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Autore: Florence    06/10/2021    0 recensioni
-Pluto, ci stai dicendo che se non riusciremo nella nostra missione la nostra esistenza futura potrebbe essere compromessa?-
-È molto complicato... quel che è certo è che la nostra realtà non esisterà più, perché nessuno può fermare la collisione con un'altra dimensione che avverrà alla prossima eclisse di luna.-
-E quindi... ? Stiamo per morire?-
-Non è così semplice, Neptune: continuamente le nostre coscienze passano tra una realtà e l'altra senza che noi ce ne accorgiamo nemmeno, questo avviene ogni volta che si incontrano dimensioni molto simili tra loro nel continuum spazio-tempo.-
-E quindi perché stavolta dovremmo preoccuparcene?-
-Perché stavolta stiamo per scontrarci con una dimensione del tutto differente dalla nostra... Dobbiamo "sistemare" gli eventi del passato di quella dimensione affinché non sia tutto perduto.-
-In sostanza, cosa dovremmo fare? Altre battaglie? Scontri epici?-
-No, niente di tutto ciò, Uranus: il vostro scopo è quello di fare innamorare Usagi Tsukino e Mamoru Chiba prima che avvenga l'eclissi di luna.-
-Parli dei nostri sovrani? E qual è il problema: quei due si amano da sempre!-
-Ne sei proprio sicura...?-
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Mamoru/Marzio, Nuovo personaggio, Outer Senshi, Usagi/Bunny | Coppie: Endymion/Serenity, Mamoru/Usagi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie, Prima serie
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Capitolo 5
Contrattempi, Soluzioni & Coinquilini 


La reception del Yodorihama Camping Site era una graziosa capanna di legno e paglia, ombreggiata da palme ornamentali e chicas; sopra al bancone degli impiegati troneggiava un’insegna con scritto “Welcome to the Paradise”. Mai motto fu meno appropriato.

 

-Che cooosa???-, su tutte risuonò la voce scandalizzata di Usagi, ma la sua voce era andata a sommarsi a quella degli altri, che gesticolavano e inveivano davanti alla povera signorina della reception, indecisa se scappare o chiamare qualcuno della sicurezza a proteggerla.

“Che diavolo sta succedendo?”, si domandò Mamoru, felice di essere stato distolto dai suoi pensieri crepuscolari. Che fosse “morto dentro”, ormai lo aveva recepito, si trattava solo di dimenticarsene per un po’. Si avvicinò al gruppo e comprese subito ogni cosa.

 

-Hanno dato via i nostri bungalow…-, gli disse Motoki costernato, passandosi una mano tra i capelli. 

-Dobbiamo trovare una soluzione… come facciamo con le ragazze?-, lo affiancò Kenzo. Entrambi si sentivano responsabili nei confronti delle loro giovani amiche come lo sarebbero stati per la sorella Unazuki e, se per loro avrebbe potuto andar bene qualsiasi tipo di sistemazione di fortuna, non potevano permettere che le ragazze soffrissero per la delusione e le scomodità, senza contare che avrebbero dovuto pur farsi vivi con le loro famiglie e giustificare il problema.

Intanto Hiro, Rei e Usagi stavano letteralmente litigando con i proprietari del campeggio, che, come unica giustificazione, insistevano nel dire che ‘non vi avevamo visti arrivare, così abbiamo dato i vostri bungalow a un gruppo di ragazzi arrivato prima di voi'.

Era stato un comportamento estremamente scorretto, in quanto loro erano comunque in anticipo rispetto all'orario del check in, ma la Direzione del camping non aveva mosso un dito per aiutarli con una qualunque altra sistemazione alternativa. Effettivamente quelli erano giorni di alta stagione, considerato il periodo di chiusura delle scuole e l'organizzazione del festival musicale che si sarebbe tenuto in settimana e quasi tutte le strutture avevano pensato di fare overbooking, per accertarsi di vendere tutti gli alloggi e massimizzare i profitti.

Avevano rimborsato seduta stante la caparra versata e, letteralmente, se ne erano lavati le mani, invitandoli poco cordialmente ad allontanarsi, perché ‘il campeggio è al completo e ormai non c’è niente da fare’.

 

In due, Motoki e Makoto, dovettero tenere ferma Usagi che, come un treno, voleva tornare dai cafoni di quello che aveva definito campeggio ridicolo e cantargliene altre quattro.

Quando riuscirono a calmarla - fu sufficiente un sorriso di Motoki, una sua carezza sui capelli e le magiche parole ‘Vedrai, piccola, andrà tutto bene’ -, i dodici si incamminarono verso uno spazio all’ombra di un albero frondoso poco distante.

-E adesso cosa facciamo?-, pigolò Naru prossima alle lacrime, massacrando la mano di Umino, stretta nelle sue. Minako inforcò gli occhiali da sole e si allontanò di qualche metro; Rei strinse le mascelle, adirata, -È colpa vostra-, disse, astiosa e furibonda come un toro alla carica, volendo a tutti i costi trovare un capro espiatorio per quel contrattempo e si scagliò contro i ragazzi che si erano fermati a telefonare a casa; -Avevate bisogno di chiamare mammina subito, non potevate concentrarvi sulla nostra meta!?-, tuonò.

-Ci abbiamo messo solo pochi minuti, Rei, non è colpa nostra!-, tentò di difendersi Naru, ma la ragazza continuava a borbottare contro di loro come una pentola sul fuoco.

-Hanno fatto overbooking, sarebbe stato lo stesso se fossimo venuti qua a corsa!-, tentò di giustificare Hiro, confidando nel suo appeal sulla ragazza. Lui non aveva telefonato a casa solo perché lo aveva fatto suo cugino per entrambi, per questo si sentiva ugualmente chiamato in causa contro quell'accusa.

-Comunque sia, ci avete rallentati!-, Rei strinse i denti e si ostinò a mostrare rancore verso i compagni di viaggio, poi capitolò: -E adesso come facciamo? Dove staremo? Ma perché!?-

-Smettetela con queste lamentele e cerchiamo di far funzionare le meningi per trovare una soluzione-, Motoki s'impose sul gruppo, -Dobbiamo decidere se passare la giornata a cercare una struttura qua in zona oppure se andare nell'interno, dove sicuramente ci sarà più posto-, spiegò.

-Mentre decidete, io prendo un po’ di colorella-, dichiarò Minako allontanandosi di qualche passo, fuori dal cono d’ombra.

-Scriteriata!-, ringhiò verso di lei la mora, incrociando le braccia al petto in segno di protesta.

-Ragazze, state calme, per favore…-, disse loro Hiro, abbandonando del tutto i suoi modi da ‘fighetto’ – come lo aveva definito Yuichiro nei suoi monologhi silenziosi -  e aprendo una cartina dell’isola.

-Ci sarebbe un altro campeggio qui…-, indicò col dito sulla mappa. 

-Sicuramente sarà pieno… con tutta la gente che abbiamo visto al porto e in giro per le strade!-, Ami, di solito dalle mille risorse, stava perdendo la fiducia.

-Qualcosa dovremo pur fare! Non possiamo mica rimanere per strada fino alla fine della settimana!-, belò Usagi e una lacrima piccina piccina sfuggì ai suoi occhi.

Si era ripromessa di non mostrarsi piagnona davanti al suo Motoki e agli altri ragazzi, ma la sua fragilità era un osso duro da tenere a bada. Tirò su col naso, ma peggiorò la condizione. D’accordo, erano in una situazione alquanto disperata, ma per una cosa simile non avrebbe dovuto prendersela così tanto! Lei era una guerriera Sailor, era la paladina della legge… lei…

-Ma perché…?-, aprì le paratie e le lacrime scesero a fiumi, tra un singhiozzo e l’altro.

-Oh, Usa-chan… non fare così…-, tentò di rincuorarla Ami, abbracciandola e lasciando che piangesse sulla sua spalla, ma i singhiozzi di Usagi erano così forti ed esagerati rispetto alla reale situazione che Ami sospettò si trattasse di uno sfogo per qualcosa di più del disguido che avevano avuto.

Mentre tutti cercavano una soluzione, Yuichiro, in un angolo, cogitava imbarazzato qualche cosa, torturandosi le mani l’un l’altra; incrociò lo sguardo di Usagi per un istante, si allontanò. Rei e Makoto si erano sedute sui loro zaini, esauste e demoralizzate e Umino dette un bacetto sulla guancia alla sua Naru. Mamoru non trovò neanche una parola adeguata per prendere in giro Usagi, nel momento migliore della sua dimostrazione di profonda infantilità.

Vedendola piegata su Ami, che le accarezzava la schiena, a Mamoru tornò in mente come l’aveva trovata quella stessa notte, rannicchiata sulla nave e si dispiacque. Forse avrebbe fatto bene ad avvicinarsi alle due e tentare di aiutare Ami nella sua opera di conforto, magari dicendo ad Usagi ‘Vedrai, piccola, andrà tutto bene’, come aveva fatto Motoki, oppure…

 

Non si mosse. La guardò versare le sue lacrime e non fece nulla.

Lui era morto dentro, incapace perfino di portare conforto a una ragazzina in crisi.

 

Guardò gli altri e si sentì d’un tratto estraneo a tutto ciò: le vacanze, il mare, il campeggio. 

Non era quello il suo posto… non poteva essere davvero quello, quando non era in grado neanche di aiutare una povera bambina disperata.

-Mamoru…-, la voce di Yuichiro lo fece voltare: il ragazzo lo guardava molto in imbarazzo, sulle spine per domandargli qualcosa che non sapeva se dire o meno.

-Ecco… io… forse saprei come risolvere il problema…-, si grattò la testa, sorridendo per sciogliere la tensione e gli espose il suo piano.


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-Che caldo…-, dichiarò Minako, tornando all’ombra del grande albero. Hiro, Rei, Kenzo, Motoki… insomma, tutti tranne Umino e Naru, che si sventolavano in un angolo, Usagi, che se ne stava seduta a terra abbracciandosi le ginocchia e Yuichiro che parlottava con Mamoru, stavano studiando la mappa dell’isola. “Neanche dovessero trovare un tesoro”, pensò Minako, scuotendo il capo e anelando un goccio d’acqua.

Chissà quanto ancora sarebbero dovuti restare sotto il sole che saliva sempre di più e che avrebbe cotto un uovo su un sasso, tanto picchiava.

Ci sarebbe voluto un vero miracolo, un colpo di scena capace di ribaltare le sorti delle povere naufraghe e dei loro felici accopagnatori, su quell’isola inospitale, dove la jungla inglobava ogni cosa, comprese le case, gli alberghi, i campeggi. Avrebbero potuto trovare dei grossi tronchi e costruire una capanna, oppure disporre sulla sabbia dei sassi a formare la scritta S.O.S. e intanto cibarsi dei frutti della caccia e della pesca oppure…

-Ragazzi, ascoltateci: forse Yuichiro ha una soluzione-, disse Mamoru, richiamando l’attenzione di tutti, comprese ‘Minako la naufraga sognatrice’ e Usagi. Passò la parola al ragazzo, rosso per l’imbarazzo e sperò che tutti accettassero la sua proposta.

-Ecco… dunque… praticamente…-, iniziò a balbettare Yu, e solo il rimbrotto di Rei, che emise un qualche strano suono di biasimo nei suoi confronti, scollò la lingua dal suo palato: -La mia famiglia possiede una.. casa al mare… adesso dovrebbe essere libera e… pensavo… se vi andasse… potremmo sistemarci tutti lì-, sgranò gli occhi e portò le mani avanti, prima che gli altri potessero dire qualsiasi cosa, -Però la casa non è su questa isola, ma su Kakeroma… quindi… ecco… dovremmo prendere un altro traghetto e perderemmo almeno mezza giornata di mare e…-

-Grazie…-, Yuichiro sentì due piccole braccia stringerlo alla vita e, abbassando lo sguardo, vide la buffa testa bionda di Usagi, che aveva ricominciato a piangere sulla sua maglietta, quella volta per la gioia.

-U… Usagi…-, balbettò al culmine dell’imbarazzo, sentendo gli occhi di Rei su di sé: chissà che cosa avrebbe pensato la sua dea, vedendolo in tali atteggiamenti con un’altra; -Grazie…-, Usagi alzò lo sguardo su di lui e quegli occhioni azzurri come il mare, lucidi per il pianto e il suo sorriso bambino così spontaneo e sincero, lo fecero sentire bene. “Adesso però staccati… piccola piovretta!”, pensò e fu travolto dalle euforiche esclamazioni di gratitudine di tutti gli altri, che lo circondarono in una giostra di volti riconoscenti, espressioni sollevate, pacche sulle spalle.

A qualcosa, in fondo, era buono anche lui.


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-Non sapevo che tu avessi una casa per tutte le occasioni…-, commentò Rei, mentre alcuni del gruppo erano nella biglietteria del porto per fare i biglietti per il secondo traghetto. C’era una punta di risentimento nella sua voce, mista all’orgoglio celato e a qualcosa che Yuichiro non seppe definire.

-La casa non è mia, ma della mia famiglia…-, ci tenne a puntualizzare, ma Rei proseguì facendogli notare come l’isola di Kakeroma fosse una meta veramente esclusiva. Erano quelli i momenti in cui il ragazzo avrebbe voluto sprofondare sotto terra e rinascere come ‘Yu, il trovatello’. Aveva sempre odiato l’esternazione di ricchezza che suo padre faceva e non si sentiva affatto a suo agio nello svelare agli altri quali fossero i suoi reali mezzi.

Rei, stanca delle sue solite storie e veramente contenta per l’evolversi inaspettato della situazione, in uno slancio di gratitudine, gli allacciò le braccia al collo e lo baciò sulla guancia. In fondo era contenta che ci fosse anche il suo amico in vacanza con loro. Per Yuichiro fu come volare sulla luna e ritorno. Avrebbe voluto con tutto se stesso che il tempo si fosse fermato in quell’istante, che Rei fosse sempre così carina nei suoi confronti e che lo baciasse più spesso, gli prendesse la mano, gli sussurrasse parole gentili e facesse brillare i suoi occhi solo per lui.

-Sei proprio un amico-, gli disse la ragazza, sorridendogli spontaneamente, Yuichiro si sentì mancare la terra sotto ai piedi.
Rei continuò: -Ti rivelerò un segreto: sono felice che le cose stiano andando così… perché in realtà non mi andava proprio di  dormire sotto quelle capanne di legno, andare ai bagni comuni del campeggio e dover rispettare sempre gli orari del rientro serale-, abbassò lo sguardo, vergognandosi appena di quel che aveva detto e a Yuichiro parve la più amorevole delle ragazze del pianeta. Fu per questo che, da amico, pensò che poteva ricambiare la sua fiducia e rivelarle anche lui un piccolo segreto: -Mi ha colpito la reazione di Usagi… hai notato anche tu che è un po’ sottotono?-, le chiese e proseguì: -Questa notte sono stato svegliato da Mamoru che stava venendo verso il posto dove ci eravamo accampati: teneva Usagi in braccio e mi ha detto che l’aveva trovata da sola, a poppa-, si gustò la visione della bocca di Rei che si socchiuse per lo stupore e concluse, decidendo di segnare un punto a suo favore: -Mamoru mi ha detto di non dire niente a Usagi, ma a te so che posso parlare, perché sei una brava ragazza… Sai, il nostro amico era tutto rosso, quando ha capito che avevo visto quello che stava succedendo!-, ridacchiò con fare complice e si voltò verso Rei.

Il sorriso era sparito dalle sue labbra e gli occhi erano sottilmente socchiusi: -Non sono affari tuoi-, sibilò e se ne andò indispettita.

-Ma che ho detto, ora?-, Yuichiro colpì la sua zucca vuota con le nocche di una mano e sbuffò, in attesa di ripartire.



 

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La nave che da Amami portava a Kakeroma era molto più piccola e lussuosa della precedente, aveva il ponte tirato a lucido e un salone interno con un lampadario di cristallo. A bordo c’erano tutte persone di una certa classe, signore con abiti firmati e sandali con la zeppa alta e uomini abbronzatissimi con gli occhiali da sole fumé. Una delicata musica per pianoforte riempiva l’aria sotto coperta. 

I ragazzi si erano concentrati tutti in un unico punto dell’imbarcazione, cercando di trovare nella loro unione la forza per vincere il disagio che provavano. Quando Rei aveva detto che Kakeroma era una meta esclusiva, non sapeva fino a che punto. Minako si guardava attorno estasiata, mentre Yuchiro voleva sprofondare in mare per la vergogna. Adesso tutti sapevano che luoghi frequentassero i suoi familiari. Ci sarebbe mancato solo di trovare Takeshi, il maggiordomo, in casa e avrebbe potuto dire addio alla fama di ragazzo onesto che si stava lentamente costruendo. Dopo che Rei lo aveva mollato da solo sul molo, in un attimo di estrema lucidità, Yuichiro era corso verso la prima cabina telefonica e aveva avvertito la sua famiglia che ‘a causa di eventi imprevisti e improrogabili’, aveva bisogno della casa sull’isola per tutta la settimana. Aveva espressamente richiesto che tutti i domestici fossero mandati in ferie e non voleva assolutamente alcun tipo di aiuto da nessuno. Aveva detto di lasciare le chiavi della villa nel quarto vaso di gardenie vicino al cancello e… beh, di chiudere le tende e sparpagliare un po’ di foglie secche nel vialetto d’ingresso. Avrebbe anche desiderato che fosse portata polvere a sacchi, per ricoprire tutti i mobili e che un improvviso uragano avesse sciupato le pareti esterne della casa e divelto qualche bonsai dal giardino… ma non poteva esprimere quelle richieste, quindi si era limitato a sperare che le cose fossero solo normali.

Sperava solo che, per una volta, le sue richieste fossero esaudite.

-Com’è la casa dei tuoi?-, gli domandò senza alcun pudore Minako, dondolandosi sui talloni e tenendo le mani dietro la schiena.

-Beh… è… normale…-, quello era il genere di domande che Yu odiava: che lo vedesse con i suoi occhi com’era la casa, senza fargli fare descrizioni imbarazzanti!

-Ha dodici camere da letto, non è vero?-, insistette la ragazza e lui si sentì morire. Certo, era una bella casa, la sua, ma addirittura dodici camere da letto era un po’ esagerato…

-Mi dispiace, Minako… non è così grande-, spiegò, -Però ha una grande cucina e anche un barbeque in giardino: vedrai che belle grigliate di pesce ci prepareremo!-, aggiunse, sperando di prenderla per la gola.

Per un istante la ragazza rimase interdetta; -Ma come, non ci sarà la servitù per cucinare e rimettere a posto ogni cosa?-

Makoto strattonò Minako e si affrettò a scusarsi con lei, portandosela via: -Ma che domande fai? È già grassa che ci offra un tetto sotto cui dormire, non essere ingorda!-

 

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Dopo circa venti minuti, il gruppo si era disperso: le ragazze erano uscite sul ponte a prendere il sole e Motoki le aveva seguite, approfittandone per rimirare l’isola che sfilava davanti a loro, bella come uno smeraldo in mezzo al mare. Usagi e Rei si litigavano un cono gelato, Naru e Ami chiacchieravano amabilmente e lui era stato accerchiato da Makoto e Minako.

 

Gli altri, invece, si erano seduti ad un tavolino del bar di bordo; Mamoru osservò Hiro e Kenzo che portavano in disparte Umino e, consegnandogli una bustina di carta con l’insegna verde di una farmacia, gli battevano una pacca sulle spalle.

-Vedrai che bella sorpresa farai alla tua donna!-, gli disse Hiro, quando tornarono a sedersi accanto agli altri. Mamoru corrugò le sopracciglia, per nulla rassicurato da quello strano scambio di oggetti, soprattutto dal momento che Umino era diventato più paonazzo di un’aragosta appena cotta.

-Che sta succedendo?-, domandò accigliato a Hiro, parlando in modo che solo lui potesse sentirlo e il capellone lo guardò in modo interrogativo.

-Che cosa hai dato a Umino?-, fu più preciso Mamoru, temendo di conoscere la risposta. C’era una sola cosa che mandasse in fumo il cervello di un adolescente e non era prendere buoni voti a scuola. Per sua fortuna, Mamoru aveva esaurito quella fase rapidamente, perdendosi in rari sogni poco casti su alcune sue amiche, quando ancora frequentava i primi anni del liceo. Dopo era stato sempre più oppresso dallo studio che aveva finito per non pensarci più, finché non era comparsa Sailor Moon e lui si era ritrovato per la prima volta vestito da Tuxedo Kamen, richiamato al suo fianco da chissà quale strana forza magica. 

Hiro allungò le gambe sotto al tavolo e portò le braccia dietro la testa. Le sue labbra si piegarono in un ghigno sghembo.

-Nulla che ti riguardi-, gli rispose pacato, poi un guizzo maligno saettò nei suoi occhi, -Ma qualcosa che renderà le cose più piacevoli per Naru… Diciamo che… servirà a togliere un pensiero dalle loro teste…-, quindi, prima che Mamoru potesse aprire bocca, diede un colpo di reni e si alzò di slancio, uscendo a raggiungere le loro amiche, ridacchiando divertito.

“Se è quello che penso, quei due sono degli incoscienti!”, pensò furente Mamoru, ma si costrinse a non aggiungere altro, dal momento che non era il padre di Umino, né di Naru, né il protettore di quella strana combriccola di villeggianti.

“Non sei Tuxedo Kamen, non è tuo dovere proteggere nessuno, ricordatelo: tu sei solo Mamoru Chiba”



 

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Quando arrivarono davanti alla casa di Yuichiro, distante dal piccolo porto dell’isola solo pochi minuti in bus, e circa un quarto d’ora a piedi, i ragazzi pensarono che si trattasse di uno scherzo. 

Minako guardò oltre le sbarre del grande cancello di ferro battuto, a cui si era aggrappata assieme a Usagi e si voltò, seccata: -D’accordo, dicci dov’è la tua casa e facciamola finita, sono troppo stanca per illudermi ancora di aver trovato un posto dove stare-, si lamentò, infilando le mani sotto alle cinghie dello zaino, che stavano iniziando a graffiarle la pelle lasciata scoperta dal suo vestitino senza maniche.

Yuichiro scattò come un soldato all’ordine dell’Attenti! e iniziò a frugare nella vaso di una bella pianta di gardenia, sotto lo sguardo incuriosito di tutti. Estrasse una lunga chiave argentata e la mostrò felice agli amici: -Un attimo solo…-, farfugliò inserendola nella serratura del cancello e questo, magicamente, si aprì.

Usagi fu certa in quel momento che, se i suoi fossero stati delusi oltremodo dai suoi risultati scolastici, avrebbe potuto provare a chiedere alla mamma di Yuichiro se l’adottava, divenendo così padrona di tutto quel ben di Dio.

I ragazzi entrarono con titubanza nel grande giardino antistante la villa e ammirarono la facciata dipinta di fresco dall’aspetto vagamente coloniale.

Un’altra mandata di chiavi e Yu aprì loro le porte della piccola-grande reggia che li avrebbe ospitati per una settimana intera.

Nessuno osava parlare, forse per timore che la propria voce avrebbe potuto far svanire il sogno ad occhi aperti che stavano facendo; Makoto si dette della stupida per aver ceduto alle lusinghe di un bombolone fritto, non appena arrivati sull’isola e pensò di avere le allucinazioni.

Naru aveva le lacrime agli occhi.

I primi a riprendersi dallo stupore furono Hiro e Kenzo, che si complimentarono in maniera ridanciana con quello strano ragazzo conosciuto la sera prima: se a una prima occhiata era parso loro smidollato e trasandato, in quel momento, nella sua splendida casa, seppero di essergli profondamente amici.

Rei si avvicinò al proprietario e gli sorrise, consapevole di essere arrossita, ma non per il motivo che sperava l’aiutante di suo nonno. La ragazza era fondamentalmente mortificata per la modestia del luogo dove Yuichiro era costretto a vivere, cioè la sua casa, dal momento che la sua famiglia poteva permettersi una seconda casa come quella.

-Mi fa piacere che tu sia contenta-, le disse il ragazzo e portò gli amici nel salone principale, dove fece loro posare i bagagli.

-Dunque, la situazione è questa-, iniziò a spiegare, sperando che gli altri lo aiutassero, -A questo piano ci sono la cucina, la sala, un bagno, una piccola stanza per gli ospiti, lo studio di mio padre in cui non si può entrare e la sala da pranzo; di sopra ci sono le camere e altri due bagni. Il problema è che non posso assolutamente usare la stanza di mio padre e quelle… quelle che sono in mansarda, quindi ne rimangono solo cinque, al piano qua sopra. Ah, non preoccupatevi… ci sono comunque letti per tutti!-, li rassicurò.

Usagi, in disparte, stava contando sulle dita: -Cinque più tre fa otto. Yuichiro… dodici no, ma comunque otto ce ne sono, di stanze, senza considerare che qualcuno può dormire anche qua sotto, oppure in giardino, nella cuccia del cane… che ne so… Mamoru, per esempio-, esclamò facendo la linguaccia verso di lui, che fu preso alla sprovvista e non trovò parole adatte per risponderle a tono.

La biondina era corsa ad attaccarsi al braccio di Naru, da una parte, e Ami, dall’altra, saltellando felice per ‘tutto quel ben di Dio’ e perché voleva scegliere per prima la sua stanza.

I ragazzi aiutarono le donzelle a portare al piano di sopra gli zaini pesanti e, in poco meno di mezz’ora, tutti e dodici si sistemarono in formazione di attacco nelle varie stanze.


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La signora Tsukino fu molto sorpresa di ricevere una seconda telefonata da sua figlia Usagi a distanza di poco tempo dalla precedente. Lì per lì le venne il dubbio che la figlia non stesse bene e per questo, nei brevissimi attimi dopo che udì la sua voce al telefono, il suo cervello elaborò un piano fulmineo per aiutare Usagi, qualunque fosse stata la causa del suo problema. Quando però sentì che non solo il suo gruppo di viaggio aveva trovato un'alternativa a un problema effettivamente enorme che era loro capitato, ma che addirittura si erano sistemati in una mega villa sull'isola più esclusiva dell'arcipelago, gratuitamente, ciascuna ragazza nella sua stanza ben separate dai maschi di cui le aveva parlato il marito, e che Usagi era a dir poco euforica per la situazione, sentì svanire il peso dal cuore e non poté che essere sinceramente felice per lei. Doveva fare la mamma però, quindi iniziò la lista delle raccomandazioni: -Comportatevi bene in casa, cercate di non sporcare, non rompete nulla, non familiarizzare troppo con i maschi, non mangiare troppo, stai attenta quando fai il bagno in mare, non andare mai dietro agli sconosciuti, ricordati di chiamare ogni due giorni…-, sarebbe andata avanti a lungo, col marito che le suggeriva le frasi lì accanto, ma la figlia la interruppe: -Mamma, calma! Sono in vacanza!-, disse semplicemente. A Ikuko tornò in mente la sua prima vacanza da sola con le amiche: aveva conosciuto Kenji in quell'occasione, era uno sconosciuto che con il suo gruppo di compagni dell'Università era andato al mare per un week-end di baldoria, si erano incontrati in un locale disco, lei aveva accettato di uscire da sola con lui ed erano scappati insieme in moto di notte per andare a vedere le stelle su in collina. Lo aveva baciato e aveva capito che sarebbe stato lui l'uomo della sua vita.

-Hai ragione, bambina mia: vai e divertiti!-, concluse la telefonata con un sospiro e Usagi, fissando perplessa la cornetta del telefono della casa di Yuichiro, mise giù. Ok, aveva il via libera a divertirsi, non se lo sarebbe fatto dire due volte; corse di sopra e infilò nella prima porta a sinistra.


-Sono felice di essere finalmente in vacanza insieme a te-, disse Naru ad Usagi, abbracciandola, dopo che avevano ordinato le loro cose nei cassetti della stanza che avevano scelto, dove c’era un letto a due piazze più un comodo divanetto.

-Anch’io, amica mia… a volte mi domando perché mia madre abbia partorito Shingo, invece di farmi una sorella come te!-, le rispose Usagi, trascinandola con un salto sul lettone e ridendo allegra. Un velo passò per un attimo sui suoi occhioni blu: -Forse però avresti preferito…-, azzardò, arrossendo, -… dormire in stanza con… Umino…-

Sì, senza dubbio aveva rotto le uova nel paniere della sua amica più cara, alla quale era legata solo da quel meraviglioso sentimento disinteressato che si chiamava Amicizia. Non che non si sentisse ugualmente amica delle guerriere Sailor, affatto, ma a volte, quando stava insieme a loro, si sentiva come giudicata, oppure come se… fosse sempre a lavoro, dovendo stare attenta a quello che diceva, quello che faceva, se voleva ingozzarsi di dolci, se voleva solo stare a chiacchierare di sogni, o a dormire placida senza l’ombra costante di un pericolo ignoto e alieno. E soprattutto, a volte, quando le guardava sorridere felici, tornavano alla sua mente le immagini dei loro volti sfiniti dal dolore, immobili nell’attimo della morte e veniva assalita dal panico.

-Ma cosa dici, Usa!!! Io e Umino… insieme???-, Naru divenne rossa come un peperone alla sola idea e la sua infingarda amica la prese in giro per quella reazione. In realtà non aveva mai capito come Naru avesse potuto mettersi insieme a uno come Umino… “Ah, l’amore è cieco… ma a me non accadrà: io voglio che il mio principe azzurro sia bellissimo, coraggioso, amorevole e gentile…Ahhh…”, sognò tra sé e sé, immaginando Tuxedo Kamen che arrivava da lei e si inchinava per chiedere la sua mano: quando toglieva la sua maschera, gli occhi verdi e dolcissimi di Motoki erano lì, davanti a lei, come aveva sempre sognato.

 

-Chissà come si sono assortiti gli altri?-, la domanda di Naru la distolse dai suoi sogni ad occhi aperti.

-Penso che… Non lo so!-, rispose ridendo Usagi, immaginando però quel cafone di Mamoru a quattro zampe legato con una corda alla cuccia in giardino, -Andiamo a curiosare!-, propose e balzò giù dal letto.

-Il tuo polso come sta?-, le chiese Naru, prima di uscire dalla loro stanza.

Usagi lo mosse un po’, ci pensò su e le rispose che stava molto meglio, -Sarà l’aria di vacanze!-, spiegò e le sorrise.

 

Dopo essere uscite, Usagi si bloccò, causando l’impatto di Naru contro la sua schiena; si voltò verso di lei e una lampadina si accese sulla sua testa.

-Idea!-, esclamò, -Prendiamo i nostri beauty case e colonizziamo uno dei bagni per prime!-, e tra il dirlo e il farlo non passarono che pochi istanti.


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Curiosando qua e là, Naru e Usagi scoprirono che la loro era l’unica stanza con un divano, mentre in quelle di Ami e Makoto c'era solo un lettone, e da Rei e Minako c’erano solo due letti singoli. I maschi, invece, erano in tre per stanza: Umino, suo cugino e Kenzo in una in tre letti singoli, Motoki, Yuichiro e Mamoru nell’altra, con un grande matrimoniale e un singolo.

-Potevate far dormire fuori il cane!-, disse Usagi a Yuichiro, passando davanti alla loro porta e udì chiaramente un ‘Cavolo, chiudi!’, proferito dalla bocca di Motoki.

Tornò indietro lesta come un leprotto, e riuscì a scorgere il ragazzo che terminava di infilarsi una maglietta.

 

“Calma, Usagi… calma…”, si disse, pensando che presto avrebbe visto Motoki sulla spiaggia… senza quella maglietta…

 

-Andiamo al mareee!!-, l’urlo di Hiro e Kenzo, seguiti a ruota da Minako e Makoto, la fece spaventare.

-Vado a mettere il costume!-, le disse Naru, correndo verso la camera.

 

Il costume.

 

Già… prima o poi sarebbe dovuto accadere…

Usagi sbuffò, ricordando i pomeriggi spesi in giro per negozi, di nascosto dalla sua amica, alla ricerca di un costume che mascherasse la cicatrice slabbrata che aveva sulla spalla, quella della rosa di Tuxedo Kamen

Come avrebbe potuto giustificare a Naru il modo in cui se l’era procurata? Sembrava un foro di proiettile, con un graffio profondo da una parte. Alla fine delle sue peregrinazioni alla ricerca di un costume adatto, aveva desistito: in fin dei conti quello intero, vecchissimo e tarmato era quello che mascherava meglio il tutto. Aveva portato anche dei bikini, ma tanto non li avrebbe usati. Strinse le mascelle, in fin dei conti era affezionata a quella cicatrice, perché era la prova tangibile, ogni volta che si guardava allo specchio, che Tuxedo Kamen le era stato vicino.

 

Usagi rimase da sola in camera, seduta ai piedi del letto con le spalle curve e il vecchio costume in mano, sospirò. Si sentiva come una allegra mattina di primavera oscurata poco dopo da un nuvolone bigio e molesto, di quelli che non riescono a scaricare la pioggia in un sol botto, ma restano lì per ore, deprimendo tutti quanti. Prese aria e si decise ad alzarsi, avrebbe pur dovuto indossare un costume per andare al mare e si sarebbe fatto andare bene quello. Chiuse la porta a chiave e iniziò a spogliarsi, rimanendo biancheria intima. Si avvicinò al comò e guardò la sua immagine riflessa nello specchio sopra di esso. 

Quella cicatrice era veramente un pugno in un occhio, grande, irregolare, ancora rossa e dura. Passò un dito sulla pelle e provò un brivido, come ogni volta.

Il suo cuore non fece davvero ‘crack’,  ma a lei parve di udire il suono sordo di qualcosa che pezzo a pezzo si spaccava dentro il suo petto.



 
   
 
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