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Autore: Camaleonte    07/10/2021    0 recensioni
"Si dice che la differenza tra un semplice turista ed un viaggiatore stia tutta nella volontà di comprendere. Nella voglia di informarsi, di apprendere, ampliare e accettare. Nel fantomatico mondo delle immagini riflesse nate dall’attività creatrice del poeta non si può essere meri turisti, non si può. O si è viaggiatori, o... si rimane chiusi nel proprio piccolo e squallido alloggio mentale."
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Un viaggio nel mondo dell'immaginazione, all'incontro di quattro creature fantastiche ognuna con il suo proprio unico problema.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fatamasco


 

È credenza comune che nel fantomatico mondo delle immagini riflesse nate dall’attività creatrice del poeta – ovvero nel mondo della fantasia – tristezza e noia non esistano, se non per i cattivi dal cuore malvagio, a cui l’animo sadico augura solo il tormento.

Eppure malattie come la solitudine, la depressione e sì, addirittura la disperazione sono problemi che pure le creature fantastiche hanno sperimentato, pur non essendo all’ordine del giorno.

Esempio lampante per una disgraziata creatura di queste è proprio Fatamasco.

Fatamasco, come già lascia intuire il nome, è un esemplare maschio di fata, di certo non particolarmente comune e facile da scovare, ma – al contrario della solita credenza comune – neppure inesistente. È vero che questo essere si differenzia parecchio dal gentil sesso: nessuno direbbe che quelle leggiadre e delicate creature traslucide, nate da un sospiro o da una carezza, da un filo d’erba illuminato dal sole o da una foglia secca caduta per terra, abbiano anche le più lontane radici comuni a quelle di Fatamasco.

Pelle levigata, due petali come labbra, chiome lucenti, proporzioni perfette. Un’unica parola per definire una fata: armonia.

E poi… poi c’è Fatamasco.

Anche per gli standard del genere maschile Fatamasco è… come dire… particolarmente disarmonico.

Dovete immaginarvi una piccola creatura, alta poco più di mezzo metro.

Ad un palloncino molle riempito d’acqua assomiglia la sua pancia, trattenuta su da un paio di corte braghette a righe strette da più cinture, l’unico indumento che porta per nascondere la sua bruttezza. Da quella massa informe e innaturale pendono quattro arti scheletrici. Le braccia sottili e ossute cascano molli giù per i fianchi, finendo in due mani nodose e incallite.

Predominante nella sua figura è però la sua testa, un’ovale che prende all’incirca metà del volume dell’intero corpo. Questa può essere a sua volta suddivisa in due parti: il cranio completamente glabro e tondo come un’anguria schiacciata, da cui spuntano due ridicole antenne senza una particolare funzione, e il naso. Un naso talmente grande che non solo controbilancia il peso del cranio sporgente, ma addirittura sposta l’intero baricentro in avanti, facendo inciampare continuamente il povero Fatamasco che miracolosamente riesce a reggersi su quei due stuzzicadenti che si ritrova come gambe, sfidando tutte le leggi della fisica.

Quindi questo enorme naso a pera è indubbiamente il protagonista del suo volto che neppure viene definito da un mento, poiché dalle labbra sporgenti e sempre imbronciate – dalle quali sbucano due dentini aguzzi – incomincia misteriosamente il collo, un collo lungo e a cono, che va ad assottigliarsi nel punto in cui si attacca al corpo.

Ma non è il corpo sproporzionato a renderlo solo ed emarginato. Neppure gli inquietanti occhi grandi come due bocce di vetro nelle quali vagano due minuscole pupille perse nel bianco, neppure le orecchie aguzze da pipistrello che penzolano mosce dal cranio.

Ciò che lo allontana dalla sua intera specie è la sua continua ed inspiegabile voglia di morte.


 


 

Troppo brutto per stare con le femmine, troppo strano per i compagni maschi, troppo inetto per essere addirittura una fata. Perché sì, l’unico elemento che lo lega alla sua specie è proprio il fattore scatenante la sua angosciosa depressione: le sue ali.

Non sono neppure così terribili: un poco aguzze, di un colore verde acido, ma troppo spento per risultare un pugno nell’occhio. Ma ali troppo piccole. Così piccole che anche a sbatterle come un colibrì a malapena riescono ad alzarlo dal suolo. Oltretutto se solo prova a sollevarsi il peso dell’ingombrante naso lo fa rivoltare in aria.

Quindi è necessariamente rilegato a terra per non ribaltarsi miseramente in quei pochi e ridicoli centimetri sospesi nell’aria, ma pure sul suolo le sue rachitiche gambette lo tradiscono lasciandolo inciampare ogni tre passi.

Sembra uno scherzo della natura Fatamasco. Un crudele scherzo della natura, poiché essa l’ha destinato ad un misero fato.

Ogni giorno lo si vede girare per i boschi con lo sguardo spento e l’espressione desolata. Le grandi sopracciglia a forma di due virgole rendono gli occhi due enormi gocce d’acqua. Il labbro superiore scompare sotto a quello inferiore che sporge come un becco, quasi raggiungendo per metà la lunghezza del naso.

Con il tempo è pure riuscito ad imparare a camminare senza rovinare sempre per terra. Con la schiena dritta per sostenere il peso, la testa leggermente inclinata indietro, le spalle invece cascanti mosce in avanti, trascina le gambette un passo alla volta, mantenendo un equilibrio precario ed un’andatura sempre più meccanica.

Percorre il suo solito percorso, passando sotto i soliti alberi, rimuginando sui soliti pensieri.

È da molto tempo che Fatamasco pensa al suicidio. Possiamo dire che è un suo chiodo fisso. Il suicidio: la soluzione a tutti i suoi problemi.

Perché continuare un’esistenza inutile, rimugina portando apatico un piede davanti all’altro. Perché costringersi a vivere per… il nulla. A nessuno giova la sua presenza, neppure a se stesso. Nessuno lo vuole, né il cielo, né la terra. Ed è formulando questa frase nella testa che gli viene in mente il salto delle aquile, un dirupo dove i giovani pennuti imparano a volare.

Solamente Fatamasco pensa al suicidio, non al volare.

Lo pensa veramente, mentre percorre il solito percorso, sente i soliti odori e passa davanti alla solita gente che gli rivolge annoiata un saluto.

Non comprendono la sua solitudine? Non percepiscono la sua disperazione? Non si rendono conto che sta andando incontro alla morte?

Lui continua a camminare, gli occhi gonfi di lacrime di sofferenza e forse anche di sollievo. Finalmente arriverà alla fine della sua triste storia. Continua imperterrito a camminare anche quando arriva allo strapiombo e quasi quasi non si accorge neppure che il piede che ha alzato non troverà più il suolo, ma solamente il vuoto.

Si risveglia dalla sua apatia solo nel momento in cui ad un passo dalla morte (letteralmente) per la prima volta una farfalla leggera come una piuma si appoggia casualmente proprio su quel suo enorme naso. Fatamasco la osserva con le sue minuscole pupille. La osserva attentamente, finché non casca nel vuoto e lei non prende di nuovo il volo al mancare di un sostegno.

Ciò che Fatamasco ogni volta si dimentica è che le sue ali funzionano abbastanza per rendere la caduta sopportabile.

Ciò che lui ogni volta si dimentica è che la natura l’ha reso anche smemorato, talmente smemorato che non si ricorda neppure cosa ha fatto il giorno prima.

Così tutto acciaccato e ancora più disperato, perché neppure ad uccidersi è riuscito, Fatamasco si rialza.

E il giorno dopo egli pensa di nuovo al suicidio, mentre percorre il solito percorso, sente i soliti odori, e passa davanti alla solita gente. Questa annoiata lo saluta, perché già sa dove Fatamasco vuole andare, già sa che egli sopravviverà un’altra volta.

Fatamasco è veramente un crudelissimo scherzo della natura, poiché essa l’ha destinato ad un misero fato, che ogni giorno si ripete, perché ogni giorno è come se fosse il primo. Ogni volta si gira una nuova pagina, in cui però ci sono scritte sempre le stesse identiche parole.

Né il cielo, né la terra e neppure la morte lo vogliono.

Ma la vita… la vita se lo tiene stretto.


 


 


 


 

 

 
  
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