Serie TV > Altro
Ricorda la storia  |      
Autore: Chiccagraph    29/09/2021    0 recensioni
[Vis A Vis]
«La voy a matar» la voce bassa di Macarena ha un sottofondo di lamentela.
Continua a ripetere la stessa frase da ore, mentre beve il suo gin preferito accarezzandosi con la mano la ferita sul braccio.
Questa volta l’aveva fatta grossa e non sarebbe bastata una sbronza per farle dimenticare che razza di stronza fosse la sua coinquilina. Aveva rischiato grosso, e per cosa poi? Per Zulema, come sempre.
Non sarebbero bastate le sue scuse a mezza bocca per rimediare al casino che aveva combinato.
Come se lei si dispiacesse mai per qualcosa.
Come se ne fosse capace.
Genere: Erotico, Hurt/Comfort, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

«La voy a matar» la voce bassa di Macarena ha un sottofondo di lamentela.

Continua a ripetere la stessa frase da ore, mentre beve il suo gin preferito accarezzandosi con la mano la ferita sul braccio.

Questa volta l’aveva fatta grossa e non sarebbe bastata una sbronza per farle dimenticare che razza di stronza fosse la sua coinquilina. Aveva rischiato grosso, e per cosa poi? Per Zulema, come sempre. 

Non sarebbero bastate le sue scuse a mezza bocca per rimediare al casino che aveva combinato.

Come se lei si dispiacesse mai per qualcosa.

Come se ne fosse capace.

Quello che Zulema sapeva fare, secondo l’esperienza di Macarena, era nascondere la testa sotto la sabbia e fingere che non ci fosse alcun problema. Aveva questa mania di negare l’evidenza. 

Negare, negare, negare.

Come un mantra, o piuttosto uno stile di vita. 

D’altronde, è sempre più facile negare che sia successo che accettare la realtà dei fatti. 

La compagna della mora”, era così che quello stronzo si era azzardato a definirla. Come se si potesse essere in qualche modo compagna di una psicopatica. Il fatto che vivessero insieme non le rendeva in automatico una coppia.

C’era voluto un momento affinché le parole sprofondassero dentro di lei e registrasse il disprezzo mieloso che si nascondeva dietro la sua voce. 

All’inizio pensava che fosse stato una specie di gioco di parole.

Hai un minuto per andartene.

Sei il mio gioco di questa notte

Cosa voleva dire?

Stava ancora cercando di dare un senso a qualcosa che non lo aveva, quando i due uomini le si avvicinarono. Aveva annusato a distanza il pericolo che si faceva sempre più grande a mano a mano che diminuiva lo spazio che la separava da quelle due figure.

Sembravano due felini, con la bocca ricoperta di bava, in attesa di pregustare il loro pasto.

Il carcere le aveva insegnato molte cose, prima fra tutte l’importanza di non voltarsi mai quando si ha paura. Non bisogna indietreggiare, abbassare lo sguardo, perdere la fiducia in sé stessi.

Quando il tuo predatore si avvicina non devi lasciargli annusare la tua paura, o per te sarà la fine. 

«Allontanati da me» Macarena digrigna tra i denti, scocciata. 

«Oh, che caratterino la bionda» cantilena l’uomo alla sua sinistra, passandosi la lingua sui denti. «Io non sono il cattivo qui. Non sono l’unico, comunque». 

La risata sadica che accompagna le sue parole le fa venire la pelle d’oca. 

«Tu non sei il…» Maca deve abbassare la voce di nuovo per elaborale quello che le sta dicendo l’uomo. «È uno scherzo, vero?» dice, mentre due fossette appena accennate affiorano sulle guance. «Mi prendi per il culo?»

Scuote la testa sbuffando con il naso annoiata e poi si volta verso le macchine alle sue spalle in attesa di vedere la mora comparire da un momento all’altro. «Zulema smettila con queste stronzate e vieni fuori»

Passano alcuni secondi e della donna non c’è nessuna traccia. Improvvisamente sente una presenza alle sue spalle, troppo vicina. Il caldo respiro dell’uomo aleggia sul suo collo facendole venire la pelle d’oca. 

Non ha più tempo per pensare a cosa fare e non fare. 

Ha appena infranto la regola numero uno e ora deve trovare il modo di scappare prima che il predatore le conficchi i suoi canini nella carne.

«Tutti abbiamo commesso degli errori» sussurra l’uomo a bassa voce. «David è un bravo ragazzo e… adesso tocca te»

Da così vicino sembrava molto più alto di come le era parso dalla fine del vicolo. Puzzava di birra e di qualcos’altro. Un odore che non sapeva riconoscere, ma che le stava dando il voltastomaco. 

«Tempo scaduto»

Un secondo dopo le mani dell’uomo erano su di lei, intorno al collo, e mentre annaspava cercando di respirare la strada si restringeva a un tunnel nero cosparso di puntini bianchi.
Prima di perdere i sensi sentì il resto delle parole dell’uomo – in quel sussurro ruvido e inteso - come se provenissero da lontano. 

«Tranquilla, ci penso io a te.»

Cosa diavolo aveva combinato Zulema per far incazzare questi due energumeni?

Non sa neanche lei come sia riuscita ad uscire indenne da quel vicolo. 

Non considerando ovviamente la lama del coltello che le aveva attraversato il braccio perforandolo da parte a parte. 

Era stata Zulema ad insegnarle un’altra grande lezione, l’unica cosa che di buono aveva imparato da lei. 

È proprio quando si pensa di avere la vittoria in mano che si commettano gli errori più stupidi. E così aveva giocato con l’ego del suo nemico, facendogli credere di essere talmente bravo da essere riuscito a fare scacco matto con sole due mosse.
Aveva approfittato di un momento di distrazione per sferrare il suo colpo e ribaltare le sorti della partita. 

Non appena le mani dell’uomo avevano lasciato il suo collo per affondare nello scollo della camicia, aveva estratto la pistola e sparato a entrambe alle gambe. 

L’uomo era caduto a terra, accompagnando il movimento con un grugnito di dolore. 

Con un po’ di fortuna aveva reciso l’arteria femorale e quel porco sarebbe morto dissanguato in pochi minuti. 

Uno stronzo in meno che circolava liberamente per le strade della città.

Il secondo uomo le spuntò alle spalle, per niente spaventato dal sangue dell’amico che scorreva liquido sull’asfalto. 

Le era piombato addosso come un falco atterrandola al suolo. Macarena sapeva perfettamente di non poter competere fisicamente e si dimenava, scalciando furiosamente, per non permettergli di immobilizzarla a terra.

Si continuarono a rotolare l’uno sull’altro fino a che il rumore dei lamenti del primo uomo furono coperti dal suono di uno sparo. 

Un attimo di silenzio e poi un dolore lancinante le era esploso nel braccio sinistro.

Durante la lotta l’uomo era riuscito a pugnalarla, lasciandole il coltello conficcato nel bicipite. E faceva un male cane. 

A lui era andata decisamente peggio.

Non sapeva chi fossero i due uomini e perché ce l’avessero così tanto con Zulema, ma di una cosa era assolutamente certa: avrebbe preteso delle spiegazioni dalla donna. 

Appoggiò il bicchiere sul tavolo, accanto alla bottiglia ormai vuota di gin, e senza far leva sul braccio ferito cercò di alzarsi, facendo affidamento totalmente sul braccio destro e sull’equilibrio che aveva perso diversi bicchieri fa. Il solo braccio destro non era in grado di gestire i movimenti impacciati del suo corpo e in poco tempo si ritrovò seduta nella stessa posizione di prima.
Sbuffando irritata mise un piede a terra, tastando la durezza del pavimento, e facendo leva con la suola dei suoi stivali si spinse finalmente verso l’alto. 

Il primo passo era fatto, ora le toccava la prova più difficile: ritrovare la macchina e guidare fino a quella maledetta roulotte. 

Un tempo le era sembrata un’idea grandiosa vivere in mezzo al nulla, a venti minuti di macchina dalla città. 

Ora si chiedeva per quale motivo avesse accettato di vivere insieme a quella donna in quel posto dimenticato da Dio. 

 

***

 

Macarena parcheggia l’auto in diagonale. Ancora impacciata dalla nebbia dell’alcol cerca di uscire dall’autovettura senza prima slacciare la cintura. Il suo corpo si flette in avanti per poi essere spinto nuovamente sul sedile.

«Coño» impreca contro la parte bassa della cintura che le tiene fermo il bacino.

Il din incessante della cintura segue le sue azioni fino a che non riesce a stabilirsi e uscire dall’autovettura. Una volta fuori si ferma un secondo appoggiandosi sulla portiera aperta. 

Sarebbe stata una lunga notte. 

Non si pulisce gli stivali prima di entrare, lasciando delle impronte di fango davanti alla porta di ingresso.
Le impronte seguono i suoi passi lasciando un segno scuro e scivoloso sul pavimento. All’interno della roulotte, accende tutte le luci con noncuranza, senza preoccuparsi se sveglierà Zulema, non sentendosi particolarmente premurosa. 

Muove pochi passi in avanti fino a raggiungere il bordo del letto, i capelli neri sono sparsi sul cuscino, aperti come un ventaglio intorno alla sua testa. A quanto pare la porta che sbatteva non l’aveva svegliata, né le luci elettriche. Erano abituate a dormire con le luci di Natale accese e di sicuro la luce della lampada della cucina non l’avrebbe disturbata. 

Dall’aspetto del suo viso sembrava aver pianto. 

Il contorno occhi è marcato da segni rossi, come se avesse più volte sfregato la pelle. 

La loro ultima discussione non deve esserle scivolata addosso come voleva farle credere.

Non si sente particolarmente dispiaciuta per lei. 

Guardandola, torreggiando sopra di lei, nota come, a riposo, sembri quasi innocente. 

Maledetto Elfo del puto inferno. 

Dice il suo nome una volta, bruscamente, e la mora sbatte le palpebre per svegliarsi, sembrando confusa nel vederla in piedi sopra di lei. 

«Rubia», chiede annebbiata. «Quando sei-»

«Alzati»

La fronte di Zulema si corruga per la confusione.

«Ho detto alzati» con un brusco movimento le toglie le coperte da dosso.

Zulema sembra più sveglia ora, forse un po’ nervosa. Ma ancora non si alza. 

«Rubia, cosa stai…»

Macarena la prende per un braccio e la fa alzare in piedi. Non in modo brusco, o almeno non pensava che l’avesse strattonata così forte, anche se la donna inciampa un po’ prima di ritrovare l’equilibrio.

Quando lei è in piedi, appoggiata al letto, Macarena vede le sue labbra schiudersi e parla prima che possa farlo Zulema.

«Hai un minuto» le dice.

«Un minuto per cosa? Maca, cosa c’è che non va? Cos’è successo?» Zulema si strofina la parte superiore del braccio attraverso la manica della maglia. 

Macarena osserva i suoi movimenti sentendo la rabbia crescere sempre di più. «Cosa è successo?» la bionda inspira lentamente mentre ripete la sua domanda, forzando l’ossigeno nei polmoni. «Questo è successo!» 

La sguardo di Zulema si sofferma sulla fasciatura macchiata di sangue che avvolge il braccio della donna, i capelli arruffati e diversi tagli e lividi più lievi che abbelliscono la pelle del suo viso. 

La preoccupazione le increspa il viso. O i sensi di colpa, forse. «Tu hai… è successo qualcosa?» chiede con cautela. 

«Tu sei successa» la corregge Macarena. «E ora tocca a te»

«Cosa vuoi che io-»

«… a dire qualcosa che mi convinca a non buttarti fuori da questa roulotte», continua come se lei non l’avesse interrotta. 

Se solo avesse potuto vivere la sua vita senza che lei l’avesse interrotta presentandosi quel maledetto giorno di due anni fa. 

Se solo non l’avesse infettata con il suo veleno rendendola schiava e dipendente da lei. 

«Allora?» aspetta, con il respiro che le rimbomba nelle orecchie. 

Zulema non dice niente. Le sue pupille sono dilatate, il suo sguardo si muove per la stanza come se stesse valutando le sue opzioni di fuga. Il suo melodramma la irrita. 

«Ok». Raggiunge nuovamente il suo braccio ma lei si libera dalla sua presa, sedendosi con forza sul letto e poi guardandola con un misto di sorpresa e stupore sul volto.

«Maca, io non so davvero…» dice lentamente, osservando il colore aumentare sulle guance dell’altra donna.

«Ho incontrato David» risponde sprezzante «o meglio, il suo amico Carlos, che ha ben pensato di prendersela con me, per le stronzate che fai te»

I denti di Zulema graffiano il labbro inferiore mentre cerca di ricordare chi siano queste due persone. Poi improvvisamente le tornò in mente quella sera di alcune settimane fa. 

Avevano appena concluso un colpo e come al solito si era recata in un bar per festeggiare in cerca di compagnia.
Macarena le aveva appena detto di voler sciogliere la loro società, di voler mollare questa vita criminale e ricominciare da capo. 

Questo significava senza di lei.

Non lo avrebbe mai ammesso, ma questa notizia l’aveva colpita. Sì, insomma, lei e la rubia aveva avuto un inizio abbastanza burrascoso, ma le cose con il tempo erano cambiate e di sicuro non pensava che Macarena fantasticasse di avere una vita normale. 

Che poi, cosa significava normale? 

Non c’è una definizione standard di normalità. La complessità della vita non può essere ricondotta a una definizione statica di normalità, perché così facendo si perderebbe la visione del tutto, dell’essenza di ogni persona, incasellandoci in standard dettati dalla legge.
La normalità è solo un mito che gli uomini si ostinano a inseguire. 

Per Zulema era normale vivere in una roulotte, svaligiare gioiellerie e fare tutto quello che voleva, quando voleva e con chi voleva.

Non aveva tempo per una vita normale, non quando una diagnosi ti dice che ti restano solo pochi mesi di vita prima che un alieno si impossessi completamente della sua mente. 

Non avrebbe mai rinunciato al suo concetto di normalità. E credeva che la rubia la credesse come lei.

Ovviamente si sbagliava.

Aveva seguito quei due ragazzi fuori dal locale e poi la situazione le era sfuggita di mano. 

¿Adónde vas, David?

David Gnomo.

Non era uscita con l’intenzione di sparare a nessuno, ma la situazione le era sfuggita di mano e non poteva di certo ignorare le urla di supplica di quella giovane ragazza. 

Non dopo quello che era successo a sua figlia. 

En el arca de Noe, caben todos… menos usted.

Bang.

Il colpo era partito senza che se ne rendesse conto. 

Era quello che voleva fare fin dall’inizio. Trovare qualcuno con cui prendersela per scaricare la tensione. Fare qualcosa che l’aiutasse a dimenticare la rubia. 

David era stata la distrazione perfetta. 

«Maca, mi dispiace tanto, non pensavo che…»

«Non pensavi» ripete beffarda. «Non pensavi che fosse importante dirmi che avevi piantato una pallottola nelle palle a un uomo poco più di una settima fa?»

Macarena si passa una mano sulla fronte per spostare la frangia che era scesa a coprirle gli occhi. Nel fare questo movimento il braccio ferito tornò a pulsarle impedendole di completare il gesto. «Dai, avanti dimmelo».

Zulema la osserva in silenzio. Cos’altro dovrebbe dirle? Possibile che abbia scoperto del tumore?

«Dirti?» ripete a bassa voce. Se sta cercando di convincerla a compatirla, non funzionerà. «Cosa intendi?»

«Sì, voglio dire, dimmelo.»

Gli occhi di Zulema sfrecciano nuovamente sulla fasciatura. La ferita deve far parecchio male vista la quantità di sangue assorbita dalle bende. 

«Maca, mi dispiace», dice di nuovo, talmente piano che se non l’avesse guardata non avrebbe capito cosa stesse dicendo.

«Dimmelo, o vattene»

«Ma dirti cosa? Maca, per favore» il suo tono ora rasenta il panico.

Macarena abbassa gli occhi per studiarla un momento, dalle mani che si contorcono in grembo al rapido alzarsi e abbassarsi delle sue clavicole. «Puoi iniziare da quello che diavolo stavi pensando quando hai deciso di atteggiarti a paladina della giustizia»

«Quello che stavo pensando… non stavo pensando.» Rilascia la presa sulle proprie mani in modo da poter fare un caratteristico gesto espansivo per punteggiare il suo discorso. «Ci sono delle cose che non sai, e non devo spiegartele. È così. Prendere o lasciare»

«Ok, lascio»

«Mph» sbuffa Zulema, stringendo le labbra in una linea sottile. 

«Hai anche il coraggio da fare l’offesa?» impreca alzando un braccio al cielo. «Ho ucciso due uomini per colpa tua lo capisci? Altri due cadaveri da collezionare sul mio curriculum, non bastavano quelli di Capodanno»

Zulema si alza in piedi e poi all’improvviso si siede di nuovo pesantemente e la bionda sta fissando le sue mani alzate, non è sicura se l’abbia spinta o se si sia riseduta volontariamente. 

Zulema sembra sorpresa quando rialza il suo viso verso quello dell’altra donna, forse un po’ spaventata.

«Non ti ho chiesto di farlo»

«Dannazione Zulema, sono stata costretta!»

«Continui a dipingerti come un’innocente santarellina, come se i problemi ti piovessero dal cielo e tu non possa farci niente. Perché sei la brava e buona Macarena. L’indifesa Macarena» alza lo sguardo fissandola con astio. «Sei solo un’assassina»

Poi smette di parlare, e Macarena può vedere nei suoi occhi il momento in cui si accorge che ha commesso un errore tattico.

Ne fa così pochi nella sua esperienza.

Ma quando lo fa…

Macarena fa un passo indietro allontanandosi da lei.

«Maca» dice, guardandola incerta. Zulema sembra riluttante ad alzarsi dal letto, ma incapace di stare ferma; la bionda scopre che la sua ansia le piace ed è troppo arrabbiata per chiedersi cosa significhi. 

Zulema si schiarisce la voce, cercando di ingoiare il groppo che ha in gola. «È stata una lunga giornata» cerca di persuaderla «Possiamo, uhm, possiamo semplicemente dormirci su, e parlare al mattino-»

«No»

Macarena si avvicina alla donna e la tira in piedi con un unico movimento. È più facile questa volta. Zulema è incredibilmente leggera, con tutti gli strati che indossa giornalmente è impossibile definire la sua corporatura. Ma adesso che indossa solo una maglietta - che le scivola addosso lasciando scoperte le gambe nude - e i calzini gialli, nota quanto sia magra. Esile. 

Il suo ego è inversamente proporzionato al suo corpo.

La donna non fa domande questa volta, e si lascia spingere in avanti senza opporre resistenza.

«Maca… cosa stai facendo? Maca?» la sua voce si alza di due toni, scivolando nel registro di panico, quando la bionda non lascia andare. La muove come se fosse un oggetto senza peso, spostandola in giro per la stanza. 

«Il tuo minuto è scaduto» le dice freddamente. «Esci» 

«No», cerca di liberare il braccio dalla presa, poi le afferra il polso del braccio ferito. Un errore imprevisto. Lo capisce quando le labbra della donna si contraggono in una smorfia di dolore.

«Maca, lasciami andare».

«Vattene. Fuori.» ripete ogni parola caricandola di odio, con la lingua che schiocca sul palato.

«Sei impazzita?» 

Zulema cerca di bloccarla, ma Macarena si trova in una posizione di vantaggio e spinge il corpo della donna verso la porta. 

Zulema segue i movimenti dell’altra donna con gli occhi sbarrati, respirando con affanno. Macarena apre la porta ed esamina il viso della sua compagna, forse aspettando che lei dica qualcos’altro. 

«Rubia, sta piovendo» dice con un filo di voce.

«Non mi interessa»

Ora le sue parole sono brevi sbuffi. «Posso almeno… posso almeno prendere il mio-»

«No»

Macarena è inamovibile guidata da una rabbia cieca.

Zulema la guarda senza dirle nulla. Non la implorerà di fermarsi, non le chiederà di perdonarla, ma i suoi occhi mostrano tutta la paura e il dolore che con la sua voce non riesce ad esprimere. 

Le pupille sono talmente tanto dilatate da ricoprire quasi interamente l’iride e nasconderne il caratteristico colore verde.

Continuano a guardarsi in silenzio e poi la spinge fuori la porta.

Quando le toglie le mani dalle braccia lei rimane lì sul primo gradino della roulotte, immobile. 

Macarena mette una mano sulla porta pronta a chiuderla. 

«Rubia, aspetta-»

Lei non lo fa.

Chiude la porta dietro di lei e ci si appoggia, respirando a fatica.

Uno minuto.

Solo un minuto e poi la lascerà rientrare.

Qualunque cosa stia facendo, Zulema è incredibilmente tranquilla. 

Macarena si affloscia su sé stessa abbandonando la testa sulle gambe, ripensando a tutto quello che è successo nelle ultime 24 ore. 

Vivono insieme in dieci metri quadri da due anni. 

Condividono un letto. 

Condividono ogni cosa, in realtà. 

Praticamente si comportavano come una coppia sposata. Tranne che per il sesso. 

Macarena era persino arrivata a credere che fossero qualcosa di più di due semplici amanti.

Alternavano periodi in cui sembrava che i loro corpi non fossero in grado di separarsi per più di cinque minuti, anche lo sfiorarsi accidentalmente accendeva un fuoco talmente grande che l’unico modo per spegnerlo era gettarsi nelle fiamme.
A periodi in cui si chiudevano nei loro silenzi – specialmente Zulema – e passavano giornate intere senza parlarsi.

Come è possibile che non le era venuto in mente di condividere con lei una cosa del genere? 

D’altronde perché mai dovrebbe dire alla sua coinquilina che ci sono tre uomini in città che la vogliono morta?

Perché avrebbe dovuto dirle che c’è un mandato di cattura per omicidio? 

Voleva lasciarla. 

Voleva cambiare vita. 

Ma ora non può più farlo. 

Non può più lasciare questa maledetta roulotte e crearsi una nuova vita. La sua faccia a breve sarà in tutte le stazioni di polizia e non c’è nulla che possa fare per impedirlo. Non c’è una guida su cosa fare quando la vita che hai creato, per rimpiazzare i resti della vecchia che è andata in frantumi, ti esplode di nuovo in faccia. 

Tutto quello che può fare è respirare. Ed è l’unica cosa che ha intenzione di fare in questo momento. 

E poi lo sente.

Un colpo.

Dapprima provvisorio, poi più deciso.

Lo ignora.

Quando chiude gli occhi rivede il suo viso arrossato, il suo sguardo fisso e spaesato.

Zulema è abile a manipolare le persone, a fargli credere quello che vogliono circuendole con l’inganno.
Lei non cadrà nella sua rete di bugie. Non più. 

E poi bussa di nuovo.

Appoggia una mano sulla maniglia, non è ancora pronta a farla rientrare. Ovviamente lo farà, alla fine dovrà aprire per forza, ma per il momento decide che può rimanere ancora lì fuori a raffreddarsi. Letteralmente e figurativamente, pensa quando apre uno spiraglio della porta e la vede ancora in piedi - dove l’ha lasciata - immobile davanti la porta, mentre arriccia le dita dei piedi sul gradino, bagnando i calzini di spugna. 

«Rubia», la voce che si spezza sulla seconda sillaba.

Macarena non si muove di un millimetro dalla soglia così lei non penserà erroneamente che la stia facendo rientrare. 

«Che vuoi?» le chiede. Non la guarda. Guarda oltre lei, nell’oscurità fitta del bosco alle sue spalle. 

«Voglio le mie cose» dice, cercando di fermare il tremore della voce. Le sue braccia sono avvolte intorno a sé stessa come se avesse freddo. 

Macarena rimane impassibile. È primavera. È fuori da soli pochi minuti. Sta bene. 

«Puoi prenderle domattina. Non volevi aspettare domani per parlare?»

«Domattina?» i suoi occhi si allargano. «Cosa? Ma non vorrai…»

Macarena tace e lei continua a parlare. Non ha davvero intenzione di lasciarla lì fuori tutta la notte, ma in dieci anni di prigione e due di roulotte ha imparato che è il modo migliore per Zulema di scavarsi la tomba. Darle abbastanza corda da potersi impiccare senza il suo aiuto.

Sta iniziando a mescolare metafore, ma al momento non le importa.

Richiude la porta.

Accanto al letto, sul comodino ci sono le sue sigarette. Raccoglie il pacchetto, fa i pochi passi che la separano dalla porta e la apre quel tanto che basta per lanciargliele addosso.

È l’unica cosa di cui avrà bisogno per la notte. Sono la prolungazione naturale della sua mano. Non si ricorda un solo momento che hanno passato insieme senza che la mora avesse una sigaretta tra le mani.

Zulema guarda il pacchetto a terra, poi di nuovo alla donna.

«Maca, per favore.» la sua voce rauca risuona sopra i suoi pensieri. «Maca, non posso restare qui tutta… guarda, ho capito, me ne vado, me ne vado stanotte, se mi dai solo il mio marsupio e la mia -»

Macarena chiude la porta a qualunque cosa venga dopo.

E questa volta la porta rimane chiusa.

 

***


Zulema non bussa più.

Macarena aspetta accanto alla porta per qualche istante e non sente più bussare.

Da sola nella roulotte si versa da bere. Gira il bicchierino tra le mani e poi lo butta giù. Se ne versa un altro, buttandolo giù ancora più velocemente. Il liquido caldo aiuta, un po'. La riscalda, fluisce nel suo corpo e forma un ricciolo di calore intorno alla parte centrale del petto dove prima sentiva solo il vuoto.

Fuori c’è ancora silenzio – Zulema, paziente? I miracoli sono possibili dopo tutto? – si stende sulla stretta striscia di divano prima di bere un terzo colpo.
Dà un'occhiata all'orologio.

Cinque minuti, decide.

Altri cinque minuti e la farà rientrare.

Chiude brevemente gli occhi, allontanando le immagini che continuano a sfarfallare nella mente: il fiato caldo di quel lurido porco sul suo corpo, le mani che vagavano sulla sua pelle sotto la camicia, il liquido caldo e appiccicoso che si espandeva sotto di lei mentre era bloccata sul pavimento, nuotando nel sangue che si accumula sull’asfalto.

Mi dispiace, mi dispiace tanto. Zulema che afferra il suo polso guardandola negli occhi. 

Lasciami andare. Zulema di nuovo alla porta. 

Maca, non farlo. Zulema sulla soglia, senza lacrime, che la guardava lanciare il pacchetto di sigarette sulla veranda. 

Ancora nessun rumore. Inclina leggermente la testa verso la finestra, ma con la luce della cucina accesa non riesce a vedere niente fuori. Spostando lentamente una mano spegne l'ultimo interruttore della luce, immergendo la roulotte nell'oscurità. Quando la sua vista si stabilizza, riesce a distinguere un grigiore indistinto fuori dalla finestra, e poi un lampo di qualcosa di luminoso. La pioggia sta aumentando, lampi e fulmini accendono a intermittenza il cielo. 

È seduta sul divano, presume.

Macarena non chiude mai la macchina. Zulema deve saperlo.

Dopo un momento, la sente alzarsi e quando non sente bussare, pensa che sia finalmente andata in macchina ad aspettare.

Controlla l'orologio.

Tre minuti rimasti sui cinque. Macarena finalmente si allunga stesa contando i minuti mentre le sue palpebre si fanno pesanti.

Mancano due minuti.

Un minuto.

I suoi occhi pesanti si chiudono.

 

***

Il frusciare forte delle foglie degli alberi è la prima cosa che sente.

È ancora buio.

Un fulmine illumina l’interno della roulotte spostando le ombre della notte negli angoli. Si spinge in posizione seduta. Non è a letto. È... sul divano?

Accende la luce e lampeggia nella luminosità fredda e innaturale della lampadina.

È sul divano ed è sola.

Zulema non è qui.

Zulema non è qui.

La notte precedente le ritorna in mente come uno schiaffo in pieno volto, sgretolando i bordi della sua memoria.

Uno sguardo all'orologio e vede che dorme da qualche ora.

Ore.

Imprecando silenziosamente, infila i piedi negli stivali che tiene vicino alla porta e si fa strada verso il portico.

«Zulema. Zulema?»

Nessuna risposta.

Si dirige verso la macchina, probabilmente si è addormentata dentro, ma la macchina è vuota.

Lei non è qui.

Non c’è nessuno fuori alla roulotte, è per questo che hanno scelto questo posto.

Avevano bisogno di un luogo isolato dove potersi nascondere in caso di bisogno. Dove potersi allenare con la pistola senza destare sospetti. Dove essere loro stesse.

«Zulema!» ci riprova. La sua voce suona sottile e inutile nella vasta oscurità. Avrebbe dovuto portare una torcia. Dovrebbe entrare e prenderne una, ma c'è qualcosa nel tornare nel trailer da sola che le immobilizza le gambe. 

Dove diavolo è lei?

Brevemente, considera le sue opzioni.

Perché non è andata nella macchina?

Perché non l'hai fatta rientrare? Chiede una piccola voce dentro di lei che preferisce ignorare.

Perché non ha bussato?

Perché non le hai dato le sue cose? 

Senza un telefono, un portafoglio: dove potrebbe essere?

Si strofina le braccia, inconsciamente, per scaldarle, improvvisamente consapevole che la temperatura è scesa e non sembra molto primavera qui fuori. È umido e fresco, l'aria fende il tessuto sottile della sua camicia. E lei indossa solo una maglietta.

Deve essere vicina. Perché avrebbe dovuto addentrarsi nel bosco?

Il suo cuore accelera per un momento.

E se qualcuno l’avesse avvicinata come durante la notte di Capodanno e ora… no, impossibile non hanno mai visto un’anima viva nei dintorni della roulette al di fuori di quella notte straordinaria. Sarebbe una coincidenza sbalorditiva ed è estremamente improbabile che uno straniero si trovasse nei pressi della loro casa per la seconda volta. 

Le probabilità erano prossime allo zero, ma non impossibili.

Come le probabilità di incontrare quei due uomini questa sera.

«Zulema!» grida.

O è la sua immaginazione o la sua voce si disperde nell’eco della notte.

«Zulema!»

Si sta prendendo gioco di lei, forse – arrabbiata che l'abbia lasciata qui fuori, anche se era ovviamente non intenzionale. Accoglie la rabbia. Soffoca la paura.

«Zulema rispondimi!»

La risposta della notte le gela il sudore sulla pelle.

«Zulema! Dove sei?»

Le sue urla per lo più attenuano la paura.

«Ho bisogno di una torcia» dice e viene fuori come un sussurro rauco.

Si volta per rientrare nella roulotte alla ricerca frenetica di una torcia.

Al terzo cassetto finalmente la trova e si catapulta nuovamente fuori coprendosi il volto con la mano mentre la pioggia ricomincia a scendere violentemente. 

Si incammina all’interno del bosco e a ogni passo sente gli stivali sprofondare di qualche centimetro nella terra bagnata. 

La vegetazione è molto fitta e la pioggia battente non le permette di vedere a un palmo dal naso. Muove la torcia a destra e sinistra in preda al panico. Deve cercare di mantenere la calma altrimenti sarà impossibile trovarla. 

Non sa da quanto tempo sta camminando, né se sarà in grado di ritrovare la strada di casa una volta trovata Zulema. 

Un urlo le muore in gola quando vede qualcosa muoversi tra le foglie di un cespuglio. Indietreggia spaventata e inciampa in una radice di un albero cadendo a terra. Perde la presa della torcia che rotola al suo fianco e illumina un punto indefinito alla sua sinistra.

Eccola. 

Accovacciata contro l'ampio tronco di un vecchio albero, le braccia avvolte intorno a sé, la testa china, semi oscurata dal manto di capelli bagnati che scende libero a coprirle il viso.

«Zulema. Zulema!» sussurra, cadendo in ginocchio davanti a lei.

Lei non risponde.

La scuote. «Zulema. Svegliati.»

I suoi occhi si aprono, lentamente, e anche nell'oscurità la vede sussultare quando si rende conto di quanto Macarena sia vicina.

Ripete il suo nome, espirando a metà. «Zulema, svegliati».

«Sono... sveglia» borbotta, ma non fa un ottimo lavoro nel formare le parole.

Le tocca il viso freddo come il ghiaccio quando la sua testa inizia a ciondolare a destra e sinistra.

«Stai congelando.»

«Ma v-va», dice sarcasticamente, mentre batte i denti balbettando le parole. Rimane ferma in quella posizione scomoda. Non cerca di colpirla, afferrarla, o spingerla. E questo, ancor più del tremito, dell'opacità dei suoi occhi e della pelle fredda sul suo viso, la spaventa.

«Non volevo,» sbotta Macarena. «Stavo per aprire la porta, è solo che... mi sono addormentata».

Zulema non dice niente.

«Devi entrare» Zulema non si muove. «Avanti, alzati», dice, offrendole una mano.
Lei si limita a fissarla, tremando violentemente. Macarena si accovaccia al suo fianco e quando si poggia a terra sente l'erba fangosa che le crea macchie bagnate sulle ginocchia dei pantaloni. Le gambe di Zulema sono umide e viscide quando allunga una mano per toccarla.

«Zule, andiamo.»

Quando Zulema non si muove, Macarena si alza, le prende le braccia e la tira in piedi; la donna sussulta quando i loro corpi si scontrano e Macarena decide di leggere questa reazione come un brivido. I suoi denti stanno ancora battendo in modo udibile. In preda al panico come era, nella corsa contro il tempo per ritrovarla, non si è presa la briga di mettersi un cappotto o glielo avrebbe dato subito; ha solo la camicia che indossava quando è uscita quella sera, già fredda e bagnata dalla pioggia. 

Sente il corpo della donna appoggiarsi sul suo come un peso morto. Macarena la scuote un po', cercando di svegliarla, e quando la donna non sembra reagire, le mette un braccio sopra la spalla, con l’altro le avvolge la vita, e la porta verso la roulotte, metà camminando e metà trascinandola.

Tenendola in questo modo, si rende conto di quanto sia umida la sua maglietta e quanto sia fredda la pelle sottostante. Il corpo di Zulema si sente pesante e pigro contro il suo.

Quando riesce ad aprire la porta e a manovrare tutte e due all'interno, vengono accolte da un'esplosione di calore. Accende la luce principale, cercando di guardarla meglio.

Sta tremando visibilmente, i capelli che le pendono in grovigli umidi intorno al viso, i denti che battono rumorosamente.

Ma è sveglia.

Afferra la coperta più vicina e gliela getta sulle spalle. Zulema non fa alcun movimento per prenderla e la lascia cadere a terra. Macarena si piega in avanti, lasciando per un attimo il corpo della donna, e afferra la coperta avvolgendola lei stessa intorno alla donna, un lembo sull’altro. 

«Stai bene,» le dice, e può dire dalla sua espressione, per quanto spenta possa essere, che farebbe un commento sarcastico se riuscisse a far smettere di battere i denti.

La fa sedere sulla stessa striscia di divano dove si era addormentata prima, e le strofina le braccia finché lei non la allontana allargando le braccia.

Finalmente una reazione, anche se è solo per allontanarla. Questo significa che si è riscaldata e ha superato il pericolo di congelamento. Macarena la guarda sollevata facendo un respiro profondo.

«Non volevo lasciarti là fuori.» Si concentra sulla lana scozzese della coperta intorno a lei, e non sul suo viso. «Stavo per riaprire la porta. Mi sono addormentata.»

Lei non risponde.

«Ero stanca», dice, anche se la donna non ha chiesto ulteriori spiegazioni.

«E-eri ubr-iaca,» dice, la voce roca e ancora balbettante con i brividi.

«Non ero ubriaca» Macarena segue il suo sguardo fino al bicchiere vuoto di gin sul tavolino. «Ho bevuto qualcosa. Lo farebbe chiunque dopo ieri.»

Lei non risponde. Sta ancora tremando e Macarena sa che dovrebbe fare qualcosa in più per aiutarla. Si allunga per strofinarle di nuovo le braccia e Zulema si allontana goffamente, ricadendo all’indietro sulla spalliera del divano.

«Ascolta, non stavo cercando di...»

«Avresti potuto... darmi le mie cose. Sarei andata via.»

Non ha completamente torto. Avrebbe potuto. Dopotutto le aveva chiesto il minimo indispensabile per andare via e lasciarla sola. Voleva esaudire la sua richiesta e sparire della sua vista, ma la rabbia le aveva offuscato la mente e si era comportata come una ragazzina chiudendola fuori mezza nuda.

Voleva lasciarla là fuori. Voleva farla spaventare e darle una lezione. Era arrabbiata e... ma non aveva intenzione di addormentarsi. Non l'avrebbe mai lasciata là fuori tutta la notte.

Stava per farla rientrare.

Mancava solo un minuto ai cinque minuti di pausa che si era voluta concedere senza la sua presenza in casa. 

Stava per farla rientrare.

«Perché non ti sei seduto nella macchina? Non la chiudo a chiave.»

«Tu...t-tu la chiudi sempre.»

«No, non è vero, non lo faccio», dice.

«Lascia stare. Solo… fallo ora. Dammi le m-mie cose or-a», le ordina, anche se non sembra molto autorevole dato che la sua voce trema così forte. «E me n-ne v-vado.»

«Ah, non c'è bisogno che tu vada via,» la bionda borbotta sommessamente.

«Maca», e riesce a pronunciare il suo nome attraverso i denti che battono, «tu m-mi hai chiuso fu-fuori!»

«Avresti potuto bussare.»

«Io» le muore la voce in gola sulla prima consonante. Ci riprova. «Io ho bussato.»

L’aveva fatto?

«Non ti ho sentito», ammette.

Ma l'aveva sentita la prima volta. E può dire dalla sua espressione imbronciata che sta pensando la stessa cosa. L’aveva sentita quando aveva aperto la porta per gettarle quello stupido pacchetto di sigarette addosso. Avrebbe potuto darle un telefono, il suo portafoglio, il suo marsupio, una felpa.

I suoi occhi sono enormi sopra la coperta, che ora nasconde metà del suo viso.

«Non volevo,» dice infine Macarena, debolmente.

«Nemmeno io.»

Non è sicura di come rispondere a questo.

 

***

 

«Come ti senti?» chiede Macarena, dopo che hanno trascorso lunghi istanti, fianco a fianco sul divano, senza toccarsi.

Zulema la ignora.

«Rispondimi», dice, il fastidio e la preoccupazione lottano sul suo viso. «Devo portarti in ospedale?»

La coperta si abbassa di qualche centimetro dal viso. «Non devi… non devi fare n-nulla per me.»

Macarena digrigna i denti irritata. «Zule...»

Zulema espira forte, frustrata, il respiro tremante. «Rubia. Questo... è stato un errore.»

«Cosa?»

«Questo. Tu, io, noi... tutto quanto. Non avrei dovuto... non avrei dovuto proporti di lavorare insieme. Di vivere insieme». 

«Non è questo il problema» Macarena ribatte.

«Lo sai anche tu che ho ragione.» Respira tra le parole, più fluidamente ora. «Sei felice?» La bionda vede le sue braccia muoversi all'interno della coperta, avvolgendosi su sé stessa
strettamente. Il movimento l’aiuta in un primo momento, poi il corpo riprende a tremare. «Dammi solo le mie cose e troverò un’altra sistemazione.»

«Devi prima riscaldarti.»

Lei la ignora e la donna più giovane la vede mentre cerca di alzarsi in piedi; le sue braccia sono ancora dentro la coperta e lei barcolla, sbilanciata. Macarena la afferra per impedirle di cadere a faccia in giù sul tavolo.

Zulema è rigida sotto le sue mani ma lascia che la aiuti a spostarsi dal divano. Al primo passo la coperta cade a terra e la vede stringersi le braccia intorno a corpo, con le nocche bianche, l'umidità a chiazze e lo sporco che copre la stampa colorata della maglietta. Sta ancora tremando, violentemente.

Avrei dovuto farla cambiare. Accidenti!” pensa Macarena guardandola. 

«Devi toglierti le cose bagnate.»

Lei la ignora nuovamente, ma non è abbastanza coordinata per protestare quando Macarena la guida verso il letto.

«No,» Zulema dice, quando Macarena la raggiunge per sfilarle la maglia.

«Zulema…»

«Non. Toccarmi.»

Zulema la spinge via questa volta, non permettendole di avvicinarsi più di qualche passo. L’odio che cola dalla sua voce.

«Calmati» la bionda è ancora infastidita, ma le mani dell’altra donna sono fredde come il ghiaccio e i suoi vestiti umidi non possono essere d'aiuto.

«Ho detto, non toccarmi!»

Zulema perde l’equilibrio quando Macarena cerca di afferrarla per un braccio e si butta di nuovo sul letto. I suoi occhi sono spalancati, la guardano, e quando Macarena la raggiunge di nuovo, lei le dà un calcio con un piede. Il calzino di spugna giallo è bagnato – sicuramente non era di grande aiuto lì fuori - e il piede che afferra per sottometterla è così freddo che quasi le brucia la pelle.

«Smettila. Adesso basta. Smettila!», sibila quando lei continua a dibattersi. La temperatura della pelle di Zulema è allarmante. Avrebbe dovuto farla spogliare quando è tornata alla roulotte. Avrebbe dovuto fare molte altre cose.

«Tu smettila», ansima.

«Sto solo cercando di... smettila, Zulema.» È più facile sottometterla nella sua forma intorpidita dal freddo, ma lei continua a lottare, agitandosi per alzarsi in piedi.

«Lasciami andare.» La sua voce sta scivolando alta, nel panico. «Lasciami andare».

Zulema riesce a liberare un braccio e sta per darle un pugno prima che lei la trattenga.

«Lasciami andare e me ne vado.» ripete esasperata.

«Non te ne puoi andare. Non sei in grado di andare da nessuna parte. Stai gelando. Ascolta, potresti solo smettere -»

Ma Zulema non lo farà, anche se il suo corpo sta ancora tremando in modo allarmante; quando Macarena la spinge nuovamente giù sul letto, lei sembra acquisire forza, rotolando via e cercando goffamente di calciarla di nuovo.

Alla fine, Macarena non ha altra scelta che salire sul letto con lei, avvolgerla in una sorta di abbraccio a koala per cercare di scaldarla e fermarla allo stesso tempo.

Il suo corpo è preoccupantemente freddo contro il suo, e continua a tremare violentemente.

«Lasciami andare, ora» sibila tra i denti che battono.

«Vuoi solo calmarti?» Macarena mormora tra i suoi capelli umidi. «Le persone muoiono per il freddo, lo sai?»

«Quindi nessuno di noi è stato f-fortu-nato questa v-volta.»

Riesce ancora a sembrare sarcastica con i denti che battono così tanto da essere appena comprensibile; gli spazi tra le sue parole suggeriscono che ha difficoltà a respirare attraverso i tentativi del suo corpo di riscaldarsi.

La tira più vicina, cercando di contenere i suoi brividi.

«Zule, vorresti solo-»

«Lascia andare. Lasciami andare.»

Riprende a dire come una cantilena, tentando ancora un paio di volte di liberarsi dalla sua presa prima che finalmente sembri arrendersi e soccombere al suo abbraccio.

All'inizio è sollevata, poi un po' preoccupato per quanto poco si stia muovendo.

«Zule…»

Delle volte è la regina del dramma.

«Zulema!» La fa girare per vedere se ha gli occhi chiusi.

«Zulema».

Potrebbe ingannarla, l’ha fatto così tante volte in passato.

«Zulema, svegliati.»

Macarena le accarezza la guancia delicatamente, poi un po' più fermamente, e infine la schiaffeggia abbastanza forte da farle aprire gli occhi.

«Resta con me», dice, automaticamente. Lo direbbe a chiunque. Persino al suo peggior nemico.

La donna più anziana sembra non notare le sue parole.

«Mi hai colpito.» la fissa, la mano che si alza verso il rossore che nasce sulla guancia.

«Non ti ho colpito. Stavo solo cercando di svegliarti.» Macarena scuote la testa. «Devi toglierti la maglietta.»

Zulema è un po' lenta a rispondere e Macarena la scuote per le spalle.

«Zulema!»

«Basta urlare… lasciami in pace,» mormora sconnessa. «Me ne vado.»

«Dannazione, Zulema.» scuote la testa scocciata. «Perché devi rendere sempre tutto così difficile?»

La tiene per le spalle; nel tentativo di spogliarla e abbracciarla attraverso i brividi del corpo.

«Sei tu quella… quella che ha cercato di-di… di congelarmi a morte.»

«E ora sto cercando di scongelarti, quindi potresti aiutarmi a toglierti questi maledetti vestiti bagnati? Per favore.»

Zulema non si muove. Ovviamente non avrebbe collaborato e non le avrebbe reso le cose più facili. Macarena scivola giù dal letto e poi la tira verso di sé e inizia a strattonarle la maglia tirandola verso l’alto. Zulema le schiaffeggia le mani, infastidita, ma quando prova a farlo da sola le sue dita tremano ancora troppo forte per riuscirci. 

Macarena riesce a spostarle le mani e afferendo la maglia dal basso la sfila in un unico movimento. Quando la maglietta è fuori, Zulema è barcollante in piedi - spostando il peso da una gamba all’altra in cerca di trovare l’equilibrio-, le braccia avvolte intorno al petto nudo.

Macarena si volta verso il letto. Le coperte sono ancora accartocciate ai suoi piedi; il ricordo sensoriale di averle tolto le coperte quando è tornata alla roulotte la colpisce come un sasso.

Zulema non si è mossa. Continua a stringersi le braccia al petto con lo sguardo fisso a terra. Ci sono delle macchie rosse sulle braccia. I segni delle mani che l’hanno stretta e strattonata mentre cercava di buttarla fuori dalla roulotte.

Il rimorso le affonda nello stomaco distruggendole nel passaggio il cuore. 

Macarena si piega verso il basso e l’aiuta a sfilarsi i calzini, gettandoli poi in un angolo sul pavimento. 

Quando Zulema ancora non si muove, la bionda le afferra gli avambracci, delicatamente, per guidarla verso il letto.

È docile e fredda, così fredda che quasi le brucia le mani al contatto… e poi improvvisamente, Macarena, si ferma, guardandola l’altra donna da sopra una spalla bianca nuda, e decide cosa fare.

«Cosa stai facendo?»

«Sto cercando di scaldarti.»

I suoi occhi percorrono la sua figura, apparentemente notando che ora sono entrambe nude. «Rubia...»

«È il modo più veloce per scaldare qualcuno,» le dice, sentendosi stranamente a disagio, nonostante siano state nude più volte di quanto potesse contare. «Fidati di me».

Lei fa resistenza, non permettendole di avvicinarsi. Era più facile da gestire quando era più apatica, anche se l’essere più vigile è probabilmente la cosa migliore.

Zulema continua a protestare spostandosi lateralmente lungo il lato lungo del letto, e si concentra invece sul riuscire a farla sedere sul letto. Una volta riuscita nell’impresa si lascia cadere accanto a lei prima che la donna possa muoversi di nuovo, tira su entrambe le coperte e la prende tra le sue braccia.

«Cosa stai f-acendo?» chiede ancora, la voce più alta adesso, intrisa d’ansia. Mani gelide spingono sul suo petto nudo, sulle sue braccia.

«Te l’ho detto, sto cercando di scaldarti. Sei gelida. Faceva freddo là fuori.»

«È primavera, no?»

Le parole la colpiscono come una stilettata nella carne.

«Sì, ma è umido, e la temperatura è scesa molto durante la notte, e non tu eri vestita adeguatamente».

Non permette al senso di colpa di infilarsi nella sua mente. 

Ricorda a sé stessa le ragioni che l’hanno spinta a buttarla fuori dalla roulotte nel bel mezzo della notte, mentre tiene il corpo della donna rigido e freddo contro il suo. Zulema sta ancora tremando, violentemente: piccoli brividi da ogni singola parte del suo corpo e poi altri più grandi che fanno tremare anche lei. Allora la tira più vicino, cercando di calmare il suo tremore e scaldarla allo stesso tempo.

Macarena le massaggia le dita ghiacciate, dolcemente, ma la donna continua a sibilare a disagio.

«Mi dispiace», dice automaticamente.

«Anche a me», risponde Zulema dopo un momento.

Continua a strofinarle le mani tra le sue.

«Lo pensi veramente?» la bionda chiede dopo un momento. «Che ti dispiace, voglio dire.»

«E tu?» Zulema controbatte.

Questa volta Macarena non dice niente, le prende solo l'altra mano nella sua per cercare di scaldarla.

 

***


Quando Zulema rimane in silenzio per troppo tempo, Macarena pronuncia il suo nome.

«Sono stanca», risponde.

«Lo so. Rimani comunque sveglia.»

«Tu non l'hai fatto,» le ricorda.

«Sono sveglia ora», sottolinea.

«Ho abbastanza caldo. Lasciami… lasciami dormire». Le sue parole sono ancora biascicate e interrotte, ogni tanto un brivido più forte attraversa il suo corpo.

«Mi hai buttato fuori» dice debolmente, dopo un po’.

«Ma ti ho riportato indietro», ribatte stringendo la presa sulle sue mani.
 

***
 

Si sta scaldando.

È fisiologico.

Pelle nuda contro pelle nuda: proprio come le è stato insegnato anni fa da suo padre durante una delle loro gite in campeggio. Macarena aveva circa sei anni quando cadde nel lago ghiacciato. Stava litigando con Roman su chi avrebbe deciso cosa vedere in TV quella sera quando iniziò a correre sul bordo del lago incurante delle parole dei genitori. Chi riusciva a percorrere il perimetro di tutto il lago e arrivare al camper per primo avrebbe guadagnato il controllo del telecomando. Così Macarena iniziò a correre e correre e correre… più il fratello si avvicinava e più continuava a spingere sulle sue gambe corte per arrivare per prima. Continuò fino a che improvvisamente non si ritrovò immersa nelle acque gelide. Roman non era riuscito a tirarla fuori al primo tentativo e una volta tornati a casa piangeva spaventata per il tanto freddo e il dolore che sentiva alle mani e ai piedi.

Leopoldo si era preso cura della sua bambina, riscaldandola, e spiegandole cosa avrebbe dovuto fare in caso di congelamento. L’abbracciò stretta e il contatto con il suo petto caldo riscaldò subito il suo piccolo corpo. 

È fisiologico e funziona.

Stava funzionando anche ora. Se ne accorgeva dalle piccole cose, come: gli spazi tra le sue parole che si accorciavano, il battito dei denti, che distorceva la sua voce familiare, che lentamente rallenta, il suo tremore – indotto dai brividi del suo corpo premuto contro il suo – diminuiva.

«Va meglio?» le chiede piano. Zulema ha sepolto il viso sul suo petto ora, incastrando le gambe insieme. Non lotta più. Le cosce drappeggiate sulle sue sono ancora fredde, ma non in modo terrificante. La carne fredda della sua guancia si è bilanciata con la pelle tra la spalla e il collo di Macarena.

Zulema non è più così gelida ora e Macarena non è più così calda.

«Va meglio?» Ripete la domanda quando lei tace.

«Què?» chiede infine.

Tipico di Zulema, rispondere a una domanda con un’altra domanda.

Il sangue che le ha massaggiato di nuovo nelle mani, nelle braccia, l'ha resa più calda, forse anche più calma, perché il peso di suo corpo su di lei è più pesante.

Si è lasciata andare completamente, e ora i loro due corpi nudi sono incastrati alla perfezione. 

L’uno nell’altro. 

Pelle contro pelle.

Macarena continua ad accarezzarle i capelli che adesso si dividono in ciocche arruffate per metà asciutte e metà bagnate. Non deve concentrarsi per sentire la rotondità del seno di Zulema che le preme sul fianco, o la spigolosità della sua anca appoggiata al suo bacino.

Sono più vicine di quanto lo siano mai state in tutti questi anni. 

Ancora più vicine di quando si concedevano l’una all’altra per soddisfare quel bisogno fisico che sembrava divorarle. 

La distanza emotiva tra loro è ora compromessa dalla pura vicinanza fisica. La rabbia di Macarena non è svanita, anche se parte di essa si è dissolta con la paura che ha provato nel momento in cui ha visto Zulema accartocciata nell'erba. Il risentimento è ancora lì, pulsa silenziosamente come un battito cardiaco, anche se Macarena sembra non riuscire a fare a meno di rispondere alla pelle setosa della sua coscia contro la sua. Il tremito persistente del corpo di Zulema è molto più lento ora, ma Macarena può ancora sentire ogni vibrazione muscolare contro di sé. La stringe forte al petto. Zulema muove una mano lungo il fianco rendendo l’altra donna ipersensibile al suo tocco.

«Maca,» dice piano. Ed è tutto quello che dice.

Macarena non vuole più sentire nulla. Le mette una mano tra i capelli ancora umidi e le tira indietro la testa abbastanza lontano dalla sua spalla da poterle catturare le labbra con le sue. Le sue labbra sono fredde ma la sua bocca è calda e il contrasto è sufficiente per scacciare via ogni pensiero.

«Maca.»

Dice di nuovo, questa volta senza fiato, quando la donna la lascia andare. Una mano è ancora annodata tra i suoi capelli; le sue labbra sono più rosse, gonfie, quando pronuncia il suo nome.

«Vuoi che mi fermi?» chiede la bionda.

Zulema la guarda quando glielo chiede, come per confermare che lei sa cosa intende con quella domanda. Affonda i suoi occhi nelle due sfere color nocciola alla ricerca della conferma di quella domanda silenziosa. 

Macarena scivola di lato – senza allontanarsi - e si distende su un fianco, rispecchiando la posizione dell’altra donna.

Lentamente, entro i confini della sua presa sui suoi capelli, Zulema scuote la testa.

Le dita di Macarena si avvolgono attorno ai fili umidi che si infilano tra di loro, esponendo la pelle morbida della sua mascella.

Le punte delle dita fredde di Zulema tracciano i muscoli della sua schiena, prima con attenzione e poi con più audacia.

Lascerà segni. Zulema lascia sempre segni, anche quando sono invisibili.

Le labbra di Macarena seguono i respiri instabili di quelle di Zulema, senza poggiarsi completamente sulle sue ma sfiorandole di tanto in tanto. 

Passano alcuni minuti così, semplicemente esplorandosi mentre respirano l’aria l’una dalla bocca dell’altra. 

E poi l’equilibrio si rompe. Macarena la capovolge sulla schiena e copre con il suo corpo quello di Zulema che ingoia il suo sussulto di sorpresa mentre si lascia girare.

Zulema si inarca sotto di lei, una versione del modo in cui ha lottato quando prima l'ha spinta sul letto, e Macarena sente una goccia di vergogna insieme al flusso di eccitazione. La tiene ferma per un momento, e le morde la pelle del collo abbastanza forte da farla sibilare.

La donna si contorce, scalcia con i piedi ghiacciati e Macarena allarga le cosce abbastanza da inchiodarla al materasso. Il suo respiro si libra su di lei a ondate. Come il soffio caldo del mare che accompagna le sue onde sulla riva. Ogni arco della sua schiena spinge i suoi fianchi contro quelli di Macarena, e quest’ultima può vederla combattere contro le sensazioni contrastanti del suo corpo. Le prende i polsi chiudendoli insieme in un pugno. 

«Lasciami andare», dice.

E questa volta Macarena lo fa. La lascia andare quel tanto che basta per poi riprenderla, afferrandole i polsi tremanti e allungandole le braccia ai lati della pelle arrossata del suo petto.

I suoi palmi sono rivolti verso l'alto, come una resa.

«Ti piace questo», le dice.

Sembra un'accusa.

Forse lo è.

In ogni caso, Zulema non lo nega.

È fisiologico, tutto qui. 

Non sanno resistere l’una all’altra. 

Non conoscono altro modo di amarsi se non quello di distruggersi e ricomporsi. 

Combattono per il respiro e il dominio al tempo stesso, lasciando tracce scarlatte lungo il lato del collo, il tipo di accoppiamento che, in questi due anni, a volte seguiva un combattimento.

Il tipo di accoppiamento che a volte è indistinguibile da una rissa.

Macarena dimentica che la donna era a un passo dal congelamento quando le sue cosce ancora gelate minacciano di bloccarle la circolazione; dimentica i segni che ha visto sulle sue braccia e le blocca i polsi sulla testa. In un primo momento la donna si dibatte, ma alla fine si arrende al suo tocco.

Zulema è più forte di quanto sembrava fino a poco fa e anche più calda.

All’interno di Zulema c’è un nucleo di calore che l'ha salvata nel bosco, forse.

Un nucleo di forza che potrebbe salvarle entrambe… forse.

Coprono lo spazio del materasso, inumidendo il lenzuolo mentre rotolano una sull’altra invertendo continuamente la posizione di comando e sottomissione. Macarena la trascina verso di lei allacciando le loro labbra insieme; Zulema rompe il bacio strisciando all’indietro e poi si volta di lato sdraiandosi sulla schiena della bionda e affondando i denti nel punto in cui la spalla incontra il collo. Macarena cerca di liberarsi ma la donna resiste, l'avambraccio freddo premuto contro il suo collo.

La bionda la lascia fare, sapendo che la sua completa resa la farà ammorbidire e non appena lo fa Macarena la rigira facilmente, inchiodandola al materasso e la bacia abbastanza profondamente da costringerla a spingerla via per prendere aria.

Zulema risponde al suo bacio con ardore, come se stesse cercando qualcosa. Macarena si lascia distrarre per un momento e poi riprende il controllo, afferrandole i lati della testa per tenerla ferma e spazzandole la pelle del viso con le labbra semiaperte. Poi prende una manciata di capelli in un unico pugno, tirandole la testa all’indietro, libera l'altra mano e quando raggiunge la sua destinazione sente tutto il corpo di Zulema contrarsi. Si conoscono da più di dieci anni. E questi due anni di entusiastica pratica le hanno insegnato esattamente come toccarla.

Come toccarla quando vuole qualcosa.

Come toccarla quando ha bisogno di qualcosa.

Come toccarla per vincere.

«Maca... Maca.»

Zulema ansima contro la sua bocca; Macarena non ferma il movimento della sua mano, ma si tira indietro quel tanto che basta per guardarla negli occhi.

Ha il viso scarlatto, ciuffi di capelli sudati appiccicati al lungo collo, come i tentacoli di un polipo si aggrovigliano sulla pelle diafana del suo petto.

Zulema ansima per riprendere fiato, si passa una mano tremante sulla bocca nel disperato tentativo di bloccare un urlo.

I loro sguardi sono fusi insieme. 

Nessuna delle due parla.

«Rubia...» Zulema lo dice quasi timidamente, quasi scherzosamente, quasi impercettibilmente perché la bionda è sepolta sotto le coperte e con i suoi movimenti le sta lentamente uccidendo; in risposta Macarena si seppellisce in lei, cercando calore, tenendola forte contro il materasso quando il suo corpo si muove sotto le sue labbra.

La suona come uno strumento familiare finché i brividi della donna più anziana non hanno più nulla a che fare con il freddo, e poi striscia di nuovo sul suo corpo tremante e le copre le labbra con un bacio che ha il suo sapore.

Quando si ritrae Zulema la guarda, intensamente.

«Potrei odiarti», le confessa.

La voce di Zulema non trema più, ma le parole non sembrano ancora particolarmente convincenti alle orecchie della bionda, forse perché le sue mani sono ancora fredde, ma le mani di Zulema sono sempre fredde, le sue mani e i suoi piedi. Lentamente si è fa strada lungo il corpo della donna più giovane e si avvolge intorno alla sua carne incandescente.

«Sì, potrei odiarti anch'io.» Macarena le passa le dita tra i capelli – sono umidi, più sudore che pioggia ora, e iniziano a diventare crespi mentre si asciugano. Macarena è una persona tattile. 

Ha bisogno di sentirla, assaporarla, ricordare il suo profumo.

Il suo corpo vibra di nuovo.

Scruta il rossore che le sale sugli zigomi, sente il suo respiro traballante, sente il sudore nell'incavo delle sue clavicole.

Passa la lingua sulla sua pelle. 

Ha il sapore del sale.

La capovolge, inchiodandola al materasso. Le sue dita si librano alla base del suo collo – Zulema respira rapidamente, ma non lotta. 

Si immerge nuovamente in lei da questa nuova angolazione che le permette una penetrazione più profonda. Riesce a raggiungere la parte più profonda e calda di lei.

Con le dita le sta accarezzando l’anima.

Poi la trascina di nuovo contro di lei in modo che siano entrambe occhi negli occhi.

Rimangono in silenzio, scrutandosi. 

Per lunghi istanti non si scambiano parole, parlano solo con i loro corpi: i fianchi di Zulema si flettono e il minuscolo movimento dei suoi muscoli la attirano ancora più dentro di lei. 

I loro muscoli tremano insieme.

La schiena di Zulema si inarca e le sue mani afferrano saldamente le lenzuola, in un grumo di cotone. 

Macarena si spinge verso l’alto e le sue labbra si spostano sul collo di Zulema e quest’ultima gira la testa di lato per permetterle un accesso migliore alla sua pelle. Le mordicchia la mandibola e il collo, mentre scende lentamente verso la valle tra i suoi seni. Cattura un capezzolo tra l’indice e il pollice della mano destra, lo gira tra le dita, lo tira, mentre con la bocca cattura l’altro. 

Lo succhia a fondo, forte, facendola sibilare di dolore e piacere.

Le rivolge un sorriso lascivo tenendo il capezzolo tra i denti. 

Zulema solleva i fianchi creando attrito tra i due corpi. 

Macarena fa scivolare la sua mano verso il basso, liberando il seno arrossato e gonfio, e la spinge sulla pancia appiattendola nuovamente sul materasso. 

Ha il controllo. 

L'afferra saldamente contro di sé, decidendo l'angolazione e la velocità delle sue dita. 

Zulema è un fascio di nervi impenetrabile, ma la morbidezza della sua carne contro di lei è un paradosso.

«Non senti più freddo,» osserva, rompendo finalmente il loro silenzio ansimante, rilasciando le labbra che si erano sigillate sul suo collo.

Zulema sorride sghemba e nel momento in cui la sua lingua si incunea nuovamente tra le pieghe della sua carne rilascia uno sbuffo d’aria seguito da un lungo gemito.

Le coperte restano intorno alle loro spalle mentre Macarena rallenta i movimenti, inserendo le dita più lentamente, ma più profondamente. Con la mano sinistra tiene una delle cosce tremanti. È fresca al tatto ma non così terribilmente come lo era poco fa.

I gemiti sommesi di Zulema le fanno dimenticare della ferita al braccio e del dolore che fino a poche ore fa le sembrava insopportabile.

Va più lenta, più gentile.

Sa che Zulema ha bisogno di questo ora.

Zulema è nuovamente silenziosa. Non trema più. E poi improvvisamente trema di nuovo – ma non per il freddo – quando Macarena la tira indietro contro di sé con più pressione e accarezza con la punta delle dita quel punto esatto che sa le farà perdere la lucidità. Continua il suo lavoro minuzioso e quando con il pollice le accarezza il clitoride sente gli ultimi spasmi prima dell’orgasmo colpire il suo corpo.

C’è un momento di stasi, di silenzio, prima che il corpo di Zulema riprenda a vibrare più velocemente facendole perdere completamente il controllo dei suoi arti. Le dita dei piedi si arricciano e il petto sale staccandosi dal letto. 

Macarena guarda estasiata il suo lavoro mentre i suoi denti decorano la coscia nuda e sudata della donna.

Zulema non è l'unica che lascia segni.
 

***
 

«Mi hai spavenatato», dice.

È stata così silenziosa, per così tanto tempo, che Macarena aveva pensato che si fosse addormentata. Non è esattamente tra le sue braccia, più come se fosse disposta con noncuranza contro di lei, lunghe membra ovunque, come il bucato che si è dimenticata di piegare.

Non le chiede quando.

Potrebbe essere quando l’ha spinta fuori dal letto. Potrebbe essere quando l’ha chiusa fuori sotto la pioggia battente. Potrebbe essere il modo in cui hanno combattuto per il dominio sul materasso…

«Hai spaventato anche me», le risponde.

 

***
 

Macarena le prepara una tazza d'acqua calda.

Prende una bustina dal mobile sopra la cucina e la infila nella tazza, lasciando penzolare l’etichetta sul bordo.

La tazza sta fumando quando gliela porge.

Zulema beve un sorso. «È troppo caldo.»

«Bevilo e basta.»

«Non mi piace la tisana al finocchio,» dice.

«Stai mettendo alla prova la mia pazienza, Zulema.» Indica la tazza. «Bevila.»

Zulema fa per dire qualcosa, poi si ferma e beve un sorso dell’infuso caldo.

E poi un altro.

Tiene la tazza tra le mani, l'etichetta che penzola da un lato, e la fissa come se stesse cercando risposte.

Lentamente, Macarena si accomoda accanto a lei, spalla a spalla.

Zulema beve in silenzio, spostando di tanto in tanto lo sguardo fuori dalla roulotte, e poi fissando di nuovo nella sua tazza.

«Vuoi ancora che me ne vada?» le chiede, senza guardarla.

«Vuoi ancora andartene?»

Nessuna delle due risponde.

Rimane seduta, bevendo lentamente il suo tè. C'è così tanto silenzio nella roulotte che riesce a sentire il debole ticchettio della pioggia sul tetto.

Non è sicura di quanto tempo sia passato prima che Zulema si addormenti con la testa poggiata sulla sua spalla. 

Le toglie dalle mani la tazza ormai vuota, e poi si muove lentamente spostando la testa di Zulema dalla sua spalla al cuscino. Tira le coperte sul suo corpo avvolgendola strettamente tra gli strati di cotone.

Nel momento in cui sposta il suo corpo Zulema piagnucola e, ancora dormendo, si spinge in avanti bloccandola tra il letto e il muro. 

Macarena si rilassa guardando le caratteristiche del volto della donna che dorme profondamente al suo fianco. Le capita raramente di vederla così rilassata. La pelle intorno agli occhi è leggermente segnata dal tempo e dalle fatiche della giornata, ma nel complesso la sua espressione è rilassata. Serena. 

Con un dito traccia i lineamenti del suo volto soffermandosi sulla punta del naso. 

Si abbassa al suo livello e si stende anche lei, poggiando la testa sullo stesso cuscino.

Da questa distanza, illuminata solo dal bagliore della notte che penetra timidamente dalle finestre, capisce che non può andarsene. Semplicemente non può farlo.

Il contratto che hanno sancito due anni fa non può essere reciso in nessun modo perché le regole che avevano stabilito sono cambiate.

Non sono mai state brave a rispettare le regole – ma infondo ogni regola è fatta per essere infranta, e in questo, almeno, sono le migliori.

Non può lasciarla perché la ama. 

La ama come si amano certe cose oscure, segretamente, entro l’ombra e l’anima.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Altro / Vai alla pagina dell'autore: Chiccagraph