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Autore: Sweet Pink    28/09/2021    4 recensioni
Impero Britannico, 1730.
Saffie Lynwood e Arthur Worthington non si potrebbero dire più diversi di così: freddo quanto implacabile giovane Ammiraglio della Royal Navy lui, allegra e irriverente ragazza aristocratica lei. Dire che fra i due non scorre buon sangue è dire poco, soprattutto da quando sono stati costretti a diventare marito e moglie contro la loro stessa volontà e inclinazione!
Entrambi si giurano infatti odio reciproco, in barba non solo al fatto di essere i discendenti di due delle più ricche e antiche famiglie dell'Impero, ma pure alla vita che sono sfortunatamente costretti a condividere.
Eppure, il destino non è un giocatore tanto prevedibile quanto ci si potrebbe aspettare, poiché sono innumerevoli i segreti che li tengono incatenati l'uno all'altra; segreti, che risalgono il passato dei Worthington e dei Lynwood.
E se, con il tempo, i due nemici si scoprissero più simili di quanto avrebbero mai immaginato, quale tremendo desiderio ne potrebbe mai derivare?
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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CAPITOLO SESTO

INESISTENTE LINEA DI CONFINE




Una incredibile luna piena brillava accecante e meravigliosa, specchiandosi sulla superficie piatta di un oceano denso di oscurità, immobile e immutabile come l’antico sonno di un essere mitologico. Ancora una volta, il cielo e il mare sembravano fondersi proprio sulla sottile linea che avrebbe dovuto in realtà dividerli.

Di fatto, era l’esistenza stessa di quel confine a fare in modo che si potessero incontrare.

“È bellissimo” pensò una Saffie Worthington insonne, gli occhi grandi e luminosi puntati sull’orizzonte lontano, sul panorama mozzafiato che s’apriva di fronte a lei, oltre alla grande vetrata della sua lussuosa cabina. “Forse non riuscire a prendere sonno si è rivelato un bene, dopotutto.”

La Duchessina di Lynwood era infatti sdraiata sul suo comodo letto a baldacchino da parecchie ore e, dopo essersi girata e rigirata per altrettanto tempo senza alcun rimedio, aveva infine deciso di rimanersene distesa sul fianco destro, così da poter godere di quello straordinario spettacolo notturno che – muto – pareva illuminare di polvere argentata l’intera camera.

Per un fugace attimo, si ricordò delle notti stellate e serene in cui lei e Amandine spalancavano con coraggio le finestre della loro camera e di come sua sorella le indicasse la volta celeste, sorridendo di genuina eccitazione. Pure allora era presente quella magica luce fatata, come se Saffie e la ragazza al suo fianco fossero le uniche testimoni della meraviglia del cielo.

“Non potremo stare insieme per sempre ma, ricorda, basterà guardare verso l’alto per incontrarci.”

Saffie non credeva in certe sciocche superstizioni popolari, eppure si trovò a sperare con tutta sé stessa che Amandine fosse diventata una stella luminosa e bellissima, tanto quanto lo era stata in vita, nella sua forma umana. Oppure, si immaginò un misterioso futuro in cui sua sorella era rinata forte e in salute, dove avrebbe potuto alzare lo sguardo turchese sulla notte senza doversi preoccupare di nulla che non fosse una banalità. Dove avrebbe potuto vivere per davvero, pure senza alcun ricordo della remota vita precedente e di Saffie Lynwood che, a secoli di distanza, stava osservando la sua stessa luna.

Il cielo in cui desideravamo poter volare, come due candidi canarini chiusi in una ricca gabbia dorata.

Per fortuna, l’unico rumore udibile dalle orecchie della ragazza castana era il lieve e confortante russare prodotto dal naso della sua ormai inseparabile domestica personale: l’irlandese Keeran Byrne giaceva infatti a pancia in giù sulla sua piccola cuccetta, un pallido braccio inerte e abbandonato fuori dalle coperte, mentre la lunga chioma corvina andava a nascondere un viso esausto dalle forti emozioni di quella lunga giornata.

“…Ma penso che, per questa volta, cinque frustate saranno sufficienti a ricordarti il tuo posto.”

Lo sguardo ancora perso nel pallore della grande luna che le ammiccava da lontano, Saffie non poté fare a meno di ritornare con la mente ai momenti successivi al loro ritorno in cabina: Keeran aveva fatto ogni sforzo possibile per evitare di scoppiare in singhiozzi spaventati di fronte a lei e, complice un improvviso stato di panico, aveva cominciato ad aggirarsi per la camera senza pace alcuna, balbettando frasi sconnesse su come avrebbe provveduto subito a prepararle un bagno caldo, o chiedendole per l’ennesima volta se desiderasse una bevanda calda perché, certamente, era in grado di compiere il suo dovere.

Dimostrarle una forza d’animo in quel momento inesistente.

“Io-io p-posso ancora la-la-lavorare, pa-padrona!”

La signorina Byrne era talmente sconvolta da aver pure dimenticato l’unico ordine diretto impartitole dalla Duchessina, ossia non chiamarla mai – per nessuna ragione – in quel modo. E, a dimostrazione di questa tesi, quando la signora Worthington si era azzardata a interrompere il fiume di parole dell’irlandese per ricordarle di non rivolgersi a lei come sua padrona, Keeran si era voltata nella sua direzione di scatto, fermando il suo folle girovagare e impallidendo come se fosse stata morta.

A Saffie era sembrato fin da subito che la ragazza temesse di essere punita, o che pensasse di meritarlo, persino. Per qualche assurda ragione, Keeran si era immedesimata nella sofferenza di Douglas Jackson, unica persona sull’Atlantic Stinger ad essere in una situazione simile alla sua: forse, aveva considerato la signora Worthington, le cinque frustate inferte al ragazzo avevano ricordato all’irlandese un passato fin troppo recente.

“Riporterò questa ragazzina indietro e, vedrete, ne troverò una più adatta al vostro eccellente rango.”

Allora la ragazza castana aveva deciso di prendere quelle paffute dita tremanti fra le sue e aveva cercato di rassicurare la sua domestica con parole di tenero incoraggiamento: non era forse stata molto coraggiosa sul ponte sopracoperta, visto che le era corsa affianco per aiutarla e sorreggerla quando più Saffie aveva avuto più bisogno di lei?

“No-non siete in co-collera, qui-quindi?”

Gli occhi grandi di Saffie non si spostarono dal panorama stellato nemmeno quando una spiacevole consapevolezza cominciò a farsi strada fra le pieghe del suo animo.

Se lei ha paura di tutto ciò che la circonda, io non faccio alcuna eccezione.

La Duchessina mosse le esili gambe sotto il tessuto fresco delle lenzuola, ignorando a fatica il senso di solitudine provocato da quel pensiero: similmente a un cucciolo abbandonato, Keeran continuava a guardarla con sguardi pieni di un timore rispettoso che, nel profondo, nascondevano grande diffidenza.

No, forse non sarebbero mai riuscite a diventare veramente amiche.

È un’illegittima, una cosiddetta Maledizione di Dio.

Cresciuta considerando la sua stessa esistenza un peccato mortale.

“Abbiamo ancora parecchia strada da fare, Keeran” sospirò a bassa voce Saffie, allungando le mani sotto al cuscino e incontrando così la ruvida copertina del libro. Se la fredda bara bianca rappresentava l’ultima immagine di Amandine, allora il loro vecchio quaderno era l’unico oggetto con cui la ragazza poteva identificare sua sorella minore; il solo superstite del vortice oscuro in cui la sua vita si era ormai trasformata. Malgrado le sue fantasie di poco prima, il Libro delle nostre fiabe era l’ultimo luogo in cui lei viveva, attraverso parole d’inchiostro sbiadito.

“Ma non posso di certo arrendermi, vero Amandine?”

Nessuna miracolosa risposta giunse in suo aiuto e alla Duchessina di Lynwood venne quasi da ridere.

Sono ridicola. Non può rispondermi.

Un’altra fitta di dolore l’attaccò senza alcuna pietà e la ragazza si raggomitolò su sé stessa, in posizione fetale. Perché era un turbamento diverso, quello che ora si affacciava alle porte del suo cuore.

Mi è stata portata via da Arthur Worthington.

Un disprezzo impressionante e meschino travolse Saffie in un battito di ciglia, cogliendola comunque impreparata di fronte alla portata dei suoi stessi sentimenti. Le sue piccole dita si aggrapparono quindi al tessuto liscio del cuscino con forza, mentre lei decideva di stringerlo stretto a sé, abbracciandolo come avrebbe fatto una bambina con il suo prezioso orsacchiotto. Lo so, che è colpa sua.

Il suo viso arrossato andò a cercare rifugio contro quella stoffa morbida e pregiata, affondandoci con grande vergogna. Lo so.

Eppure, perché non riesco in alcun modo a dormire?

No, non poteva nascondersi da sé stessa, né dai suoi stessi pensieri che, opprimenti, giravano intorno ad un unico perno, un’unica conclusione: il sentirsi maledettamente in colpa nei confronti dell’uomo che detestava e, di conseguenza, la repulsione verso questo sentimento sgradito, che lei non desiderava provare.

E dire che la responsabilità, in fondo, era stata anche sua: Saffie era ben conscia di aver commesso un grave errore, poiché non avrebbe mai dovuto cedere alla tentazione di voltarsi indietro e lanciare un’occhiata segreta a Benjamin Rochester e Arthur Worthington, intenti a parlottare senza più prestarle alcuna attenzione.

“…sembra voi non siate mai stanco di riempirvi di cicatrici.”

Il bruciante senso di colpa della ragazza si fece enorme, pesante come un macigno, e si andò a scontrare con l’odio all’apparenza inossidabile che già giaceva dentro di lei da parecchio tempo, quasi cercasse di avere la meglio su quest’ultimo. Quasi le volesse far provare dispiacere per il tremendo Ammiraglio.

L’immagine del petto nudo di Arthur e dell’estesa cicatrice che ne deturpava il lato destro si formò davanti ai suoi occhi, ben chiusi dietro alle palpebre. Si era domandata più volte quale ne fosse l’origine, malgrado avesse cercato con tutte le sue forze di lasciarla indietro, dimenticarla.

“E all’inferno devono essere rispediti, senza alcuna eccezione”.

Il caos dentro al suo animo era ormai una voragine divorante di oscurità impossibile da sopportare.

Saffie si alzò a sedere di scatto, i lunghissimi capelli castano chiaro che scendevano – tutti arruffati – sulle piccole spalle tremanti. La lussuosa stanza intorno a lei si era fatta carica di un’aria asfissiante e tossica, lasciando la ragazza in preda a una sensazione di cocente soffocamento; le parve quasi di stare andando letteralmente a fuoco, tanto sentiva ardere dentro di sé quei sentimenti controversi.

Tu hai giurato di odiarlo.

E ora, da dove viene questo tuo bisogno di dirgli “Grazie”?

Cercando di non provocare il benché minimo rumore, la ragazza scese dal letto e riuscì persino ad infilarsi una ricca veste da camera alla meno peggio, guadagnando poi la porta della cabina a piccoli passettini silenziosi, senza svegliare il suo esausto angelo custode.

“Devo assolutamente uscire di qui” pensò d’impulso Saffie, dando le spalle a una luna bianca che pareva voler annunciare una notte di battaglia.


§


In questa maniera Saffie arrivò di tutta fretta fin sul ponte sopracoperta, grata di poter sentire la brezza fresca e pungente della notte accarezzare con dolcezza le sue gote arrossate. Arrovellarsi il cervello su Arthur Worthington e, nello specifico, sopra il suo incomprensibile carattere stava provocando in lei sentimenti sgraditi e scomodi, seppure orrendamente famigliari.

Non puoi proprio fare a meno di pensarci, non è vero?

La Duchessina di Lynwood avanzò di qualche passo e si prese il viso fra le mani, constatando di non essere stata affatto ingannata da un’illusione, perché le sue guance stavano bruciando per davvero. Grazie al Cielo l’Atlantic Stinger aveva rallentato la velocità di navigazione fino a raggiungere un’andatura pigra e tranquilla, cosicché il ponte era praticamente sgombro da anima viva: la ragazza sentiva di poter a malapena sopportare sentirsi in quel modo, quindi figurarsi far vedere il suo rossore furioso a tutto l’equipaggio!

Gli occhi di Saffie indagarono l’opaca oscurità in cui era sprofondata la nave dove, illuminati dalla calda e soffice luce di qualche lanterna, le sagome stravaccate di diversi marinai male in arnese se la ronfavano beatamente, probabilmente distrutti dall’ennesima giornata di massacrante lavoro. La ragazza si chiese se pure il signor Jackson fosse con loro, sdraiato sulle assi di quel vecchio pavimento, oppure fosse ancora fra le mani dell’abile medico di bordo; in ogni caso, sperava con tutto il cuore lui potesse rimettersi presto e tornare ad esercitarsi nella scrittura insieme a lei e Keeran.

“Slegate quel ragazzo…che qualcuno gli presti le prime cure.”

L’ardente sentimento che aveva deciso di divertirsi un mondo nel torturarla affondò nuovamente le unghie sulla sua anima turbata, al pari passo con una nuova ondata di rossore non richiesto apparso all’improvviso sul suo grazioso visino ovale. “È ormai ufficiale: la Duchessina Saffie Lynwood sta diventando matta!” si prese in giro con rabbia, ridendo di sé stessa e cercando contemporaneamente di evitare il solo pensiero che, da quel pomeriggio, si rifiutava di prendere seriamente in considerazione.

Di affrontare a viso aperto.

Eppure, per quanto provasse a voltare il capo dall’altra parte e non guardare, quel pensiero – quella immagine – era sempre davanti ai suoi occhi, proprio come la spaventosa cicatrice di Arthur Worthington.

Ti odia, ma è corso a salvarti.

Come se già il suo schiacciante senso di colpa non fosse abbastanza!

Saffie si strinse nella sua lunga veste da notte, trattenendo un brivido sottopelle. Cominciava a fare freddo, ma lei a malapena ci fece caso mentre, senza vera consapevolezza, alzava lo sguardo verso l’alto ponte di comando, territorio invalicabile.

Perché dovresti volermi proteggere?

“Si è dimostrato piuttosto comprensivo nei confronti del povero Douglas, fra le altre cose” considerò la giovane, sbilanciandosi di lato con il busto, così da poter sbirciare il fondo della scalinata che conduceva al piano superiore: nemmeno lì pareva esserci qualcuno. D’altronde, gli stessi Ufficiali di Guardia sembravano essere impegnati a prua del vascello, troppo assorbiti in una entusiasmante giocata d’azzardo con i pochi marinai rimasti svegli per fare attenzione alla piccola figura che ora stava salendo freneticamente i gradini, quasi ci stesse correndo sopra.

Saffie e il suo furioso cuore arrivarono così sani e salvi sull’elegante ponte di comando, luogo dove l’odiato Ammiraglio trascorreva la maggior parte delle sue giornate.

Anche se l’avesse fatto per salvare le apparenze, non puoi frenare questo tuo morboso bisogno.

Comprendere Arthur Worthington, che è così diverso da te.

E fu odiandosi come non mai, lei e i suoi pensieri traditori, che la ragazza castana incatenò le iridi con quelle nere e a dir poco sbalordite del timoniere di turno.

“Si-signora Worthington, buonasera!” la salutò l’uomo, dopo un silenzioso attimo di sorpresa. Il marinaio contemplò ad occhi sgranati la sagoma piccola di Saffie come se fosse direttamente uscita da un incubo e, non senza impallidire, le sussurrò in tono tanto timoroso quanto reverenziale: “Lo sapete, invero, che non potete stare qui?”

La giovane presa in causa sbatté due o tre volte le palpebre, perplessa di fronte a quella reazione a suo parere esagerata: sapeva molto bene di essere una donna, ma l’uomo la stava guardando con lo stesso sguardo con cui si osserverebbe un fantasma, un’allucinazione; Saffie quasi poté giurare di vedere vere gocce di sudore freddo fare la loro comparsa sulla sua testa pelata e bruciata dal sole.

“Ma certo! Qualcosa deve essere sicuramente accaduto!” esclamò dopo poco il timoniere, alzando inspiegabilmente il tono di voce tinto di finta noncuranza. “È per questo che dovete aver deciso di infrangere le regole, immagino. Volevate incontrare vostro marito, d’altronde!”

Un brivido tremendo scosse interamente la Duchessina, mentre quest’ultima realizzava il reale significato delle parole dell’uomo in piedi di fronte a lei: evidentemente, il ponte di comando non era poi deserto come sembrava.

A conferma di ciò, Saffie seguì con lo sguardo il cenno timoroso del timoniere di turno e, con grande orrore, i suoi occhi castani si scontrarono immediatamente con due incredibili iridi verde smeraldo, che quasi sembravano splendere pericolose nell`oscurità.

“Anche io ti odio con tutto il mio animo, ragazzina.”

Arthur Worthington in persona la stava fissando a neanche dieci metri di distanza e, ovviamente, non pareva proprio per nulla contento del fatto di trovarla lì, a calcare un luogo che alle donne era del tutto vietato. O più probabilmente, si trovò a considerare la ragazza, l’ammiraglio non era affatto felice di incontrare proprio lei, fra le cinquecento anime che potevano decidere di salire sul ponte di comando a quell’ora di notte.

Con il cuore schizzato improvvisamente in gola senza alcun permesso, Saffie non poté trattenersi dall’osservare come la figura alta e imponente dell’uomo riuscisse a trasmettere uno strano senso di soggezione misto ad eleganza pure in una situazione come quella, dove Arthur non stava facendo nient’altro che sedere in maniera scomposta su una sedia di vimini, le gambe toniche allungate sopra un piccolo sgabello e la testa scura appoggiata sul palmo di una mano. Tra le dita dell’altra, un libro aperto che ad una prima occhiata lei non riuscì a riconoscere.

“…William Shakespeare. Non ho mai avuto cognome, quindi il signorino ha voluto deciderne uno per me.”

La Duchessina di Lynwood si accorse pure di come il marito non indossasse la sua importante quanto odiosa divisa dorata, accecante simbolo di ambizioso potere: a vederlo così, con un paio di semplici calzoni chiari e una larga camicia bianca, egli poteva benissimo essere scambiato per un uomo comune e non per il ricchissimo Generale che tutti sembravano venerare, e che lei invece disprezzava.

Davanti agli occhi immobili dell’uomo, così simili a quelli di un animale pronto all’attacco, Saffie sentì il razionale dovere di tagliare la corda, andarsene ed evitare un incontro che potesse portare a galla il loro risentimento reciproco e, con esso, il fare inevitabilmente i conti con l’incarnazione della terribile colpa di cui si erano macchiati: intravedevano entrambi un peccato mortale l’uno negli occhi dell’altra, come se si specchiassero in un’unica sofferenza, un’unica vergogna che non volevano vedere.

Perché tu sei responsabile.

Nel contempo, le gambe della ragazza sembrarono essersi fuse con il pavimento, poiché ancora lei non si era effettivamente decisa a scappare via, trattenuta sul posto da una curiosità che proprio non riusciva a spiegarsi. Perché l’hai fatto, se mi odi quanto ti odio io?

Aveva giurato odio eterno ad Arthur Worthington, ma dentro di sé sapeva di doverlo ringraziare per essere intervenuto in difesa sua e di Douglas Jackson, mettendosi a rischio senza pensarci due volte.

Voleva salvare le apparenze, ma ti ha protetta in ogni caso.

Di nuovo, quello strano sentimento a metà fra la ripugnanza e l’imbarazzo la colse nell’esatto istante in cui udì la voce profonda dell’ammiraglio tagliare in due il silenzio della notte, facendo sussultare sia lei che l’attento timoniere.

“Vi è proibito mettere piede qui, moglie” sillabò l’uomo, chiudendo il suo voluminoso libro con un gesto seccato e lanciando nella sua direzione un altro sguardo di disarmante freddezza. “Tornate nei vostri alloggi. È molto tardi e, se proprio desiderate un colloquio con me, vi vedrò domani mattina.”

Era chiaro come il sole che Arthur non pensava affatto di mantenere il suo intento, difatti a Saffie non venne difficile smascherare la sua perfetta farsa: stava ancora mantenendo le apparenze, Worthington, e l’evidenza più lampante stava nel suo rivolgersi a lei utilizzando il formale voi, cosa che più non accadeva da quando Amandine era morta.

Perché la tragedia lì aveva fatti riconoscere nemici naturali, tracciando una netta linea di confine fra loro.

La rabbia cominciò a montare nel petto della ragazza castana, mentre quest’ultima già sapeva di non poter scampare alla battaglia imminente, sebbene lei per prima non provasse alcun desiderio di sottrarsi dal combattimento. “Non posso preoccuparmi per mio marito?” lo sfidò quindi, articolando ad alta voce quella domanda da mogliettina devota e, contemporaneamente, avanzando verso di lui a passo lento e misurato. Sul suo grazioso viso comparve un inaspettato sorriso mielato, dalla falsità disarmante, che ovviamente non ingannò Arthur Worthington nemmeno per un secondo. “Avete subito un grave attacco oggi pomeriggio, mio caro.”

Saffie si fermò a meno di un metro da lui, serafica, le mani elegantemente giunte in grembo come da etichetta; i suoi occhi scuri caddero però sul braccio bendato dell’uomo e, per un doloroso momento, lei cercò con scarso successo di provare più crudele soddisfazione che tormentato senso di colpa.

“In questo caso, saremo in due, ad affogare.”

Infine, il Generale Implacabile e la Duchessina di Lynwood si trovarono l’uno di fronte all’altra dopo più di un mese dalla notte in cui si erano dichiarati disprezzo reciproco, ma risultò subito cristallino a tutti e due come niente sembrasse essere poi così diverso: una placida e pericolosa ira giaceva sul fondo delle iridi smeraldo di un Arthur che – Saffie poteva scommettere – stava trattenendosi a malapena dal perdere tutto il suo famoso contegno elegante. Le aveva ordinato di andarsene ma, seriamente, come aveva anche solo potuto pensare che lei gli avrebbe ubbidito per davvero?

Non te l’ho forse detto, che sarei stata la tua spina nel fianco?

Eppure, fu ancora Saffie a sottovalutare l’imprevedibile carattere dell’uomo che era stata costretta a sposare: con sua enorme sorpresa, la ragazza vide l’ammiraglio sporgere la schiena verso di lei, mentre un leggero ghigno s’andava ad aprire, diabolico, su un’espressione di ironia conturbante. Una mano grande si allungò fino a raggiungere le sue, sfiorandone la pelle fredda con delicatezza.

“Mi onorate, cara” fece Worthington, non prima di aver lanciato un’occhiata in direzione del timoniere ficcanaso, che se ne stava girato a guardarli a bocca aperta, come se Saffie e Arthur fossero due raffinate divinità uscite da chissà quale oceano.

La ragazza osservò, ad occhi spalancati, le dita lunghe di Arthur scivolare lentamente lungo il palmo della sua piccola mano, per poi portarsela alle labbra con una dolcezza finta che sapeva di battaglia. Il suo cuore perse un battito e lei seppe di non potersi opporre in alcuna maniera a quel gesto; ovviamente, non era l’unica ad esserne consapevole: dal basso, due taglienti occhi di pietra continuavano a fissarla con disprezzo mortale, in attesa di un suo solo passo falso.

“Sprofonderai nell’infelicità.”

Un altro brivido la fulminò da capo a piedi, tanto che udì appena l’ammiraglio parlare di nuovo, questa volta rivolto alla persona presente alle sue spalle: “Signor McCavoy, vedete di tenere lo sguardo piantato a prua della nave, come da ordini. Questa donna e gli affari di cui discuto con lei non sono di certo nel vostro interesse”.

Chiaramente, era bastata quell’unica frase per far saltare sul chi va là l’attempato timoniere. L’uomo fece subito un rigido inchino, deferente, e si voltò bruscamente dall’altra parte, come se li avesse già dimenticati del tutto.

Non appena la testa glabra del signor McCavoy si fu girata in direzione della rotta che l’Atlantic Stinger doveva percorrere, Saffie tirò indietro la mano con uno scatto deciso e veloce, mentre un rossore diffuso faceva la comparsa sul suo viso. Il gesto di Worthington l’aveva colta impreparata e, per questo, un fastidiosissimo batticuore ora pareva risuonare forte nelle sue orecchie, assordante e violento; cercando di non prestarci troppa attenzione, la ragazza si trovò a bisbigliare, in tono sommesso: “Come pensavo. Sei un eccellente bugiardo, Ammiraglio”.

Gli occhi penetranti dell’uomo furono attraversati da un gelido bagliore rancoroso e, senza un rumore, egli abbassò nuovamente il braccio sul morbido sostegno della poltrona. “Anche tu sei stata all’altezza delle mie aspettative, ragazzina” le rispose, il sorriso di scetticismo malvagio che ancora non accennava ad abbandonare il suo volto virile.

“Saffie Lynwood, voi non sarete mai nemmeno la metà di quello che è stata Amandine.”

“Non sono una bambina” sibilò Saffie, di getto. “Non chiamarmi così.”

L’espressione della ragazza si chiuse in un muto disprezzo e lei decise di non voler più guardare dentro le iridi piene di oscurità di Worthington. Era l’Arthur della prima notte di nozze quello che ora si trovava ad affrontare, non di certo l’orgoglioso Ammiraglio che diverse ore prima l’aveva salvata, né il raffinato gentiluomo di cui sua sorella si era perdutamente infatuata.

Non è mai esistita, né esisterà mai, una persona del genere.

Saffie si morse il labbro inferiore con forza e, mossa da un improvviso sentimento di amarezza saltato fuori da chissà dove, voltò la testa castana senza dire più nulla, cominciando ad avviarsi verso il fondo della nave e superando così l'immobile figura del marito.

Come aveva potuto pensare di ringraziarlo per averla aiutata?

Figuriamoci, non riusciamo nemmeno a dialogare decentemente.

Veloce e fulminea, la presa micidiale di cinque dita strette attorno al suo esile braccio la bloccò sul posto, a nemmeno due passi da un ammiraglio Worthington che non pareva intenzionato a muoversi da dove era seduto. “Cosa pensi di fare?” le arrivò la sua voce profonda e dura come l’acciaio, di una serietà tremenda. “Ci sono cinquecento uomini su questa nave: non credere di poter saltellare di qua e di là a quest’ora di notte, perché commetteresti un enorme sbaglio. Torna nei tuoi alloggi, Duchessina. Qui non sei al sicuro.”

Voleva salvare le apparenze, ma ti ha protetta in ogni caso.

“Io e voi siamo molto diversi, non è così?”

Il cuore già di per sé esausto di Saffie perse un battito e, quando quest’ultima si voltò ad osservare l’uomo, ebbe la sorpresa di non trovarlo voltato verso di lei come si sarebbe aspettata: Arthur si nascondeva alla sua vista, dietro a una massa di capelli scuri che le impediva di poter indagare l'espressione del suo viso da nobile elegante.

“Come aria e mare, signorina.”

E, per un istante, la ragazza si trovò a desiderare con tutte le sue forze che lui si girasse a guardarla.

Saffie rilassò senza accorgersene il braccio stretto tra le dita forti di Worthington, come un debole uccellino ormai arresosi alle fauci del suo violento predatore. “Ma tu verresti a salvarmi, come hai fatto oggi” sussurrò piano, con timida incertezza.

Due elementi che mai si incontrano davvero.

L'esile voce della piccola strega arrivò ad Arthur più diretta di una fucilata, cogliendolo inerme di fronte a parole che mai si sarebbe aspettato di sentir pronunciare proprio da lei. L'uomo voltò quindi la testa bruna di scatto, troppo sorpreso per poter costruire qualsiasi facciata e, se Saffie riuscì finalmente ad osservare il suo viso, l’ammiraglio fu ucciso sul posto da due grandi occhi innocenti e puliti, che avevano lavato via qualsiasi macchia di tremenda accusa. Ora, uno sguardo combattuto e triste si specchiava nel suo, ed era così intenso da fare male.

Di fatto, era l’esistenza stessa di quel confine a fare in modo che si potessero incontrare.

“Io…” continuò esitante la Duchessina di Lynwood, abbassando lo sguardo verso terra “Io ho pensato di doverti ringraziare per ciò che hai fatto oggi.”

Un rossore acceso, adorabile, faceva mostra di sé sulle guance della donna che Worthington aveva dichiarato di detestare, eppure l’ultima frase di lei lo riempì non solo di un contorto sentimento cui preferì non dare alcun nome ma, soprattutto, di un'agghiacciante quanto opprimente paura.

Perché quella linea di confine era in realtà inesistente.

“...che sai solo fare del male? D’altronde, sei nato per portare disgrazia e morte a chi si avvicina a te.”

La tozza mano di Shaoul Brown, stretta attorno alla frusta insanguinata, comparve per un fugace attimo nella sua mente; così come il corpo rannicchiato e inerme della sorella tanto amata da Amandine che, mossa dalla sua solita testardaggine coraggiosa, aspettava di ricevere il colpo.

Questo era accaduto perché lui l’aveva imprigionata.

Ma di chi è la colpa, se ora sei in questa situazione?

Perché pensavi di averla seppellita la persona che eri un tempo. Quella capace di fare del male.

Allora il suo sguardo smeraldino si tinse di un’oscurità tremenda, costituita di un disprezzo nuovamente accecante e rabbioso. Un taglio all’ingiù trasformò le sue belle labbra sottili e diede al suo viso sempre attraente un’espressione di repulsione palese, che ben nascondeva il suo vero stato d’animo: un terrore confuso e caotico torturava il suo animo a pezzi, e Arthur pensò che avrebbe preferito morire, piuttosto che mostrarsi debole di fronte all’odiata Duchessina di Lynwood.

Meglio fare del male agli altri e proteggere sé stessi, no?

“Non desidero alcun pietoso ringraziamento da parte tua” sillabò infine Worthington, mollando la presa su Saffie come se la sua pelle fosse diventata incandescente all’improvviso. “Non quando avresti potuto evitare di fare una scena di fronte ai miei Ufficiali. Sono stato costretto ad aiutarti.”

Davanti a quella risposta dal sapore velenoso, il cuore della ragazza si strinse in maniera dolorosa e angosciante. Se fino a qualche attimo prima aveva creduto di intravedere una qualche malinconia in fondo a quelle iridi dalla durezza disarmante, adesso Saffie dovette arrendersi al fatto di essersi completamente illusa: non esisteva alcuna umanità nell’uomo che aveva sacrificato Amandine alla sua disgustosa ambizione.

È un confine troppo grande da poter colmare con le parole.

No, non esiste un mondo in cui potremo perdonarci per davvero.

E fu con grande rabbia che la ragazza decise di voltargli le spalle, non senza prima aver sibilato: “Dal momento in cui hai accettato questo vergognoso legame, sei tu ad averci condannati a questa infelicità”. Raggiunse in due piccoli passi il parapetto di legno dell’Atlantic Stinger e vi appoggiò sopra entrambe le mani, cercando di inspirare l’aria salata e pungente della notte; il suo sguardo turbato si perse nel fitto buio che s’apriva davanti a lei, dove niente poteva essere effettivamente visto. Solo un oceano e un cielo di un nero disturbante, così diversi da quelli che poco prima aveva tanto ammirato.

La nostra oscurità accecante.

Saffie sapeva molto bene di non dover lasciare intendere al timoniere di turno come in realtà le loro conversazioni fossero ben lontane da quelle che avrebbero avuto due sposini innamorati ma, ugualmente, moriva dalla voglia di sbattere in faccia a Worthington tutta la sua rancorosa sofferenza repressa.

“Avrei preferito essere colpita da quella frusta, piuttosto che sentirmi in questo modo” pensò di impulso la ragazza, ricacciando indietro le lacrime traditrici che stavano cominciando a formarsi agli angoli dei suoi occhi scuri. Tutto, pur di non piangere a causa sua.

Che altro potevi aspettarti da lui, piccola sciocca?

I suoi pensieri vennero però mandati a gambe all’aria da due braccia toniche e forti che, inattese, entrarono nel suo campo visivo. Senza che lei se ne fosse data conto, Arthur si era alzato in piedi e l’aveva raggiunta in silenzio; l’uomo puntò le mani sul corrimano del parapetto, a fianco delle sue, imprigionandola un’altra volta tra le sue braccia…proprio come l’ultima volta.

“Sbaglierei, nell’affermare che sei stata tu la prima ad acconsentire volontariamente a questa unione?”

I capelli castani di Saffie sfiorarono appena la camicia bianca dell’ammiraglio Worthington, mentre quest’ultimo si chinava su di lei il giusto per poterle sussurrare, in tono di crudele soddisfazione: “Mi chiedo, quale sarà mai il vero motivo dietro alla tua decisione?”

“…di obbedirmi, e l’unica strada che percorrerai sarà quella per il manicomio.”

La ragazza sgranò gli occhi sul vuoto e un tremore leggero cominciò a scuoterla interamente, andando a pari passo con l’ondata di odio che le invase l’anima; ma disprezzò pure sé stessa, poiché nemmeno in quel frangente poté ignorare ciò che la vicinanza dell’uomo sembrava provocare in lei: un paradossale senso di aspettativa e rifiuto, di curiosità e timore. Di voler allontanarsi e, nel contempo, attraversare un confine.

“Ora non sei più la viziata Duchessina di Lynwood, ma mia moglie” continuò l’ammiraglio, implacabile come suo solito. “Come tale, mi devi obbedienza”.

“Tu sei mia, adesso.”

Sei un maledetto demonio, Arthur Worthington.

“E se decidessi che non è così?” mormorò per tutta risposta la ragazza con sommessa ironia, senza osare voltare il capo nella sua direzione. “Se non volessi sottostare ai tuoi ordini?”

Gli occhi verdi di Arthur si fecero lucidi di una fredda determinazione che Saffie ovviamente non poté vedere.

Non finisci mai di provocarmi, vero, ragazzina?

L’uomo raggiunse il braccio sinistro della moglie e lo sollevò con gentilezza, intrecciando le sue dita lunghe con quelle morbide di lei, di modo che la ragazza potesse ben vedere le due sottili fedi nuziali brillare inquietanti nell’opaca luce della luna.

“Provaci e trasformerò questa pagliacciata in una vera e propria guerra, mia cara.”

“…non esiste alcuna pietà per chi incrocia il suo cammino!”

Un silenzio di piombo, interrotto dal rumore di qualche rara onda, fu ciò che seguì alla dichiarazione dell’uomo e Arthur stesso se ne stupì, poiché aspettava da Saffie uno dei suoi commenti da smorfiosetta saccente, non un mutismo di cui non riusciva a comprendere l’origine.

Finalmente si accorse che la sua figura minuta aveva preso a tremare appena, come se – per la prima volta – la ragazza dimostrasse di avere timore di lui.

Della oscura ambizione di cui lui viveva, e che l’aveva imprigionata.

Un disagio fastidioso ricominciò ad agitarsi nello stomaco di Worthington che si trovò a chiedere, senza nemmeno saperne la ragione: “Perché stai tremando?”

Era stato solo un sussurro roco soffiato al suo orecchio ma, per qualche misteriosa motivazione, Saffie ne fu sconvolta più di qualsiasi altro gesto lui avesse compiuto durante quella nottata. Un rossore furioso, incontrollabile, le invase con violenza il viso, mentre il suo stesso corpo sembrò avere la meglio su di lei, costringendola a voltarsi di scatto fra le braccia dell’uomo che ancora la teneva intrappolata.

Di nuovo, le certezze inamovibili di Arthur furono spazzate via in un battito di ciglia: la piccola strega lo guardava con due occhi sorpresi e pieni di lacrime, illuminati da un turbamento irresistibile.

“…Se la signorina Saffie Lynwood non sia più simile a te di quanto credi.”

No. Questo mai.

La ragazza lo vide sbarrare gli occhi verdi e impallidire di colpo, come se l’uomo avesse capito una realtà di fatto impossibile; osservò immobile l’ammiraglio fare un passo indietro, allontanarsi fisicamente da lei e abbandonare così il campo di battaglia. Fu quasi come se fosse stata la Duchessina di Lynwood a siglare una vittoria su di lui, dopo un combattimento estenuante; eppure, Saffie non provò alcuna soddisfazione.

Perché quelle iridi incredibili ora la guardavano con paura e repulsione.

Marito e moglie si fissarono per un infinito attimo silenzioso, sul limitare del loro odiato confine: una linea netta che li aveva divisi e – allo stesso tempo – sembrava unirli in un legame indissolubile.

L’Atlantic Stinger rollò con dolcezza a babordo, svegliando la Duchessina di Lynwood da qualsiasi incantesimo le avesse obnubilato la mente. Senza una sola parola, la ragazza castana interruppe bruscamente il contatto visivo con Arthur e raggiunse di tutta fretta le scalinate che portavano ai ponti inferiori, agile come un cerbiatto in fuga.

Rimasto pressoché solo sul largo ponte di comando, l’uomo si diresse passivamente verso la lussuosa poltrona in vimini dove, aperto a metà, giaceva il libro regalatogli da Amandine poco dopo il loro fidanzamento e che lui si stava impegnando a finir di leggere. Prima, sembrava non aver mai trovato abbastanza tempo per farlo.

Un mal di testa doloroso aggredì le sue tempie, pulsante e crudele come il ritmo del suo oscuro cuore che, a tradimento, picchiava forte contro la cassa toracica.

“Ma tu verresti a salvarmi, come hai fatto oggi.”

Worthington portò meccanicamente le dita lunghe sugli occhi e un lieve rossore gli tinse le guance abbronzate. Di impulso, odiò sé stesso e Saffie Lynwood come mai gli era capitato da quando si erano incontrati.

“Dannazione!” sbottò ad alta voce, attirando l’attenzione del timoniere a diversi metri da lui, che si voltò a guardarlo, sgomento di fronte al colorito vocabolario del famoso e raffinato Ammiraglio Arthur Worthington.


§


Un rumore di fondo, lontano ma armonioso, arrivò alle orecchie di una signorina Lynwood ancora addormentata. Il piccolo corpo abbandonato fra le coperte, rannicchiato su sé stesso, e i lunghi capelli arruffati che si allungavano senza controllo sul morbido materasso la facevano sembrare più una bambina indifesa, che una giovane dal nobile lignaggio.

Là fuori, dall’altra parte della finestra, il suono continuava a farsi sentire imperterrito e cristallino. Saffie socchiuse allora gli occhi castani, lucidi di sonno, e strusciò i piedi sul tessuto delle lenzuola, assaporando il pigro tepore di cui poteva ancora godere per qualche momento.

È già mattina?

Una luce tiepida filtrò dolcemente nella camera da letto sfatta, dove un mucchio di vestiti giaceva abbandonato sul pavimento di legno dalla sera precedente. La ragazza si chiese se Kitty, o qualcuna delle altre domestiche, avrebbe notato il tessuto stropicciato del suo abito da notte e sperò ardentemente di poter tornare nelle sue stanze senza essere scoperta.

All’esterno, il canto mattutino degli uccellini di casa Lynwood si fece insopportabile.

“Earl” chiamò quindi, senza voltarsi dall’altro lato del letto “È molto tardi e devo andare: Amandine non potrà coprirmi ancora a lungo”.

Il lamento di una voce profonda giunse da dietro di lei mentre, con un gran fruscio di coperte, due lunghe braccia toniche si allacciarono alla sua vita sottile, tirandola indietro, a contatto con il calore di un corpo nudo e muscoloso.

Saffie non poté fare a meno di arrossire furiosamente, con il cuore in gola, nel sentire il tocco gentile di una mano grande e morbida perdersi all’interno delle sue cosce, provocandole immediati brividi di piacere e aspettativa. “Earl” mormorò appena, trattenendo un gemito “Devo…devo andare”.

L’uomo dietro di lei non sembrò nemmeno udire la sua debole protesta. Senza che fosse sprecata parola alcuna, la ragazza dovette subire il tocco passionale di due labbra affamate farsi strada fra le sue scapole e risalire lentamente verso la pelle del suo collo indifeso, inseguendo la linea della spina dorsale con la lingua.

Saffie ora non si curava nemmeno più di trattenere la voce, perché sapeva di essere totalmente preda della persona dietro di lei e di come non vi si potesse opporre. Di come non volesse affatto opporsi.

Mac'era anche un qualcosa di bizzarro: non era da Earl prenderla con tanta passionalità e fame, cercare di dominarla in quella maniera così subdola eppure irresistibile. Crudele.

“È questo il modo in cui hai deciso di combattere?” soffiò una voce profonda al suo orecchio, tanto ironica quanto tentatrice. “Non mi stai opponendo alcuna resistenza, Saffie Lynwood.”

“…mi devi obbedienza.”

La ragazza castana sbarrò gli occhi sul vuoto, terrorizzata. La consapevolezza di non essere con Earl la colpì come un fulmine a ciel sereno e, senza esitare, si voltò di scatto verso colui che ancora la teneva imprigionata saldamente fra le braccia.

“Perché stai tremando?”

Due occhi di un verde incredibile brillavano sprezzanti dietro una massa ribelle di capelli castano scuro, mentre un sorriso appena accennato, da diavolo, si apriva a pochi centimetri dalle sue labbra schiuse dalla sorpresa.

“Tu mi desideri, non è vero?” mormorò Arthur Worthington con voce roca “Questa bocca dice di odiarmi, ma la verità è che mi ha sempre voluto, fin dall’inizio”.

“N-no!” balbettò Saffie, rossa in viso e sconvolta, mentre tentava in tutti i modi di divincolarsi dalla presa dell’ammiraglio. “Io ti detesto più di ogni persona al mondo, per ciò che hai fatto ad Amandine!”

Perché non hai mantenuto la tua promessa?

“Sarai contenta ora” fece la voce di sua sorella minore, sbucata ai piedi del letto senza che Saffie se ne accorgesse. Il viso di Amandine era freddo e senza emozioni, bianco e scavato come quello di un cadavere ma, si disse subito la ragazza castana, era di terribile delusione lo sguardo con cui quelle due iridi turchesi la stavano fissando. “Sei tu che mi hai uccisa, abbandonandomi quando più avevo bisogno di te; questo perché sei veramente meschina come nostro padre.”

Saffie cercò di scendere dal letto, di raggiungerla prima che fosse troppo tardi.

“Non ti lascerò questa volta, lo prometto!”

Perché non sono rimasta con lei, come è sempre stato?

La Duchessina di Lynwood aprì gli occhi castani di scatto, ansimante e ricoperta da un pesante sudore freddo. Fece appena in tempo a mettere a fuoco il soffitto in legno della sua lussuosa cabina, prima che il suo cuore impazzito le riportasse alla mente l’incubo spaventoso dal quale era appena riemersa: alla fine, il suo schiacciante senso di colpa aveva deciso di prendere forma e tormentarla più di quanto già non facesse durante le ore diurne. “E ovviamente, non poteva che trattarsi di Amandine” pensò con rassegnazione Saffie, coprendosi il viso con le piccole mani tremanti “Non importa quanto io possa dire che mi dispiace, che voglio vivere per te…”

…non finché questo odio non vuole saperne di lasciarmi in pace, di trasformarmi ogni volta in una persona che non riesco a riconoscere.

Il canto soave degli uccellini fu sostituito da quello più reale e stonato di qualche inspiegabilmente gioioso marinaio impegnato sopracoperta: in quei giorni, la ragazza aveva infatti imparato come la Royal Navy scoraggiasse qualsiasi atteggiamento potesse ricordare solo lontanamente la condotta tenuta dagli spregiudicati criminali che infestavano le acque dell’Impero. E se il capitano Inrving chiudeva bonariamente un occhio sulla questione, non si poteva chiaramente dire altrettanto del suo inflessibile marito.

Un leggero rossore si diffuse sulle sue guance, ben nascoste tra le piccole dita.

Tanto tempo fa, anche io ho amato qualcuno.

Ma erano due iridi verdi e penetranti, quelle che ora le bruciavano addosso.

Con una sgradevole sensazione che giaceva in fondo allo stomaco, Saffie Worthington serrò le labbra le une contro le altre, odiando sé stessa con grandissima forza.


§


Keeran Byrne respirò a pieni polmoni l’aria salmastra di quella tarda mattinata, sentendo un’inebriante senso di vittoria impossessarsi di lei: non solo era riuscita ad uscire sul ponte della nave tutta da sola e a rispondere con un cenno timido della testa ricciuta ai saluti imbarazzati degli uomini al lavoro; ma aveva pure scritto di suo pugno un breve biglietto alla padroncina Saffie, lasciandolo poi di fianco al vassoio della ricca colazione preparata dal cuoco di bordo.

La moglie del tremendo Ammiraglio le era sembrata profondamente addormentata e, dopo gli avvenimenti del giorno precedente, l’irlandese non se l’era sentita di svegliarla.

In ogni caso, l’ansia sociale di Keeran non le aveva mai impedito di essere una buona osservatrice e, anzi, le era bastata una prima occhiata al ponte sopracoperta per comprendere che quella giornata non si annunciava affatto simile a quelle che l’avevano preceduta: una frenesia bizzarra serpeggiava fra i membri dell’equipaggio tutto; dalla prua dell’Atlantic Stinger fino all’importante ponte di comando un viavai di formiche si contorceva ansioso, mentre altrettanti piccoli puntini scuri correvano sugli alti marciapiedi dei pennoni che sorreggevano le vele, ora totalmente spiegate e gonfie di vento freddo.

Un piccolo plotone di soldati in divisa rosso sangue superò la ragazza a passo veloce, ignorandola completamente e dirigendosi verso un nutrito capannello di Ufficiali della Marina riunito nelle vicinanze dell’albero maestro. Tra loro, Keeran individuò immediatamente la figura salda – da padre bonario – del capitano Inrving impegnato, a quanto pareva, nello scrutare un punto imprecisato dell’oceano attraverso un elaborato cannocchiale; al suo fianco, l’imponente Ammiraglio Worthington parlava veloce, probabilmente impartendo misteriosi ordini ai comandanti e tenenti raccolti intorno a lui.

La giovane pensò che l’espressione dell’uomo sembrava più cupa e fredda del solito, e se ne chiese il perché.

Che sia a causa della signora Saffie?

In effetti, la notte prima era successo qualcosa di parecchio originale: l’irlandese ricordava di essere stata svegliata dal suo sonno ristoratore proprio dalla Duchessina che, disordinata e sconvolta, irrompeva in camera e si buttava a faccia in giù sul suo morbido letto, lasciandosi sfuggire un lamento che alla domestica era parso di puro imbarazzo e nervosismo.

Ed era stato strano per lei vedere la sua padroncina in quello stato, poiché considerava Saffie Worthington alla stessa stregua di una incantevole salvatrice: dall’alto dei suoi ventisette anni e della sua quieta intelligenza, l’irraggiungibile figlia di uno dei nobili più importanti di Inghilterra era per l’irlandese un incrollabile simbolo di speranza, tanto luminoso da averne forse più paura di tutto il resto.

Tutto il contrario dell’uomo con cui si era unita: Keeran identificava il Generale Implacabile con un abisso oscuro e tetro, dove era meglio non immergersi troppo a lungo perché, di certo, non si poteva mai sapere cosa attendeva in agguato sul fondo.

Saffie e Arthur erano due elementi fin troppo diversi, che non potevano incontrarsi davvero.

L’irlandese non fece in tempo a pensare ad altro, poiché un urlo giovanile ed entusiasta le arrivò dall’alto ed ebbe l’effetto di distrarla di botto dai suoi ragionamenti. “Signorina Byrne! Da questa parte!” fece la persona misteriosa, alzando il tono di voce. “Quassù!”

Gli occhi neri della diciassettenne si levarono in direzione del ponte di comando dove, stagliato contro un cielo di un azzurro incredibile, stava in piedi l’alto Douglas Jackson, apparentemente in forma smagliante. Le braccia appoggiate al parapetto e una massa di riccioli biondi che si agitava sul suo viso da combinaguai, il ragazzo non pareva la stessa persona che, neanche ventiquattro ore prima, era stata colpita con tanta cattiveria dalla frusta del nostromo. Anzi, i suoi occhi brillavano di un fuoco vivo e sfrontato, sia pericoloso che attraente.

Come un angelo che lei, povera creatura dannata, non poteva sperare di raggiungere.

Arrossendo a vista d’occhio, Keeran si portò le dita sugli occhi infastiditi dal sole e osò chiedere, non senza la sua classica dose di timore ansioso: “Buon-buongiorno! State bene, signor Jackson?”

La ragazza fu fiera di sé stessa e della sua frase, infine pronunciata senza troppi balbettamenti: forse la signora Saffie non aveva poi tutti i torti, nel continuare a dirle che non era di certo nata solo per essere un fallimento vivente. Che poteva essere come tutti gli altri o, come insisteva la Duchessina, semplicemente sé stessa.

Il sorriso mascalzone del mozzo sembrò allargarsi sul suo giovane viso, mentre quest’ultimo esclamava, avvicinando una mano all’orecchio e cominciando a ruotarla con noncuranza: “Dovrete avvicinarvi di più!”

“Cre-credete possa raggiungervi fin las-lassù?”

“E perché no?” la raggiunse ancora quella voce sorniona, malgrado le folate di forte vento che scuotevano la nave. “Oggi pare siano tutti troppo occupati per interessarsi a gente della nostra risma!”

Una strana risata sfuggì dalle labbra carnose dell’irlandese e questa volta toccò a Douglas arrossire di cocente imbarazzo. Fu così che decise di aggiungere, alzando le mani rovinate davanti a sé: “Non…non che voi siate poco importante, signorina Byrne!”

Rilucenti come una pietra preziosa, due occhi di un nero innaturale furono su di lui in un momento. Keeran lo guardò con grande sorpresa, mentre inconsciamente si faceva vicino alle scalinate che conducevano al ponte superiore.

“Cioè, siete la dama di compagnia della Duchessina di Lynwood, niente meno!”

Fu altrettanto fulminea la tristezza pungente che le attraversò il cuore al suono di quella frase, proprio nell’attimo in cui il suo piede si poggiò sul primo gradino.

Ti stavi già montando la testa, illegittima?

Da sola, non sei niente.

Dopo un profondo respiro di incoraggiamento, l’irlandese risalì le gradinate con una strana furia in corpo, come se volesse far dispetto al pensiero che poco prima l’aveva colta a tradimento. Di certo, era quello che avrebbe fatto anche la signora Saffie!

Una volta che ebbe raggiunto Douglas, si concesse di ricambiare timidamente il sorriso che quest’ultimo le dedicò, pieno di soddisfatta ammirazione.

“Ben arrivata, signorina Byrne” le disse lui, divertito. Fece un inchino profondo nella sua direzione, portandosi una mano sul petto, come avrebbero fatto gli importanti Ufficiali che di solito dominavano tutto e tutti dall’alto di quella postazione, insensibili alle fatiche della forza lavoro sotto di loro.

E allora Keeran Byrne si inchinò a sua volta con la grazia di un fragile cigno, parendo più una morbida principessa che una ragazzina sperduta. “Vi ringrazio, messere” riuscì persino a scherzare, alzando elegantemente i lembi del suo semplice abito verde.

Dietro di loro, il timoniere di servizio – il signor McCavoy, per l’appunto – li guardava a bocca spalancata, sbalordito per la seconda volta in meno di quattordici ore.


§


Letteralmente sbalordita…sì, era proprio quella la definizione giusta.

Da cinque minuti buoni, Saffie Worthington fissava con occhi spiritati le figure ignare e beate di Keeran Byrne e Douglas Jackson chiacchierare allegramente, i volti arrossati più dall’emozione che dalla forte brezza marina. Parlottavano sul ponte di comando alla domestica proibito, forse più di quanto non fosse per la stessa Duchessina, noncuranti pure nei confronti dell’uomo di mezza età inchiodato davanti al grande timone dell’Atlantic Stinger; il signor McCavoy guardava i due giovani con occhi atterriti, forse incerto se richiamare l’attenzione di qualche Ufficiale oppure lasciar perdere.

Ma niente, l’irlandese rideva ora con l’aria più adorabile e impacciata del mondo alle parole misteriose di un mozzo che, dopo la punizione del giorno precedente, sembrava voler a tutti costi giocare con il fuoco.

La ragazza castana si lasciò scappare un sorrisetto beffardo e, al contempo, scettico: si era svegliata da neanche due ore e, davvero, non sapeva se provare più orgoglio o rabbia nei confronti della sua domestica personale, piccolo pulcino che stava cercando di abbandonare il suo guscio.

Fra le altre cose, alla signorina Byrne diceva fortuna che Saffie avesse deciso di affrontare quella attraversata vestendo solamente pregiati abiti dal taglio semplice, e non di certo i pomposi vestiti francesi procurati da Cordelia. Altrimenti, si trovo a pensare Saffie con divertimento, le sarebbe toccato aspettare rinchiusa in cabina che Keeran si ricordasse della sua esistenza!

“E allora ci conviene fare in fretta. Su questo non voglio alcuna discussione.”

Una voce di terribile freddezza e autorità si fece sentire dietro di lei, ghiacciandola sul posto. Con il cuore in gola, la ragazza castana girò il viso giusto in tempo per inquadrare le figure di diversi ufficiali avvicinarsi pericolosamente al ponte superiore, dritti nella direzione in cui si trovavano Douglas e l’irlandese. Fra loro, ovviamente, Arthur Worthington apriva pomposamente la fila.

Se non si fosse decisa a fare qualcosa, sarebbero stati guai seri sia per la sua domestica personale che per lo sciocco signor Jackson. Non erano nemmeno da considerare, poi, le fastidiose frecciatine che il suo noioso marito non si sarebbe di certo risparmiato di lanciarle addosso; e Saffie stessa non se la sentiva proprio di incontrarlo, non subito dopo il loro confuso ultimo incontro.

Per non parlare dell’assurdo sogno fatto quella notte.

Animata quindi da buonissime ragioni, la ragazza si fiondò sulle scalinate del ponte di comando a passo di marcia, senza perdere neanche un istante. Raggiunse i primi gradini in due minuti netti, scansando con indifferenza il nutrito gruppo di marinai al lavoro intorno a lei.

“Keeran!” sibilò con urgenza, non appena i suoi occhi si furono agganciati a quelli neri e sorpresi della domestica, come se l’irlandese non si aspettasse affatto di trovare la Duchessina di Lynwood lì, già a metà scalinata, tutta trafelata e in evidente stato di agitazione.

“Si-signora?”

Dal canto suo, Saffie stava per aprire di nuovo le labbra e parlare, se il rollio violento della nave non l’avesse colta alla sprovvista proprio nel momento peggiore, con una gamba protesa in avanti e le mani strette nervosamente attorno alla fine seta della gonna, quindi ben lontane dalla sicurezza del corrimano di legno. In un secondo, la ragazza sentì il suo stesso corpo sbilanciarsi pesantemente all’indietro, inseguire inerme una forza di gravità contro cui non era possibile lottare, mentre i suoi occhi spaventati si aprivano su una porzione caotica di cielo azzurro e candide vele.

Non fece neppure in tempo a maledire la sua immancabile goffaggine – o la sconsideratezza di Keeran e Douglas – che la sua schiena non impattò contro il duro pavimento dell’Atlantic Stinger, ma bensì aderì a una superficie inaspettatamente morbida.

“Non desidero alcun pietoso ringraziamento da parte tua…Sono stato costretto ad aiutarti.”

Un muto attimo di silenzio pietrificò la scena finché, d’istinto, Saffie si decise ad alzare lentamente la testa castana, strusciando la nuca contro il petto di un Arthur Worthington più seccato che mai. Dall’alto, due iridi di un verde cristallino la osservavano con durezza e distacco, incastonate su un volto dall’espressione indecifrabile.

“Tu mi desideri, non è vero?”

Un rossore fulmineo colorò il viso della Duchessina, che non riuscì a fare altro se non continuare a fissare l’uomo come una perfetta ebete, le graziose labbra schiuse e nessun suono che effettivamente vi usciva fuori. Non sapeva bene come reagire, ed era parecchio inusuale per una come lei.

“Stai attenta a dove metti i piedi” le mormorò l’ammiraglio freddamente e, facendo leva sulle forti braccia, spinse con delicatezza il leggero corpo di Saffie in avanti, di nuovo al sicuro sui gradini della scala. Poi, senza aggiungere una sillaba né guardarla, Arthur la superò con indifferenza, trincerato nella sua importante divisa blu e oro, che sembrava quasi risplendere accecante ad ogni suo passo.

Eppure, Saffie fece in tempo a intravedere la mano sinistra dell’uomo premere con forza sul braccio ferito e fu fulminata dal ricordo delle sue stesse dita che, tremanti, si stringevano attorno alle braccia di Worthington, protese in avanti per afferrarla; e dire che, durante la sua caduta di pochi istanti prima, nemmeno se ne era resa conto.

“Ma tu verresti a salvarmi, come hai fatto oggi”

Fu quindi con un doloroso groppo incastrato in gola che la ragazza provò a dire, mentre fissava l’ampia schiena dell’uomo allontanarsi: “Il tuo braccio sta…”

“Vi avevo detto di non venire qui, se non sbaglio” la interruppe subito Arthur, voltando appena la chioma bruna nella sua direzione “Voglio che oggi ve ne stiate chiusa nei vostri alloggi; portate pure con voi la vostra dama di compagnia”. Detto ciò, si rivolse a un più che atterrito Douglas e lo uccise con uno sguardo carico di mal controllata rabbia. “Signor Jackson, non fatemi pentire di aver fermato la mano del nostromo, ieri. Tornate al vostro lavoro di fatica senza fiatare.”

E allora Saffie non poté fare altro che piantarsi le unghie nei palmi delle mani, mentre un risentimento velenoso cominciava a bruciare dentro il suo stomaco, a pari passo con la rabbia del maledetto uomo che – ignorando tutto e tutti – provvedeva a sparire sul ponte di comando in poche lunghe falcate.

Già, si trovò a considerare, come aveva potuto essere così stupida?

È un uomo che non puoi comprendere, proprio perché così diverso da te.

“A-ehm.”

Uno strano suono roco si fece sentire forte e secco alle sue spalle, distraendola dall’odiato Arthur Worthington.

Carica di abbastanza veleno per uccidere un intero reggimento, Saffie voltò il busto di scatto e i suoi occhi da Medusa pietrificarono per l’appunto il piccolo gruppo di Ufficiali della Marina radunatosi sul fondo della scalinata, impegnati a guardarla come tante mute pecorelle. Con grande forza d’animo, Henry Inrving si fece avanti e chiese, sorridente come sempre: “Mia cara signora Worthington, credete di poter concedere anche a noi il permesso di salire di sopra?”


§


Il mare era gonfio di onde selvagge, sospinte da un vento freddo e pungente. Il cielo che fino a un’ora prima si apriva limpido sopra di loro era diventato una massa grigiastra di nuvole asettiche e in qualche modo minacciose, sempre in movimento. Il tempo era difatti mutato in uno schiocco di dita, senza che la signora Worthington e la sua turbata ira ci facessero troppo caso.

“Voglio che oggi voi ve ne stiate chiusa nei vostri alloggi; portate pure con voi la vostra dama di compagnia”

“Dannato Worthington!” sbottò a bassa voce Saffie, abbattendo con ben poca nobile grazia la sua piccola mano sul parapetto di legno del ponte di prua, luogo in cui si era rifugiata disobbedendo così agli ordini insensati del suo tedioso coniuge. “Ancora pensa di potermi comandare come se fossi, non so, una bambola di porcellana?”

“Per te Amandine rappresentava solo l’ennesimo trofeo da appendere alla parete: lei ti aspettava, ma è stata la tua ambizione ad ucciderla.”

La ragazza abbassò gli occhi scuri sulle sue dita fredde, intrecciate le une con le altre sulla lucida superficie della balaustra. Ed era uno sguardo di combattuta tristezza quello che ora trasmettevano le sue iridi, specchio del sentimento disturbante presente nel suo cuore da diversi giorni a quella parte. Un dubbio che era riuscito a germogliare dentro di lei fin troppo facilmente, proprio come aveva fatto l’odio nei confronti dell’ammiraglio.

Saresti stata felice con lui, Amandine?

Sciocca. Ma davvero non hai capito che Worthington l’avrebbe trattata come il suo tesoro più prezioso?

Fu come se il colpo di sferza che ieri era riuscita ad evitare la colpisse diretto e letale, ma pur sempre a tradimento. Saffie si portò una mano sul petto in maniera automatica, nel patetico tentativo di arginare quell’improvviso e non richiesto dolore.

Sei tu ad aver negato loro la felicità.

Gli angoli dei suoi occhi grandi cominciarono a riempirsi di lacrime, al ritorno del suo inseparabile senso di colpa e di pensieri tanto confusi quanto terribili.

Nemmeno se fossi stata figlia unica, lui ti avrebbe mai considerata.

Grazie al cielo, il pianto annunciato di Saffie fu frenato da due piccole mani che, inaspettate, si aggrapparono alla gonna celeste della Duchessina, iniziando a tirarne il tessuto verso il basso con fastidiosa forza. Dopo un sussulto spaventato, la ragazza voltò lo sguardo lucido alla sua destra, inquadrando un paio di occhi azzurri e incuriositi: al suo fianco, era silenziosamente apparsa la figura di un bambino non troppo pulito che, a suo parere, qualcuno doveva esser riuscito a vestire in maniera almeno decente a suon di minacce e sculacciate. I capelli castani erano malamente pettinati di lato, sporchi di uno strano grasso di cui lei non volle nemmeno provare a indagarne la provenienza.

“Buongiorno” esordì quindi Saffie, prodigandosi in un sorriso rassicurante e gentile. “Tu devi essere il piccolo ragazzo di bordo, non è vero?”

A conferma della sua ipotesi, la testa del bambino si piegò una volta sola, in avanti. Prima che la ragazza potesse aggiungere qualcos’altro e chiedergli il suo nome, l’ultimo arrivato sillabò: “Quello”.

“Quello?” ripeté Saffie perplessa, inclinando la testa castana di lato.

Il ragazzo di bordo annuì ancora e alzò un esile braccio, indicando un punto imprecisato di fronte a loro senza però staccare gli occhi turchesi da lei. “Cos’è quello?”

La Duchessina voltò il viso in direzione del mare agitato e, con uno strano brivido sottopelle, comprese immediatamente a cosa il bambino stava facendo riferimento: Quello era un imponente vascello che, scivolando muto sulle acque scure, puntava dritto, dritto sull’Atlantic Stinger a velocità sostenuta.

Saffie udì un grido, o forse il suono lontano di una campana, mentre i ricordi delle storie che aveva scritto per il divertimento di Amandine tornavano – paradossali – alla sua mente in meno di un secondo. Spostò gli occhi nuovamente sul bambino che, attaccato alle sue gonne, ancora attendeva una risposta e lo guardò con atterrita incertezza.

Perché la nave che correva verso di loro non batteva alcun tipo di bandiera.




Angolo dell’autrice:

Buonasera e Buon fine Settembre! :D

Sono riuscita a mantenere la mia promessa di pubblicare entro fine mese, visto?

*Sweet Pink sospira di sollievo misto a rassegnazione*

Ahimè, mi sono resa conto che non mi è possibile in alcun modo velocizzare la redazione dei capitoli di Away with you che, come già vi avevo accennato, è una storia a cui sto cominciando a tenere molto: mi sto affezionando al rapporto complicato di Saffie e Arthur, all’ambientazione, alla trama…e, per questo, non ho intenzione di sacrificare la profondità sull’altare della pubblicazione veloce! Oddio, in realtà credo che non ci riuscirei nemmeno se volessi! XD

Stesso discorso vale per la lunghezza dei capitoli: so bene che sarebbe molto più conveniente spezzarli in tante parti e così aggiornare in maniera molto più frequente, ma penso che il mio modo di scrivere ne risentirebbe. Mi parrebbe di avere di fronte una storia zoppicante, quando io ho bisogno di avere chiari in mente blocchi interi di avvenimenti, di dare una continuità a ciò che accade.

Poi, volete mettere la mia difficoltà nel trovare un titolo a – che so – Ottanta o Novanta capitoli? XD

Tutto questo per chiedervi scusa, nel qual caso abbiate trovato questo Sesto capitolo troppo lungo e, almeno, spero ne sia valsa la pena, ecco!

Io mi sono divertita un sacco a scriverlo!

*Sweet Pink se la ridacchia in maniera beffarda*

E il prossimo….oh, il prossimo! Non vedo l’ora di vedere che accadrà!

Soprattutto alla luce del caos che regna nei cuori di Arthur e Saffie: i due si giurano ancora odio? Mh, penso che questo confine li obbligherà ad affrontarsi nuovamente…o forse affrontare sé stessi, chissà!

Ah! Non dimentico mai di ringraziare chi mi segue, chi mi ha scritto in privato e anche chi si è preso un po’di tempo per lasciarmi una recensione! Grazie, grazie, grazie! Mi date un sacco di forza e spero possiate darmene ancora, facendomi magari sapere cosa ne pensate di questo capitolo!

Vi è piaciuto?

*Sweet Pink abbassa gli occhi, sperando tanto di sì*

Ce la metterò tutta per pubblicare entro fine Ottobre!

Un abbraccione virtuale,

Sweet Pink
  
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