Quattro o zero (07 — abbracciare)  Simon ha sempre amato i bambini, ne vorrebbe cento che corrono per casa e imbrattano i muri e non lo fanno dormire la notte – ne ha due.  Due è sufficiente, due è tutto quello di cui ha bisogno.  Tre – perché c’è anche Hugh – è il numero che gli impedisce di cadere nel vuoto e lo ancora ogni mattina alla realtà, quando si sveglia e si ricorda perché tutto il dolore non è stato vano.  Di Adrian conosceva la madre e sa che non è sangue del suo sangue, che non gli appartiene in quel senso. Ma per Simon famiglia è qualsiasi persona sia disposta a morire per te e viceversa, e Simon pur di non vedere una singola lacrima rigare il volto di Adrian si taglierebbe le mani, si butterebbe giù da un dirupo, entrerebbe in una gabbia di leoni affamati – si frantumerebbe il cuore in mille cocci e li spargerebbe negli angoli più impensabili del globo.  Famiglia non è sangue ed è una verità che non ammette obiezioni.  Adrian l’ha nutrito, l’ha visto crescere sotto i suoi occhi, l’ha consolato mentre piangeva, l’ha abbracciato.  Max l’ha visto nutrirsi e crescere attraverso un vetro, mai l’ha consolato né l’ha abbracciato.  Ed è sì per questo che ora, nell’enorme villa di famiglia, per lui non esiste che Max – non si fa colazione senza Max, non si pranza senza Max, non si cena senza Max, non si guarda la televisione senza Max, non si gioca ai giochi di società senza, non si vive senza Max.  E a Max, unica persona senza poteri sulla faccia della Terra, non dispiace avere Simon che lo segue come un’ombra. (Hugh è l’ombra di Simon. «Lascialo respirare, Simon», «È passato un mese, Simon», «Finirà per odiarti e scappare di casa, Simon», lo ammonisce – Simon non ascolta.)  Adrian a volte s’improvvisa fratello dell’anno e rassicura Max che prima o poi persino Simon si stancherà di abbracciarlo ogni volta che lo vede, altre diventa più malizioso e gli dice che è solo l’inizio.  Max scrolla sempre le spalle, non gli dà fastidio.  Quattro – perché c’è anche lui, ora, finalmente – è il numero che gli impedisce di cadere nel vuoto.   «Tu… ma sì, sei quella ragazzina che vedevo al quartier generale! Come ti vanno le cose?»  Max Everhart, a Maggie, piace, a volte non ci crede di poterlo definire suo amico. Non si è mai fatta problemi a pensar male degli altri, ma pensar male di Max Everhart le sembra più grave di tutti i furtarelli che ha commesso negli anni – invidiarlo le pare tanto orribile, eppure le viene naturale.  Una volta, scherzando, Max le ha detto che Simon spunta da ogni angolo della casa e lo abbraccia – una sera l’ha abbracciato perché ha stracciato Hugh a Monopoli, e Hugh era imbattuto più o meno da sempre.  Da allora si è chiesta infinite volte che sapore abbia l’abbraccio di un padre, e si è resa conto che zero – perché non c’è nemmeno lei – è il numero che non le impedisce di cadere nel vuoto. NOTE ➺ Ho finito la saga un mese fa e ancora ci sto pensando. Mi sono mantenuta volutamente vaga sul come e perché Maggie e Max siano diventati amici perché a dirla tutta ho già in cantiere una one-shot ambientata dove affronterò meglio questo passaggio. Diciamo solo che, visto l’epilogo, non mi sembra impossibile che questi due possano diventare amici, e la cosa mi alletta non poco. Grazie a chiunque abbia letto fin qui, alla prossima! Shireith