di circostanza, niente affatto piacevole. Era stato il testimone silenzioso della nostra storia.

Mycroft zoppicava, ma la stampella era efficace, lo aiutava a compiere i pochi passi che gli servivano ad arrivare a casa. Lo affiancavo, cercando di non pesare sul suo orgoglio. Sapevo che non voleva aiuto, testardo com'era.

Finalmente salimmo le scale interne, con Sherlock che scherzava sulla sua lentezza. Dentro di me, saliva un dolore sordo per vederlo in quelle condizioni.

Fu accolto dalla signora Hudson con gentilezza, visto come lo trattava di solito. Gli diede un'occhiata malinconica e scosse la testa.

Watson invece fu più pratico lo apostrofò con la determinazione tipica del medico qual era, e lo fece accomodare sulla poltrona di fronte al camino. Gli fece sollevare la gamba per farla appoggiare sul cubo porta giochi di Rosie.

"Siedi, Mycroft ti aspettavamo, ti preparo un buon tè. E ti mando tua nipote che vuole salutare il suo zio preferito."

Sherlock portò la sua borsa nella sua stanza che avevano sistemato vicino alla sala, si fermò a osservarlo quando John gli portò Rosie e la sedette sulle sue ginocchia. Controllava che la piccola non lo appesantisse. Io rimasi in disparte, dato che lui nemmeno mi cercava con lo sguardo.

Sherlock si sedette al suo fianco, mentre Mycroft si sciolse al calore che gli restituiva la piccola Rosie. La coccolò dolcemente e questo mi intenerì.

"Sai che Laura collabora con Scotland yard? È diventata parecchio brava." Sherlock fu quasi tenero nel suo tentativo di introdurmi tra loro.

"Non ne dubito, solo il suo Inglese non è migliorato." Fu duro, persino Sherlock aggrottò la fronte guardandomi. Non aveva nemmeno sollevato lo sguardo.

"Beh, migliorerò ancora, se la mia pronuncia di infastidisce." Rimasi in piedi, non tentai nemmeno di sedermi vicino a lui. Ma cominciai a irritarmi.

"Dopo tutti questi mesi? Non credo proprio! La tua inflessione è ancora italiana." Sbuffò seccato.

"Bene, se ti dà fastidio sentirmi parlare, resterò muta. Tu sei molto British lo so, scusami." Fui ironica, tutto sembrava tornato come mesi prima.

"Quello che non hai migliorato è la voglia di essere polemica, e la mancanza di un minimo di educazione." Stavolta fu decisamente cattivo. Credo che il mio volto tradisse il disappunto per essere trattata in quel modo, perché Sherlock sbuffò. "Per favore, ora basta se volete scannarvi fatelo più tardi"

Mycroft mi guardò per un breve attimo e quella fu l'unica attenzione che mi concesse.

"Ti lascio con tuo fratello, visto che non sopporti la mia vicinanza. Scusami."

Lui brontolò, abbassò lo sguardo e mi ignorò.

John non fiatò quando lo raggiunsi in cucina. Presi a tagliare le verdure per cena, ne avrei tagliate a quintali.

"Laura, avanti, non sentirti ferita. Sai quanto è orgoglioso. Dagli tempo." Mormorò sottovoce. Mi aiutò, cercando di evitare che nella foga mi tagliassi una mano, non riuscivo nemmeno a inquadrare il tagliere, gli occhi appannati. Sapeva i miei sentimenti per Myc.

"Avrà tutto il tempo che vorrà, se lo desidera, non sarò certo io a spingerlo nelle mie braccia, non ne ho bisogno." Appoggiai il coltello e guardai il povero John costernato.

"Non ci siamo promessi nulla, forse non era nemmeno innamorato! Come poteva esserlo, lui, che era l'uomo di ghiaccio."

Non potevo negare che mi dispiaceva il suo comportamento per quanto mi sforzassi di capire.

Mi chiusi in un mutismo esasperante, tanto che John brontolò. Il mio cuore batteva più forte, Dio mi era testimone di quanto avrei voluto abbracciarlo e tenerlo stretto. Ma se c'era stato del sentimento quello era solo da parte mia. Non potevo chiedergli di più.

Preparai la tavola, John fece in modo che lui si sedesse vicino, protestai con il capo sottolineando un duro no, ma insistette. Dovevo essere cauta, capire quanto spazio potevo occupare, prima che si sentisse assillato.

La cena presto fu pronta. Ci raggiunsero entrambi, Sherlock si sedette a capotavola, con John vicino.

Mycoft mi guardò malamente, ma accettò di essere vicino a me. Fu Watson che servì i primi piatti, io mi limitai ad aspettare il mio turno.

"Mycroft, sperò ti vada bene è una pasta condita semplice, niente di elaborato."

Lui annuì e ne chiese pochissima, infatti mangiò con difficoltà, un po' per la pressione che subiva, un po' per le mani impedite.

Non chiese aiuto, gli cadde la forchetta un paio di volte prima di reggerla con decisione. D'istinto cercai di aiutarlo, ma si scostò seccato

"Posso farlo da solo, grazie." Fu tagliente, mi fece male sentirlo così distante. Cercai un punto di contatto, ma non mi diede nessun appiglio, alla fine mi arresi.

Fui brava ad inghiottire il suo rifiuto, mentre sentivo il mio cuore frantumarsi. Gli osservavo le mani, quelle magre e delicate, che tanto avevano alimentato il mio amore. Ora insicure, deboli, fasciate, con alcune dita probabilmente senza unghie, e sentii dentro di me lo stesso dolore che avevo provato quando ero stata presa con la violenza.

Dio, avevo amore da dargli! Eppure mi ignorava. Abbassai la testa e finii la cena in silenzio, facendo finta di ridere alle battute di John e Sherlock, mentre mi disintegravo dentro. Eppure lui era lì vicino, ma non potevo toccarlo e mi sembrò una tortura che non mi meritavo. La serata passò senza che mi avesse mai rivolto la parola e il benché minimo sguardo. Mi alzai con poco ritegno, forse lo avevo perso del tutto.

"Scusate, devo prendere una cosa nella mia camera. Sono stanca e domani devo alzarmi presto." Mycroft mi guardò incerto e fu l'unica gentilezza che mi concesse. Fui rapida, scesi quasi subito e lo ricompensai del suo abbandono.

"Ti restituisco il tuo libro prezioso. Non ne ho più bisogno." Lo affermai con durezza. Lui strinse gli occhi, la fronte aggrottata.

"Bene, spero ti sia servito." Sentenziò convinto.

Sorrisi beffarda. "No, Mycroft ,non mi è servito per nulla." Gli allungai quel libro che tanto ci aveva unito.

"L'ho trattato bene. Ho mantenuto la mia promessa, Mycroft. Quello che non posso dire di te." Lui ebbe un moto di stizza, ma fu bravo a trattenersi.

"Buona notte e scusa il mio inglese imperfetto, mister "smart one." Appoggiai il manoscritto sulla tavola tra gli sguardi allibiti di John e Sherlock e volai di sopra senza che lui avesse il tempo di replicare.

Non so come raggiunsi la porta accecata dalle lacrime, forse dalla stupidità di essermi esposta ad un sentimento che sentivo solo io. Mi lasciai andare nel letto e piansi per i quaranta giorni di ansia che avevo vissuto, per un uomo che ora mi allontanava, ferito nel corpo e nella mente. Che non voleva il mio conforto e aiuto, che preferiva la sua solitudine al mio amore.

Mentre io non riuscivo a dominare il mio cuore.

Gli avevo dato la mia fiducia, e questo era ciò che ne avevo ottenuto.  

 

   
 
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