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Autore: striscia_04    07/10/2021    2 recensioni
Cosa posso dire? Il titolo racconta da solo la trama. Posso solo affermare, che in questa storia i personaggi di Fairy Tail si ritroveranno nel '600, a scontrarsi contro nobili opprimenti, Bravi e pestilenze; ovviamente lo faranno sempre nel loro solito modo, rissoso e attacca briche.
Seguiamo le disavventure di Gajeel, mentre combatte per poter sposare l'amore della sua vita.
Ci riuscira?
Genere: Comico, Commedia, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gajeel/Levy, Gajil Redfox, Levy McGarden
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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E così, come era stato ampiamente spoilerato, alla fine tutta l’Italia fu colpita, proprio quello stesso anno, da una tremenda e contagiosa epidemia.
Essa si sviluppò, inizialmente in Europa e poi si diffuse anche in Italia, portando morte e sofferenza agli abitanti di tutta la penisola.
Ecco, quindi, che anche gli italiani si ritrovarono ad affrontare la tremenda epidemia chiamata Covid 19… ehm Peste! Il nome dell’epidemia era Peste! La stessa che nel ‘300 aveva causato lo sterminio di due terzi della popolazione dell’emisfero occidentale.
La colpa dell’arrivo del Cov… della Peste in Italia, venne attribuita dai politici e dal re, ad un certo paziente zero, non ben identificato, che però venne ritenuto parte dei lanzichenecchi. Ovviamente, tutto ciò avvenne quando il governo si rese conto dello scoppio dell’epidemia, e soprattutto tirò fuori le palle, e disse chiaramente che un’altra ondata di Peste era scoppiata.
Ormai, però, era tardi ed il morbo si era già diffuso, grazie all’ignoranza dei popolani, che rassicurati dalle notizie locali continuarono a svolgere liberamente le proprie attività.
Fu in questo periodo, che Gajeel, dopo aver superato tranquillamente la Peste, con una normale febbre ed un po' di raffreddore, comprese che era inutile continuare a nascondersi e decise di partire per cercare Levy.
Questa sua scelta dipese, anche dal fatto, che gli affari ormai non gli andavano più bene, anzi non gli erano mai andati bene.
Inizialmente, aveva provato a svolgere al meglio la professione di fabbro, ma si era subito reso conto, che ai suoi clienti gli oggetti mangiucchiati non piacevano molto. Ciò nonostante, ignorando le continue lamentele si era messo a lavorare, ma ora che tutto il Paese era nel caos e la gente si rifiutava pure di uscire di casa, comprese che era arrivato il momento di chiudere bottega.
Un giorno non precisato di quell’anno, lasciandosi indietro Bergamo riprese diretto al villaggio dove sperava di rivedere la fidanzata, o almeno di ritrovare Gray o Cobra, per chiedere informazioni.
 
Proprio in quel periodo, anche al villaggio era scoppiata la peste, uccidendo molti degli abitanti. Lo stesso Don Abbondio si era messo a letto, ed era rimasto in uno stato comatoso per mesi.
“Maledetto autore, e a quando hai deciso di cambiare il copione! Chi te lo ha chiesto tutto questo dramma! Ma se ti metto le mani addosso altro che Peste, ti faccio vedere io!” ripeteva tra un delirio febbrile e l’altro, mentre la Perpetua lo assisteva, più amorevolmente che poteva.
Fu così che anche lei si ammalò e fu costretta a starsene a letto, e Don Abbondio; invece, si ritrovò a dover soddisfare tutti i suoi capricci.
DRING DRING
“Arrivo, arrivo! Solo un attimo, la minestra è quasi pronta.” urlò l’uomo prima di afferrare un mestolo e rovesciare il contenuto di una pentola dentro un piatto. Fatto ciò, prese a zoppicare, facendo pressione sul manico della sua fidata amica, e salì piano piano i gradini, mentre il trillare del campanello si faceva sempre più forte ed insistente.
“Alla buon’ora!” gli urlò Laki, quando l’uomo aprì la porta, “Qui c’è una povera ragazza, molto ammalata e forse prossima a spirare, che vuole solo godersi una minestra calda, e lei la fa pure attendere!”
“Beh, scusa tanto se non sono bravo in cucina, non fa parte delle mie mansioni.”
“Non sa svolgere bene, nemmeno le proprie.” bofonchiò, portandosi il cucchiaio pieno di minestra alla bocca.
“Bleah! Don Abbondio ha messo lo zucchero nella minestra! Cosa sta tentando di fare, avvelenarmi?!” sbraitò disgustata la serva, dopo aver sputato l’intruglio in faccia al prete.
“Magari. Sai quanta pace e silenzio ci sarebbero dopo, in casa.” rispose l’altro.
La Perpetua, però, non apprezzò molto la battuta e gli scaraventò in faccia il piatto con la minestra, inzuppandolo ed ustionandogli il volto.
“Adesso scende e me ne prepara un altro pentolone, e veda che questa volta sia buona.” disse, ignorando i lamenti del curato, che rassegnato a quella tirannia imboccò la porta.
“Uffa, si può sapere come fa ad avere tutta questa forza se è malata?! E se ne ha così tanta, perché cavolo non guarisce, sono mesi che è a letto e mi comanda a bacchetta. -Non che non lo abbia mai fatto, ma da quando gli ho dato quel campanello, fa il doppio del rumore. -”
Stufo e rassegnato, il prete si mise nuovamente a preparare la cena, quando…
CRACK
Il rumore proveniente dal piano di sopra lo fece sussultare, e lasciando tutto acceso corse come un matto verso la stanza di Laki. Nella sua mette si affacciavano gli scenari peggiori, e temeva di entrare e trovarsi la donna spirata e riversa sul pavimento.
La sua idea non fu molto diversa da ciò che vide, una volta spalancata la porta: sul pavimento c’era, effettivamente, Laki, ma non era morta, anzi era più che viva. Aveva la testa nascosta sotto il letto, e stava raccogliendo vetri rotti.
Solo dopo un’attenta osservazione Max si rese conto, che stava raccogliendo pezzi del termometro, caduti sul pavimento ed inzuppati in una poltiglia nera; accanto ad essi, il prete distinse il manico di una tazzina. Ed il suo cervello ci mise un secondo a fare due più due.
“BUGIARDA! IMBROGLIONA! Come hai potuto fare una cosa del genere! Io sono qui a spaccarmi la schiena da tre mesi, preoccupato per la tua salute e tu per tutto il tempo TI FINGI MALATA! HAI D’AVVERO LA PESTE?! RISPONDI!”
Per tutto quel baccano Laki, che fino a quel momento non aveva notato la presenza del padrone, si sollevò, sbattendo la testa contro lo stipite del letto.
“Don Abbondio, cosa sta dicendo? Io sono veramente ammalata.” disse indicandogli la sua faccia, ma l’altro non si fece abbindolare dal pallore della sua pelle.
Subito le arrivò davanti, e fatto passare un dito sulla sua guancia, lo ritrovò sporco di una sostanza biancastra.
“Questa è farina!”
“Ops… uffa, sapevo che non dovevo usarla, era troppo scontata. Certo mi sarei aspettata lo scoprisse un po' prima, ma sapendo che era un alloco, ho pensato sarebbe bastata per ingannarla.” gli fece la linguaccia la quattrocchi.
“Ma sei fuori di testa! Perché cavolo hai finto tutto questo tempo?”
“E’ molto semplice, durante il suo periodo di convalescenza lei non ha fatto altro che ordinarmi sempre l’impossibile: quando la minestra era troppo fredda, quando la luce dalle finestre filtrava troppo, quando il cuscino non era abbastanza comodo… insomma non ne potevo più! Poi un giorno le sento dire ‘se tu fossi al mio posto, io mi fare in quattro per te ’.  Così dopo un periodo tanto stancante, ho deciso di testare la veridicità delle sue parole, e mi sono finta ammalata.”
“Ma io ti disintegro, hai idea di quanto sia stato faticoso starti dietro!” gli inveì contro il prete.
“Non faccia tanto l’esagerato, mi sono pure contenuta. E, comunque, adesso sa come mi sento io tutti i giorni a dover soddisfare tutti i suoi bisogni. Visto, non è poi così facile mantenersi calmi con tutto quello che c’è da fare, e con qualcuno che ti urla ordini a destra e manca. Nonostante questo, devo farle i miei più sinceri complimenti, lei si è comportato veramente bene in questo periodo, e per premiarla ho deciso di rimettermi a lavorare.”
E così Don Abbondio, rimase imbambolato come un salame, mentre Perpetua riprendeva a pulire casa. Il curato non sapeva se essere arrabbiato per l’inganno o essere felice perché la sua serva si era ripresa, stava bene, e soprattutto si era rimessa a svolgere il suo lavoro.
“DON ABBONDIO, HA LASCIATO I FORMELLI ACCESI! E HA BRUCIATO ANCHE LA MINESTRA!” sentì Laki inveire al pianterreno, e la sua gioia si tramutò in sconforto.
“Che Dio mi aiuti!” pregò, con le mani unite e lo sguardo rivolto verso il cielo.
 
Altrettanto drammatica era la situazione che si stava tenendo al castello di Don Rodrigo.
Anche il nobile, infatti, aveva contratto il morbo che lo aveva costretto a letto e lo aveva privato di tutte le forze.
Si era reso conto di essere ammalato, una sera, mentre tornava ubriaco da un party. Ovviamente, figuriamoci se a quella festa la gente aveva rispettato le norme di distanziamento o l’uso delle mascherine protettive.
Così da allora era riverso nel suo giaciglio, con un febbrone da cavallo ed una marea di pustole nere su tutta la pelle.
DRING DRING
Il campanello trillò ed i Bravi di Crime Soierce, eccetto il Griso, comparvero nella stanza.
“Bleah! Che schifo.” esclamò Sorano, volgendo la testa.
“Padrone, ha proprio una pessima cera.” disse Sawyer,
“Già, la Peste non solo l’ha debilitato, ma lo ha reso ancor più brutto di quanto non fosse già.” disse Meredy.
“Non credevo fosse possibile.” continuò Richard.
“E’ anche più spaventoso dei miei peggiori incubi.” disse Macbeth, prima di riappisolarsi, rifugiandosi nel mondo dei sogni.
“Smettetela, M-Men! I-io s-sono il v-vostro p-padrone! E s-sono s-sempre s-stato un uomo b-bellissimo! È t-tutta c-colpa d-di questa d-dannata Peste, s-se sono ridotto i-in questo stato. I-invece di deridermi, c-cercate un modo per curarmi!”
“Tsk, mi chiedo perché siamo ancora qui ad obbedire a questo tizio.” protestò Meredy.
“Perché siamo Bravi leali.” tentò Richard, ma fu zittito da un’occhiataccia dei compagni, “Perché ci paga bene e ci mantiene.” corresse Sawyer, mentre tutti gli altri approvavano.
“Adesso basta, ragazzi!” li zitti Sorano, “Visto che il nostro padrone è stato così misericordioso da farci rimanere al suo servizio, noi dobbiamo supportarlo e trovargli una cura o un dottore.”
“Finalmente, Men. Una che ragiona, tra voi c’è! Giuro che una volta guarito vi riempirò d’oro, a tal punto che vi uscirà pure dalle orecchie. Ora, però, uno di voi vada a chiamare il dottore, che abita nel villaggio, è un mio caro amico. Mi raccomando, però, massima segretezza, nessuno deve sapere che sono ammalato, soprattutto i Monatti.”
“Lasci fare a noi, capo.” disse Sorano, per poi tirare fuori dalla tasca del suo vestito un foglio di carta ed una penna, “Adesso, però, prima di proseguire deve rinnovare i nostri contratti di lavoro, sono scaduti proprio oggi.” e gli porse la penna, con il foglio davanti, stando ben attenta a non toccarlo.
L’uomo, troppo affaticato, firmò subito la ricevuta, senza neanche leggerne il contenuto e la porse alla Brava, che munita di guanti l’afferrò e prese a disinfettare la penna.
Infine, dopo aver dato una lettura veloce al foglio, sollevò un pollice, e si rivolse al suo compagno: “Perfetto, Sawyer adesso puoi andare a chiamare i Monatti!”
“Corro!” e sfrecciò via.
A Don Rodrigo si rizzarono i capelli in testa ed il pallore sulla sua pelle aumentò, “Cos’è uno scherzo?! Perché se lo è, è di pessimo gusto!”
“Nessuno scherzo, Don Rodrigo.” prese la parola Meredy, “Ci siamo solo stufati di avere a che fare con un bifolco come lei. Quindi, ci licenziamo. Per quanto riguarda la sua situazione, dopo tutto quello che ha fatto a questo paesello non possiamo certo lasciarla impunito, ci penserà la Peste a fargliela pagare. Ovviamente, non possiamo certo lasciarla qui da solo, in fondo è stato il nostro ex capo, abbiamo quindi deciso che potrà riposarsi nel Lazzaretto, che si trova a Cantù.”
“VOI, TRADITORI! INFAMI! DOPPIO GIOCHISTI! MEEEEEN! MA NON AVRETE UN SOLDO, UNA VOLTA CHE SARO’ GUARITO VE LA FARO’ PAGARE CARA! VI DARO’ LA CACCIA, NON AVRO’ ALCUNA PIETA’.”
“Ehi, perché il capo urla tanto? Glielo avete già detto?” chiese Macbeth svegliato da tutto quel fracasso.
“Non abbiamo ancora finito con le sorprese.” disse Sorano,
“Di cosa stai parlando, imbrogliona?”
“Semplice, ha presente quel pezzo di carta che ha firmato poco fa?” chiese l’albina ad Ichiya che ormai a causa della febbre e di tutte quelle rivelazioni, stava per svenire.
“Beh, deve sapere, che non ha rinnovato i nostri contratti. Con quel foglio, lei ci ha appena resi i possessori di tutte le sue ricchezze, e non avendo eredi tutto il suo patrimonio adesso ci appartiene.”
“MEEEEEEEEENNNNNNN!” gridò disperato Don Rodrigo, mettendosi quasi a piangere, mentre tentava inutilmente di sollevarsi in piedi.
Alla porta bussarono, ed un attimo dopo comparve Sawyer seguito da due Monatti.
“Urgh! Che schifo!” esclamò uno dei due,
“Bleah, mi viene da vomitare solo a guardarlo.”
“Un altro poveraccio colpito dalla peste.” continuò il primo.
“Già, ma in questo caso, è stata davvero una bastarda, guarda come lo ha ridotto.” disse indicando il volto di Ichiya, completamente bianco e opaco, con gli occhi scavati ed il moccio che gli colava dal naso.
“Tranquilli, lui era già tremendo quando era sano.” disse Meredy.
“Si può sapere chi è?” chiese il Monatto,
“Ma come, non lo riconoscete? È Don Rodrigo!” disse Richard.
“Don Rodrigo! Quel buzzurro di un nobile! Quello che solo un anno fa, la faceva da padrone per tutto il villaggio?!”
“Proprio lui. Potete sbrigarvi a portarlo via. Solo la sua faccia ci disgusta.” disse Macbeth.
“Ovviamente, dopo anni di tirannia, questo schifoso vecchiaccio avrà quel che merita!”
Disgustati solo dal doverlo sollevare, per caricarlo sul carretto, i due uomini legarono i polsi e le caviglie del nobile ad un bastone e se lo caricarono in spalla. Mentre il poveraccio si dimenava e tentava di liberarsi, gridando come un matto minacce e contro minacce verso i suoi servitori; che in tutta risposta lo salutarono sorridenti.
“Finalmente siamo liberi di fare quel che più ci piace.” rise Sawyer, stiracchiandosi.
“Già, più nessuno a darci ordini a destra e manca, o a farci fare cose che non vogliamo.”
“Viva l’amore e la libertà.”
“Inoltre, siamo tutti ricchi sfondati.” disse Macbeth.
“È vero, ma ve lo immaginate. Potremmo vivere come re, dove più ci piace. Addio vita da delinquenti!” gioì il biondo.
“Che ne dite, se donassimo una parte dei nostri soldi ad Erik e Kinana?” chiese Richard.
“Potremmo anche farlo, ma non credo che Erik accetterà mai i soldi di Don Rodrigo. Ricordiamoci che è stato lui a farlo finire in prigione.”
“Potremmo non dirgli da dove vengono i soldi.” consigliò Meredy, e tutti approvarono l’idea.
Stavano rientrando nel maniero pronti a svaligiarlo di tutte le sue ricchezze, quando…
“FERMI TUTTI DOVE SIETE!” gridò Sorano, e gli altri si paralizzarono sul posto.
“E adesso che c’è?” chiese il biondo, “Dobbiamo muoverci o ci metteremo una vita a preparare tutto.”
“Io ho sonno, quindi facciamo in fretta.”
“Razza di incoscienti! Vi rendete conto del pericolo che stiamo vivendo? Don Rodrigo era ammalato ed i suoi germi si saranno attaccati a tutto quello che ha toccato in questi giorni. Non possiamo metterci a svaligiare tranquillamente la casa! Rischiamo di prenderci la peste, e fare la sua stessa fine!”
A quella prospettiva tutti i Bravi tremarono. Comprendendo le parole della compagna rimasero in attesa di una soluzione, che non tardò ad arrivare.
“Venite qui!” ordinò l’albina, “Lavatevi le mani…” disse indicando il catino di acqua insaponata, che aveva alle spalle, “Dopo di che, prendete guanti, mascherine e spray disinfettante ed andiamo ad igienizzare l’intero palazzo.”
Così disse, e così fecero. Pulirono ogni centimetro quadrato dell’immenso maniero, e poi presero a svaligiarlo, portando via tutto quello che ritenevano avesse un certo valore.
Il carico totale si rivelò talmente vasto, che ci vollero ben cinque carri, stracolmi di ogni ben di Dio, per trasportare via quella roba.
Ormai lontani i cinque criminali, non notarono il crollo del castello. Avevano trafugato talmente tante cose, che l’intero edificio ormai vecchio e spoglio, cedette.
Fu così, che i cinque Bravi lasciarono il paesello e decisero di fuggire verso la campagna, luogo isolato, dove speravano di scampare alla peste.
 
Durante il tragitto si imbatterono in una loro vecchia conoscenza.
“Ehi signora Mondella!” la chiamò Sorano, e la bionda si voltò.
Appena Agnese vide quei cinque carri stracolmi di ogni ricchezza, sgranò gli occhi paralizzandosi sul posto.
“M-Ma voi siete i Bravi di Don Rodrigo.” disse riconoscendo i cinque individui,
“Ex Bravi. Ci siamo appena licenziati.” la corresse Meredy.
“E già che c’eravamo, abbiamo pensato di svaligiargli il castello.” disse Sawyer, indicando le montagne di oggetti.
“Adesso ci stiamo dirigendo verso la campagna, vuole venire con noi?” chiese Richard.
“Mi piacerebbe, ma devo raggiungere Milano, mia figlia si trova al Lazzaretto vicino Cantù.”
“Sapevamo che era fuggita dal palazzo dell’Innominato, ma non credevamo che fosse ammalata.” disse Macbeth.
“Non credo che abbia la peste, ma ho saputo che è diventata l’assistente di una vecchia dottoressa, e che la sta aiutando con gli appestati.”
“Capisco, senta che ne dice se la accompagniamo noi, a Milano. Faremo sicuramente prima che a piedi.”
“Davvero sareste così gentili?” chiese la ragazza, con sguardo supplichevole.
“Ma certo.” disse Sorano, “Tutto per gli amici dei nostri amici.” e fece accomodare Lucy sul carretto.
“A proposito, questi sono per lei.” le porse un sacchetto Meredy.
“Cosa sono?”, “Il pagamento per la finestra e la porta.”
“Finalmente vi siete decisi a risarcirmi! Sono mesi che vi invio ogni sorta di lettera.”
“Già, ci scusi, ma le ha ricevute tutte Macbeth e si è addormentato sempre prima di consegnarcele, e poi se ne è dimenticato.” spiegò Meredy, indicando il compagno addormentato.
 
Gajeel giunse al villaggio nel tardo pomeriggio, e lo trovò completamente abbandonato, oltre che lurido e decadente. Il piccolo sobborgo gioioso ed accogliente ormai era un lontano ricordo, che a causa di tutto quel degrado si era tramutato in un paesello fantasma.
Ignorando l’aria cupa e deprimente che quel luogo emanava, il moro prosegui spedito per il centro, fino a giungere davanti all’abitazione di Erik.
La casetta in legno presentava sbarre alle finestre e tutti gli scuri erano chiusi, scavalcando tranquillamente il cancello, il Dragon Slayer non perse tempo e scardinò la porta entrando nel soggiorno.
Qui, però, non trovò nessuno. Quasi gli dispiacque di non essere accolto da una coltellata, ma ci pensò la sorpresa di pochi secondi dopo a fargli passare quel desiderio.
Infatti, dopo aver fatto appena tre passi nella stanza, inciampò in una corda e subito dai muri si aprirono dei forellini, dai quali schizzarono fuori una marea di freccette.
Con tutta l’agilità di cui era capace il moro, saltò, schivò e si abbassò, riuscendo ad evitare tutti i colpi.
Ma, quando credette, che ormai il pericolo fosse scampato, un gigantesco ariete fatto di legno scivolò dal soffitto e lo prese in pieno busto, lanciandolo nuovamente fuori casa. Nel punto del giardino in cui atterrò, erano state appositamente preparate una marea di tagliole, ed il poveraccio ci finì sopra.
“WHAAAIOOO!” gridò dal dolore, mentre le trappole per topi, gli si conficcavano ovunque, facendogli sanguinare la carne. Disorientato, fece qualche passo in dietro e mise un piede su un rastrello prendendo il manico in pieno muso. Infine, girandosi su sé stesso un paio di volte, mise piede sul terreno friabile e cadde in una fossa, appositamente scavata.
Rimase ko, per non seppe nemmeno lui quanto tempo, quando il dolore e la confusione si attenuarono riuscì ad aprire di nuovo gli occhi, e lentamente, dopo essersi messo a sedere, prese a togliersi le tagliole.
Cercando di ignorare le fitte di dolore portò a compimento l’ingrato compito ed una volta riuscito a sollevarsi in piedi, aggrappandosi con le mani alla parete rocciosa, uscì dalla fossa, riuscendo a rivedere nuovamente il cielo sopra la sua testa.
Stando ben attento ad evitare il rastrello, ancora poggiato a terra, e pronto a fargli qualche nuovo scherzo, il ragazzo si diresse in punta di piedi verso l’uscio di casa.
Finalmente giunto davanti alla porta, che stranamente si era richiusa da sola, ci trovò attaccato un pezzetto di carta. Afferrato, se lo porto davanti al muso e prese a leggere ciò che c’era scritto…
Salve a te, ladro malintenzionato! Se stai leggendo questo messaggio significa, che da bravo bastardo quale sei, volevi entrare e svaligiarmi casa, peccato ti sia andata male! Comunque, se sei qui a leggere questo foglio di carta, significa che sei sopravvissuto alle mie trappole mortali. Questo significa che sei stato o molto fortunato o molto abile, -buon per te. Ora sparisci dal mio giardino! –
Se, invece, vuoi ignorare questo mio avvertimento e tentare la sorte sei libero di rientrare, ma ti avverto subito il meccanismo delle trappole cambia ad ogni ingresso, ed esse sono sempre più pericolose e nocive! Inoltre, sappi che sono molto esperto e conosco bene il ramo della delinquenza, se riuscirai a derubarmi, prima o poi ti rintraccerò, e per allora sarà meglio per te aver già fatto testamento!”
Gajeel fissò intontito il foglietto di carta, quella era sicuramente la scrittura di Cobra, solo che il messaggio non era rivolto a lui. Fu, però, incuriosito dalla seconda parte dello scritto.
… QUESTA PARTE È DESTINATA A GAJEEL TRAMAGLINO, -se non lo sei per il rispetto della privacy non leggere, vedi sopra cosa ti succederà se non ubbidirai-.
GAJEEL, BRUTTO IDIOTA! NON PERDERE TEMPO, VA SUBITO NEL CESPUGLIO VICINO A CASA E CERCA UNA FIALETTA DI COLORE VERDE! Molto probabilmente in questo momento ti sentirai stanco e spossato, è perché sei stato colpito da uno dei dardi avvelenati, CORRI SUBITO A PRENDERE L’ANTIDOTO!”
“Merda!” esclamò il moro, sbiancando per la paura.
Aveva effettivamente avvertito una leggera stanchezza, e il suo stomaco era in subbuglio. Sollevandosi in piedi prese ad ispezionarsi fino a trovare sul polpaccio destro un piccolo forellino; dovuto sicuramente ad uno dei dardi avvelenati che lo avevano accolto nell’ingresso.
Senza perdere tempo corse verso il cespuglio, ed estirpando la piccola ramificazione erbosa, trovò la fialetta indicata. Senza attendere oltre, stappò il recipiente e prese a berne il contenuto. Appena la brodaglia amarognola gli fu passata giù per il gargarozzo, si sentì rinascere, ed osservando la puntura sulla gamba destra vide, che si era sgonfiata e stava lentamente sparendo.
Comprendendo, che quel giardino era forse il luogo più pericoloso dei dintorni, varcò subito il cancellino allontanandosi dalla proprietà dell’amico.
Distanziatosi di parecchi metri si sedette su un rialzo sassoso e riprese la lettura…
Gajeel! Se stai leggendo il continuo di questa lettera vuol dire che sei sopravvissuto! Ne sono molto felice! In caso contrario, pace all’anima tua! Spero tu possa goderti il tuo riposo eterno e che ti accolgano in Paradiso! ...”
Dannato bastardo, fottiti.”
“… Questo ti serva di lezione a non sfondarmi la porta di casa! -Perché anche se non sono lì e non ti ho visto, so che lo hai fatto! Guai a te se ci riprovi! –
Ti starai sicuramente chiedendo dove siamo io e Kinana, beh come ovviamente saprai è scoppiata la peste, e noi abbiamo deciso di darcela a gambe, visto che stavano praticamente morendo tutti nel villaggio. Ci siamo recati nella nostra casetta di campagna, e lì resteremo, -sperando di non contrarre il morbo-, fin quando la situazione non migliorerà.
Certamente sarai venuto a cercarmi per sapere qualcosa su Levy: non ne so molto. Sapevo che era stata rapita dall’Innominato, ma che grazie a Fra Cristoforo era stata tratta in salvo e fatta risiedere in un luogo nascosto, ma non so dirti altro.”
“Quando incontro di nuovo quel frate nudista, devo ringraziarlo.” pensò Gajeel, “Mi chiedo chi sia questo Innominato, preghi che Levy stia bene e che durante la sua reclusione non abbia sofferto troppo o giuro che lo ammazzo.”
Curioso e deciso a terminare quella lettura, continuò…
Sono certo che Agnese ti saprà aggiornare meglio di me.
Parlando d’altro, io e Kinana abbiamo già preparato il regalo per il matrimonio, quindi vedete di muovervi a sposarvi, che questa storia è andata per le lunghe! Ci rivedremo alla cerimonia.
Vi auguro ogni bene, e buona fortuna.
P.S. Quest’ultima frase è di Kinana: io non ti auguro un bel niente se non di muoverti a sposarti, e soprattutto di darti una calmata. Dopo tutto quello che hai combinato a Milano, spero tu abbia imparato la lezione.
Ci rivedremo presto dal vivo, e termineremo la nostra sfida. Guai a te se muori di peste, imbecille con il ferro al posto del cervello!”
Il messaggio terminò lì, ed il moro non riuscì a reprimere un sorriso divertito, mentre l’ultima frase gli ricompariva in testa.
“Quel cretino di Cobra è proprio intenzionato a prendere una sonora batosta.” disse iniziando a ridere, mentre si incamminava verso casa Mondella.
Il sole era quasi calato, quando giunse davanti all’abitazione. Prima di entrare, però, si ritrovò sulla porta un altro biglietto, che recitava: “Gajeel, spero che tu sia vivo e vegeto, e che tu stia leggendo questa lettera. Sono appena partita per Milano, quando ho scoperto che Levy si trovava nel Lazzaretto. -So, che sei un ignorante di prima categoria, e sicuramente ti starai chiedendo cos’è un lazzaretto: è il luogo dove vengono ricoverati tutti quelli che hanno contratto in forma grave la peste!”
A quella notizia Gajeel si sentì sprofondare la terra sotto i piedi; miliardi di domande gli frullarono nel cervello: Levy aveva contratto la peste? Era moribonda su un letto? Era già morta? Cosa cavolo c’era andata a fare in un posto tremendo come quello? Perché nessuno lo aveva avvertito? Qual era il modo peggiore e più doloroso, per uccidere l’autore, che lì aveva costretti a quella situazione?
Se non fosse stato per l’improvvisa fiacchezza, che quella notizia ed i venti chilometri di camminata, gli avevano procurato, sarebbe partito a corsa per la città.
Distrutto, però, da quella rivelazione rimase immobile, fin quando la sua mente non si decise a riprendere la lettura…
Sta tranquillo, Levy non è ammalata!”
Quasi scoppiò a piangere a quella notizia, mentre una parte di lui malediceva Lucy per non aver scritto quella parte prima o più grande.
Nonostante questo, dobbiamo subito recarci a Cantù, per assicurarci che stia bene, e perché voi due dovete sposarvi! Non so quando leggerai questo messaggio, ma sbrigati a partire, che con questo clima di miseria e paura non si sa mai cosa possa succedere.
Un’ultima cosa: non entrare assolutamente in casa! Ho attivato l’allarme, e se non vuoi essere folgorato, fatto a pezzi o bruciato vivo, allontanati immediatamente dalla porta.”
“Ma che problemi hanno tutti quanti con i sistemi d’allarme?! Poveracci quei ladri che tenteranno nell’impresa di svaligiare queste case. Io, comunque, non ci penso neanche ad entrare, figuriamoci se voglio ritrovarmi di nuovo in quella situazione.” si disse prima di mettersi a correre il più lontano possibile dalla casa, temendo esplodesse all’improvviso.
 
Giunta la sera, si interrogava su come raggiungere Milano e se partire subito o attendere il mattino.
Il problema più grave era rappresentato dai mezzi di trasporto. Si era, infatti, reso conto che ad andare a piedi ci avrebbe messo troppo; quindi, doveva per forza usufruire di un veicolo.
L’idea, però, gli procurava dei tremendi conati di vomito, ed il solo pensiero di salire su un traghetto o su un carro, lo terrorizzava.
Mettendo da parte la paura ed il voltastomaco, si incamminò verso i confini del villaggio, dove aveva letto, solo poche ore prima, un’insegna, su cui era scritto: “COMPAGNIA DI TRASPORTO CAROVANO. GRATUITO IL PRIMO VIAGGIO INAUGURALE.”
Arrivato davanti al grande cartello, sotto cui era riposto un calesse con attaccato un cavallo, avvertì subito il suo stomaco contrarsi; ma scuotendo la testa si fece avanti.
Grande fu la sua sorpresa quando scoprì che i due guidatori, erano sue vecchie conoscenze.
“Che ci fate qui voi due?” chiese ai due ragazzi, seduti sopra il carretto, intenti a leggersi due giornalini.
“Ehi, ma tu sei quello che un anno fa abbiamo traghettato dall’altra parte del lago!” esclamò Sting montando giù dal carretto, pronto ad abbracciare il moro, ma Rogue lo trattene ricordandogli le norme per la sicurezza.
I tre dovettero accontentarsi di un saluto a distanza.
“Come mai sei tornato in questo sfortunato paese?” chiese Rogue,
“Ero venuto a cercare Levy. Voi invece, come mai non traghettate più la gente?”
“Semplice!” intervenne Sting, “Con l’arrivo della peste nessuno viaggia più in barca, inoltre visto che ci sentivamo sempre male, i nostri clienti ci scambiavano in continuazione per untori, e ci stavano alla larga. Gli affari andavano malissimo, e non riuscivamo a mantenere le nostre famiglie.”
“Famiglie?”
“Ebbene sì, proprio un mese fa io e Rogue ci siamo sposati! Le nostre mogli sono quelle due ragazze che lavorano alla filanda cittadina, Yukino e Minerva.” disse orgoglioso il biondo, esibendo un sorriso a trentadue denti.
“Praticamente manchi solo tu a sposarti.” gli disse Rogue.
“Guarda che lo so benissimo!” rispose l’altro irritato, e forse un po' invidioso.
“Sono venuto qui proprio per questo! Voglio andare a Milano, i possessori di questa carrozza mi ci devono portare!”
“Ehi, guarda che siamo noi i padroni di questo mezzo!” disse Sting accigliato, “Ti abbiamo detto che stavamo fallendo come barcaioli; quindi, ci siamo dati alla guida delle carovane! Sei il nostro primo cliente, quindi non dovrai pagare nulla, forza salta su ti portiamo a Milano!”
L’altro, però, rimase immobile.
Vedendo la sua esitazione i due non poterono trattenersi dal commentare: “Andiamo non ti sentirai male anche sui carri?!”, “Certo che hai lo stomaco delicato! Sta tranquillo andremo piano.”
Il moro, sorprendentemente non si infuriò per i commenti, anzi scoppiò in una fragorosa risata.
“Cosa c’è da ridere?” chiesero i due, fissandolo in cagnesco.
“Ghjijiji! Si vede proprio che non avete mai messo piede su un carro. Va bene salgo, ma preparatevi, perché anche quest’attività non vi frutterà un bel niente.”
“Che vuoi dire?” chiese Rogue, “Vedrai!”
 
E, infatti, entrambi i Dragon Slayer, scoprirono ben presto che salire su un carro gli faceva un effetto ancora peggiore di stare su una barca!
Ad ogni curva, sasso, rialzo e buca sentirono il pranzo muoversi nella pancia, e dopo l’ennesimo sobbalzo non riuscirono a resistere e diedero di stomaco.
Tutto questo, senza aver percorso nemmeno mezzo metro: dovevano ancora fare, la bellezza di venti chilometri, prima di vedere le porte di Milano.
A quella prospettiva i tre rischiarono lo svenimento e divennero, prima bianchi, poi blu ed infine verdi.
Nonostante questo Gajeel prese in mano la situazione e riuscì a convincere quei due, che supportati dal proprio orgoglio professionale e da due pugni ben assestati sul cranio, si fecero forza e ripresero il viaggio.
Scorsero l’ingresso della città nel momento in cui il sole sorgeva, avevano proseguito tutta la notte, il viaggio, ed erano talmente ridotti male, che la gente che li incontrava lungo la strada si metteva a correre gridando: “AIUTOOOO! C’E’ UN’INVASIONE DI ZOMBIIII!”
I tre ‘morti viventi’, non facendo molto caso alle grida dei passanti, - troppi erano i problemi di cui la loro mente doveva occuparsi in quel momento-, giunsero per grazia ricevuta al portone; e subito smontarono dal calesse, respirando a pieni polmoni l’aria fresca del mattino e baciando la terra.
“Non metterò mai più piede su un mezzo di trasporto!” gridò Gajeel, “Nemmeno noi!” convennero gli altri due, cominciando a prendere a calci il veicolo.
“E come ci tornate a casa?”, “A piedi!” gli gridarono dietro, prima di incamminarsi, abbandonando il carro davanti alla città.
Titubante il moro varcò la porta, quel luogo gli riportava alla mente troppi ricordi, e temeva di essere riconosciuto.
Ma, nell’istante in cui giunse nel centro città, si rilassò, constatando che era praticamente deserto, fatta eccezione per i Monatti, che, come al solito, caricavano gli appestati, e per qualche disgraziato riverso sul pavimento, intento ad esalare l’ultimo respiro.
Intristito da tutta quella sofferenza proseguì il suo cammino, ma non ancora ripresosi dal viaggio, si appoggiò ad un muro, e qui fu nuovamente testimone della grande e benevola accoglienza milanese.
“UNTOREEEE!” gridò un disgraziato indicandolo con un dito, e subito dalle case comparvero gli abitanti armati di torce, forconi, fruste, corde e pure asce.
Si misero ad inseguirlo per tutte le strade ed i vicoli, intenzionati ad accopparlo.
Il poveraccio, percorse l’intero sobborgo cittadino, con alle calcagna quei pazzi furiosi, “Pazzi scatenati! Maniaci! Questa città è malata, ma non di peste! Non ci metterò più piede! È peggio di Salem!”
Alla fine, riuscì a scampare al rogo, salendo su uno dei carri dei Monatti, che gentilmente lo accompagnarono al Lazzaretto.
 
Quando varcò la soglia del Lazzaretto, si sentì mancare il fiato in gola: davanti a lui si estendevano un’infinità di giacigli, su cui venivano malamente deposti gli appestati, dai Monatti.
Tra i malati, si distinguevano i moribondi, che distesi su letti sporchi, maleodoranti e spagliati, avevano soltanto la forza di respirare, e pian piano anch’essa li stava abbandonando.
Questo lo constatò avvicinandosi ad un letto, dove riposava una bambina, di appena sette anni, la quale era distesa sul sudicio materasso, incapace perfino di sollevare le palpebre. Il moro rimase a fissarla impietrito, ed impotente osservò il suo respiro farsi sempre più lieve, fino all’ultimo grande sospiro, simile ad un rantolo, il quale non fu preceduto da nient’altro, se non da un rilassamento totale dell’esile corpicino.
La morte di quella bambina gli procurò un tremendo dolore al petto, come se gli avessero appena trapassato il cuore. Asciugandosi una lacrima, diede le spalle alle due infermiere, che velocemente venivano a liberare il letto, per fare spazio al nuovo arrivato.
Girando a destra, dove si formava una curva separata dal resto da un vecchio muro, si ritrovò in un’altra area della struttura. Qui vide una marea di uomini vestiti con tonache, che portavano ciotole e mestoli, oppure che si sedevano vicini agli allettati e cercavano di dargli conforto.
Fu, qui, che tra mille volti riconobbe un uomo che non vedeva da un anno: “Gray!” esclamò facendosi in contro all’amico, che riconoscendolo a sua volta gli si fece in contro zoppicando.
I due si salutarono felici di essersi ritrovati, ma subito Gajeel notò qualcosa di strano nel frate. Aveva, infatti, un colorito per nulla naturale, ansimava e tremava tutto.
“Si può sapere cos’hai?”
“Cosa vuoi che abbia, se mi trovo qui dentro?!”
“Peste!”
“Proprio lei! L’ho contratta due mesi fa, quando ho preso servizio qui dentro come supporto spirituale per i malati.”
“E Juvia?” chiese Gajeel preoccupato per le sorti dell’amica.
“Mi ha seguito qui dentro. Ha preso la peste tre mesi fa, ma per fortuna è guarita e adesso sta bene. Ha sofferto molto di più qualche mese fa.”
“Certamente, anche se l’ha contratta in forma minore stiamo pur sempre parlando di peste…”
“Ma quale peste?! Io sto parlando delle nuove norme per il distanziamento emanate mesi fa! Allora era tristissima perché non poteva più starmi appiccicata.”
Non riuscendo a trattenersi l’altro scoppiò a ridere: “Ma guarda un po' se doveva venire la peste per impedirgli di fare la sanguisuga.”
“C’è poco da ridere.” disse Gray in tono serio, “Adesso che ha avuto la peste, non potrà più prenderla. Quindi per lei queste norme non contano più, sono io quello che deve disperarsi!”
“Perché? È un’infermiera così pessima?”
“Figurati, è bravissima, gentile, delicata, ma è troppo appiccicosa ed ora che sono ammalato è diventata ancora più apprensiva. Pensa che l’altro giorno per impedirmi di lavorare, mi ha incatenato al letto!”
“Ghijijijijij! Quella donna della pioggia è completamente ammattita!”
“Tu piuttosto, sei qui perché…”
“Rilassati ho già avuto la peste e sono guarito. Sono qui per cercare Levy. Sai dove si trova?”
“Molto probabilmente nella seconda area. Ma prima che tu vada a cercarla, devo mostrarti una cosa.” disse Gray incamminandosi per il corridoio, seguito dal moro, che non aveva la più pallida idea di che cosa volesse mostrargli.
Arrivato davanti ad una stanza, che non era una vera e propria stanza, bensì un’anta della struttura separata dalle altre, grazie ad un lenzuolo; si fermò.
“Oltre questo lenzuolo si trova un appestato.” cominciò a spiegare il frate, vedendo sul volto dell’amico la confusione.
“È stato messo qui per una ragione: il suo volto si è talmente rovinato a causa del morbo da portare chiunque lo guardi a morire, a causa della sua bruttezza! Per questa ragione gli è stata pure messa in volto una maschera di ferro, per coprirglielo ed impedirgli di essere visto.”
“Perché mi dici questo?”
“Perché tu conosci bene la persona che si trova oltre questa tenda.” disse cominciando a togliere il panno, “Qui è disteso colui che ha provocato a te a Levy tutti quei problemi. Colui che fino ad ora ha compiuto ogni sorta di bricconeria pur di impedire il vostro matrimonio. Qui si trova ciò che resta del nobile spagnolo conosciuto come… Don Rodrigo!”
“MEEEEN!” guaì il diretto interessato sentendosi chiamare per nome.
“Tsk, stupido autore, c’era bisogno di enfatizzare così tanto questo momento?! Lo avevano capito tutti che era Don Rodrigo!” si lamentò Fra Cristoforo, stracciando il foglietto dove erano appuntate le sue battute.
“I-Ichiya! Cosa ci fa lui qui!”
“Te l’ho già detto: ha contratto il morbo! È da giorni che si trova lì, aggrappato tra la vita e la morte!” gli rispose Gray.
“Perché mi hai portato qui?”
“Mi aspettavo ci arrivassi da solo, razza di zuccone! Ormai questo disgraziato non può più nuocere a nessuno. Ma credo che tu abbia molte cose da dirgli.”
“Puoi scommetterci!” urlò il moro, arrivando con un solo balzo al capezzale del nobile, per afferrarlo per il collo del giacchetto, sollevando il pugno, pronto a colpirlo.
“Non hai idea da quanto aspetti questo momento! Finalmente potrò fracassarti tutte le ossa!” gridò, mentre l’altro si dibatteva cercando invano di allontanarsi.
“Ma che cazzo fai, scemo!” gli urlò Gray, trattenendolo per le spalle.
“Si può sapere che ti prende?” chiese Gajeel fissandolo stranito.
“Non ti ho portato qui per ucciderlo! Ti ho portato qui, perché tu possa perdonarlo prima che schianti!”
“Perdonarlo?! Non ci penso nemmeno! Hai idea di cosa ho passato per colpa di questo bastardo! Il mio matrimonio è saltato, Levy è stata rapita, e adesso si trova qui, nel posto peggiore di tutta l’Italia! E tutto per colpa di questo vecchio pervertito!” disse indicandolo con un dito.
“Lo so, ma non ti fa pena, ora che è ormai ad un passo dalla morte?”
Gajeel si voltò per fissare il nobile, di cui a causa della maschera si potevano vedere solamente i grandi occhi da cucciolo lacrimoso che gli stava rivolgendo.
Gajeel continuò a fissarlo senza batter ciglio…
“No!” fu la sua risposta, prima di afferrarlo per la manica della giacca e piantargli un pugno sul testone, frantumando una parte della maschera, e facendo svenire Ichiya, che prese a vedere le stelle.
“Lo sapevo, sei proprio un imbecille!” lo apostrofò Gray, assicurandosi che il moribondo non esalasse l’ultimo respiro.
“Bene, adesso dimmi dove si trova Levy.”
“Prima perdona questo disgraziato!”
“Mi rifiuto!”
“Smettila di fare così! Dovresti mostrarti migliore di lui, e compassionevolmente riuscire a perdonare le sue azioni!”
“Perché dovrei? Non sono certo così buono! Che crepi male, il mio perdono non lo avrà!”
“Guarda che se ti comporti così ti abbassi al suo stesso livello! Sarai esattamente come lui!” gli urlò in faccia Fra Cristoforo, e qualcosa in Gajeel Tramaglino si mosse.
“Io non mi ridurrò mai in quello stato! Nessuna forza della natura riuscirà mai a trasformarmi in un mostro tanto orribile! Ma se è questo che temi, allora lo perdono e non parliamone più.” disse, con non poco timore e disgusto il moro; e Fra Cristoforo si accontentò, accettando per quella volta il fraintendimento del suo discorso.
I due abbandonarono Don Rodrigo e si misero finalmente alla ricerca di Levy, durante questo tragitto, si rincontrarono con Lucy, Juvia e Crime Soierce, che aveva accettato di accompagnare Agnese dentro il Lazzaretto.
“Gajeel!” gridò la bionda aggrappandosi alla vita del ragazzo, “Sono così felice che tu stia bene, e che tu abbia ricevuto il mio messaggio.”
“Si, e sono venuto qui per trovare Levy e poterla sposare. Si può sapere dov’è?”
“Stavamo giusto andando a cercarla.” si intromise Sorano.
“Voi che ci fate qui?” chiese il moro.
“Stavamo fuggendo in campagna, ma durante il tragitto abbiamo incontrato la signora Agnese. E dopo che ci ha raccontato dove si trovava la figlia abbiamo deciso di portarla qui ed aiutarla a cercarla.” spiegò Meredy.
“E Gerard dov’è?”
“Si è licenziato un anno fa ed è fuggito con la monaca di Monza per terre straniere, non lo abbiamo più visto.” disse Sawyer, mentre un risolino si levava dagli altri ex Bravi.
“GRAY-SAMAAAA!” ci pensò l’urlo di Juvia a metterli in guardia e a rompergli i timpani.
La ragazza senza perdere tempo si avvicinò al frate e lo afferrò per un braccio sostenendolo. Aveva infatti notato che il suo stato di salute era peggiorato, ed il poveretto non riusciva più a reggersi in piedi.
“Oh, sua eccellenza l’Arcivescovo davvero mi nomina suo segretario! Cosa! Potrò tornare a picchiare tutti quelli che non mi vanno a genio! E inaugurerà ‘la giornata dello Svestimento mondiale’! Tutti dovranno andare nudi in giro per un giorno intero, evviva nessuno mi ricorderà in continuazione la mia pessima abitudine!” prese a delirare il povero Gray, disteso dolcemente da Juvia sul pavimento, mentre il suo volto diventava di mille colori ed i suoi occhi assumevano la forma delle girandole.
“Poveraccio, lui la peste l’ha presa veramente brutta!” disse Macbeth,
“Preghiamo Dio, che lo salvi da questo male!” pregava Richard, mentre intorno al frate si radunavano tutti i suoi amici.
“Gray-sama, resisti, Juvia troverà il modo di curarti.” piangeva disperata la turchina, mentre stringeva l’amato in un abbraccio.
“Non possiamo fare nulla per lui?” chiese Lucy,
“Purtroppo no, chi viene colpito di peste quasi sempre va in contro alla morte.” rispose l’albina, guardando con sconforto la scena.
“E se chiedessimo a quella vecchia fattucchiera, che miracolosamente ha curato molti appestati! Si trova proprio qui!” esclamò Meredy, e in tutti i presenti si riaccese una flebile speranza.
“Forza aiutatemi a caricarmelo sulle spalle.” disse Sawyer a Macbeth e Richard, avvicinandosi al frate e abbassandosi pronto a sollevarlo.
Stavano per metterglielo addosso, quando tutti e tre furono spinti via, picchiando una bella musata sul terreno.
Infuriati si voltarono intenzionati a scuoiare l’autore di quello scherzo, ma il volto demoniaco di Juvia, li paralizzò sul posto.
“Nessuno… nessuno, può portare Gray-sama sulle proprie spalle, eccetto Juvia! Guai a voi se ci provate di nuovo!”
“Tienitelo pure!” squittì il biondo, lanciandogli il ragazzo, che subito Juvia afferrò e si caricò addosso.
Proseguirono in gruppo fino al portone che collegava la prima area del Lazzaretto alla seconda. Qui dovettero separarsi, a causa delle guardie che si rifiutavano di far passare tutta quella gente, alla fine gli unici che riuscirono a farsi strada e a penetrare nell’altra struttura furono Lucy e Gajeel.
Ignorando i richiami dei soldati, che gli ordinavano di fermarsi e tornare in dietro, si mischiarono alla folla di ammalati e riuscirono a seminarli, entrando in una stanza.
“Gajeel, mamma!”
Quella voce, così familiare ad entrambi li paralizzò sul posto, lentamente come congelati si voltarono e Lucy scoppiò a piangere, quando riconobbe davanti a sé la figura minuta, dai lineamenti delicati, della figlia.
Non riuscendo più a trattenersi le due si strinsero in un abbraccio, prendendo a versare tutte le lacrime, che si erano ripromesse di piangere una volta ricongiunte.
“Sing… sing… Bambina mia! Quanto sono felice di rivederti! Non ci speravo più!”
“MAMMA! Whaa! Mi sei mancata così tanto! Ero così in pensiero! Credevo che non ti avrei più rivisto!”
Si strinsero nuovamente, riprendendo a piangere a dirotto, mentre Gajeel le fissava sorridendo felice.
Quando finalmente Levy si ricordò di lui, la sua gioia crebbe ancora di più! E subito gli si avvinghiò, talmente forte, che a Gajeel mancò quasi il fiato.
Ma ciò, era forse dovuto, più all’emozione di aver rivisto finalmente la fidanzata, che dall’abbraccio di Levy.
“Gajeel! Brutto idiota! Hai idea di quanto mi hai fatto preoccupare?! Cosa hai combinato a Milano, eppure ti avevamo avvertito di stare tranquillo! Accidenti, sono così felice di rivederti, che non riesco nemmeno a rimproverarti come devo.” pianse Levy.
“Tranquilla, avrai tutto il tempo di farmi la predica quando saremo sposati!” rise divertito il moro, carezzandogli una guancia, per asciugargli una lacrimuccia.
Il volto di Levy a quella esclamazione si abbuiò e subito si staccò dal ragazzo, portando entrambe le mani davanti alla bocca, mentre il suo intero corpo era scosso da fremiti.
“Oh no, no! I-io e t-te n-non p-possiamo sposarci! No, non possiamo…”
Sia Gajeel sia Lucy la fissarono sconcertati non riuscendo a capire il motivo di tutta quell’improvvisa agitazione.
Poi al moro venne l’illuminazione: “Ah! Non preoccuparti per Ichiya, è qui ed è praticamente mezzo morto, non potrà più impedire il nostro matrimonio.” disse, con Lucy che ammiccava cercando di incoraggiare la figlia, ma quest’ultima non sembro calmarsi, nemmeno a quella notizia.
“No, non è per quello. Io non posso sposarti Gajeel!”
“Sei forse preoccupata perché è diventato un ricercato?” chiese Lucy, “Tranquilla tesoro, anche Natsu non era un Santo, ma nessuno ci ha impedito di sposarci.”
Ma l’altra scosse energicamente la testa, riprendendo a singhiozzare più forte di prima.
“Levy si può sapere qual è il problema?” chiese Gajeel sentendosi sempre più a disagio.
“Ho fatto un pasticcio!” riuscì a bisbigliare la ragazza, “Pasticcio? Hai preparato la cena?” chiese il moro.
“Ma che hai capito!” gli urlò contro la fidanzata, “Ho fatto una grande cazzata! Quando ero prigioniera dell’Innominato, in un momento di disperazione ho fatto un voto di castità!”
“COSAAAAA!” gridarono Gajeel e Lucy.
“C’erano le elezioni e nessuno mi ha avvertito!” cominciò ad agitarsi il ragazzo, “E quale partito ha vinto?”
Esasperate le due si picchiarono una manata sulla testa.
“Gajeel, non ci sono state le elezioni! Ho fatto un voto di castità alla Madonna, che mi impone di rimanere vergine per il resto della vita. Ergo non potremmo né sposarci né avere figli! Ti è chiaro adesso?”
L’altro si immobilizzò, fissandola con sguardo inebetito, al punto che le due donne presero a preoccuparsi, che quella terribile notizia lo avesse fatto ammattire.
“G-Gajeel? Stai bene?”
“L-Levy, c-cosa hai appena d-detto?”
“Ho detto che non possiamo sposarci a causa del voto di castit…”
“WHAAAAAAAAAAAAAAAAA!”
“KYAA!” gridarono le due popolane, spaventate da tale reazione, correndo ad abbracciarsi.
“TUUUUUUUU! DANNATISSIMO AUTOREEEEEEEE! IO TI AMAZZOOOOOO!”
Le urla e le minacce si udirono in tutto il Lazzaretto e per tutta Milano, al punto che il gruppetto di amici dei tre, riuscì a rintracciarli in un baleno.
“Levy-sama!” l’abbracciò Juvia.
“Ciao, Juvia.”
“Quanto chiasso fa quel matto!” si lamentò Sorano,
“Cosa gli prende?”
“Perché urla così?”
“Potete dirgli di stare zitto, non riesco a dormire.”
“Vi spiego perché fa così…” si intromise Lucy, iniziando a raccontare.
“Cavoli, tesoro l’hai combinata grossa.” la rimproverò Sorano.
“Questo giuramento mette un freno all’amore! E’ una cosa terribile!” pianse Richard.
“Levy-sama, Juvia ti consiglia di fare come lei e di ignorare il voto. Infondo lei con Gray-sama fa sempre così.” disse la donna della pioggia all’amica, mentre stringeva un in cosciente Gray.
“È vero!” gridò Lucy, facendo, quasi venire un infarto a tutti gli altri.
“Fra Cristoforo può aiutarci.” continuò, ignorando le occhiatacce dei suoi compagni, “Lui è un frate, comprende queste cose di Chiesa molto più di tutti noi, forse troverà un modo per annullare il voto.”
“Si, ma Gray-sama sta malissimo! In queste condizioni non può fare nulla.” lo abbracciò Juvia, come a proteggerlo da un grave pericolo.
“Lo sveglio io!” urlò Gajeel, che aveva smesso di lanciare ogni sorta di malaugurio sullo scrittore. Così afferrato il frate moribondo per la tonaca, prese a scuoterlo con forza urlandogli in faccia: “Svegliati spogliarellista! Devi aiutarmi a sposare Levy! Svegliatiii!”
Non lo avesse mai fatto!
Subito si ritrovò Juvia avvinghiata al collo, pronta a strangolarlo, mentre con una fiaccola spenta gli piantava in testa, certe legnate, che avrebbero steso pure un elefante.
“GAJEEL-KUNNNN! NON TI PERMETTERO’ DI FARE DEL MALE A GRAY-SAMA! MOLLALO IMMEDIATAMENTE O JUVIA TI SPACCHERA’ LA TESTA!”
“Lasciami stupida donna della pioggia! Così mi uccidi!”
“E’ questo l’intento di Juvia!”
Ci volle l’intervento di tutti i Bravi e delle due popolane, e nonostante questo la ragazza si scollò dall’uomo, solo quando quest’ultimo, ormai a corto di fiato, abbandonò la presa sul frate.
 
“Che facciamo adesso?” chiese Levy, pochi minuti dopo, quando finalmente gli animi di tutti si furono calmati, e Juvia aveva abbandonato l’intento di strozzare Gajeel, per concentrarsi unicamente sul suo amato frate.
Tranquilla giovane fanciulla, ci penso io!” si levò una voce angelica, che circondò tutto il luogo, inebriandolo di un buon odore di kiwi e riscaldando la stanza di un piacevole tepore.
Una luce accecante si diramò per i dintorni e quando essa si attenuò davanti a Levy comparve l’Arcangelo Lily, con in mano ovviamente un kiwi.
“Signor Arcangelo gatto!” esclamò Levy sorpresa.
“Arcangelo…” urlarono tutti i Bravi,
“…Gatto!” disse Lucy, vicina allo svenimento.
“Lilyyyy!” gridò, invece, Gajeel che subito abbracciò il felino, mentre dai suoi occhi sgorgavano fontane.
L’altro non fu molto felice di quel contatto, ma attese pazientemente finché il moro non si stufò di strapazzarlo.
“Gajeel, conosci l’Arcangelo Lily?” chiese Levy stupita.
“Ma quale Arcangelo! Lily è il mio gatto!”
“Certo che no!” gli urlò in faccia il diretto interessato.
“E invece, si!”
“NO!”
“SI!”
“NO!”
“SI!”
“Ok, piantatela o qui non la finiremo più!” disse Levy, già stufa di quella lite insensata.
“Giusto, ho cose più importanti da fare!” si ricompose il felino,
“Sono venuto qui, mia giovane ragazza, perché sarò io ad annullare il voto di castità!”
“Davvero puoi annullare un voto fatto alla Madonna?” domandò Lucy.
“Certamente. Lasciate fare a me…”
E tutti attesero con il fiato sospeso, il verdetto angelico, che però non si decideva ad arrivare.
“Qualcosa non va?” chiese Levy, al gatto, la cui fronte si era riempita di rughe per lo sforzo cerebrale.
“No è solo che non ricordo la formula magica.”
“Formula magica?”
“Si, per annullare certi giuramenti serve una formula magica, ma non era né Abracadabra, né Bibidi Bobidy Buu…
Ah, ecco! Adesso ricordo!” esclamò raggiante, prima di schiarirsi la voce e prendere a cantare: “IL VOTO SCIOLGO VOLENTIERIII, GRAZIE AI MIEI SUPERPOTERIII E LA FEDE ED I SUOI MISTERIII! La la la.”
Il gruppo lo fissò imbambolato, mentre quasi tutti si tappavano le orecchie.
“Era proprio necessario questo strazio canoro?” chiese Levy,
“Ghjijiji! Bravissimo Lily! Adesso tocca a me cantare!”
“Non pensarci nemmeno!” gli gridarono contro tutti gli altri.
“Uffa, non apprezzate il talento canoro. Va beh, potrò cantare quanto mi pare alla mia festa di matrimonio.”
“Quindi il voto è annullato?” chiese Levy speranzosa.
“Come se non lo avessi mai fatto.” gli sorrise l’angelo.
A quelle parole la turchina non perse tempo, e si fiondò sulle braccia di Gajeel, baciandolo con passione, finalmente libera da ogni vincolo ed impedimento.
“Adesso possiamo sposarci.” gli sorrise, quando si separarono da quel contatto,
“Non ce la facevo più ad aspettare.” ricambiò il sorriso il moro.

Nota d’autore: salve gente! Sono tornata! Ed ecco qui il capitolo nove, penultimo di questa parodia. Appena potrò caricherò anche l’epilogo finale.
Per adesso dovrete accontentarvi di questo, che non è nemmeno tanto corto.
Scherzi a parte, spero vi piaccia. Ci ho messo un bel po' a scriverlo, e ho tentato di far convergere tutti gli elementi significativi della peste.
Finalmente abbiamo rivisto Gajeel e il Covid, anzi la Peste ha distrutto Milano! Spero vi sia piaciuta quella piccola citazione al periodo di pandemia che stiamo vivendo. Praticamente di Covid si parla ovunque, quindi ero titubante ad inserirlo anche qui, ma considerando come la situazione Milanese e italica del ‘600 sia stata simile a quella attuale, una minuscola citazione, era d’obbligo.
Don Rodrigo è spirato, e se devo essere onesta mi dispiace un po' per lui, in questo capitolo l’ho maltrattato davvero parecchio. (Don Abbondio si sentirà spodestato. XD.)
Gray sta veramente male, ed è stato quello che ha subito gli effetti del malanno maggiormente. Poveretto, speriamo ce la faccia.
Comunque, lo vedrete durante l’epilogo finale.
Spero il capitolo vi sia piaciuto, e mi scuso per la lunga attesa, ma dovrete pazientare ancora un po' prima di leggere la fine.
Un saluto e a presto.
 
   
 
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