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Autore: RLandH    29/09/2021    2 recensioni
[Spoiler! uno, ma bello grosso, su TOA, qualcosa su MC&TGoA| Crossover con Magnus Chase| What If]
Mi sentivo di essere pronta a fare un tributo a Jason Grace.
“Lo giuro sullo Stige” aveva dichiarato, certo di aver commesso un errore.
La ragazza aveva sorriso per la prima volta, “Ascoltami bene, adesso, non dire la verità. Fingiti un mortale, uno di quelli ciechi, proprio ciechi e di che non ricordi niente. Questo dovrebbe esserti famigliare” lo aveva preso in giro lei.
Sì, decisamente risvegliarsi in lungo sconosciuti con la memoria a brandelli e feroci ragazze che lo trattavano come se fossero conoscenti da una vita era una sensazione che conosceva piuttosto bene.
Solo che non era opera di Hera, ma Kymopoleia.
“Adesso?” aveva chiesto Jason, la ragazza aveva allentato la pressione della lama sul suo collo, permettendo a Jason di respirare bene, aveva provato a puntellarsi sui gomiti, per tirare su appena il busto.
Quella non aveva smesso di sorridere.
“Adesso” aveva esordito la sconosciuta, “Io non sono mai stata qui e tu asseconderai quello che dico” aveva dichiarato, “E permettimi di scusarmi in anticipo, ma farà male” aveva terminato.
Genere: Avventura, Commedia, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cimopolea, Jason Grace, Magnus Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Percy Jackson in The Multiverse'
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ECCOMI.
Credeteci o meno, nonostante questo capitolo sembri come i precedenti – e così come gli immediati a seguire – iniziano ad esserci le basi per una storia “seria”.
Vorrei ringraziare chi preferisce/segue ed in particolare Farkas ed Edoardo811 per aver recensito! E ovviamente chi legge!
Una piccola promessa: la scena di battaglia è stata un parto e la ho riscritta sedici volte, con altrettante diverse conclusioni. Nessuna mi soddisfaceva al punto tale da aver pensato di bypassarla direttamente. Ma Jason meritava il suo battesimo di sangue.
Era un po’ che non scrivevo personaggi Riordiani nell’universo Riordiano, quindi, spero di aver reso giustizia a Magnus, Alex e Jack (SOPRATTUTTO JACK).
TW: C’è un po’ di MISGENDER per Alex, ma perché Jason non sa – e cerca di fare del suo meglio.
Inoltre: allego qui un’immagine di Thumelic,
https://www.deviantart.com/rlandh/art/MEL-892729039
Ho molta difficoltà a fare gli uomini e si vede, ho dovuto scegliere uno stile diverso, palesemente copiato da una foto, a posta.
Buona Lettura,
RLandH

Combatti. Muori. Sciacqua. Ripeti.

 

“Giù nýlidi!” aveva strillato Freydis, facendolo piombare con la faccia contro l’erba fresca, prima di buttare fuori un po’ di rimproveri in una lingua nordica che Jason non conosceva.
Da qualche parte dietro di loro era esplosa qualcosa. “Ancora mi abituo a queste cose!” aveva strillato la guerriera vichinga, mentre si toglieva le mani dalle orecchie.
Jason si era tirato sui gomiti, aveva le orecchie che fischiavano, il sangue che colava dal naso per l’urto, ma l’esplosione non gli aveva colpiti.
“Hai miei tempi si usava solo spada e ascia” aveva dichiarato lei con voce ruggente.
Jason era ancora confuso dagli eventi per riuscire ad interpretare correttamente le illazioni della donna. Non aveva neanche capito come avesse perso Mel nella bolgia.
Era solo successo.
Jason aveva combattuto, oh sì che lo aveva fatto, anche contro eserciti di mostri – ma non aveva mai visto un campo di battaglia più caotico e nonsense di quello.
“Sì, be è piuttosto nuovo anche per me” aveva dichiarato Jason, cercando di pulire con il braccio il sangue che era preso a colare dal naso, gli faceva un certo male. “Ma sì, immagino” aveva valutato la donna, tirandosi in piedi, mentre faceva oscillare la sua ascia, mogia, calma.
Poi aveva sorriso, inaspettatamente aveva sollevato l’ascia verso di lui per colpirlo. Jason era ancora reclinato per terra ed aveva cercato Panikpak per difendersi, ma la spada gli era ancora ostica.
Il colpo di Freydis non era mai arrivato, la donna era stata colpita in piena testa da una freccia, che l’aveva passata da parte a parte, facendola esplodere in polvere d’oro.
Jason era rotolato giù da una cunetta per togliersi dalla prospettiva di essere colpito anche lui.
Evidentemente aveva ragione Mel, doveva ricordarsi di dirglielo.
“Oh ti sei preso il tuo tempo” aveva dichiarato Astrid, che era proprio lì. Jason non l’aveva vista arrivare, “Credo che Freydis abbia orchestrato la nostra divisione” aveva dichiarato lui, tirandosi in piedi, onestamente poteva aspettarsi che anche la sua vicina di casa pensasse di piantargli la sua bella lancia in pancia.
“Lo so, quel dannato sassone non farà altro che rinfacciarmelo” aveva dichiarato Astrid. Aveva un labbro spaccato ed un occhio gonfio, ad una mano aveva la sua accetta, era diversa dalle asce che aveva visto nell’armeria – o quella di Freydis – era più piccola, con l’orlo della lama più ampio e tondo.
“Se posso essere onesto non capisco” aveva dichiarato Jason alla fine, quasi sconfitto. “Freydis è un tipo particolare, non ha una bella fama, ha tradito due sue compagni, ma è un’amica di mio padre ed è la madre di una persona a me cara. Perciò io di lei mi fido, nonostante tutto. Non ho dubbi che la sua lama, quando verrà il Ragnarok sarà rivolta contro i miei nemici” aveva dichiarato Astrid, mentre lo conduceva per la vallata erbosa.
Jason l’aveva seguita, svelto, “Tuo padre le ha dato una mano, vero?” aveva chiesto poi alla fine. Non sapeva come lo aveva pensato, ma aveva avuto questa impressione, se pensava all’indignazione che aveva avuto prima, mentre parlava con Madina. “A tradire i suoi amici? No. Tradire i compagni di Freydis? Quello sì” aveva ammesso senza vergogna Astrid, “Però non erano suoi amici. Lei lo era, lo è ancora oggi” aveva dichiarato un po’ più tesa.
Famiglia. Argomento ostico.
“Anche tuo padre è qui?” aveva chiesto Jason, sollevando le sopracciglia. Non … non sapeva se fosse il caso di parlare di famiglia. Jason Aveva notato fosse sempre una danza complicata, per quasi tutti i mezzosangue e per buona parte dei suoi amici. Avrebbe voluto dire che lo fosse anche per lui, ma Beryl Grace non era altro che un nome sorto nel tempo, una memoria vaghissima, così come Thalia e Giove … Giove era un’idea.
Lupa lo aveva cresciuto e poi Roma … e sì, non avere una famiglia era stato difficile, ma non più di ogni altre cose. “Sì. Piano centododici, non scende quasi mai a combattere. Te lo ho detto: forgia armi per lo più. Ogni tanto fugge su Nidavelir, il regno dei nani. Lui è un buon guerriero, o non sarebbe finito qui, ma è … un fabbro. Non è certo Volund ma è un buon fabbro” aveva dichiarato Astrid con voce rude, poi si era voltata verso Jason, facendo oscillare le trecce scure – nere come piume di corvo.
“Senti, io non ho problemi a parlare di mio padre, mia madre, la mia famiglia in generale, partendo da Nonna Sif e finendo con il mio defunto pronipote Svane; però, ecco, sappi che non è così per tutti” aveva annunciato lei, seria, aveva uno sguardo duro, ruggente come il metallo, occhi chiari come il ghiaccio.
Jason si riteneva un bravo osservatore da sapere che non era del tutto vero.
Come Mel” aveva valutato Jason, non era stato mai bravissimo nel capire i sentimenti umani – la strategia, il combattimento, il corpo ma non i sentimenti – ma aveva ancora occhi.
“Come Mel e Fred, se mai uscirà” aveva confermato Astrid, piena di vergogna, almeno nella voce, con l’espressione invece ancora fredda come il ghiaccio. “Comunque, sì, te ne sei accorto … ogni tanto sono sgarbata. Non lo faccio a posta e non è una scusante” aveva dichiarato la ragazza prima di dargli nuovamente le spalle, Jason poteva immaginare che nelle sue orecchie quella frase fosse un mantra ripetuto ad oltranza da Madina.
“Mel ha detto che non hai mai imparato l’educazione” aveva considerato Jason, non era un rimprovero o altro, aveva anche detto fosse cresciuta sola come un cane. Questo lui lo poteva capire, aveva passato anni, come unico bambino nel branco della Lupa, c’era voluto tempo, quando era arrivato a Nuova Roma ad abituarsi agli altri, ad abituarsi ai comportamenti sociali degli altri. Per un anno aveva letteralmente ringhiato a chi si avvicinava di soppiatto[1]. Jason aveva visto una serie di emozioni balenare dietro gli occhi chiari di Astrid, ma alla fine aveva ridotto le labbra in una fessura, “Uhm … mio padre sapeva disciplinare il ferro meglio di quanto sapesse fare con me” aveva concesso.

“Quanto tempo dobbiamo restare vivi?” aveva domandato Jason, mentre la seguiva, a carponi, lungo la piana, a riparo dietro un’altura, diretti verso la foresta.
C’era stata un’altra esplosione, più lontana, ma non di molto.
“Fino a che non suona il corno” aveva dichiarato Astrid, “Ma puoi morire, tranquillo. Mel è già morto” aveva dichiarato Astrid, prima di fermarsi.
“Primato rovinato?” l’aveva presa in giro Jason. “Sì. Erano ben settantanove giorni che nessuno del piano venti moriva durante il giorno, se si esclude il suicidio di Mel con la forchetta” aveva risposto Astrid, “Adesso, alzati e scatta veloce, dobbiamo entrare nel bosco” aveva dichiarato.
“Cosa c’è nel bosco?” aveva chiesto Jason, invece. “Uhm … Un fortino e … Alex Fierro! Lo ho … ehm … la ho … ho visto la sua persona entrare” aveva dichiarato Astrid, piena di imbarazzo, “Penso sia una trappola, ovviamente, ma … infondo che importa?” aveva chiesto quella.
Jason si era lasciato sfuggire un sorriso, “Siamo qui per morire infondo” aveva concordato.
“Siamo qui per rischiare di morire e non farlo” l’aveva corretta lei.
L’attimo dopo, Astrid si era sollevata in piedi ed era scattata svelta come una gazzella verso il boschetto, Jason l’aveva imitato.
Aveva gambe più lunghe rispetto la ragazza e l’avrebbe superata, ma aveva preferito rimanere alle sue spalle, riusciva a vedere oltre Astrid, la ragazza  alle sue spalle. Aveva usato il vento, poco, non sapendo come gestire quel potere, lì, per non farlo vedere, per creare delle correnti d’aria che rendessero la traiettoria della frecce.
Una era vibrata pericolosa ad un passo dalle loro occhie.
“O tutti dei!” aveva dichiarato Astrid, “Meno male che avevano il vento contro” aveva valutato Jason, “Meno male … ma non c’è vento qui” aveva risposto quella, assottigliando gli occhi chiari.
Jason era avvampato.
Poi Astrid si era lanciata eclettica nel bosco.
Lui preferiva di solito il campo aperto, ma non aveva senso rimanere scoperto ad una pioggia di frecce, davanti a quel caos albergante, di lame e scudi, tutti contro tutti.
Terribilmente caotico.
Molto di più di quanto fosse stata la battaglia contro Gea, dove almeno era stato possibile distinguere chi fosse contro chi.
Il bosco nascondeva insidie, specie per lui, che non lo conosceva, ma aveva osservato come svelta ed attenta era Astrid.
Aveva passi sottili e leggeri come quelli di una cerbiatta, saltava da un albero all’altro, nascondendosi dietro le cortecce. Posava la schiena contro il tronco ed attenta che neanche un filo di capelli scuri sfuggisse alla sua vita, osservava più in là, per poi saltellare.
Erano anche mille anni che lo faceva.
“Allora … ti eviterò l’impiccio del mentirmi, non chiedendoti niente” aveva esordito lei, il suo tono era basso, ma duro come l’acciaio.
“Cosa?” aveva chiesto Jason, aggrottando le sopracciglia.
“Uhm … Non ti sei mosso sul campo come si muovono quelli di oggi. Eri preciso ed attento, a tutto. Ti ho visto intimidire Gunther del quattrocentesimo piano con una sola occhiata. Zia Trudy ha messo su una scenetta per te, oh certo! Il vento!” lo aveva pizzicato lei.
“Il vento …” aveva ripetuto Jason, certissimo di non essersi fatto beccare, era stato un movimento leggero di dita, una brezza forse si, ma veloce, per deviare la freccia.
Poi si era voltata verso di lui, l’espressione non più così austera, “Oh! Il tatuaggio, ovviamente!” lo aveva stuzzicato.
Gli occhi chiarissimi di Astrid avevano seguito il profilo del suo braccio, lì dove nella parte interna, era inciso in nero la sua inequivocabile appartenenza a Nuova Roma.
“Sono fan dei Romani; colpa di mia madre, ha fatto una comparsa nella serie degli anni Settanta, IO, Claudio … e poi dai, siam tutti cresciuti con il gladiatore” aveva provato Jason, mentendo, circa. Non aveva mai visto il secondo film, anche se Gwen una volta aveva tenuto una seduta durata un’ora, durante una riunione del senato, per lamentarsene. Beryl Grace di rimando aveva davvero fatto una comparsa nella serie da lui citata.
Jason l’aveva scoperto molto tardi nella sua vita, glielo aveva raccontato Thalia. Dopo aver dismesso la sua ricerca di Leo ed aver cominciato a frequentare la scuola, aveva provato a procurarsela, così alcuni suoi compagni – decisamente più navigati di lui con internet, e senza incorrere nel rischio che qualche mostro fosse attirato dai loro macchinari – gliela avevano scaricata. Aveva visto tutti e tredici gli episodi, cercando, nello sfondo, la fugace figura di Beryl Grace – era quasi certo di averla intravista, durante il sesto episodio.
“Sì, come no” aveva ribattuto Astrid, riportandolo con i piedi per terra, “Stai tranquillo, ogni tanto capita che qualcuno il cui dominio non è qui, ci finisca. Una valchiria al momento giusto. Se non ricordo male, credo ci sia un guerriero figlio di Perun[2] da qualche parte” aveva replicato lei.
Jason non credeva fosse così semplice o Thrud non sarebbe stata così categorica.
“Quindi non ti chiederò niente” aveva stabilito Astrid, “Anche perché ho l’impressione che zia Trudy potrebbe essersi messa nei guai”.
Jason si era morso le labbra, “Grazie” aveva concesso alla fine.
Astrid aveva fatto qualcosa che somigliava ad un sorriso, ma Jason non si sentiva così audace da definirlo in quella maniera. “Solo, ecco, magari terrei la tua propensione alla romanità più nascosta. Mel non ama molto i romani” aveva esclamato lei.
“Immagino sia da imputare al fatto che fosse uno schiavo” aveva valutato lui; cheruscio e gladiatore, non vedeva molte altre possibilità; Astrid aveva sollevato le spalle, “Immagino sia per quello” aveva concordato lei.
Jason aveva sentito un frusciare alle sue spalle, si era lanciato verso Astrid, facendola ruzzolare per terra, un fischio aveva tagliato l’aria mentre un laccio con due pesetti aveva colpito il tronco di un albero.
“Che riflessi” aveva constato Astrid, “Sono stato cresciuto a test mortali” aveva concesso Jason, stringendo le labbra. Non sicuro di quanto potesse essere onesto. Conosceva Astrid da poco meno di ventiquattro ore. Anche se lei lo aveva già scoperto.
“Anche io” aveva dichiarato Astrid, calma, “Il mondo wicinga[3] non era gentile con una skraeling[4]” aveva aggiunto.
“Non capisco niente di quello che dici, lo sai?” aveva chiesto Jason, poi.
Astrid si era lasciato sfuggire un sorriso divertito, “Devi proprio cominciare a studiare” aveva ammesso lei.
Lui aveva annuito, “Potresti alzarti?” aveva chiesto poi Astrid. Jason, realizzando di esser steso ancora sopra la ragazza, si era spostato, a metà tra l’imbarazzo e la consapevolezza che fossero ancora nel pieno di una battaglia. 

Avevano dovuto camminare per almeno un’altra ora nella foresta, avevano ucciso il lanciatore pazzo, due trapezisti armati di lancia ed un soldato della Prima guerra mondiale.
Jason ci aveva guadagnato anche un foro di proiettile fresco alla spalla.
Però, aveva potuto osservare una cosa, Astrid era una furia. Era davvero una furia ed anche terribilmente brutale.


Però avevano trovato il famoso fortino.
“Ciao Magnus! Immaginavo che dove ci fosse Alex dovevi esserci anche tu” aveva commentato Astrid, aveva perso gran parte dell’allegrezza, avendo recuperato la sua espressione calma. Gli occhi cerulei erano quasi spaventosi, con il viso macchiato di sangue, rispetto alla sera prima non sembrava toccata dal fatto che probabilmente avrebbe dovuto bruciare i vestiti.
Anche Jason, per fortuna doveva già andare in lavanderia.
Magnus, la persona a cui Astrid si stava riferendo, aveva sorriso verso di loro.
Era sul tetto del fortino – se così poteva essere chiamato, un’accrocchi di pannelli in ferro ed altri metalli in un patchwork spaventoso. Leo lo avrebbe amato.
“Sì, abbastanza prevedibile” aveva constato il ragazzo di nome Magnus. Era giovane, aveva valutato Jason, sembrava suo coetaneo, ma lì, non voleva dire nulla, il ragazzo poteva avere quasi duemila anni, differentemente da gran parte dei membri dell’hotel, sfoggiava dei pantaloni di jeans sbiaditi ed una t-shirt, esibiva anche un paio di converse verde pistacchio. Aveva un viso bello, fresco, un po’ appuntito, capelli biondi, lunghi fino alle spalle[5], leggermente ondulati sulle punte. Sembrava un po’ Kurt Cobain, o almeno Jason imputava a quello, il senso di famigliarità che il ragazzo gli suggeriva[6]. “Però non credo di ricordare il tuo nome” aveva ammesso con somma vergogna Magnus, grattandosi il capo biondo.
Aveva gli occhi grigi.
“Sul serio?” aveva esclamato Astrid, offesa.

Mango! Sei pessimo!” aveva ghignato una voce alle loro spalle. Jason si era voltato di scatto, non lo aveva sentito, ma qualcun altro si era avvicinato.
Era la ragazza – Jason non ne era sicuro – con gli occhi eterocromi, uno scurissimo e l’altro biondo come l’oro fuso, aveva uno sguardo affilato da gatta ed un sorriso piuttosto divertito. L’incarnato era zucchero cotto e i capelli corvini, sporcati sulle punte di verde.
“Mi chiamo Astrid! Vivo da qui da MILLE ANNI. Due settimane fa ti ho ucciso” aveva ribattuto acida la ragazza. “Oh, sì, sei quella che mi ha ucciso con un arriccia capelli per l’Epica-Guerriglia-Notturna!” aveva ricordato Magnus, mentre con un movimento svelto era scivolato via dall’accrocchi-fortino, per essere sull’erba.
Jason non aveva tolto lo sguardo dall’altra invece, che non si era mossa di un centimetro, indossava sgargianti pantaloni rosa ed una maglietta verde brillante, non quella dell’hotel, ma gli occhi di Jason erano per le mani, in cui stringeva una garrotta fatta di un filo sottile, ma d’oro lucente.
“Io sono Alex, immagino che tu non conosca ancora molte persone” aveva cinguettato lei – Jason non era davvero sicuro fosse una ragazza, era molto androgina – “Lui lo sapete chi è!” aveva dichiarato Astrid, ammiccando a Jason.
Si era comunque presentato, per cortesia.
Magnus lo aveva studiato, come se stesse cercando qualcosa – Jason ebbe il timore di sapere cosa fosse e istintivamente aveva nascosto il braccio con il tatuaggio.
“La presentazione più originale da quella di Mango, a quanto si dice” aveva dichiarato Alex.
“Sono oggettivamente contento che mi abbiano rubato il primato” aveva concesso il biondo con un sorriso nervoso.
Astrid aveva stretto il manico sulla sua piccola accetta, “Domanda veloce, Jason” aveva detto, mentre faceva saettare gli occhi chiari ad Alex ed il suo fil di ferro.
“Quanto sei bravo come spadaccino?” aveva chiesto lei, serissima. Per una miglior coerenza con le menzogne di Thrud, Jason avrebbe dovuto dire che era pessimo o passabile o qualcosa del genere, ma la serietà nello sguardo di Astrid lo confondeva.
“Sono bravo” aveva dichiarato, con sicurezza.
Era cresciuto con spada e lancia alla mano. Era bravo.
Astrid aveva piegato appena le labbra, “Be, perché dovrai essere maledettamente bravo, perché l’alternativa è vederla contro non so … un grizzly?” aveva dichiarato lei, facendo saettare gli occhi contro Alex.
“Lo so, hai affrontato anche M
ánagarm[7], una volta” aveva dichiarato l’altra, mettendo da parte la sua garrota, nella tasca posteriore dei suoi pantaloni.
Jason si era voltato contro Magnus, intuendo dovesse essere lui il suo avversario, aveva stretto di più la presa su Panikpak, trovandola ancora così estranea.
Magnus si era slacciato la collanina che portava al collo e l’aveva fatta roteare in aria, quando l’aveva afferrata non aveva più un laccio, ma una lama d’oro splendente.
Ei amico, era ora!” aveva dichiarato qualcuno.
“Scusa amico” aveva dichiarato Magnus, riferendosi alla sua spada. “Jason-Jack, Jack-Jason” aveva dichiarato Magnus, inclinando il polso, facendo oscillare la sua lama, come se la stesse introducendo – probabilmente lo stava facendo.
“Ei, Salve Jason. Scusa se dovrò ucciderti, poi dopo possiamo scambiarci le nostre playlist” aveva dichiarato ancora la voce, era la spada. La spada parlava.
Jason aveva schiuso le labbra.
“Lo so, fa uno strano effetto” aveva dichiarato Magnus. Jason sapeva di armi parlanti, Apollo aveva una freccia che gli sibilava cose, ma poteva sentirla solo lui.
“Jack, non credo che Jason voglia avere la tua playlist di Katy Perry o Taylor Swift” aveva provato il proprietario, riferendosi alla spada.
Era una situazione paradossale, “Sciocchezze Magnus, a tutti piace Katy Perry, giusto Jason?” Jack si era rivolto direttamente a lui.
“Ehm … mi piace Hot e Cold” aveva provato Jason colmo di imbarazzo, “Vedi?” era stata la risposta della spada con un tono anche piuttosto soddisfatto.
“Oh, dei del cielo, volete anche un po’ di idromele a Kanelbullar?” aveva richiamato la loro attenzione Astrid.
Non era più al fianco di Jason in quel momento, “Magari dopo” aveva risposto Alex, era stata lei la prima a rompere lo stallo, lanciandosi su Astrid, disarmata, ma quando l’aveva raggiunta non era umana, ma era una bel puma dalla forma snella e flessuosa.
L’altra non si era data per vinta ed anche se era finita sotto le zampe bestiali, aveva ficcato la lama all’altezza della spalla della pantera.

“Alex è uno shapeshifter” aveva dichiarato Magnus, come Frank, era stato il pensiero dolce che aveva passato la mente di Jason.
“Quindi, vogliamo far qualcosa o chiacchieriamo soltanto?” aveva domandato Jack, “No, perché per me non dovrebbe esserci nessun problema. Nei convenevoli sono anche più affilato di quanto taglio” aveva ripreso a blaterale la spada.
“Ti prego combattiamo o non starà zitto” lo aveva letteralmente implorato Magnus.
“Va bene” aveva ammesso Jason, più rilassato.
Non aveva mai combattuto con così tanta rilassatezza, neanche quando erano semplici allenamenti a Campo di Giove. Tutto aveva uno scopo, tutto doveva essere preciso. Si allenava per il futuro, per quella profezia che sapeva essere per lui.
Ogni duello, anche il più sciocco, era stato vissuto con … dolore.
Alla fine di quello scontro sarebbe probabilmente morto, solo che vista la situazione, la cosa non gli provocava brividi.
“Va bene!” aveva concesso rilassato, “Inoltre: preferisco Florence e the Machine” aveva aggiunto.
Quell’ultima frase era stata interpretata da Jack come un’offesa personale visto che aveva cominciato a vibrare nella mano di Magnus.
Ebbe quasi l’impressione che fosse la spada a guidare lo spadaccino verso di lui, che il contrario.
Jason si era quasi distratto quando aveva sentito un ruggito – sicuramente non da pantera – alle sue spalle, ma aveva intercettato il colo, parando con Panikpak.
I due ferri avevano cantato insieme.
“Troppo rude, decisamente non il mio tipo” aveva dichiarato Jack.
“Scusa è una spada un po’ … provolona?” aveva provato, imbarazzato Magnus, quasi danzando, mentre arretrava. “Panikpak terza è troppo rude, sua sorella Panikpak sedici è molto più dolce, prendi lei la prossima volta, ti prego!” lo aveva supplicato la spada.

Jason aveva vissuto situazioni che faticava ancora a realizzare essere davvero successe, ultima essere rapito dal paradiso da una Valchiria Chiacchierona, ma la conversazione con la delirante spada parlante marpiona e fan di Katy Perry era in cima alla lista.
Però Magnus era davvero un signor spadaccino, o meglio, era molto bravo, ancora un po’ grezzo, di chi probabilmente aveva imparato l’arte della spada in modo duro e crudo – probabilmente affinandosi nella lotta proprio lì nel Valhalla, fino alla morte – ma dove arrivavano i limiti di Magnus, aggiustava le cose Jack, che non era decisamente solo una spada chiacchierona.
Ne aveva avuto la conferma quando Magnus l’aveva lasciata ed era stata la spada a continuare il duello, non in autonomia, ma quasi.
L’altro enherjar la guidava da lontano. Jason, si sentiva sia fuori allentamento, sia pressato. Jack era diversa da qualsiasi spada avesse mai provato e doveva ammettere che Panikpak non era alla sua altezza, ne ebbe la conferma dopo una vibrazione, posteriore ad un impatto, fin troppo forte, nel vederla saltare via metà.
Aveva evitato l’affondo di Jack per poco, ritrovandosi un taglio brutale sopra la clavicola.
Anche con tre quarti di spada aveva continuato a menar la lama, consapevole di star combattendo ormai consapevole di aver finito.

Astrid e Alex alle loro spalle avevano continuato il loro scontro, composto da versi, strazzi ed urli.
Magnus aveva fatto qualcosa con le mani, Jason, impegnato a guardare il profilo scintillate di Jack, non aveva visto bene, ma per un momento per quanto breve aveva sentito il bisogno di lasciar perdere.
Era la stessa sensazione dei campi elisi. Pace.
Pace fluttuante, eterea.
“IGNORALO!” aveva sentito urlare Astrid, “È opera dell’alf siedr! È la pace di Frey!” aveva specificato.
Jason aveva lasciato scivolare dalla sua presa Panikpak.
Era forte il potere di Magnus, era forte la pace di Frey, ma lui era stato educato con il dilectus[8], per quanto l’avesse poi trovata insofferente.
Onore e disciplina.
Oh Marte Ultore!
Aveva mosso la mano svelto, richiamando gli spiriti del vento, o i venti, molto di più di quanto avesse fatto per cambiare le direzioni delle frecce. Sapeva ci fossero. Lì sentiva nell’aria, così come la sera prima aveva visto le valchirie cavalcarle. Non era certo affatto di poterli dominare, non era nel suo dominio, però lo era, da quel momento lo era. Aveva evocato delle piccole turbine, aveva disorientato Jack così e sbalzato Magnus, che era finito a terra, poco lontano dal fortino.
“Amico che è successo?” aveva chiesto Jack, mentre tornava tra le mani del suo proprietario, “Confesso una certa confusione anche io” aveva ammesso quello, tirandosi su, massaggiandosi la nuca.
Jason aveva guardato i resti di Panikpak sull’erba nuda … e già che aveva ballato, valeva la pena continuare.
Aveva recuperato la moneta e l’aveva fatta scattare verso il cielo, quando l’aveva afferrata, aveva afferrato il gladio di Giunone[9].
“Oh! Per l’ultimo fidanzato di Taylor Swift, un nuovo amico!” aveva ghignato Jack su di giri, “Ed anche … be, come me!” aveva esclamato Jack felice.
“Uhm?” aveva provato Magnus, “Forgiata per un dio!” aveva dichiarato Jack soddisfatto, “Ed ovviamente non abbandonato dal suo BRO per infilarsi sotto le gonne di una donna” aveva aggiunto infastidito.
Magnus aveva roteato gli occhi, Jason indovinò dovesse essere una situazione ricorrente.

Jason aveva avanzato, rincuorato, si sentiva più forte, accompagnato dal vento, dalla sua spada – romana – e dal tempo. Il sole luminoso del campo, che filtrava dalle fronde degli alberi, cominciava ad offuscarsi.
Prima venne una luce, il lampo, poi il tuono.
“Jason!” la voce di Astrid era arrivata inaspettata, si era voltato verso la sua amica, aveva un colorito esangue, giacché buona parte di esso le imbrattava il viso ed il corpo. I vestiti erano stracci e tagli le deturpavano la pelle.
Ma non stava chiamando per avere il suo aiuto, gli occhi chiari di Astrid erano scintillanti di rimprovero.
Era stato stupido … e aveva esagerato.
Si era voltato ed era andato contro Magnus, mentre i raggi del sole tornavano a fluire su di loro. L’altro era rimasto sconvolto per un secondo, confuso, ma aveva presto risposto allo scontro, senza perdere.
Jason dovette ammettere fosse stanco, esausto, drenato … ma libero.
Magnus era letale e capace e Jason rispondeva.
Ebbe l’impressione che nulla avrebbe potuto fermare quello scontro che nessuno avrebbe potuto sovrapporre l’altro, che avrebbero lottato in eterno.
Senza che Jason potesse disporre dei suoi altri poteri e come aveva l’impressione l’altro stesse rispondendo.
Ed ebbe anche la sgradevole illuminazione che se Magnus non lo avesse ucciso, Jason non sarebbe riuscito ad ucciderlo ugualmente. Una parte di lui sapeva che quel combattimento non poteva essere davvero per la vita e … Magnus non era un mostro, non era un nemico, non era un imperatore pazzo, era un ragazzo come lui …
E Jason … Jason non ci era abituato.

Era stato ferito alla gamba da Jack e con Giunone aveva affettato una parte della faccia del ragazzo ed erano andati avanti così, ripetutamente, finché non era finiti ad essere altro che dei colabrodi, incapaci di stare in piedi. Jason si ara accasciato per primo, Magnus aveva fatto un po’ di passi, ma poi era caduto anche lui.
Esausto e morente, senza riuscire a stillare il corpo mortale.
Jason si era trascinato verso di lui, “Uhm …” aveva provato Magnus, sputando un po’ di sangue e tossicchiando, “Potremmo suicidarci?” aveva proposto.
Jason aveva provato a ridere, ma continuava a sentire dolore in ogni centimetro di se, mentre con gli occhi sfiorava la luce dietro le fronde. Era quasi … liberatorio.
“Sei bravo” aveva riconosciuto Jason, “Grazie, tu di più” aveva risposto Magnus.
Poi erano rimasti lì, pallidi e dissanguati.
Il sole era stato oscurato dalla figura di Alex, la maglietta era quasi disintegrata, i pantaloni verde erano macchiati di rosso e respirava a fatica.
Mancava l’occhio nero e parte della faccia.
“Devo uccidervi io? Eh?” aveva chiesto, nonostante tutto con il sorriso soddisfatto di un gatto sornione – con meno denti.
“Sarebbe fantastico, amore” aveva risposto Magnus.

 

Nico era in contemplazione, non era al campo, Jason sapeva dove fosse: era nel labirinto. In qualche maniera ancora vivo. Per sempre vivo. Una creatura a sé che non poteva essere soffocata.
Nico era seduto per terra, teneva tra le mani una maschera di Medusa. Stava provando un’invocazione.
Il suo amico aveva rovesciato sul fuoco una coca-cola, una cool-aid, delle patatine fritte, due hamburger ed una fetta di cheesecake ai lamponi, anche un paio di ossa di costine, ricoperte di grasso. Una delle più sostanziose offerte che avesse mai visto.
“Ho bisogno di parlare con loro. Con uno di loro” aveva dichiarato, la sua voce era dura, inflessibile. Nico era sempre stato potente, il più potente, ma in quel momento, la sua forma rispettava la sua forza.
Il fuoco era scintillato, da rosso, a blu, a verde, era divampato, si era alzato colonne di fumo, fuliggine, storto.
Poi un viso era affiorato, “Il nostro sonno non può essere disturbato” aveva dichiarato una voce, era gentile, Jason la conosceva. Viso pallido, occhi blu e crine nerissimo, un sorriso dolce decorava un volto attraente. La ragazza di nome Silena.
Nico stava evocando uno spirito dei Campi Elisi.
“Voglio sapere di Jason Grace, era uno di voi ed ora non lo è più” aveva dichiarato il suo amico.

 

Jason si era svegliato di soprassalto.
Era nella sua bella camera al piano venti dell’hotel.
Era morto una quarta volta, questa volta ci aveva pensato Alex a mettere fine alla sua piuttosto lenta agonia. Fino a quel momento era stata l’unica morte vagamente piacevole che aveva avuto, per i canoni del morire.
Però stava bene in quel momento, si sentiva in forze ed anche riposato.
Se escludeva Nico dalla sua testa ovviamente – non che volesse farlo.
Si era alzato, scostando le coperte, i suoi vestiti erano nuovi e non una traccia delle ferite che aveva addosso erano presenti.
Aveva comunque deciso di buttarsi in doccia e cambiarsi, guidato più dal fatto di sentirsi addosso i suoi vestiti da più tempo del necessario.
Aveva indossato dei jeans ed una maglietta, recuperato dall’armadio della stanza. Non era sua. Però era di un vibrante viola che ricordava la maglietta del Campo di Giove senza esserlo.
Aveva osservato il pavimento della sua stanza dove erano ancora sparsi fogli in tutti i luoghi.
Doveva finire, realizzò.
Ma non era quello il momento a dargli manforte, ci fu anche un tocco alla sua porta.

Jason aveva aperto.
Mel era lì, con indosso la maglietta dell’hotel ed i pantaloni cachi di trekking, tutt’altro che con l’aspetto di un feroce gladiatore – doveva essersi abituato bene allo stile moderno[10].  Inoltre, non aveva più i capelli sistemati in una treccia, ma lì portava sciolti, coprendo la rasatura sulle tempie. Non sembrava più un terribile guerriero mirmillone ma appariva un adolescente trasandato degno di una comunità hippy – circa. Jason non ne aveva mai vista una, ma lo immaginava così.

“Come è stata la prima giornata a Idavol?” aveva chiesto allegro, con un sorriso bello luminoso.
“Dove?” aveva domandato Jason, “Il campo, si chiama Idavol!” aveva chiarito subito l’altro, mentre si faceva da parte per farlo uscire dalla stanza.
“Sono morto di stenti, letteralmente” aveva raccontato Jason, aggiustandosi gli occhiali sugli occhi. “Meglio che a me, “Mi hanno decapitato, con una spada, solo che ci hanno messo tipo tre o quattro colpi, ha fatto davvero schifo ed un male cane” aveva raccontato l’altro.
Madina era uscita dalla sua stanza, indossava un abito bianco, con la gonna a campana che arrivava fino a metà polpaccio. Anche Astrid si era palesata, Jason aveva sentito il rumore della porta che si chiudeva alle loro spalle.
Si era voltato per cercare la ragazza, aveva ancora i capelli inumiditi, raccolti in due trecce severe, era vestita in maniera piuttosto bislacca, sfoggiava una casula di pelliccia, dall’aria pesante e datata, lunga fino a metà delle cosce, da cui uscivano pantaloni a palazzo. Doveva essere la sua versione borghese.

“Tu non dire niente!” aveva subito esordito indicando Mel.
Probabilmente si riferiva alla questione relativa a Freydis.
“Oh, povera, sei morta vero?” aveva chiesto Madina, prendendola in giro, “Perché io no!” aveva gongolato. Astrid l’aveva ignorata a pie pari preferendo superarli per fermarsi davanti la consueta porta di Fred, solo che alla fine non aveva bussato, scoraggiata.
Madina aveva pensato a riempire il silenzio che era aleggiato nel corridoio, “Jason. Io e Mel andiamo a fare un doppio a Tennis-Mortale con Halfborn e Mallory, due ragazzi del diciannove” aveva dichiarato subito quella, “Se vuoi puoi venire a vederci” aveva aggiunto la figlia di Ullr.
Tennis mortale?” aveva chiesto Jason perplesso. “Oh, è fantastico! Una volta abbiamo utilizzato una bomba a chiodi come palla! La prossima volta prenoto la stanza per un singolo, sarà divertentissimo” aveva stabilito Mel, facendoli l’occhiolino.
“Io invece devo andare ad aiutare al Rifugio” aveva attirato la loro attenzione Astrid, “Come pegno a Bltiz per smacchiare la mia pelliccia di wapiti che un idiota ha insozzato con il suo sangue” aveva rimarcato la ragazza, assottigliando lo sguardo verso Mel. “Siamo nel ventunesimo secolo, Astrid, non hai sentito tutti i discorsi che fanno quei due del novantasettesimo piano?” aveva chiesto retorico.
“No, io indosso pellicce e mangio carne di balena” aveva risposto Astrid.
Jason aveva declinato l’invito di Madina, per quanto doveva dichiararsi interessato a vedere cosa fosse il Tennis-mortale, “Comunque vorrei andare in lavanderia” aveva aggiunto.
La figlia di Ullr l’aveva guardato attenta, come se volesse capire per bene quello che nascondeva, ma poi aveva scosso il capo, “Sì, certo, ti spiego la strada” aveva concesso.
“Ma no, dai lo accompagno io, sarebbe una tragedia se sbagliasse strada ed aprisse una porta per Helheim” si era intromesso Mel con un sorriso tranquillo.
Jason faceva davvero fatica a recuperare tutti i nomi, mitologici. “Poi ti raggiungo per il tennis” aveva rincuorato la fidanzata.
Astrid aveva imboccato la via verso l’ascensore, forse non interessata a fare da guida a Jason anche nel pomeriggio; lui sospettava fosse risentito per come era andata la battaglia.
Madina si era mossa per imitarla, quando una voce li aveva tenuti incollati lì.
“Uhm … ragazzi?” l’invocazione era venuta dalla stanza di Fred.
Tutti e tre gli altri ragazzi del piano erano saltati su immediatamente.
“Oh! Fred!” aveva esclamato Madina avvicinandosi subito all’uscio, “Avete notato che ad un certo punto oggi ha quasi piovuto, ho visto un lampo e sentito un tuono” aveva fatto notare Fred da dietro la porta.
“Dovevo essere già morto” aveva valutato Mel.
Sì lo era.
“Ma si, Otto o Lars oppure qualche altro figlio di Thor si sarà divertito” aveva proposto Medina; “Mi sembrava diverso” aveva suggerito il ragazzo dietro la porta. “Io scommetterei su Vladimir, quello figlio di Perun; quello di un altro pantheon” aveva mentito subito Astrid, prontissima. Fred era rimasto in silenzio, “Può essere” aveva concordato Fred, ma non era sembrato molto convinto.
“Senti, Fred, perché non vieni a vedere la partita, questa è la volta buona che vediamo ad Halfborn esplodere la barba” aveva proposto lei gentile, materna, mettendo una mano sulla porta. “Uhm … no, io credo che starò qui sta sera” aveva risposto quello, prima di allontanarsi dalla porta, Jason aveva sentito dei passi distanti.

“Non esce mai-mai?” aveva chiesto il romano.
“No, l’ho fa, di tanto in tanto” aveva risposto Mel, amareggiato.
Astrid era rimasta in silenzio per un attimo, “Che si secchi l’Hvergemir! Fred, a nessuno importa di chi sei figlio, parola di Skraeling!” aveva dichiarato, riprendendo a marcia dura verso l’ascensore.
Madina aveva gettato un ultimo sguardo alla porta di Fred con tristezza, prima di imitare l’amica e Jason e Mel l’avevano imitate.
“La famiglia è un tema sempre delicato, in particolare da queste parti” aveva asserito Mel, Jason aveva annuito, poi aveva commentato: “Padre assento, sorella scappata-di-casa e matrigna …sui generis.
Jason non aveva parlato di Beryl, sembrava strano parlare di lei, la conosceva pochissimo.
Il gladiatore barbaro aveva annuito, “Io avevo un rapporto molto altalenante con mio cugino” aveva dichiarato quello; grattandosi il capo.

Avevano preso l’ascensore tutti insieme, si erano aggiunti altri inquilini dell’hotel e piano, piano, avevano cominciato a separarsi.
“Di qua!” lo aveva chiamato Mel, mentre lo conduceva per un corridoio, fuori dalle ante dell’ascensore.
Il corridoio era semi vuoto, con alcune piccola eccezione.
Erano passati dei figuri, con indosso la maglietta verde dell’hotel con l’aggiunta della scritta Staff, che avevano lanciato ai due una serie di sguardi poco amichevoli.
“Perché siete qui?”  uno si era fermato. Era lo stereotipo del vichingo, alto, spesso, con i cappelli biondissimi lunghi ed una barba bionda e curata.
Aveva occhi chiari e rudi.
“Oh, ciao Askr!” aveva dichiarato Mel, con una faccia di bronzo, alzando anche la mano per segno di saluto. “Solo lo Staff può entrare, Thumelicus” aveva stabilito Askr senza perdere un minimo della sua rigidità.
Mel aveva voltato il viso verso Jason, “Ho un appuntamento con un membro dello staff” aveva provato Jason – era una mezza verità.
“Con un membro dello staff? Non sarà la mia Embla!” aveva risposto subito quello, stringendo i pugni. “Oh, no, no!” aveva dichiarato subito Jason, “Non conosco nessuna Embla” aveva aggiunto.
Possibilmente quella cosa aveva fatto arrabbiare Askr anche di più – a quanto pare.
“Jason è appena arrivato, non sa niente dei miti” si era inserito Thumelicus, “Ah, si, sei quello senza video, giusto?” aveva chiesto Askr recuperando un po’ di calma, sebbene avesse ancora l’aspetto rigido e duro.
Jason aveva annuito. “Comunque non me ne importa, questo è solo per lo staff – levatevi di torno” aveva ruggito Askr, a salvarli dall’essere cacciati dal grosso vichingo, era arrivata giusto Thrud in persona.
“Oh, uomo, ci penso io” aveva squittito quella con un sorriso rilassato, palesandosi.
Indossava ancora l’armatura a piastrine sottile, ma sotto si vedeva la maglietta verde petrolio dell’Hotel. La gonna di pelle, gli anfibi e i capelli biondo rosso lasciati sciolti.
Askr aveva chinato il capo, rispettoso, “Certamente Lady Thrud” aveva dichiarato quello, “Inoltre, se cerchi Embla oggi è di turno alle piscine” aveva avvertito subito quello. Askr si era fatto esangue in viso, aveva chinato il capo, mormorato qualcosa – che Jason non era sicuro fosse un grugnito, prima di scomparire a gran velocità.
Mel aveva subito detto a Jason: “Askr ed Embla sono i primi due esseri umani creati. Lui è molto geloso, perché sai un tempo erano solo loro due, invece, ora ci sono così tanti uomini nuovi. Non si è ancora abituato” aveva raccontato subito.
“Sì, sono tipo Adamo ed Eva nostrani, un’immagine che possa risultarti più chiara” aveva dichiarato Thrud, attirando nuovamente la sua attenzione, “Certo un po’ diverso, niente serpenti e mele del peccato” aveva aggiunto.
“Ah, faccende cristiane!” aveva dichiarato Mel, “Se mi chiedi di Cura e Pandora, forse qualcosa ne so” aveva aggiunto lui, con nervosismo.
Thrud aveva sorriso ferace, “Non ci serve, guerriero, grazie per aver scortato Jason, ma puoi andare guerriero” lo aveva congedato Thrud. L’ultima parte non era sembrata molto un invito. Nonostante l’aspetto giovanile e l’aria sbarazzina, Thrud era una dea, Jason lo riusciva a percepire, non una potentissima, forse era prima una valchiria e poi un membro di una stirpe divina, ma lo era, a tutto tondo. Emanava quella riottosità lucente.
Mel aveva annuito ed era scappato, dopo aver salutato Jason, alla stessa velocità di Askr. “Buona fortuna per il tennis” aveva strillato Jason alla sua schiena.



Jason aveva seguito la valchiria, nella stanza delle lavasciuga, “Allora Jason Giovesson” lo aveva interrogato lei, facendo chiudere la porta alle sue spalle, “Quale parte del fingiti mortale, uno particolarmente, cieco hai perso?” aveva chiesto retorica la valchiria.
Lui aveva abbassato lo sguardo, colmo di senso di colpa. “Credo che Astrid lo abbia capito” aveva dichiarato subito Jason poi.
Thrud aveva sollevato un sopracciglio, “Tu dici?” aveva chiesto sarcastica, “Io credo l’abbia capito pure Odino dall’alto del suo trono” aveva stilettato, “Ma siamo fortunati … perché starà in silenzio” aveva aggiunto, la sua valutazione sembrava più un pensiero tra sé e sé. L’espressione sempre smaliziata si era cristallizzata in un tono serio e pensieroso.
“Senti Jason, non pensiamoci ora, abbiamo altro da fare” aveva dichiarato poi Thrud, spogliandosi della sua espressione seria ed anche della cotta di piastrine.
La porta alle loro spalle si era aperta, lei si era fatta rigida e Jason si era voltato di scatto.
“Oh! Non sapevo fosse occupato” aveva civettato la voce falsamente gentile di Freydis Erikdottir, che differentemente da prima pareva molto meno una guerriera vichinga ma più una regina, con la gonna blu pavone, collane e bracciali d’oro ed i capelli biondi lasciati sciolti.
Alle sue spalle c’erano altre due persone, uno era uno dei compagni di piano della donna, l’altro non lo conosceva.
“Molto occupato” aveva risposto Thrud, con espressione maliziosa.
Freydis aveva ricambiato il gesto, analizzando Jason con ogni centimetro degli occhi, “Sì, oggi valutavo non male il nuovo acquisto del piano venti” aveva aggiunto.
Jason doveva dichiarare di sentirsi profondamente a disagio davanti una donna, per quanto attraente, ma così adulta, essere così sfacciata con lui. “Hai cercato di uccidermi con un’ascia” aveva guaito. “E domani probabilmente lo farò” aveva tubato di rimando la donna.
“Adesso se potresti per caso … lasciarci” aveva dichiarato Thrud, attirando nuovamente l’attenzione su di lei.
“Certo, andiamo via subito” aveva dichiarato con una certa fretta, uno dei due uomini, era alto, ma non molto spesso, aveva capelli chiari, quasi bianchi, lunghi fino alle spalle, la barba anche quella lunga, curata ed avvolta in una treccia. Jason fu catturato dagli occhi: stanchi, il colore era un ceruleo intenso, ma macchiati di rosso. Tutto nell’uomo urlava: stanchezza. Nonostante vivere nel valhalla rendeva gli einherjar più luminosi di qualsiasi altro spettro, Jason non avrebbe faticato nell’immaginare l’uomo vagare nei Prati d’Asfodelo, “Buona continuazione Lady Thrud e Jason” aveva aggiunto quello chiudendo la porta. C’erano stati mugugni dietro l’uscio, simbolo di un bisticcio.
“Come sapeva il mio nome?” aveva chiesto Jason.
“Per le viscere di Ymir, Kym aveva detto tu fossi intelligente” aveva risposto Thrud. Jason aveva incassato l’offesa, “Giusto la mia pittoresca presentazione” aveva considerato.
“Comunque al di là di come Einar sappia il tuo nome, il problema è Freydis” aveva valutato Thrud.
“Mel non ha una grande opinione di lei” aveva detto Jason, ed onestamente neanche lui. “Vuoi la verità? È una donna malvagia. Non dovrebbe esistere una persona fatta di sola cattiveria, tutti siamo l’equilibrio, sì, ma Fredys punta decisamente tanto da un lato” aveva considerato.
Jason si era sentito inquietato, “Pensi … ecco, lei volesse lasciare l’hotel? Astrid mi ha detto che qui c’è una delle uscite” aveva dichiarato Jason.
“Si. Spero sia per andare in qualche casino a derubare gente, però” aveva considerato, “Ma questo sarà un problema per un altro giorno e un’altra persona” aveva squittito, prima di prendere Jason per mano e guidarlo verso le lavatrici.
Era un Intera parete, la più Alta che Jason avesse mai visto, e lunghissima. Tutte le lavatrici erano impilate lunga sopra l’altra, in colonne altissime, che si susseguivano in fila quasi infinite. “Non è mica facile lavare la biancheria di tutto l’hotel. Si fa un sacco di ricorso al Alf Seidr, ma nessuno ha ancora inventato l’incantesimo per ammorbidire le lenzuola” aveva dichiarato la Valchiria.
Jason aveva riso.
Thrud aveva cominciato a camminare al fianco delle lavatrici, si era fermata alla quindicesima colonna partendo da destra ed aveva schioccato le dita, una traballante scala di legno era sfrecciata verso di loro. “Vai, entra nella sesta” gli aveva ordinato.
“Cosa?” aveva chiesto Jason.
“Astrid non ti ha mentito, questo è uno dei modi per lasciare l’hotel, le acque che vengono usate qui sono quelle provenienti da Hvergelmir – e dai suoi affluenti – che è il calderone primordiale. Alcune di queste lavatrici sono collegate a specifici fiumi che si connettono ai nove mondi. Il Valhalla è pieno di porte, semplicemente alcune non lo sembrano. Da quella lavatrice puoi prendere il Vina, uno dei fiumi che scendono nel mondo degli uomini” aveva dichiarato tranquilla lei.
“Sono … confuso” aveva ammesso Jason.
“Hai la faccia di uno che lo è spesso, eh” lo aveva preso in giro Thrud.
Jason non poteva contraddirla.
Thrud aveva ripreso: “Viaggiare seguendo i fiumi è difficile, tre quarti dei norreni non sanno farlo. Non chiedermi perché ma solo gli egizi sono pratici[11]. In particolare, i fiumi che vanno nel regno mortale, se non si esce in tempo si finisce in quello dei morti – che è un problema anche per te” aveva sottolineato.
“Ma tranquillo” aveva ripreso subito la valchiria, quando aveva visto il viso di Jason, “L’acqua non sarà il tuo elemento ma di qualcuno lo è” gli aveva strizzato un occhio.
Jason non era stato molto rincuorato, “Okay, romano di malafede, ho scelto il Vina perché l’unico fiume di cui non si conosce la foce. Quindi non finirai nei domini di Hela” aveva chiarito.
“Immagino di non avere molta scelta” aveva ponderato Jason.
“Ma che sciocchezze, ne abbiamo sempre una, anzi ne abbiamo sempre milioni” aveva dichiarato Thrud.
Jason aveva preso a salire lungo la traballante scala di legno, seguito dalla Valchiria.
Aveva aperto l’oblo della sesta lavatrice.
“Mel e Madina hanno detto che se muoio fuori di qui. Muoio di nuovo” aveva ricordato Jason. “Sì, ma sei un caso molto particolare, cerchiamo di non scoprire cosa ti succederebbe” aveva stabilito la Valchiria.
“Tu puoi morire?” aveva chiesto Jason, guardando l’interno della macchina, sembrava il classico interno di ferro di una lavatrice, senza se e senza ma. “Sì, tutti possiamo morire, anche gli dei, siamo solo maledettamente più difficili da uccidere. Tranne lo zio Baldr, con lui è stato molto facile” aveva ridacchiato. “Il lavaggio va impostato in runico, quindi dovrai fidarti di me” aveva ripreso Thrud, “Quindi entra” lo aveva invitato.
Jason si era finilato nel cestello, era abbastanza ampio perché ci stessero in due.
“Allora sì, Vina. Boston. Le coordinate” aveva sentito bisbislgiare la valchiria mente pigiava i dati, “Ma si, dai, lavaggio a freddo” aveva aggiunto.
Poi si era chinata ed era entrata nello scompartimento con lui, “Ho impostato la chiusura automatica” aveva spiegato, “Comunque io non dovevo venire, però hai visto come sono buona” aveva ripetuto la valchiria.
L’oblo si era chiuso di scatto e l’acqua aveva cominciato ad uscire e riempire lo spazio, così come il cilindro in cui erano aveva cominciato a giurare.
Jason avrebbe mentito, in seguito, dichiarando di non essere stato preso dal panico – ma era una menzogna.
Presto si era ritrovato in un vortice d’acqua letale.
Aggrappato a Thrud con una mano.
Sballottato da corretti fortissime.
Era riuscito a schiudere gli occhi, solo per vedere  azzurre acque e armi d’oro.
Poi come in una giravolta onirica aveva visto altro, era passato sotto qualcosa, sembrava un galleggiante, grande come una testa umana … e con capelli. sentiva voci distorte.
Oh, si, stai diventando un ottimo utilizzatore del Seidr, non c’è da stupirsi, sei un figlio di Frey, in fondo” aveva commentato il galleggiante.
Jason aveva allungato una mano, per sfiorarlo, ma le correnti del Vina avevano trascinato lui e Thrud lontano, a fondo, con violenza.

Aveva pensato di morire soffocato, ma quando i suoi polmoni in fiamme lo avevano costretto a respirare ancora, aveva trovato l’aria e l’inconfondibile odore di stagnazione dei fiumi di città.
“Eccoci! Vivi sull’ansa del Charles” aveva ghignato Thrud, sollevandosi in piedi, in un attiamo, differentemente da Jason era di nuovo asciutta e perfetta.
Lui era zuppo, appesantito e tossicchiante.
“Trovo questo sempre molto affascinante” aveva commentato una donna.
Jason aveva sollevato gli occhi, aveva fatto fatica a riconoscerla, visto l’aspetto così umano.
Una donna dal viso pallido e levigato, occhi grandi, di un verde mare, capelli scuri, neri, che sotto il sole freddo di quella giornata, riflettevano di un verde scuro.
E l’espressione dura ed inconfondibile.
Jason aveva rantolato: “Divina Kymopoleia.”



[1] Avevo trovato un headcanon dove qualcuno ipotizzava questo scenario, di Jason che arrivava Nuova Roma dopo essere stato letteralmente cresciuto dai Lupi, quindi aveva questo comportamento assai feroce. Mi ha fatto troppo ridere, quindi, se eccolo …

[2] Perun è lo “Zeus” del Pantheon Slavo.

[3] Tecnicamente wicinga è un antica denominazione anglosassone del termine vichingo, che, approfitto qui per dirvi che non era uno popolo (non esiste un unico popolo vichingo) ma più uno “stato sociale” / “mestiere” dei guerrieri scandinavi. Comunque, Astrid è “str0nza” e lo fa apposta.

[4] Skraeling è il termine con cui i coloni groenlandesi/islandesi si riferivano ai nativi americani, ci sono diverse traduzioni (da lingua germanica a lingua germanica)  ma si applica di solito il più comune “Barbaro” (proprio dall’islandese) a me piace molto anche “Urlatore” però.

[5] Io faccio parte di quella fetta di Fandom che ha deciso di ignorare il fatto che Magnus abbia tagliato i capelli durante la saga (essendo ambientato un paio di mesi dopo la fine della saga potrebbero benissimo essere ricresciuti – Cioè non ho idea di come funzioni capelli/unghia per gli einherjar, ma facciamo finta di niente).

[6] Viene ribadito all’interno della saga che Magnus somiglia a Kurt Cobain, ma chiaramente non è per quello che Jason trova famigliarità.

[7] Il nome sarebbe con la R finale, cioè Managarm, MA lo ho edulcorato della r finale, come Riordan fa per Frey(r) e altri nomi “norreni”. Comunque, non voglio entrare nel merito su Managarm per ragioni (come Jason anche i lettori non dovrebbero avere una chiara idea). Se avete per puro caso letto la mia ff “Il Crepuscolo degli Idoli” avevo già citato questo simpatica creatura, che nella mia storia sonnecchiava ai piedi di Agroboda.

[8] Leva militare romana

[9] Ho commesso un errore nei capitoli precedenti, dimenticato che Jason ha il Gladio di Giunone, che diventa un giavellotto, e non ha più IVLIVS che era la lancia/spada. Mi pare che il Gladio non possa “nascondersi” però visto che Jason scopre il suo poter proteiforme, essendo comunque una spada divina, posso “aggiustare” le cose con il fatto che Jason abbia ricalcato la forma della sua precedente arma per l’aspetto borghese. Sì, scusate.

[10] In Magnus, Tj e Halfborn indossano spesso vestiti del loro secolo, anche Astrid tecnicamente lo fa, ma mi piaceva l’idea che Mel e Madina non lo facessero – per ragioni di trama.

[11] Riferimento a Kane Chronicles (In realtà il discorso sarebbe lungo e complicato).

   
 
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