ECCOMI.
Credeteci o meno, nonostante questo capitolo sembri come i precedenti
– e così
come gli immediati a seguire – iniziano ad esserci le basi
per una storia “seria”.
Vorrei ringraziare chi preferisce/segue ed in particolare Farkas ed
Edoardo811
per aver recensito! E ovviamente chi legge!
Una piccola promessa: la scena di battaglia è stata un parto
e la ho riscritta
sedici volte, con altrettante diverse conclusioni. Nessuna mi
soddisfaceva al
punto tale da aver pensato di bypassarla direttamente. Ma Jason
meritava il suo
battesimo di sangue.
Era un po’ che non scrivevo personaggi Riordiani
nell’universo Riordiano, quindi,
spero di aver reso giustizia a Magnus, Alex e Jack (SOPRATTUTTO JACK).
TW: C’è un po’ di MISGENDER per Alex, ma
perché Jason non sa – e cerca di fare
del suo meglio.
Inoltre: allego qui un’immagine di Thumelic, https://www.deviantart.com/rlandh/art/MEL-892729039
Ho molta difficoltà a fare gli uomini e si vede, ho dovuto
scegliere uno stile
diverso, palesemente copiato da una foto, a posta.
Buona Lettura,
RLandH
Combatti.
Muori. Sciacqua. Ripeti.
“Giù
nýlidi!”
aveva strillato Freydis,
facendolo piombare con la faccia contro l’erba fresca, prima
di buttare fuori
un po’ di rimproveri in una lingua nordica che Jason non
conosceva.
Da qualche parte dietro di loro era esplosa qualcosa. “Ancora
mi abituo a
queste cose!” aveva strillato la guerriera vichinga, mentre
si toglieva le mani
dalle orecchie.
Jason si era tirato sui gomiti, aveva le orecchie che fischiavano, il
sangue
che colava dal naso per l’urto, ma l’esplosione non
gli aveva colpiti.
“Hai miei tempi si usava solo spada e ascia” aveva
dichiarato lei con voce
ruggente.
Jason era ancora confuso dagli eventi per riuscire ad interpretare
correttamente le illazioni della donna. Non aveva neanche capito come
avesse
perso Mel nella bolgia.
Era solo successo.
Jason aveva combattuto, oh sì che lo aveva fatto, anche
contro eserciti di
mostri – ma non aveva mai visto un campo di battaglia
più caotico e nonsense di
quello.
“Sì, be è piuttosto nuovo anche per
me” aveva dichiarato Jason, cercando di
pulire con il braccio il sangue che era preso a colare dal naso, gli
faceva un
certo male. “Ma sì, immagino” aveva
valutato la donna, tirandosi in piedi,
mentre faceva oscillare la sua ascia, mogia, calma.
Poi aveva sorriso, inaspettatamente aveva sollevato l’ascia
verso di lui per
colpirlo. Jason era ancora reclinato per terra ed aveva cercato
Panikpak per
difendersi, ma la spada gli era ancora ostica.
Il colpo di Freydis non era mai arrivato, la donna era stata colpita in
piena
testa da una freccia, che l’aveva passata da parte a parte,
facendola esplodere
in polvere d’oro.
Jason era rotolato giù da una cunetta per togliersi dalla
prospettiva di essere
colpito anche lui.
Evidentemente aveva ragione Mel, doveva ricordarsi di dirglielo.
“Oh ti sei preso il tuo tempo” aveva dichiarato
Astrid, che era proprio lì.
Jason non l’aveva vista arrivare, “Credo che
Freydis abbia orchestrato la
nostra divisione” aveva dichiarato lui, tirandosi in piedi,
onestamente poteva
aspettarsi che anche la sua vicina di casa pensasse di piantargli la
sua bella
lancia in pancia.
“Lo so, quel dannato sassone non
farà altro che rinfacciarmelo” aveva
dichiarato Astrid. Aveva un labbro spaccato ed un occhio gonfio, ad una
mano
aveva la sua accetta, era diversa dalle asce che aveva visto
nell’armeria – o
quella di Freydis – era più piccola, con
l’orlo della lama più ampio e tondo.
“Se posso essere onesto non capisco” aveva
dichiarato Jason alla fine, quasi
sconfitto. “Freydis è un tipo particolare, non ha
una bella fama, ha tradito
due sue compagni, ma è un’amica di mio padre ed
è la madre di una persona a me
cara. Perciò io di lei mi fido, nonostante tutto. Non ho
dubbi che la sua lama,
quando verrà il Ragnarok sarà rivolta contro i
miei nemici” aveva dichiarato
Astrid, mentre lo conduceva per la vallata erbosa.
Jason l’aveva seguita, svelto, “Tuo padre le ha
dato una mano, vero?” aveva
chiesto poi alla fine. Non sapeva come lo aveva pensato, ma aveva avuto
questa
impressione, se pensava all’indignazione che aveva avuto
prima, mentre parlava
con Madina. “A tradire i suoi amici? No. Tradire i compagni
di Freydis? Quello
sì” aveva ammesso senza vergogna Astrid,
“Però non erano suoi amici. Lei lo
era, lo è ancora oggi” aveva dichiarato un
po’ più tesa.
Famiglia. Argomento ostico.
“Anche tuo padre è qui?” aveva chiesto
Jason, sollevando le sopracciglia. Non …
non sapeva se fosse il caso di parlare di famiglia. Jason Aveva notato
fosse
sempre una danza complicata, per quasi tutti i mezzosangue e per buona
parte
dei suoi amici. Avrebbe voluto dire che lo fosse anche per lui, ma
Beryl Grace
non era altro che un nome sorto nel tempo, una memoria vaghissima,
così come
Thalia e Giove … Giove era un’idea.
Lupa lo aveva cresciuto e poi Roma … e sì, non
avere una famiglia era stato
difficile, ma non più di ogni altre cose.
“Sì. Piano centododici, non scende
quasi mai a combattere. Te lo ho detto: forgia armi per lo
più. Ogni tanto
fugge su Nidavelir, il regno dei nani. Lui
è un buon guerriero, o non
sarebbe finito qui, ma è … un fabbro. Non
è certo Volund ma è un buon
fabbro” aveva dichiarato Astrid con voce rude, poi si era
voltata verso Jason,
facendo oscillare le trecce scure – nere come piume di corvo.
“Senti, io non ho problemi a parlare di mio padre, mia madre,
la mia famiglia
in generale, partendo da Nonna Sif e finendo con il mio defunto
pronipote Svane;
però, ecco, sappi che non è così per
tutti” aveva annunciato lei, seria, aveva
uno sguardo duro, ruggente come il metallo, occhi chiari come il
ghiaccio.
Jason si riteneva un bravo osservatore da sapere che non era del tutto
vero.
“Come Mel” aveva valutato Jason,
non era stato mai bravissimo nel capire
i sentimenti umani – la strategia, il combattimento, il corpo
ma non i
sentimenti – ma aveva ancora occhi.
“Come Mel e Fred, se mai
uscirà” aveva confermato Astrid, piena di
vergogna, almeno nella voce, con l’espressione invece ancora
fredda come il
ghiaccio. “Comunque, sì, te ne sei accorto
… ogni tanto sono sgarbata. Non lo
faccio a posta e non è una scusante” aveva
dichiarato la ragazza prima di
dargli nuovamente le spalle, Jason poteva immaginare che nelle sue
orecchie
quella frase fosse un mantra ripetuto ad oltranza da Madina.
“Mel ha detto che non hai mai imparato
l’educazione” aveva considerato Jason,
non era un rimprovero o altro, aveva anche detto fosse cresciuta sola
come un
cane. Questo lui lo poteva capire, aveva passato anni, come unico
bambino nel
branco della Lupa, c’era voluto tempo, quando era arrivato a
Nuova Roma ad
abituarsi agli altri, ad abituarsi ai comportamenti sociali degli
altri. Per un
anno aveva letteralmente ringhiato a chi si avvicinava di soppiatto[1].
Jason aveva visto una
serie di emozioni balenare dietro gli occhi chiari di Astrid, ma alla
fine
aveva ridotto le labbra in una fessura, “Uhm … mio
padre sapeva disciplinare il
ferro meglio di quanto sapesse fare con me” aveva concesso.
“Quanto
tempo dobbiamo restare vivi?” aveva domandato Jason, mentre
la seguiva, a
carponi, lungo la piana, a riparo dietro un’altura, diretti
verso la foresta.
C’era stata un’altra esplosione, più
lontana, ma non di molto.
“Fino a che non suona il corno” aveva dichiarato
Astrid, “Ma puoi morire,
tranquillo. Mel è già morto” aveva
dichiarato Astrid, prima di fermarsi.
“Primato rovinato?” l’aveva presa in giro
Jason. “Sì. Erano ben settantanove
giorni che nessuno del piano venti moriva durante il giorno, se si
esclude il
suicidio di Mel con la forchetta” aveva risposto Astrid,
“Adesso, alzati e
scatta veloce, dobbiamo entrare nel bosco” aveva dichiarato.
“Cosa c’è nel bosco?” aveva
chiesto Jason, invece. “Uhm … Un fortino e
… Alex
Fierro! Lo ho … ehm … la ho … ho visto
la sua persona entrare” aveva dichiarato
Astrid, piena di imbarazzo, “Penso sia una trappola,
ovviamente, ma … infondo
che importa?” aveva chiesto quella.
Jason si era lasciato sfuggire un sorriso, “Siamo qui per
morire infondo” aveva
concordato.
“Siamo qui per rischiare di morire e non farlo”
l’aveva corretta lei.
L’attimo dopo, Astrid si era sollevata in piedi ed era
scattata svelta come una
gazzella verso il boschetto, Jason l’aveva imitato.
Aveva gambe più lunghe rispetto la ragazza e
l’avrebbe superata, ma aveva
preferito rimanere alle sue spalle, riusciva a vedere oltre Astrid, la
ragazza alle sue
spalle. Aveva usato il
vento, poco, non sapendo come gestire quel potere, lì, per
non farlo vedere,
per creare delle correnti d’aria che rendessero la
traiettoria della frecce.
Una era vibrata pericolosa ad un passo dalle loro occhie.
“O tutti dei!” aveva dichiarato Astrid,
“Meno male che avevano il vento contro”
aveva valutato Jason, “Meno male … ma non
c’è vento qui” aveva risposto quella,
assottigliando gli occhi chiari.
Jason era avvampato.
Poi Astrid si era lanciata eclettica nel bosco.
Lui preferiva di solito il campo aperto, ma non aveva senso rimanere
scoperto
ad una pioggia di frecce, davanti a quel caos albergante, di lame e
scudi,
tutti contro tutti.
Terribilmente caotico.
Molto di più di quanto fosse stata la battaglia contro Gea,
dove almeno era
stato possibile distinguere chi fosse contro chi.
Il bosco nascondeva insidie, specie per lui, che non lo conosceva, ma
aveva
osservato come svelta ed attenta era Astrid.
Aveva passi sottili e leggeri come quelli di una cerbiatta, saltava da
un
albero all’altro, nascondendosi dietro le cortecce. Posava la
schiena contro il
tronco ed attenta che neanche un filo di capelli scuri sfuggisse alla
sua vita,
osservava più in là, per poi saltellare.
Erano anche mille anni che lo faceva.
“Allora … ti eviterò
l’impiccio del mentirmi, non chiedendoti niente”
aveva
esordito lei, il suo tono era basso, ma duro come l’acciaio.
“Cosa?” aveva chiesto Jason, aggrottando le
sopracciglia.
“Uhm … Non ti sei mosso sul campo come si muovono
quelli di oggi. Eri preciso
ed attento, a tutto. Ti ho visto intimidire Gunther del
quattrocentesimo piano
con una sola occhiata. Zia Trudy ha messo su una scenetta per te, oh
certo! Il
vento!” lo aveva pizzicato lei.
“Il vento …” aveva ripetuto Jason,
certissimo di non essersi fatto beccare, era
stato un movimento leggero di dita, una brezza forse si, ma veloce, per
deviare
la freccia.
Poi si era voltata verso di lui, l’espressione non
più così austera, “Oh! Il
tatuaggio, ovviamente!” lo aveva stuzzicato.
Gli occhi chiarissimi di Astrid avevano seguito il profilo del suo
braccio, lì
dove nella parte interna, era inciso in nero la sua inequivocabile
appartenenza
a Nuova Roma.
“Sono fan dei Romani; colpa di mia madre, ha fatto una
comparsa nella serie
degli anni Settanta, IO, Claudio … e poi
dai, siam tutti cresciuti con
il gladiatore” aveva provato Jason, mentendo, circa. Non
aveva mai visto il
secondo film, anche se Gwen una volta aveva tenuto una seduta durata
un’ora,
durante una riunione del senato, per lamentarsene. Beryl Grace di
rimando aveva
davvero fatto una comparsa nella serie da lui citata.
Jason l’aveva scoperto molto tardi nella sua vita, glielo
aveva raccontato
Thalia. Dopo aver dismesso la sua ricerca di Leo ed aver cominciato a
frequentare la scuola, aveva provato a procurarsela, così
alcuni suoi compagni
– decisamente più navigati di lui con internet, e
senza incorrere nel rischio
che qualche mostro fosse attirato dai loro macchinari –
gliela avevano
scaricata. Aveva visto tutti e tredici gli episodi, cercando, nello
sfondo, la
fugace figura di Beryl Grace – era quasi certo di averla
intravista, durante il
sesto episodio.
“Sì, come no” aveva ribattuto Astrid,
riportandolo con i piedi per terra, “Stai
tranquillo, ogni tanto capita che qualcuno il cui dominio non
è qui, ci finisca.
Una valchiria al momento giusto. Se non ricordo male, credo ci sia un
guerriero
figlio di Perun[2]
da qualche parte” aveva replicato lei.
Jason non credeva fosse così semplice o Thrud non sarebbe
stata così
categorica.
“Quindi non ti chiederò niente” aveva
stabilito Astrid, “Anche perché ho
l’impressione
che zia Trudy potrebbe essersi messa nei guai”.
Jason si era morso le labbra, “Grazie” aveva
concesso alla fine.
Astrid aveva fatto qualcosa che somigliava ad un sorriso, ma Jason non
si
sentiva così audace da definirlo in quella maniera.
“Solo, ecco, magari terrei
la tua propensione alla romanità più nascosta.
Mel non ama molto i romani”
aveva esclamato lei.
“Immagino sia da imputare al fatto che fosse uno
schiavo” aveva valutato lui;
cheruscio e gladiatore, non vedeva molte altre possibilità;
Astrid aveva
sollevato le spalle, “Immagino sia per quello”
aveva concordato lei.
Jason aveva sentito un frusciare alle sue spalle, si era lanciato verso
Astrid,
facendola ruzzolare per terra, un fischio aveva tagliato
l’aria mentre un
laccio con due pesetti aveva colpito il tronco di un albero.
“Che riflessi” aveva constato Astrid,
“Sono stato cresciuto a test mortali”
aveva concesso Jason, stringendo le labbra. Non sicuro di quanto
potesse essere
onesto. Conosceva Astrid da poco meno di ventiquattro ore. Anche se lei
lo
aveva già scoperto.
“Anche io” aveva dichiarato Astrid, calma,
“Il mondo wicinga[3]
non era gentile con una skraeling[4]”
aveva aggiunto.
“Non capisco niente di quello che dici, lo sai?”
aveva chiesto Jason, poi.
Astrid si era lasciato sfuggire un sorriso divertito, “Devi
proprio cominciare
a studiare” aveva ammesso lei.
Lui aveva annuito, “Potresti alzarti?” aveva
chiesto poi Astrid. Jason, realizzando
di esser steso ancora sopra la ragazza, si era spostato, a
metà tra l’imbarazzo
e la consapevolezza che fossero ancora nel pieno di una battaglia.
Avevano
dovuto camminare per almeno un’altra ora nella foresta,
avevano ucciso il
lanciatore pazzo, due trapezisti armati di lancia ed un soldato della
Prima
guerra mondiale.
Jason ci aveva guadagnato anche un foro di proiettile fresco alla
spalla.
Però, aveva potuto osservare una cosa, Astrid era una furia.
Era davvero una
furia ed anche terribilmente brutale.
Però avevano trovato il famoso fortino.
“Ciao Magnus! Immaginavo che dove ci fosse Alex dovevi
esserci anche tu” aveva
commentato Astrid, aveva perso gran parte dell’allegrezza,
avendo recuperato la
sua espressione calma. Gli occhi cerulei erano quasi spaventosi, con il
viso
macchiato di sangue, rispetto alla sera prima non sembrava toccata dal
fatto
che probabilmente avrebbe dovuto bruciare i vestiti.
Anche Jason, per fortuna doveva già andare in lavanderia.
Magnus, la persona a cui Astrid si stava riferendo, aveva sorriso verso
di
loro.
Era sul tetto del fortino – se così poteva essere
chiamato, un’accrocchi di
pannelli in ferro ed altri metalli in un patchwork spaventoso. Leo lo
avrebbe
amato.
“Sì, abbastanza prevedibile” aveva
constato il ragazzo di nome Magnus. Era
giovane, aveva valutato Jason, sembrava suo coetaneo, ma lì,
non voleva dire
nulla, il ragazzo poteva avere quasi duemila anni, differentemente da
gran
parte dei membri dell’hotel, sfoggiava dei pantaloni di jeans
sbiaditi ed una
t-shirt, esibiva anche un paio di converse verde pistacchio. Aveva un
viso
bello, fresco, un po’ appuntito, capelli biondi, lunghi fino
alle spalle[5],
leggermente ondulati
sulle punte. Sembrava un po’ Kurt Cobain, o almeno Jason
imputava a quello, il
senso di famigliarità che il ragazzo gli suggeriva[6].
“Però non credo di
ricordare il tuo nome” aveva ammesso con somma vergogna
Magnus, grattandosi il
capo biondo.
Aveva gli occhi grigi.
“Sul serio?” aveva esclamato Astrid, offesa.
“Mango!
Sei pessimo!” aveva ghignato una voce alle loro spalle. Jason
si era voltato di
scatto, non lo aveva sentito, ma qualcun altro si era avvicinato.
Era la ragazza – Jason non ne era sicuro – con gli
occhi eterocromi, uno
scurissimo e l’altro biondo come l’oro fuso, aveva
uno sguardo affilato da
gatta ed un sorriso piuttosto divertito. L’incarnato era
zucchero cotto e i
capelli corvini, sporcati sulle punte di verde.
“Mi chiamo Astrid! Vivo da qui da MILLE ANNI.
Due settimane fa ti ho
ucciso” aveva ribattuto acida la ragazza. “Oh,
sì, sei quella che mi ha ucciso
con un arriccia capelli per
l’Epica-Guerriglia-Notturna!” aveva ricordato
Magnus, mentre con un movimento svelto era scivolato via dall’accrocchi-fortino,
per essere sull’erba.
Jason non aveva tolto lo sguardo dall’altra invece, che non
si era mossa di un
centimetro, indossava sgargianti pantaloni rosa ed una maglietta verde
brillante, non quella dell’hotel, ma gli occhi di Jason erano
per le mani, in
cui stringeva una garrotta fatta di un filo sottile, ma d’oro
lucente.
“Io sono Alex, immagino che tu non conosca ancora molte
persone” aveva
cinguettato lei – Jason non era davvero sicuro fosse una
ragazza, era molto
androgina – “Lui lo sapete chi
è!” aveva dichiarato Astrid, ammiccando a Jason.
Si era comunque presentato, per cortesia.
Magnus lo aveva studiato, come se stesse cercando qualcosa –
Jason ebbe il
timore di sapere cosa fosse e istintivamente aveva nascosto il braccio
con il
tatuaggio.
“La presentazione più originale da quella di Mango,
a quanto si dice”
aveva dichiarato Alex.
“Sono oggettivamente contento che mi abbiano rubato il
primato” aveva concesso
il biondo con un sorriso nervoso.
Astrid aveva stretto il manico sulla sua piccola accetta,
“Domanda veloce,
Jason” aveva detto, mentre faceva saettare gli occhi chiari
ad Alex ed il suo
fil di ferro.
“Quanto sei bravo come spadaccino?” aveva chiesto
lei, serissima. Per una
miglior coerenza con le menzogne di Thrud, Jason avrebbe dovuto dire
che era
pessimo o passabile o qualcosa del genere, ma la serietà
nello sguardo di
Astrid lo confondeva.
“Sono bravo” aveva dichiarato, con sicurezza.
Era cresciuto con spada e lancia alla mano. Era bravo.
Astrid aveva piegato appena le labbra, “Be, perché
dovrai essere maledettamente
bravo, perché l’alternativa è vederla
contro non so … un grizzly?” aveva
dichiarato lei, facendo saettare gli occhi contro Alex.
“Lo so, hai affrontato anche Mánagarm[7], una
volta” aveva dichiarato
l’altra, mettendo da parte la sua garrota, nella tasca
posteriore dei suoi
pantaloni.
Jason si era voltato contro Magnus, intuendo dovesse essere lui il suo
avversario, aveva stretto di più la presa su Panikpak,
trovandola ancora così
estranea.
Magnus si era slacciato la collanina che portava al collo e
l’aveva fatta
roteare in aria, quando l’aveva afferrata non aveva
più un laccio, ma una lama
d’oro splendente.
“Ei amico, era ora!” aveva
dichiarato qualcuno.
“Scusa amico” aveva dichiarato Magnus, riferendosi
alla sua spada. “Jason-Jack,
Jack-Jason” aveva dichiarato Magnus, inclinando il polso,
facendo oscillare la sua
lama, come se la stesse introducendo – probabilmente lo stava
facendo.
“Ei, Salve Jason. Scusa se dovrò ucciderti, poi
dopo possiamo scambiarci le
nostre playlist” aveva dichiarato ancora la voce, era la
spada. La spada
parlava.
Jason aveva schiuso le labbra.
“Lo so, fa uno strano effetto” aveva dichiarato
Magnus. Jason sapeva di armi
parlanti, Apollo aveva una freccia che gli sibilava cose, ma poteva
sentirla
solo lui.
“Jack, non credo che Jason voglia avere la tua playlist di
Katy Perry o Taylor
Swift” aveva provato il proprietario, riferendosi alla spada.
Era una situazione paradossale, “Sciocchezze Magnus, a tutti
piace Katy Perry,
giusto Jason?” Jack si era rivolto direttamente a lui.
“Ehm … mi piace Hot e Cold” aveva
provato Jason colmo di imbarazzo, “Vedi?” era
stata la risposta della spada con un tono anche piuttosto soddisfatto.
“Oh, dei del cielo, volete anche un po’ di idromele
a Kanelbullar?”
aveva richiamato la loro attenzione Astrid.
Non era più al fianco di Jason in quel momento,
“Magari dopo” aveva risposto
Alex, era stata lei la prima a rompere lo stallo, lanciandosi su
Astrid,
disarmata, ma quando l’aveva raggiunta non era umana, ma era
una bel puma dalla
forma snella e flessuosa.
L’altra non si era data per vinta ed anche se era finita
sotto le zampe
bestiali, aveva ficcato la lama all’altezza della spalla
della pantera.
“Alex
è uno
shapeshifter” aveva dichiarato Magnus, come
Frank, era stato il
pensiero dolce che aveva passato la mente di Jason.
“Quindi, vogliamo far qualcosa o chiacchieriamo
soltanto?” aveva domandato
Jack, “No, perché per me non dovrebbe esserci
nessun problema. Nei convenevoli
sono anche più affilato di quanto taglio” aveva
ripreso a blaterale la spada.
“Ti prego combattiamo o non starà zitto”
lo aveva letteralmente implorato
Magnus.
“Va bene” aveva ammesso Jason, più
rilassato.
Non aveva mai combattuto con così tanta rilassatezza,
neanche quando erano
semplici allenamenti a Campo di Giove. Tutto aveva uno scopo, tutto
doveva
essere preciso. Si allenava per il futuro, per quella profezia che
sapeva
essere per lui.
Ogni duello, anche il più sciocco, era stato vissuto con
… dolore.
Alla fine di quello scontro sarebbe probabilmente morto, solo che vista
la
situazione, la cosa non gli provocava brividi.
“Va bene!” aveva concesso rilassato,
“Inoltre: preferisco Florence e the Machine”
aveva aggiunto.
Quell’ultima frase era stata interpretata da Jack come
un’offesa personale visto
che aveva cominciato a vibrare nella mano di Magnus.
Ebbe quasi l’impressione che fosse la spada a guidare lo
spadaccino verso di
lui, che il contrario.
Jason si era quasi distratto quando aveva sentito un ruggito
– sicuramente non
da pantera – alle sue spalle, ma aveva intercettato il colo,
parando con Panikpak.
I due ferri avevano cantato insieme.
“Troppo rude, decisamente non il mio tipo” aveva
dichiarato Jack.
“Scusa è una spada un po’ … provolona?”
aveva provato, imbarazzato
Magnus, quasi danzando, mentre arretrava. “Panikpak terza
è troppo rude, sua sorella
Panikpak sedici è molto più dolce, prendi lei la
prossima volta, ti prego!” lo
aveva supplicato la spada.
Jason aveva
vissuto situazioni che faticava ancora a realizzare essere davvero
successe, ultima
essere rapito dal paradiso da una Valchiria Chiacchierona, ma la
conversazione
con la delirante spada parlante marpiona e fan di Katy Perry era in
cima alla lista.
Però Magnus era davvero un signor spadaccino, o meglio, era
molto bravo, ancora
un po’ grezzo, di chi probabilmente aveva imparato
l’arte della spada in modo
duro e crudo – probabilmente affinandosi nella lotta proprio
lì nel Valhalla,
fino alla morte – ma dove arrivavano i limiti di Magnus,
aggiustava le cose
Jack, che non era decisamente solo una spada chiacchierona.
Ne aveva avuto la conferma quando Magnus l’aveva lasciata ed
era stata la spada
a continuare il duello, non in autonomia, ma quasi.
L’altro enherjar la guidava da lontano. Jason, si sentiva sia
fuori
allentamento, sia pressato. Jack era diversa da qualsiasi spada avesse
mai
provato e doveva ammettere che Panikpak non era alla sua altezza, ne
ebbe la
conferma dopo una vibrazione, posteriore ad un impatto, fin troppo
forte, nel
vederla saltare via metà.
Aveva evitato l’affondo di Jack per poco, ritrovandosi un
taglio brutale sopra
la clavicola.
Anche con tre quarti di spada aveva continuato a menar la lama,
consapevole di
star combattendo ormai consapevole di aver finito.
Astrid e
Alex alle loro spalle avevano continuato il loro scontro, composto da
versi,
strazzi ed urli.
Magnus aveva fatto qualcosa con le mani, Jason, impegnato a guardare il
profilo
scintillate di Jack, non aveva visto bene, ma per un momento per quanto
breve
aveva sentito il bisogno di lasciar perdere.
Era la stessa sensazione dei campi elisi. Pace.
Pace fluttuante, eterea.
“IGNORALO!” aveva sentito urlare Astrid,
“È opera dell’alf siedr!
È la
pace di Frey!” aveva specificato.
Jason aveva lasciato scivolare dalla sua presa Panikpak.
Era forte il potere di Magnus, era forte la pace di Frey, ma lui era
stato
educato con il dilectus[8],
per quanto l’avesse poi trovata insofferente.
Onore e disciplina.
Oh Marte Ultore!
Aveva mosso la mano svelto, richiamando gli spiriti del vento, o i
venti, molto
di più di quanto avesse fatto per cambiare le direzioni
delle frecce. Sapeva ci
fossero. Lì sentiva nell’aria, così
come la sera prima aveva visto le valchirie
cavalcarle. Non era certo affatto di poterli dominare, non era nel suo
dominio,
però lo era, da quel momento lo era. Aveva evocato delle
piccole turbine, aveva
disorientato Jack così e sbalzato Magnus, che era finito a
terra, poco lontano
dal fortino.
“Amico che è successo?” aveva chiesto
Jack, mentre tornava tra le mani del suo
proprietario, “Confesso una certa confusione anche
io” aveva ammesso quello,
tirandosi su, massaggiandosi la nuca.
Jason aveva guardato i resti di Panikpak sull’erba nuda
… e già che aveva
ballato, valeva la pena continuare.
Aveva recuperato la moneta e l’aveva fatta scattare verso il
cielo, quando l’aveva
afferrata, aveva afferrato il gladio di Giunone[9].
“Oh! Per l’ultimo fidanzato di Taylor Swift, un
nuovo amico!” aveva ghignato
Jack su di giri, “Ed anche … be, come
me!” aveva esclamato Jack felice.
“Uhm?” aveva provato Magnus, “Forgiata
per un dio!” aveva dichiarato Jack
soddisfatto, “Ed ovviamente non abbandonato dal suo BRO per
infilarsi sotto le
gonne di una donna” aveva aggiunto infastidito.
Magnus aveva roteato gli occhi, Jason indovinò dovesse
essere una situazione
ricorrente.
Jason aveva
avanzato, rincuorato, si sentiva più forte, accompagnato dal
vento, dalla sua
spada – romana – e dal tempo. Il sole luminoso del
campo, che filtrava dalle
fronde degli alberi, cominciava ad offuscarsi.
Prima venne una luce, il lampo, poi il tuono.
“Jason!” la voce di Astrid era arrivata
inaspettata, si era voltato verso la
sua amica, aveva un colorito esangue, giacché buona parte di
esso le imbrattava
il viso ed il corpo. I vestiti erano stracci e tagli le deturpavano la
pelle.
Ma non stava chiamando per avere il suo aiuto, gli occhi chiari di
Astrid erano
scintillanti di rimprovero.
Era stato stupido … e aveva esagerato.
Si era voltato ed era andato contro Magnus, mentre i raggi del sole
tornavano a
fluire su di loro. L’altro era rimasto sconvolto per un
secondo, confuso, ma
aveva presto risposto allo scontro, senza perdere.
Jason dovette ammettere fosse stanco, esausto, drenato … ma
libero.
Magnus era letale e capace e Jason rispondeva.
Ebbe l’impressione che nulla avrebbe potuto fermare quello
scontro che nessuno
avrebbe potuto sovrapporre l’altro, che avrebbero lottato in
eterno.
Senza che Jason potesse disporre dei suoi altri poteri e come aveva
l’impressione
l’altro stesse rispondendo.
Ed ebbe anche la sgradevole illuminazione che se Magnus non lo avesse
ucciso,
Jason non sarebbe riuscito ad ucciderlo ugualmente. Una parte di lui
sapeva che
quel combattimento non poteva essere davvero per la vita e …
Magnus non era un
mostro, non era un nemico, non era un imperatore pazzo, era un ragazzo
come lui
…
E Jason … Jason non ci era abituato.
Era stato
ferito alla gamba da Jack e con Giunone aveva affettato una parte della
faccia
del ragazzo ed erano andati avanti così, ripetutamente,
finché non era finiti
ad essere altro che dei colabrodi, incapaci di stare in piedi. Jason si
ara
accasciato per primo, Magnus aveva fatto un po’ di passi, ma
poi era caduto
anche lui.
Esausto e morente, senza riuscire a stillare il corpo mortale.
Jason si era trascinato verso di lui, “Uhm
…” aveva provato Magnus, sputando un
po’ di sangue e tossicchiando, “Potremmo
suicidarci?” aveva proposto.
Jason aveva provato a ridere, ma continuava a sentire dolore in ogni
centimetro
di se, mentre con gli occhi sfiorava la luce dietro le fronde. Era
quasi …
liberatorio.
“Sei bravo” aveva riconosciuto Jason,
“Grazie, tu di più” aveva risposto
Magnus.
Poi erano rimasti lì, pallidi e dissanguati.
Il sole era stato oscurato dalla figura di Alex, la maglietta era quasi
disintegrata, i pantaloni verde erano macchiati di rosso e respirava a
fatica.
Mancava l’occhio nero e parte della faccia.
“Devo uccidervi io? Eh?” aveva chiesto, nonostante
tutto con il sorriso
soddisfatto di un gatto sornione – con meno denti.
“Sarebbe fantastico, amore” aveva risposto Magnus.
Nico era in
contemplazione,
non era al campo, Jason sapeva dove fosse: era nel labirinto. In
qualche
maniera ancora vivo. Per sempre vivo. Una creatura a sé che
non poteva essere
soffocata.
Nico era seduto per terra, teneva tra le mani una maschera di Medusa.
Stava
provando un’invocazione.
Il suo amico aveva rovesciato sul fuoco una coca-cola, una cool-aid, delle
patatine fritte,
due hamburger ed una fetta di cheesecake ai lamponi, anche un paio di
ossa di costine,
ricoperte di grasso. Una delle più sostanziose offerte che
avesse mai visto.
“Ho bisogno di parlare con loro. Con uno di loro”
aveva dichiarato, la sua voce
era dura, inflessibile. Nico era sempre stato potente, il
più potente, ma in
quel momento, la sua forma rispettava la sua forza.
Il fuoco era scintillato, da rosso, a blu, a verde, era divampato, si
era
alzato colonne di fumo, fuliggine, storto.
Poi un viso era affiorato, “Il nostro sonno non
può essere disturbato” aveva
dichiarato una voce, era gentile, Jason la conosceva. Viso pallido,
occhi blu e
crine nerissimo, un sorriso dolce decorava un volto attraente. La
ragazza di
nome Silena.
Nico stava evocando uno spirito dei Campi Elisi.
“Voglio sapere di Jason Grace, era uno di voi ed ora non lo
è più” aveva
dichiarato il suo amico.
Jason si era
svegliato di soprassalto.
Era nella sua bella camera al piano venti dell’hotel.
Era morto una quarta volta, questa volta ci aveva pensato Alex a
mettere fine
alla sua piuttosto lenta agonia. Fino a quel momento era stata
l’unica morte
vagamente piacevole che aveva avuto, per i canoni
del morire.
Però stava bene in quel momento, si sentiva in forze ed
anche riposato.
Se escludeva Nico dalla sua testa ovviamente – non che
volesse farlo.
Si era alzato, scostando le coperte, i suoi vestiti erano nuovi e non
una
traccia delle ferite che aveva addosso erano presenti.
Aveva comunque deciso di buttarsi in doccia e cambiarsi, guidato
più dal fatto
di sentirsi addosso i suoi vestiti da più tempo del
necessario.
Aveva indossato dei jeans ed una maglietta, recuperato
dall’armadio della
stanza. Non era sua. Però era di un vibrante viola che
ricordava la maglietta
del Campo di Giove senza esserlo.
Aveva osservato il pavimento della sua stanza dove erano ancora sparsi
fogli in
tutti i luoghi.
Doveva finire, realizzò.
Ma non era quello il momento a dargli manforte, ci fu anche un tocco
alla sua
porta.
Jason aveva
aperto.
Mel era lì, con indosso la maglietta dell’hotel ed
i pantaloni cachi di trekking,
tutt’altro che con l’aspetto di un feroce
gladiatore – doveva essersi abituato
bene allo stile moderno[10].
Inoltre, non aveva
più i capelli sistemati in
una treccia, ma lì portava sciolti, coprendo la rasatura
sulle tempie. Non
sembrava più un terribile guerriero mirmillone ma appariva
un adolescente
trasandato degno di una comunità hippy – circa.
Jason non ne aveva mai vista
una, ma lo immaginava così.
“Come
è
stata la prima giornata a Idavol?” aveva chiesto allegro, con
un sorriso bello
luminoso.
“Dove?” aveva domandato Jason, “Il campo,
si chiama Idavol!” aveva chiarito
subito l’altro, mentre si faceva da parte per farlo uscire
dalla stanza.
“Sono morto di stenti, letteralmente” aveva
raccontato Jason, aggiustandosi gli
occhiali sugli occhi. “Meglio che a me, “Mi hanno
decapitato, con una spada,
solo che ci hanno messo tipo tre o quattro colpi, ha fatto davvero
schifo ed un
male cane” aveva raccontato l’altro.
Madina era uscita dalla sua stanza, indossava un abito bianco, con la
gonna a
campana che arrivava fino a metà polpaccio. Anche Astrid si
era palesata, Jason
aveva sentito il rumore della porta che si chiudeva alle loro spalle.
Si era voltato per cercare la ragazza, aveva ancora i capelli
inumiditi,
raccolti in due trecce severe, era vestita in maniera piuttosto
bislacca,
sfoggiava una casula di pelliccia, dall’aria pesante e
datata, lunga fino a
metà delle cosce, da cui uscivano pantaloni a palazzo.
Doveva essere la sua
versione borghese.
“Tu non dire niente!” aveva subito esordito
indicando Mel.
Probabilmente si riferiva alla questione relativa a Freydis.
“Oh, povera, sei morta vero?” aveva chiesto Madina,
prendendola in giro, “Perché
io no!” aveva gongolato. Astrid l’aveva ignorata a
pie pari preferendo
superarli per fermarsi davanti la consueta porta di Fred, solo che alla
fine
non aveva bussato, scoraggiata.
Madina aveva pensato a riempire il silenzio che era aleggiato nel
corridoio, “Jason.
Io e Mel andiamo a fare un doppio a Tennis-Mortale con Halfborn e
Mallory, due
ragazzi del diciannove” aveva dichiarato subito quella,
“Se vuoi puoi venire a vederci”
aveva aggiunto la figlia di Ullr.
“Tennis mortale?” aveva chiesto
Jason perplesso. “Oh, è fantastico! Una
volta abbiamo utilizzato una bomba a chiodi come palla! La prossima
volta
prenoto la stanza per un singolo, sarà
divertentissimo” aveva stabilito Mel, facendoli
l’occhiolino.
“Io invece devo andare ad aiutare al Rifugio” aveva
attirato la loro attenzione
Astrid, “Come pegno a Bltiz per smacchiare la mia pelliccia
di wapiti che un idiota
ha insozzato con il suo sangue” aveva rimarcato la ragazza,
assottigliando lo
sguardo verso Mel. “Siamo nel ventunesimo secolo, Astrid, non
hai sentito tutti
i discorsi che fanno quei due del novantasettesimo piano?”
aveva chiesto
retorico.
“No, io indosso pellicce e mangio carne di balena”
aveva risposto Astrid.
Jason aveva declinato l’invito di Madina, per quanto doveva
dichiararsi
interessato a vedere cosa fosse il Tennis-mortale, “Comunque
vorrei andare in
lavanderia” aveva aggiunto.
La figlia di Ullr l’aveva guardato attenta, come se volesse
capire per bene
quello che nascondeva, ma poi aveva scosso il capo,
“Sì, certo, ti spiego la
strada” aveva concesso.
“Ma no, dai lo accompagno io, sarebbe una tragedia se
sbagliasse strada ed
aprisse una porta per Helheim” si era
intromesso Mel con un sorriso
tranquillo.
Jason faceva davvero fatica a recuperare tutti i nomi, mitologici.
“Poi ti
raggiungo per il tennis” aveva rincuorato la fidanzata.
Astrid aveva imboccato la via verso l’ascensore, forse non
interessata a fare
da guida a Jason anche nel pomeriggio; lui sospettava fosse risentito
per come
era andata la battaglia.
Madina si era mossa per imitarla, quando una voce li aveva tenuti
incollati lì.
“Uhm … ragazzi?” l’invocazione
era venuta dalla stanza di Fred.
Tutti e tre gli altri ragazzi del piano erano saltati su immediatamente.
“Oh! Fred!” aveva esclamato Madina avvicinandosi
subito all’uscio, “Avete
notato che ad un certo punto oggi ha quasi piovuto, ho visto un lampo e sentito
un
tuono” aveva fatto notare Fred da dietro la porta.
“Dovevo essere già morto” aveva valutato
Mel.
Sì lo era.
“Ma si, Otto o Lars oppure qualche altro figlio di Thor si
sarà divertito” aveva
proposto Medina; “Mi sembrava diverso” aveva
suggerito il ragazzo dietro la
porta. “Io scommetterei su Vladimir, quello figlio di Perun;
quello di un altro
pantheon” aveva mentito subito Astrid, prontissima. Fred era
rimasto in
silenzio, “Può essere” aveva concordato
Fred, ma non era sembrato molto convinto.
“Senti, Fred, perché non vieni a vedere la
partita, questa è la volta buona che
vediamo ad Halfborn esplodere la barba” aveva proposto lei
gentile, materna,
mettendo una mano sulla porta. “Uhm … no, io credo
che starò qui sta sera”
aveva risposto quello, prima di allontanarsi dalla porta, Jason aveva
sentito
dei passi distanti.
“Non
esce
mai-mai?” aveva chiesto il romano.
“No, l’ho fa, di tanto in tanto” aveva
risposto Mel, amareggiato.
Astrid era rimasta in silenzio per un attimo, “Che si secchi
l’Hvergemir!
Fred, a nessuno importa di chi sei figlio, parola di
Skraeling!” aveva
dichiarato, riprendendo a marcia dura verso l’ascensore.
Madina aveva gettato un ultimo sguardo alla porta di Fred con
tristezza, prima di
imitare l’amica e Jason e Mel l’avevano imitate.
“La famiglia è un tema sempre delicato, in
particolare da queste parti” aveva asserito
Mel, Jason aveva annuito, poi aveva commentato: “Padre
assento, sorella scappata-di-casa
e matrigna …sui generis.”
Jason non aveva parlato di Beryl, sembrava strano parlare di lei, la
conosceva
pochissimo.
Il gladiatore barbaro aveva annuito, “Io avevo un rapporto
molto altalenante
con mio cugino” aveva dichiarato quello; grattandosi il capo.
Avevano
preso l’ascensore tutti insieme, si erano aggiunti altri
inquilini dell’hotel e
piano, piano, avevano cominciato a separarsi.
“Di qua!” lo aveva chiamato Mel, mentre lo
conduceva per un corridoio, fuori dalle
ante dell’ascensore.
Il corridoio era semi vuoto, con alcune piccola eccezione.
Erano passati dei figuri, con indosso la maglietta verde
dell’hotel con l’aggiunta
della scritta Staff, che avevano lanciato ai due una serie di sguardi
poco
amichevoli.
“Perché siete qui?” uno
si era fermato.
Era lo stereotipo del vichingo, alto, spesso, con i cappelli
biondissimi lunghi
ed una barba bionda e curata.
Aveva occhi chiari e rudi.
“Oh, ciao Askr!” aveva dichiarato Mel, con una
faccia di bronzo, alzando anche
la mano per segno di saluto. “Solo lo Staff può
entrare, Thumelicus” aveva
stabilito Askr senza perdere un minimo della sua rigidità.
Mel aveva voltato il viso verso Jason, “Ho un appuntamento
con un membro dello
staff” aveva provato Jason – era una mezza
verità.
“Con un membro dello staff? Non sarà la mia
Embla!” aveva risposto subito
quello, stringendo i pugni. “Oh, no, no!” aveva
dichiarato subito Jason, “Non
conosco nessuna Embla” aveva aggiunto.
Possibilmente quella cosa aveva fatto arrabbiare Askr anche di
più – a quanto
pare.
“Jason è appena arrivato, non sa niente dei
miti” si era inserito Thumelicus, “Ah,
si, sei quello senza video, giusto?” aveva chiesto Askr
recuperando un po’ di
calma, sebbene avesse ancora l’aspetto rigido e duro.
Jason aveva annuito. “Comunque non me ne importa, questo
è solo per lo staff –
levatevi di torno” aveva ruggito Askr, a salvarli
dall’essere cacciati dal
grosso vichingo, era arrivata giusto Thrud in persona.
“Oh, uomo, ci penso io” aveva
squittito quella con un sorriso rilassato,
palesandosi.
Indossava ancora l’armatura a piastrine sottile, ma sotto si
vedeva la
maglietta verde petrolio dell’Hotel. La gonna di pelle, gli
anfibi e i capelli
biondo rosso lasciati sciolti.
Askr aveva chinato il capo, rispettoso, “Certamente Lady
Thrud” aveva
dichiarato quello, “Inoltre, se cerchi Embla oggi
è di turno alle piscine”
aveva avvertito subito quello. Askr si era fatto esangue in viso, aveva
chinato
il capo, mormorato qualcosa – che Jason non era sicuro fosse
un grugnito, prima
di scomparire a gran velocità.
Mel aveva subito detto a Jason: “Askr ed Embla sono i primi
due esseri umani
creati. Lui è molto geloso, perché sai un tempo
erano solo loro due, invece,
ora ci sono così tanti uomini nuovi. Non si è
ancora abituato” aveva raccontato
subito.
“Sì, sono tipo Adamo ed Eva nostrani,
un’immagine che possa risultarti più
chiara” aveva dichiarato Thrud, attirando nuovamente la sua
attenzione, “Certo
un po’ diverso, niente serpenti e mele del peccato”
aveva aggiunto.
“Ah, faccende cristiane!” aveva dichiarato Mel,
“Se mi chiedi di Cura e
Pandora, forse qualcosa ne so” aveva aggiunto lui, con
nervosismo.
Thrud aveva sorriso ferace, “Non ci serve, guerriero, grazie
per aver scortato
Jason, ma puoi andare guerriero” lo aveva congedato Thrud.
L’ultima parte non
era sembrata molto un invito. Nonostante l’aspetto giovanile
e l’aria
sbarazzina, Thrud era una dea, Jason lo riusciva a percepire, non una
potentissima,
forse era prima una valchiria e poi un membro di una stirpe divina, ma
lo era,
a tutto tondo. Emanava quella riottosità lucente.
Mel aveva annuito ed era scappato, dopo aver salutato Jason, alla
stessa
velocità di Askr. “Buona fortuna per il
tennis” aveva strillato Jason alla sua
schiena.
Jason aveva
seguito la valchiria, nella stanza delle lavasciuga, “Allora Jason
Giovesson”
lo aveva interrogato lei, facendo chiudere la porta alle sue spalle,
“Quale
parte del fingiti mortale, uno particolarmente, cieco hai
perso?” aveva chiesto
retorica la valchiria.
Lui aveva abbassato lo sguardo, colmo di senso di colpa.
“Credo che Astrid lo
abbia capito” aveva dichiarato subito Jason poi.
Thrud aveva sollevato un sopracciglio, “Tu dici?”
aveva chiesto sarcastica, “Io
credo l’abbia capito pure Odino dall’alto del suo
trono” aveva stilettato, “Ma
siamo fortunati … perché starà in
silenzio” aveva aggiunto, la sua valutazione
sembrava più un pensiero tra sé e sé.
L’espressione sempre smaliziata si era
cristallizzata in un tono serio e pensieroso.
“Senti Jason, non pensiamoci ora, abbiamo altro da
fare” aveva dichiarato poi
Thrud, spogliandosi della sua espressione seria ed anche della cotta di
piastrine.
La porta alle loro spalle si era aperta, lei si era fatta rigida e
Jason si era
voltato di scatto.
“Oh! Non sapevo fosse occupato” aveva civettato la
voce falsamente gentile di
Freydis Erikdottir, che differentemente da prima pareva molto meno una
guerriera vichinga ma più una regina, con la gonna blu
pavone, collane e
bracciali d’oro ed i capelli biondi lasciati sciolti.
Alle sue spalle c’erano altre due persone, uno era uno dei
compagni di piano
della donna, l’altro non lo conosceva.
“Molto occupato” aveva risposto Thrud, con
espressione maliziosa.
Freydis aveva ricambiato il gesto, analizzando Jason con ogni
centimetro degli
occhi, “Sì, oggi valutavo non male il nuovo
acquisto del piano venti” aveva
aggiunto.
Jason doveva dichiarare di sentirsi profondamente a disagio davanti una
donna,
per quanto attraente, ma così adulta, essere così
sfacciata con lui. “Hai cercato
di uccidermi con un’ascia” aveva guaito.
“E domani probabilmente lo farò” aveva
tubato di rimando la donna.
“Adesso se potresti per caso …
lasciarci” aveva dichiarato Thrud, attirando
nuovamente l’attenzione su di lei.
“Certo, andiamo via subito” aveva dichiarato con
una certa fretta, uno dei due
uomini, era alto, ma non molto spesso, aveva capelli chiari, quasi
bianchi,
lunghi fino alle spalle, la barba anche quella lunga, curata ed avvolta
in una
treccia. Jason fu catturato dagli occhi: stanchi, il colore era un
ceruleo
intenso, ma macchiati di rosso. Tutto nell’uomo urlava:
stanchezza. Nonostante
vivere nel valhalla rendeva gli einherjar più luminosi di
qualsiasi altro
spettro, Jason non avrebbe faticato nell’immaginare
l’uomo vagare nei Prati d’Asfodelo,
“Buona continuazione Lady Thrud e Jason”
aveva aggiunto quello chiudendo
la porta. C’erano stati mugugni dietro l’uscio,
simbolo di un bisticcio.
“Come sapeva il mio nome?” aveva chiesto Jason.
“Per le viscere di Ymir, Kym aveva detto tu fossi
intelligente” aveva risposto
Thrud. Jason aveva incassato l’offesa, “Giusto la
mia pittoresca presentazione”
aveva considerato.
“Comunque al di là di come Einar sappia il tuo
nome, il problema è Freydis”
aveva valutato Thrud.
“Mel non ha una grande opinione di lei” aveva detto
Jason, ed onestamente
neanche lui. “Vuoi la verità? È
una donna malvagia. Non dovrebbe esistere
una persona fatta di sola cattiveria, tutti siamo
l’equilibrio, sì, ma Fredys
punta decisamente tanto da un lato” aveva considerato.
Jason si era sentito inquietato, “Pensi … ecco,
lei volesse lasciare l’hotel?
Astrid mi ha detto che qui c’è una delle
uscite” aveva dichiarato Jason.
“Si. Spero sia per andare in qualche casino a derubare gente,
però” aveva
considerato, “Ma questo sarà un problema per un
altro giorno e un’altra persona”
aveva squittito, prima di prendere Jason per mano e guidarlo verso le
lavatrici.
Era un Intera parete, la più Alta che Jason avesse mai
visto, e lunghissima.
Tutte le lavatrici erano impilate lunga sopra l’altra, in
colonne altissime,
che si susseguivano in fila quasi infinite. “Non è
mica facile lavare la
biancheria di tutto l’hotel. Si fa un sacco di ricorso al Alf
Seidr, ma
nessuno ha ancora inventato l’incantesimo per ammorbidire le
lenzuola” aveva
dichiarato la Valchiria.
Jason aveva riso.
Thrud aveva cominciato a camminare al fianco delle lavatrici, si era
fermata
alla quindicesima colonna partendo da destra ed aveva schioccato le
dita, una traballante
scala di legno era sfrecciata verso di loro. “Vai, entra
nella sesta” gli aveva
ordinato.
“Cosa?” aveva chiesto Jason.
“Astrid non ti ha mentito, questo è uno dei modi
per lasciare l’hotel, le acque
che vengono usate qui sono quelle provenienti da Hvergelmir
– e dai suoi
affluenti – che è il calderone primordiale. Alcune
di queste lavatrici sono
collegate a specifici fiumi che si connettono ai nove mondi. Il
Valhalla è
pieno di porte, semplicemente alcune non lo sembrano. Da quella
lavatrice puoi
prendere il Vina, uno dei fiumi che scendono nel
mondo degli uomini”
aveva dichiarato tranquilla lei.
“Sono … confuso” aveva ammesso Jason.
“Hai la faccia di uno che lo è spesso,
eh” lo aveva preso in giro Thrud.
Jason non poteva contraddirla.
Thrud aveva ripreso: “Viaggiare seguendo i fiumi è
difficile, tre quarti dei
norreni non sanno farlo. Non chiedermi perché ma solo gli
egizi sono pratici[11].
In
particolare, i fiumi che vanno nel regno mortale, se non si esce in
tempo si
finisce in quello dei morti – che è un problema
anche per te” aveva sottolineato.
“Ma tranquillo” aveva ripreso subito la valchiria,
quando aveva visto il viso
di Jason, “L’acqua non sarà il tuo
elemento ma di qualcuno lo è” gli aveva
strizzato un occhio.
Jason non era stato molto rincuorato, “Okay, romano di
malafede, ho scelto il Vina
perché l’unico fiume di cui non si conosce la
foce. Quindi non finirai nei
domini di Hela” aveva chiarito.
“Immagino di non avere molta scelta” aveva
ponderato Jason.
“Ma che sciocchezze, ne abbiamo sempre una, anzi ne abbiamo
sempre milioni”
aveva dichiarato Thrud.
Jason aveva preso a salire lungo la traballante scala di legno, seguito
dalla
Valchiria.
Aveva aperto l’oblo della sesta lavatrice.
“Mel e Madina hanno detto che se muoio fuori di qui. Muoio di
nuovo” aveva ricordato
Jason. “Sì, ma sei un caso molto particolare,
cerchiamo di non scoprire cosa ti
succederebbe” aveva stabilito la Valchiria.
“Tu puoi morire?” aveva chiesto Jason, guardando
l’interno della macchina,
sembrava il classico interno di ferro di una lavatrice, senza se e
senza ma. “Sì,
tutti possiamo morire, anche gli dei, siamo solo maledettamente
più difficili
da uccidere. Tranne lo zio Baldr, con lui è stato molto
facile” aveva ridacchiato.
“Il lavaggio va impostato in runico, quindi dovrai fidarti di
me” aveva ripreso
Thrud, “Quindi entra” lo aveva invitato.
Jason si era finilato nel cestello, era abbastanza ampio
perché ci stessero in
due.
“Allora sì, Vina. Boston. Le coordinate”
aveva sentito bisbislgiare la valchiria
mente pigiava i dati, “Ma si, dai, lavaggio a
freddo” aveva aggiunto.
Poi si era chinata ed era entrata nello scompartimento con lui,
“Ho impostato
la chiusura automatica” aveva spiegato, “Comunque
io non dovevo venire, però
hai visto come sono buona” aveva ripetuto la valchiria.
L’oblo si era chiuso di scatto e l’acqua aveva
cominciato ad uscire e riempire
lo spazio, così come il cilindro in cui erano aveva
cominciato a giurare.
Jason avrebbe mentito, in seguito, dichiarando di non essere stato
preso dal
panico – ma era una menzogna.
Presto si era ritrovato in un vortice d’acqua letale.
Aggrappato a Thrud con una mano.
Sballottato da corretti fortissime.
Era riuscito a schiudere gli occhi, solo per vedere
azzurre acque e armi d’oro.
Poi come in una giravolta onirica aveva visto altro, era passato sotto
qualcosa, sembrava un galleggiante, grande come una testa umana
… e con
capelli. sentiva voci distorte.
“Oh, si, stai diventando un ottimo utilizzatore del
Seidr, non c’è da
stupirsi, sei un figlio di Frey, in fondo” aveva
commentato il
galleggiante.
Jason aveva allungato una mano, per sfiorarlo, ma le correnti del Vina
avevano trascinato
lui e Thrud lontano, a fondo, con violenza.
Aveva
pensato di morire soffocato, ma quando i suoi polmoni in fiamme lo
avevano
costretto a respirare ancora, aveva trovato l’aria e
l’inconfondibile odore di
stagnazione dei fiumi di città.
“Eccoci! Vivi sull’ansa del Charles”
aveva ghignato Thrud, sollevandosi in
piedi, in un attiamo, differentemente da Jason era di nuovo asciutta e
perfetta.
Lui era zuppo, appesantito e tossicchiante.
“Trovo questo sempre molto affascinante” aveva
commentato una donna.
Jason aveva sollevato gli occhi, aveva fatto fatica a riconoscerla,
visto l’aspetto
così umano.
Una donna dal viso pallido e levigato, occhi grandi, di un verde mare,
capelli
scuri, neri, che sotto il sole freddo di quella giornata, riflettevano
di un
verde scuro.
E l’espressione dura ed inconfondibile.
Jason aveva rantolato: “Divina Kymopoleia.”
[1]
Avevo
trovato un headcanon dove qualcuno ipotizzava questo scenario, di Jason
che
arrivava Nuova Roma dopo essere stato letteralmente cresciuto dai Lupi,
quindi
aveva questo comportamento assai feroce. Mi ha fatto troppo ridere,
quindi, se
eccolo …
[2]
Perun è
lo “Zeus” del Pantheon Slavo.
[3]
Tecnicamente wicinga è un antica denominazione anglosassone
del termine
vichingo, che, approfitto qui per dirvi che non era uno popolo (non
esiste un
unico popolo vichingo) ma più uno “stato
sociale” / “mestiere” dei guerrieri
scandinavi. Comunque, Astrid è “str0nza”
e lo fa apposta.
[4]
Skraeling è il termine con cui i coloni
groenlandesi/islandesi si riferivano ai
nativi americani, ci sono diverse traduzioni (da lingua germanica a
lingua
germanica) ma si
applica di solito il
più comune “Barbaro” (proprio
dall’islandese) a me piace molto anche
“Urlatore”
però.
[5]
Io
faccio parte di quella fetta di Fandom che ha deciso di ignorare il
fatto che
Magnus abbia tagliato i capelli durante la saga (essendo ambientato un
paio di
mesi dopo la fine della saga potrebbero benissimo essere ricresciuti
– Cioè non
ho idea di come funzioni capelli/unghia per gli einherjar, ma facciamo
finta di
niente).
[6]
Viene
ribadito all’interno della saga che Magnus somiglia a Kurt
Cobain, ma chiaramente
non è per quello che Jason trova famigliarità.
[7]
Il nome
sarebbe con la R finale, cioè Managarm, MA lo ho edulcorato
della r finale,
come Riordan fa per Frey(r) e altri nomi “norreni”.
Comunque, non voglio
entrare nel merito su Managarm per ragioni (come Jason anche i lettori
non dovrebbero
avere una chiara idea). Se avete per puro caso letto la mia
ff “Il
Crepuscolo degli Idoli” avevo già citato questo
simpatica creatura, che nella
mia storia sonnecchiava ai piedi di Agroboda.
[8]
Leva
militare romana
[9]
Ho
commesso un errore nei capitoli precedenti, dimenticato che Jason ha il
Gladio
di Giunone, che diventa un giavellotto, e non ha più IVLIVS
che era la
lancia/spada. Mi pare che il Gladio non possa
“nascondersi” però visto che
Jason scopre il suo poter proteiforme, essendo comunque una spada
divina, posso
“aggiustare” le cose con il fatto che Jason abbia
ricalcato la forma della sua
precedente arma per l’aspetto borghese. Sì,
scusate.
[10]
In
Magnus, Tj e Halfborn indossano spesso vestiti del loro secolo, anche
Astrid
tecnicamente lo fa, ma mi piaceva l’idea che Mel e Madina non
lo facessero –
per ragioni di trama.
[11]
Riferimento a Kane Chronicles (In realtà il discorso sarebbe
lungo e complicato).