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Autore: moira78    24/09/2021    4 recensioni
Candy e Albert si conoscono da sempre e, da sempre, un filo invisibile li lega. Ma la strada che li porterà a venire a patti con i propri sentimenti e a conquistare la felicità sembra essere infinita e colma di ostacoli...
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Brighton, Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Annie sperava di rivedere Candy prima che partisse per Lakewood con Albert. Quando Carter aveva detto a lei e ad Archie che potevano lasciarla alle sue cure, ognuno era tornato a casa propria e lei cominciava a sentire la mancanza di entrambi.

Bugiarda, è Archie quello che ti manca di più, o vuoi negarlo?

Aveva trovato un'insegnante di pianoforte che le dava lezioni private e si stava dando da fare con diverse associazioni di beneficienza, eppure non era felice come quando stava con Archie.

Perlomeno, anche se non ero del tutto soddisfatta del nostro rapporto, lo avevo vicino.

Tirò fuori dal cassetto l'ultima lettera di Patty e la rilesse, chiedendosi se dovesse fare quel salto o meno.

Carissima Annie,
sono contenta che le ultime notizie su Albert e su tutta questa storia siano finalmente buone! Non avevo dubbi che, alfine, la giustizia avrebbe trionfato. Puoi stare tranquilla, non parlerò neanche con i miei genitori dei torbidi traffici dei Lagan, anche se da quanto mi hai raccontato mi pare che a breve dovrebbe essere reso ufficiale. A proposito, spero di riuscire a venire per quel giorno: il signor William... insomma, Albert mi ha chiesto di essere presente perché mi considera parte della famiglia e questo mi ha commossa nel profondo. Credo che mi veda ancora come la fidanzata di suo nipote, e Dio solo sa se Stair non mi manca ogni singolo giorno...
Ma sto cercando di andare avanti con la mia vita, studiando e rimboccandomi le maniche. Nonna Martha sta tentando di presentarmi dei ragazzi e non c'è nulla che io le dica che la convinca a smettere. Però ti confesso che ho conosciuto un ragazzo che mi ricorda tanto il carattere di Stair, anche se fisicamente non gli somiglia affatto: ha i capelli rossi e origini scozzesi, ci crederesti? È appassionato di astronomia e, non so perché, ogni volta che c'incontriamo mi parla di tutti i misteri del firmamento anche per ore di seguito! Devo dire che mi affascina. La materia, non lui. Oh, va bene, forse anche lui, ma non farmi domande finché non sarò pronta a parlartene io, d'accordo?
Comunque voglio venire a Chicago anche per rivedere Candy. Albert pensa che rivedermi possa farle bene e aiutarla a ricordare. Spero solo di non combinare pasticci o mettermi a piangere quando la vedrò così cambiata! Annie, mi hai raccontato che è come se fosse morta e quella fosse un'altra persona e ti giuro che, se potessi, mi trasferirei lì per supportarla e farla tornare quella di una volta, così come una volta ci mettemmo tutti d'impegno per aiutare lo stesso Albert. Ti ricordi che tempi? Ma, forse, come mi hai scritto nell'ultima lettera, l'unico che può farlo è colui che le è sempre stato accanto... sono certa che, anche se nessuno di voi me l'ha mai detto in maniera esplicita, tra quei due stia nascendo qualcosa. O è già nato e non vogliono farlo sapere, soprattutto ora.
Cara Annie, penso tanto anche a te... so che tu e Archie siete arrivati a un punto in cui volete allontanarvi un po', quindi ho pensato che potessi venire qui in Florida a svernare da me nei prossimi mesi, che ne dici? Qui c'è sempre bisogno di un'anima pia che faccia opere di beneficienza e conosco un ottimo insegnante di pianoforte, che dà lezioni a una mia compagna di corso.
Pensaci, potremmo parlare insieme ai tuoi genitori che, anche se ormai siamo tutte maggiorenni, vorranno sapere che starai bene.

Un abbraccio e, spero, a presto

Patty

Annie si poggiò alla spalliera della sedia con un sospiro, abbassando le mani per riporre la lettera. In Florida sarebbe stata molto più lontana da Archie e non era quello che voleva davvero. Ma, d'altronde, se lui se ne fosse tornato in Massachussets per riprendere gli studi interrotti, che differenza avrebbe fatto?

Certo, rimanendo a Chicago avrebbero potuto viaggiare per vedersi, di tanto in tanto, ma quell'anno sabbatico che si dovevano concedere sarebbe sempre stato lì a dividerli.
Si alzò dalla sedia e uscì dalla camera per raggiungere il suo pianoforte nella stanza della musica: suonare la scaricava e l'aiutava a pensare.

Ero io quella che voleva allontanarlo. Sono stata io a dirgli che ero troppo ferita, schiaffeggiandolo dopo che mi ha baciata. Poi cosa faccio? Gli dico persino che sono disposta a concedermi a lui! Devo essere impazzita...

Le mani danzarono sui tasti, riempiendo quelle mura della sua melodia preferita: dolce, struggente, ritmata. Proprio come i suoi sentimenti. Un gioco di contrasti che si rincorrevano come note capricciose per dare vita a una musica unica, che sembrava composta proprio da lei.

Non aveva mai avuto un'intesa così profonda con Archie e non dipendeva solo dal fatto che finalmente lui avesse fatto chiarezza, dichiarandole di amarla sopra ogni cosa: la lontananza, il timore di perderlo e tutto ciò che aveva disperatamente represso erano usciti sottoforma di una passione traboccante.

Voleva sposarlo, lo avrebbe fatto l'indomani stesso, se avesse potuto.
Voleva suonare solo per lui, condividere la giornata, i pasti, comparire al suo fianco agli eventi sociali come sua moglie. Dare e ricevere baci, carezze... avere dei figli...

Non ho mai pensato a certe cose, anche da fidanzati sapevo che ci sarebbe voluto tempo prima del matrimonio.

Eppure, l'illusione di essere la sua fidanzata e aver fatto marcia indietro in maniera così brusca non aveva fatto che accelerare quel processo e ora voleva solo bruciare tutte le tappe.

A quest'ora, forse, saremmo già stati sposati.

Annie terminò la melodia e chiuse il pianoforte con un gesto lento. Si voltò udendo il lieve cigolio della finestra, che si apriva un poco di più con una folata di vento. La tenda si gonfiò, svolazzando in un tripudio di stoffa rossa ricamata, poi ricadde.

Era come l'altalena dei propri sentimenti.

Trovo paragoni in tutto, devo leggere meno romanzi.

"Soprattutto meno romanzi d'amore", disse a bassa voce, mordendosi il labbro.

La sua vita non era un romanzo e lei non avrebbe fatto pazzie. Soprattutto perché, per fare una pazzia come quella che aveva in mente, avrebbero dovuto essere in due.
 
- § -
 
Raymond Lagan sentì bussare alla sua stanza e richiuse l'armadio dove aveva appeso la giacca per il giorno dopo.

"Avanti", disse voltandosi. Pensava di immaginare cosa sarebbe accaduto e, infatti, la cameriera veniva ad annunciargli che, prima di cena, il signor Ardlay desiderava vederlo nel suo ufficio.

Anche se sapeva che era lì per sistemare le cose e che peggio di così non sarebbe potuta andare, si ritrovò ad avere le mani fredde e sudate e le gambe tremanti mentre seguiva la donna fino all'ufficio presidenziale.

Pur sapendo di non essere il diretto colpevole, avrebbe sempre avvertito la soggezione e il rammarico pugnalarlo allo stomaco.

Aprendo la porta, trovò un'immagine migliorata del William che aveva lasciato solo poche settimane prima. George era in piedi accanto a lui e lo invitò ad accomodarsi di fronte alla scrivania.

Il patriarca degli Ardlay si alzò per stringergli la mano attraverso il piano di lavoro: "Benvenuto, Raymond, spero che la stanza che ti ho fatto assegnare sia di tuo gradimento", disse con gentilezza.

Una gentilezza che continuava a non sentire di meritare: "Sarei stato bene anche in una più modesta, non devi preoccuparti. Ti trovo... davvero bene".

Lui sorrise, sedendosi e invitandolo di nuovo a fare lo stesso. Raymond pensò che gli avrebbe parlato di ciò che avrebbe dovuto dire il giorno successivo, invece la sua prima domanda lo sorprese: "Raymond, devi perdonarmi se mi permetto di entrare nel privato dei tuoi affari, ma vorrei sapere quanto è stabile la tua attuale posizione economica".
Sembrava quasi imbarazzato. Lui, che aveva rischiato tutto a causa dei suoi scellerati figli, era imbarazzato.

"William, io me la caverò...", cominciò avvertendo il sangue affluirgli al viso. Sapeva che stava mentendo e non poteva dissimularlo. Era praticamente a un passo dalla rovina e aveva venduto anche l'ultimo hotel.

Lui alzò una mano, poggiando i gomiti sulla scrivania e protendendosi in avanti: "So che il giudice ha scagionato in via definitiva te e Sarah e che la sentenza per Neil è prossima. Se dovessero trasferirlo per consentirgli di seguirvi in Florida dovrete anche cercare una nuova clinica per Eliza, laggiù".

Raymond deglutì a secco e si sentì trapassato dagli occhi celesti del capofamiglia degli Ardlay. Con un sospiro, ammise: "Non torneremo in Florida, William. Ho venduto l'albergo e... anche la casa di Miami". Gli costò molto dirlo, ma forse si meritava anche quell'ultima umiliazione.

"Che cosa?", scattò lui, sorpreso. "Ma... Raymond, vi hanno sbloccato i conti e anche se non avete più l'appoggio degli Ardlay so che gli affari andavano a gonfie vele, prima che...", fece un gesto con la mano, roteandola in aria per dare a intendere che non voleva ripetersi.

"Io...". Non riusciva a parlare, non poteva spiegargli cosa ne aveva fatto degli ultimi soldi in suo possesso.

"Mi dispiace, non volevo metterti in difficoltà", disse William raddrizzandosi sulla poltrona. "George", chiamò come se quel discorso fosse chiuso.

Come in sogno, Raymond vide l'uomo passare un foglio al suo principale. Lui lo lesse per un attimo con gli occhi socchiusi, come se stesse controllando che tutto fosse corretto, poi lo poggiò sulla scrivania, girandolo perché potesse visionarlo.

Il cuore prese a martellargli nelle tempie mentre metteva a fuoco le parole 'trasferimento fondi' e si rendeva conto degli zeri dopo la prima cifra. E quello non era il suo nome?

Scuotendo la testa, sentendosi ubriaco, Raymond boccheggiò: "Non capisco". Non voleva, non poteva capire.

"Si tratta di un prestito", spiegò William con tono professionale. "È una somma che ti dovrebbe essere sufficiente a ripristinare almeno un paio di alberghi e a ricomprare anche una piccola casa per te e tua moglie. Me lo restituirai entro dieci anni, come è scritto nella postilla, ma ti prometto che non ti verrò a cercare se ti ci vorrà di più. L'unica cosa che non posso fare è far tornare il nome dei Lagan agli splendori di una volta, né associarlo di nuovo a quello del mio clan. Ma sono certo che, con le tue gambe, potrai garantire una vita decorosa alla tua famiglia".

Il nodo che aveva in gola si strinse così forte che Raymond pensò che avrebbe smesso di respirare. Capì che, anche stavolta, si sarebbe sciolto in lacrime davanti a William, finendo di distruggere l'immagine di uomo controllato e freddo che aveva costruito negli anni. E, diavolo, pensava di esserlo veramente!

Invece, il macigno che lo aveva colpito lo aveva costretto a ricominciare tutto da capo: avere fiducia nei suoi famigliari e nelle sue doti di uomo di affari, ricomporre la sua vita fatta a pezzi e considerare l'idea di cercarsi un lavoro qualunque pur di tirare avanti.

"Ho usato gli ultimi soldi che avevo per pagare il direttore del carcere", fu quello che gli uscì dalle labbra, mentre cercava di tamponarsi gli occhi con un fazzoletto preso dal taschino. La sua espiazione sarebbe passata attraverso la verità.

William annuì e Raymond capì che gli Ardlay avevano dovuto fare la stessa cosa per proteggere lui e Archie quando erano finiti loro, in galera.

"È un mondo spietato", i suoi occhi ora sembravano di acciaio, "e trovo assurdo che un uomo, per rimanere tale e mantenere la sua integrità fisica e spirituale, debba pagare quella che dovrebbe essere un'istituzione detentiva. Molti non hanno la stessa fortuna e sospetto siano gli stessi che sono stati tanto arroganti da pensare di potermi uccidere appena ho abbassato la guardia".

Raymond trattenne un ansito: avevano cercato di ucciderlo? Ricordava di averlo visto molto dimagrito sia in tribunale che a casa, forse zoppicava un po'...
"Cosa ti è successo?", domandò incuriosito.

William si appoggiò una mano sulla gamba destra: "Mi hanno piantato un coltello di circa quindici centimetri così vicino all'arteria femorale che sono stato intubato per due settimane. Quando mi sono svegliato avevo in corpo più sangue dei donatori che mio", disse con una calma che lo sorprese.

"Diamine, non sapevo che potessero... arrivare a tanto! Da quello che mi ha raccontato Neil i pericoli erano... beh, altri...". Imbarazzato, si mise a guardare il fazzoletto prima di riporlo.

"Sono entrambi pericoli che possono uccidere un uomo. Capisco come mai tu abbia voluto fare un sacrificio tanto grande per tuo figlio", aggiunse con voce pacata, le mani ora intrecciate sotto al mento.

Ricordava ancora la voce supplicante di Neil, che lo implorava di aiutarlo perché quei bastardi che erano in cella con lui avevano cercato di... prestargli attenzioni particolari fin dal primo giorno. Le grida, la promessa di soldi alla guardia che era arrivata a sedare la rissa che ne era seguita erano state le uniche cose che lo avevano salvato. Raymond aveva prelevato dal proprio conto tutto ciò che aveva e lo aveva consegnato al direttore del carcere e alle guardie la mattina dopo, quindi si era affrettato a vendere tutto perché altrimenti non sarebbe arrivato neanche alla fine del mese portando qualcosa in tavola.

Sarah aveva strepitato come una iena e aveva dovuto usare parole molto dure ed esplicite per farle capire cosa stesse rischiando il loro unico figlio maschio in quella cella. Doveva solo ringraziare di avere dei genitori che non lo avessero diseredato.

Guardando quella cifra sul foglio, Raymond capì che rappresentava la sua manna dal cielo, qualcosa che non avrebbe mai creduto possibile nemmeno in un migliaio di anni: "Perché lo fai?", chiese a bassa voce, carezzandone i lembi come si accarezzerebbe il sogno di una rinascita.

"Perché ho stima di te", rispose subito William, "e so che non avresti mai permesso una cosa simile, se fossi stato presente. Si tratta solo di un prestito, comunque".

Cercava di minimizzare, ma la verità era che lo stava salvando dalla strada. Con molta cura, Raymond piegò il foglio in due e lo rimise sulla scrivania: "Ti ringrazio dal profondo del mio cuore, ma non posso accettare".

Lui lo guardò con le sopracciglia aggrottate: "Non era mia intenzione essere indiscreto o umiliarti, Raymond, voglio aiutarti sinceramente, proprio come ho fatto per la famiglia del proprietario della mia distilleria. Siete entrambi vittime di qualcosa che non avete causato voi e anzi, a dirla tutta, Gonzalez ha fatto l'errore di prestarsi a qualcosa che è contro la legge, ricominciando a produrre alcoolici e poi testimoniando il falso in tribunale, anche se per difendere i suoi cari. In ogni caso, lui non meritava la morte e tu non meritavi la rovina. Lascia che ti allunghi almeno una mano".

Raymond intrecciò le dita tra loro, tormentandosele per qualche istante, riflettendo in fretta: poteva davvero permettersi il lusso di rifiutare? Al momento, con quello che gli era rimasto poteva pagare l'istituto di Eliza per un solo mese ancora, poi non sarebbe neanche stato in grado di acquistare un tozzo di pane. Gli rimaneva la casa di Chicago, ma non era sufficiente e le pareti non si potevano mangiare.

Anche se avesse trovato un lavoro da lavapiatti, come si mormorava avesse fatto William stesso mentre era senza memoria, avrebbe dovuto costringere a lavorare anche Sarah, o Eliza sarebbe rimasta catatonica in casa, senza cure né assistenza. Non si trattava di avere lo stile di vita di prima, si trattava di garantirsi la vera e propria sopravvivenza, cosa che in tutta la sua vita non aveva mai preso neanche lontanamente in considerazione.

Fu quest'ultimo pensiero a farlo cedere.

"Va bene, William, accetto la tua generosa offerta, ma mi basta un terzo di quella cifra, anche meno". Lo guardò negli occhi, finalmente a testa alta.

"Ne sei sicuro, Raymond? Puoi pensarci, se vuoi".

Scosse la testa, con un lieve sorriso, il primo da quando era accaduto tutto quel caos: "Ho più di un motivo per non volere da te tutti quei soldi. Il primo, il più importante, è che sono convinto che tu abbia tutto il diritto di lasciarmi sul lastrico senza dovermi niente... no, lasciami finire", s'interruppe alzando una mano quando lo vide aprire la bocca per protestare. "Il secondo è che voglio restituirti questo prestito molto prima di dieci anni, forse anche la metà. L'ultimo è che voglio andare avanti con le mie sole forze e, che Sarah sia d'accordo o no, desidero ricostruire in piena autonomia la mia fortuna. L'appoggio degli Ardlay è sempre stato una certezza incrollabile per me e dopo tutto quello che è successo sento il bisogno di mettermi in discussione come uomo d'affari, contando su me stesso e su nessun altro. Un po' quello che hai fatto tu quando te ne sei andato in giro per il mondo", concluse allargando quel sorriso. Non credeva che un giorno avrebbe rivalutato tanto William, era un uomo persino migliore di quello che aveva immaginato.

Si alzarono quasi nello stesso momento, suggellando l'accordo con una vigorosa stretta di mano: "Ora capisci perché ho così tanta stima di te? Mi hai appena dimostrato di essere un uomo d'onore", disse.

Peccato che non fosse stato più presente per i suoi figli, per insegnare anche a loro un po' di quell'onore. Forse, in quel momento, non si sarebbero trovati tutti in quella situazione. Anzi, ne era certo.

William diede qualche breve istruzione a George per le modifiche al documento e lui sparì nello studio adiacente per lavorarci subito.

"Bene", disse il patriarca guardandolo di nuovo, "ora vogliamo parlare della tua dichiarazione di domani?".
 
- § -
 
La porta si richiuse ed Eliza rimase sola.

Un sorriso beffardo le si disegnò sul volto e, finalmente libera di muoversi, ruotò le spalle e inclinò la testa da un lato e dall'altro per sciogliere i muscoli.
Quando si alzò, le gambe tremavano ed erano alquanto malferme: fare la bambola era davvero faticoso, non c'era che dire!

E poi, che diavolo le avevano messo, addosso? Una camicia da notte talmente brutta e, ora che la guardava meglio, anche logora e sporca, che la zia Elroy sarebbe inorridita!

Oh, cara, vecchia zia Elroy! Non so se potrò rivederti mai più!

Una specie di risata viscerale le salì dallo stomaco, come un conato acido. In realtà, una volta che fosse fuggita da lì non avrebbe più rivisto nessuno. Né il suo sfortunato fratello incarcerato, né i suoi altrettanto sfortunati genitori.

Sfortunati? Certo, forse ad avere due figli come noi. Ma è irrilevante, lo abbiamo fatto a fin di bene per tutti! Non è certo colpa nostra se quella Molly non ha parlato chiaro!

"Ma tu gliel'hai chiesto?!", ringhiò di nuovo la voce di Neal nella sua testa.

"Mi... mi fai male!"

"Glielo hai chiesto o no?!"

"Non è colpa mia!", gridò stridula, scuotendo la testa e affondando le mani nei capelli che, solo quella mattina, sua madre le aveva pettinato con amore.

Sua madre, che le prometteva che tutto sarebbe andato bene, che la supplicava ogni maledetto giorno di svegliarsi senza rendersi conto delle conseguenze.

Idiota! Stai zitta e fingi con me se vuoi salvarmi! Era stata più volte sul punto di strillarle.

Eliza si avvicinò alla finestra con le sbarre e cominciò a sentire le lacrime bruciarle dietro le palpebre. Non poteva provare alcun senso di colpa, sarebbe stato assurdo. E non le sarebbe mancato nessuno della sua famiglia.

Alla fine, la sua mente geniale avrebbe trovato il modo di rimuovere quelle sbarre e calarsi dalla finestra o di fuggire in qualche altro modo. Tutti, tutti sarebbero rimasti indietro e lei avrebbe trionfato.

Certo, per un bel po' avrebbe dovuto nascondersi

forse per tutto il resto della tua miserabile vita

o vestirsi da vagabonda e tingersi i capelli come quell'idiota incosciente del patriarca degli Ardlay.

Vivendo per strada ed elemosinando... peggio: lavorando per sopravvivere!

"Zitta, zitta, zitta!", cercò di attutire il gridolino isterico, stavolta, o avrebbero potuto udirla. E allora, addio copertura!

La luce fioca della lampada mandava un lampo giallastro e lo specchio rovinato e graffiato le restituì un'aria malata. Se solo avesse avuto un po' di trucco con sé! Ma le impedivano di tenere qualunque cosa in quella stanza schifosa, come se una catatonica potesse mettere disordine!

O tentare di suicidarsi, come aveva fatto Neil.

Lei no, lei amava troppo la vita per fare un gesto così stupido. E se la sarebbe ripresa, quella vita. Doveva saltare sulla prima nave, magari come clandestina, e andarsene in Europa. L'Inghilterra, la Francia... Parigi!

Gli occhi si spalancarono e lei vi colse una luce nuova: Parigi era la capitale della moda! Ora che la guerra era finita, lei avrebbe potuto dare i suoi preziosi consigli in una boutique o persino diventare una modella, con il bel corpo che aveva. Chi l'aveva detto che lavorare sarebbe stato brutto? Oh, certo, solo finché le cose non si fossero stabilizzate, poi avrebbe aperto la sua catena di abbigliamento esclusivo e sarebbe stata lei a dirigere tutto!

La risata viscerale tornò, i lineamenti del volto erano contratti da una gioia folle.

Tuo padre ha venduto tutto per pagare il carcere e proteggere Neil, non ci è rimasto niente! Ma ora io e lui siamo scagionati e Raymond non mi può negare di andare dalla zia Elroy per chiederle aiuto!

A lei non interessava molto la parte della prozia che, ne era certa, non si sarebbe lasciata circuire una seconda volta.

Oh, mammina, sei così ingenua, alle volte! O forse sei veramente tu quella che sta impazzendo, qui?

A Eliza interessava la parte in cui parlava della protezione di Neil: che diavolo intendeva? Doveva pagare degli avvocati per tirarlo fuori di lì,

semmai ci riusciranno

visto che i veri colpevoli erano già in un carcere di massima sicurezza e non in cella con lui!

Cosa poteva accadergli mai, in galera? Dietro a sbarre forse così simili a quelle della sua stanza attuale?

Fuggirò da questa topaia. Forse dovresti provarci anche tu, fratellino, in certi romanzi sembra così facile!

Parigi l'aspettava e comunque lei non poteva certo fare domande a sua madre! Doveva guardarsi intorno, capire gli spostamenti notturni e diurni del personale e studiare un piano di fuga.

Da una stanza adiacente, la solita voce cominciò a urlare frasi in russo o in qualche altra lingua che non aveva mai sentito. Doveva essere quasi mezzanotte, quella donnaccia era puntuale come la morte!

Rannicchiandosi sulle coperte puzzolenti e sciupate, Eliza cominciò a dondolarsi e a cantarsi da sola una specie di ninna nanna.

Quella che le cantavano le tate quando era piccola.
   
 
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