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Autore: Flagiu_Mustang    02/09/2009    5 recensioni
"E così, tra sogni felici e momenti di frustrazione, era giunto lì, in quell’esatto momento, con lui, esattamente dove avrebbe sempre voluto essere. Il suo cuore batteva forte, lo sentiva distintamente. La sua mente scorreva veloce tra le fantasie di tutti quegli anni, soffermandosi sui piccoli particolari di L immaginati così tante volte..." Una coppia un po' diversa dal solito,spero vi incuriosisca... Buona lettura!^^
Genere: Romantico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: L, Mello
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La coppia protagonista di questa storia è un po’ inusuale, qualcosa di diverso dalle solite L/Light, per quanto io ami questa coppia ^^ Si svolge in un mondo in cui Kira non ha fatto la sua comparsa, per cui L ha tempo di dedicarsi anche un po’ ai suoi orfanelli preferiti ^^ Beh, che dire, spero che la apprezziate e che mi vorrete deliziare lasciandomi un commentino ^^
Buona lettura…

Burning

Un raggio di sole fece capolino tra le foglie ornate da mille colori, facendo risaltare i caldi toni rossastri tipici della stagione.
Lassù, su uno dei rami più alti di quell’imponente quercia, se ne stava sdraiato un ragazzo biondo, che si beava di quegli ultimi tenui raggi prima del gelido inverno, accompagnato dalla sua inseparabile tavoletta di cioccolato.
Aveva sempre adorato il cioccolato, da che aveva memoria: oltre ad amare il suo gusto dolce, lo considerava un valido aiuto per la sua mente, sempre impegnata in problemi complicatissimi e calcoli elaborati.
In quell’esatto momento ad esempio, nonostante l’aria serena e rilassata che traspariva dal suo volto, aveva la mente concentrata su un complesso quesito di fisica quantistica che gli era stato assegnato: avrebbe dovuto presentare la soluzione alla lezione di quella mattina, ma come tante altre volte aveva preferito evitare di presentarsi, preferendo l’aria fresca del grande giardino.
Aveva sempre avuto da ridire sui metodi tradizionali di insegnamento adottati in quell’orfanotrofio: non amava, infatti, stare rinchiuso tra quattro mura, seduto dietro ad un angusto banco ad ascoltare cose che con tutta probabilità conosceva già, o che poteva dedurre entro i primi cinque minuti della lezione.
Preferiva di gran lunga starsene per conto suo, trovarsi qualche angolino nascosto e riflettere, su un problema, una legge, un indovinello, qualsiasi cosa.
Gli piaceva mettere continuamente alla prova sé stesso e ciò che gli stava intorno, ed era comunque una delle poche attività che non considerava come una perdita di tempo, al contrario di tante altre, prima fra tutte il socializzare.
Trovava infatti abbastanza superfluo passare del tempo con gli altri suoi compagni, per il semplice motivo che non li reputava all’altezza del suo intelletto. Tutti, a parte uno: un ragazzino di nome Near, dotato di una mente particolarmente brillante, caratteristica che però contribuiva solo a innescare una continua battaglia intellettuale e a spronare entrambi a migliorare sempre di più le proprie capacità.
A parte questo, erano entrambi troppo schivi per anche solo provare a costruire un rapporto di qualche tipo, e così il biondo molto spesso si limitava a restare da solo con i propri pensieri.
A dire il vero, c’era un’unica persona con cui il ragazzo avrebbe avuto piacere a confrontarsi, sebbene avesse avuto il piacere di conversarci solamente una volta in vita sua, molti anni prima…

All’improvviso la testa del ragazzo scattò di lato, attratta dal rumore di passi che proveniva dal vialetto di ghiaia che portava all’entrata principale della Wammy’s House, l’orfanotrofio che gli aveva fatto da casa per tanti anni.
A passi lenti avanzava un ragazzo esile, sebbene più grande di lui, con la schiena leggermente incurvata, i capelli neri scompigliati e la carnagione perlacea; indossava dei semplici blue jeans e una maglia totalmente bianca, ai piedi un paio di sneakers.
Gli occhi del biondo mutarono in un’espressione stupita, mentre si alzava a sedere e si sporgeva tra le fronde della grande quercia per vedere meglio.
Il moro, al fruscio delle foglie smosse dall’altro, si voltò verso di lui e rimase interdetto nel constatare l’origine di quel rumore.
Si avvicinò all’albero, fermandosi vicino alle radici e rivolgendo all’altro uno sguardo interrogativo, chiedendosi perché mai un ragazzo dovesse stare su un albero a quell’ora del mattino, mentre nell’edificio si svolgevano le lezioni.
Il biondo, da parte sua, si affrettò a scendere, incapace di credere ai suoi occhi o di dire alcunché; una volta atterrato sull’erba soffice si limitò a fissare il moro, ormai completamente dimentico della fisica quantistica, della cioccolata o di qualsiasi altra cosa.
“Tu sei Mello, non è vero?” chiese l’altro, con un tono gentile che assomigliava più ad un’affermazione che a una domanda.
“Ti…Ti ricordi di me?”
I suoi occhi si illuminarono immediatamente, per poi tornare a spegnersi subito dopo ad un “Naturale. Io mi ricordo di ogni singolo bambino di questa casa…”
Non sapeva a cosa attribuire maggiormente il senso di fastidio che provò a quella frase, se al fatto di essere stato accomunato a tutti gli altri, o piuttosto all’essere stato chiamato “bambino”, specialmente… Da lui.
Ormai aveva sedici anni –beh, ormai quasi diciassette, visto che era nato a dicembre- e possedeva in intelletto di molto superiore alla media…No, decisamente non si sentiva più un bambino da tempo, e provava rammarico nel sapere che il ragazzo che aveva davanti lo considerasse ancora tale.
Se il moro si fosse reso conto del suo cambiamento di espressione di certo non lo diede a vedere; continuò, invece, come se nulla fosse:
“Dunque, Mello… Che ci facevi su quest’albero?” chiese, con gli occhi scuri che vagavano sui giochi di luce prodotti dalle foglie al vento.
“Pensavo” rispose semplicemente l’altro, con un’alzata di spalle.
“Ma davvero…”
Lo sguardo del moro tornò a fissarsi sul biondo, dopodiché riprese:
“Anch’io, quando abitavo alla Wammy, adoravo passare del tempo qui, sai? Quest’albero è stato il mio fedele compagno per molte giornate…”
“Dici sul serio?” chiese Mello, sempre più stupito.
“Assolutamente…Adoravo il silenzio, la pace in cui potevo riflettere con calma… Era il mio rifugio dal mondo…O da un Watari particolarmente tedioso” concluse, con un sorriso accennato sulle labbra.
“Vorrei andare a salutare anche gli altri adesso, mi accompagni?”
“Ma certo…L!” rispose entusiasta.
Non poteva crederci… Proprio lui, L, il suo idolo, l’unico che ritenesse superiore a sé stesso, e che volesse imitare… Il suo punto di riferimento, nonché l’unica persona con la quale desiderasse davvero di passare del tempo… Era davvero lì a pochi metri da lui?
Qualcosa nel suo cuore sfrigolò di piacere a quel pensiero, mentre si incamminava al suo fianco.

Quando furono dentro Mello fu il primo a spalancare la porta dell’aula, facendo sì che tutti gli sguardi fissi sul professore si rivolgessero verso di lui.
Subito l’uomo, scocciato di essere stato interrotto, nonché di constatare la noncuranza con cui il suo biondo alunno si facesse beffe di lui entrando con un’ora buona di ritardo, si eresse in tutta la sua non molto ragguardevole altezza e si preparò a fare una ramanzina al malcapitato studente, già premeditando di trattare argomenti moralisti ed educativi quali il rispetto per le regole, l’autodisciplina, l’importanza dello studio eccetera… Era sicuro che ne avrebbe avuto per un’ora buona.
Quando la figura di L oltrepassò la soglia, però, tutto il discorso che si era mentalmente preparato andò a farsi benedire, lasciando posto soltanto a qualche attimo di incredulità.
Il moro, anticipando ogni sua mossa, si rivolse all’uomo con un cortese “Buongiorno, T. Ero passato a salutare…” e così dicendo si rivolse ai ragazzi presenti, che cominciarono a lasciare i propri posti per farglisi più vicino, interrompendo il silenzio abituale della lezione con schiamazzi e saluti; nell’aria si percepiva l’immediata curiosità che il detective, vero e proprio punto di riferimento per tutti, aveva suscitato.
I più piccoli si chiedevano timorosi chi fosse quel ragazzo tanto strano e un po’ goffo, mentre i più grandi, che avevano già avuto, come Mello, occasione di conoscerlo, avevano sul volto espressioni quantomai felici.
Una ragazzina dai capelli lunghi e rossi, una volta che gli si fu avvicinata, con gli occhi pieni di lacrime iniziò a singhiozzare dalla gioia.
L, osservandola, allungò istintivamente una mano, che andò a scompigliarle i capelli, accarezzandola dolcemente.

Era strano come quel posto, e le persone che vi abitavano, avessero su L un effetto così grande: lui, abituato ad essere sempre schivo e a rinnegare qualsiasi contatto con altri esseri umani, quando si recava in quell’orfanotrofio si sentiva veramente a casa, il sorriso di quei bambini finiva col contagiarlo, e lui si sentiva felice come in nessun altro posto al mondo.
Semplicemente, quei ragazzi erano la sua grande, bellissima famiglia.

Mello si ritirò in un angolo, appoggiandosi al muro, poco distante dalla porta da cui era entrato; gli piaceva osservare quell’attimo di gioia che si era creato, e preferiva farlo da mero spettatore, piuttosto che da diretto interessato: era così che lui riusciva a godersi davvero quei rari momenti di felicità.
Il professore, che appena entrato gli aveva rivolto uno sguardo a dir poco omicida, per fortuna sembrava essersi scordato di lui, troppo preso dall’inattesa novità della giornata.
E come dargli torto, visto che si trattava di un momento più unico che raro…
Il resto dell’ora trascorse così, tra una delle tante storie avventurose di L riguardo i suoi tanti casi risolti brillantemente, e le mille domande dei ragazzi; poi, finalmente suonò la campana che segnava la fine delle lezioni, e L cominciò a salutare i ragazzi, memorizzando i nomi dei piccoli che ancora non conosceva.
Solo in quel momento il professore parve accorgersi nuovamente della presenza di Mello nell’aula, e, con un rinnovato cipiglio assassino, si avvicinò a grandi passi verso di lui.
Quando ebbe attraversato la stanza fino a trovarsi davanti al ragazzo, la voce di L arrivò provvidenziale: ”Lascialo stare, T, non è stata colpa sua se non è venuto a lezione. L’avevo incontrato stamattina, arrivando, e temo di averlo tediato con i miei discorsi. Quindi, se vuoi, puoi mettere me in punizione al posto suo…” concluse sogghignando.
Ovviamente il buon maestro T non se la sentì proprio di ribattere a L, per cui con un sorriso di circostanza decise di passare sopra alla cosa e allontanarsi, raggiungendo la cattedra dove prese a radunare le sue cose.
L quindi, dopo un breve saluto, si avviò verso la porta dell’aula, fissando il suo sguardo sul biondo, che ricambiò con un sorriso di muto incoraggiamento.
Prima di varcare la soglia L gli fece l’occhiolino, rivolgendogli un sorriso, dopodiché scomparve nel corridoio che portava all’uscita.

Mello rimase qualche secondo incerto sul da farsi: le sue gambe lo esortavano a fiondarsi nel corridoio per raggiungerlo, mentre la sua testa gli consigliava di lasciar perdere. Alla fine i suoi pedi, incapaci di aspettare un secondo di più,  si mossero velocemente verso l’uscita, mentre lui si ritrovava a gridare in mezzo alla folla di ragazzi “L! L, aspetta!”
Il detective, che aveva appena oltrepassato il portone d’ingresso, si voltò udendo il suo nome, vedendo il ragazzo che si avvicinava a grandi passi.
“L, io… Mi stavo chiedendo se avevi qualche minuto… Vorrei parlare un po’ con te…”
L’altro lo guardò interrogativo, ma prima che potesse rispondere Mello lo anticipò, abbassando poi lo sguardo: “Scusa, che sciocco, sicuramente avrai mille cose da fare, non voglio disturbarti…”
“Veramente contavo di non partire prima di stasera…Watari mi ha imposto di distrarmi un po’, dice che il lavoro ultimamente mi stressa troppo” rispose, assumendo un aria fintamente scocciata “quindi si, mi farebbe piacere parlare un po’, soprattutto visto che, a quanto ne so, tu sei uno dei più brillanti qua dentro…”
A quell’affermazione sul volto di Mello si aprì un sorriso, felice ed incredulo di quell’inaspettata opportunità che gli si prospettava davanti.

Il pomeriggio che seguì fu uno dei più belli della sua vita, uno di quei ricordi da custodire gelosamente nel proprio cuore, insieme alla battaglia a palle di neve il giorno di natale, combattuta insieme a tutti gli altri orfanelli, e al test scolastico in cui per la prima volta era riuscito ad ottenere un voto in più di Near.
La compagnia del moro si rivelò anche migliore di come sel’era immaginata, tante e tante volte, nel suoi sogni a occhi aperti: con lui riusciva a parlare di tutto, affrontando gli argomenti più semplici in maniera del tutto originale, ripartendo dalle basi, senza preconcetti, arrivando spesso a conclusioni del tutto inaspettate.
Parlarono dei loro interessi, delle loro abitudini, affrontando anche un’accesa discussione riguardo la percentuale di cioccolata presente nella dieta di entrambi, convenendo che fosse un ottimo espediente per focalizzare l’attenzione, molto utile all’intelletto e indispensabile per portare a termine i numerosi ragionamenti e problemi che si presentavano nel corso della giornata.
I raggi del sole, innaturalmente caldi per quel periodo, consentivano loro di fare lunghe passeggiate nel parco della villa adibita ad orfanotrofio, ammirando l’enorme varietà di colori che in quel periodo Madre Natura esibiva sulle sue foglie.
L rimase piacevolmente colpito da quanto quel ragazzo fosse, sotto molti aspetti, simile a lui.
Sicuramente aveva conosciuto ben poche persone con una mente attenta e perspicace come la sua, e, per la prima volta dopo molto tempo,  constatò di poter conversare con qualcuno dando libero sfogo ad ogni suo pensiero, senza preoccuparsi di risultare troppo complesso o confuso, aspettandosi al contrario risposte altrettanto articolate e brillanti.
Anche sul piano caratteriale scoprì bel presto di avere molte cose in comune con il ragazzo: entrambi amavano la solitudine come unica compagna dei loro pensieri, e a volte il peso di quella sproporzionata materia grigia si faceva tropo opprimente, tanto da desiderare soltanto di distendersi, guardare il cielo e non pensare più a niente.
Anche Mello, come lui, era schivo nei confronti delle altre persone: condividevano infatti l’idea che una grande intelligenza portasse per forza di cose ad un estraneamento dal mondo, troppo distante intellettualmente per poter comprendere delle personalità come loro.
Il moro però riscontrava in se stesso una più radicata apatia, che veniva meno solo in rari momenti: quel pomeriggio, ad esempio, si rendeva conto di essere immerso in uno di quei brevi attimi in cui la sua curiosità e la sua voglia di vivere si risvegliavano, smossi da quel ragazzino che tanto lo impressionava e lo meravigliava.
Era convinto al contrario che Mello fosse per molti aspetti più reattivo, lasciandosi guidare anche dalle emozioni: attribuì questa sua particolarità alla continua gara intellettuale –Mello gliene aveva parlato per più di un’ora- con il suo amico/rivale Near.
Forse, rifletté, la sua visione della vita così distaccata dipendeva anche dal fatto di non avere nessuno con cui confrontarsi veramente; fu felice, perciò, di aver interrotto la quotidiana routine con un intermezzo tanto piacevole e stimolante.

Si erano inoltrati da poco in una radura in cui gli alberi assumevano sfumature tanto intense da apparire quasi infuocati; quasi a smentire questa sensazione, o forse a voler creare un contrasto altrettanto magico, un ruscello di modeste dimensioni scorreva placido, facendosi strada tra le rive ornate di quelle foglie dai colori della fiamma più viva.
Il cielo azzurro, poi, contribuiva a rendere ancora più intenso il contrasto tra colori caldi e freddi, che , all’ondeggiare delle foglie, si alternavano in una danza dinamica e gioiosa.
I due decisero di distendersi un po’ sotto le fronde di quegli alberi maestosi, accomodandosi sul manto morbido e colorato di foglie ormai cadute.

La mente di Mello viaggiava veloce.
Mai avrebbe pensato di ritrovarsi realmente in quella situazione, tante volte sognata e desiderata nelle notti insonni, o nei rari momenti in cui la sua mente non era impegnata in ragionamenti troppo complessi.
Si voltò verso L e ne studiò il profilo assorto a scrutare il cielo terso, perso in chissà quali pensieri. Seguì con lo sguardo il movimento dei capelli ribelli smossi dalla leggera brezza, per poi scendere sulla linea dritta del naso, le labbra sottili, la leggera fossetta sul mento.
Si, pensò, era rimasto tale e quale a quel lontano giorno in cui l’aveva conosciuto, come se il tempo per lui si fosse fermato in quell’attimo in cui il suo viso era rimasto indelebilmente impresso nella mente del piccolo Mello; quando l’infanzia aveva poi lasciato posto all’adolescenza, il ragazzo si era scoperto a pensare al moro più del dovuto, immaginando di passare ore ed ore con quel ragazzo che lo stregava così tanto, sia per la sua mente che per il suo corpo.
Con il passare degli anni, poi, aveva cominciato anche a capire e dare un nome a quell’attrazione che inizialmente non sapeva spiegarsi, e che in tutta la sua giovane vita non era riuscito a provare per nessun altra persona al mondo.
Così, le fantasie riguardanti L avevano assunto spesso note più eccitanti rispetto al semplice dialogo fra loro, e sebbene Mello si ripetesse sempre che razionalmente non sarebbe mai potuta accadere una cosa simile, gli ormoni del ragazzo continuarono a compiere il loro scombussolato lavoro ignorando ogni suggerimento sensato dettato dalla mente.
E così, tra sogni felici e momenti di frustrazione, era giunto lì, in quell’esatto momento, con lui, esattamente dove avrebbe sempre voluto essere.
Il suo cuore batteva forte, lo sentiva distintamente; la sua mente scorreva veloce tra le fantasie di tutti quegli anni, soffermandosi sui piccoli particolari di L immaginati così tante volte, come la morbidezza delle sue labbra o la profondità del suo sguardo; il suo corpo, infine, ancora una volta si mosse da solo, facendolo ritrovare sopra il corpo del moro, puntellandosi sui gomiti ai lati del suo volto e inchiodando il suo sguardo al suo.
L inizialmente si ritrovò confuso da quella mossa cosi inaspettata: provò a formulare un “Mello, ma cosa…?!” ma venne interrotto da un dito dell’altro, che si poggiò sulle sue labbra.
“L, ascoltami…” cominciò, con voce tremante “tu… Tu sei sempre stato un idolo per me, un modello da seguire e cercare costantemente di superare, ma non solo… L’ammirazione non è l’unico sentimento che provo per te, ho paura che il mio cuore sia andato ben oltre…”
Le sue guance andavano a fuoco, lo sentiva distintamente, mentre lo sguardo di L rimaneva incollato al proprio: si sentiva leggere l’anima da quei pozzi neri, e per quanto una parte di se non desiderasse altro, sentiva di provare timore verso quello sguardo che sembrava sapergli scrutare dentro così bene…
I suoi occhi si mossero allora verso le labbra del moro, dalle quali non usciva neanche una parola.
Non sapendo interpretare quel silenzio, non sapendo cosa fare o come coportarsi, rimase in silenzio alcuni secondi.
Una lacrima cominciò a scendere sul suo volto arrossato, scivolando placidamente fino al mento.
“Scusami… Scusami…” cominciò a ripetere, mentre quelle gocce calde iniziavano a rincorrersi giù per le guance; inaspettatamente, però, una mano candida andò a poggiarsi sul suo volto bagnato, mentre lo sguardo di L tornò a ricercare il suo, prima di sussurargli “Non piangere, Mihael…”
Per le farfalle che stavano danzando nel suo stomaco, e per il suo cuore, che al momento sembrava trovarsi da una parte imprecisata della sua gola, sentire il proprio vero nome pronunciato da lui, con un tono così dolce, fu decisamente troppo.
Avvicinò il suo viso a quello di L, il suo sguardo si fece languido e pieno di desiderio, arrivando a sfiorare le sue labbra con le proprie.
La mano del moro ,però, ancora appoggiata sulla sua guancia, lo ripostò delicatamente a qualche centimetro di distanza, dicendogli “No, Mihael… è meglio se non…”
“Ti prego…” lo interruppe l’altro, con uno sguardo implorante “Ti prego… Non fermarmi…”
La mano del moro scivolò in una carezza lungo il suo volto, fino al mento, prima di lasciare la sua pelle per andare a posarsi su un suo fianco; gli occhi di L perserò la loro consueta lucidità,mentre le labbra del biondo si univano alle proprie, e l’istinto prendeva il sopravvento.

Mello non seppe dire quanto tempo passò, mentre assaporava bramoso quelle labbra tanto desiderate; non seppe spiegarsi neanche come, sebbene quella fosse la sua prima esperienza in assoluto in fatto di rapporti umani di quel genere, le sue mani cominciassero a muoversi sicure sul corpo dell’altro, seguendo la linea di quei muscoli perfettamente delineati.
Le mani di L cominciarono, allo stesso modo, a scorrere su per i suoi fianchi, arrivando alla schiena, provocandogli brividi di piacere e lasciandogli così sfuggire un brivido più intenso degli altri.
Il detective allora ribaltò le posizioni, ritrovandosi sopra di lui, continuando a baciarlo con foga.
A Mello sembrava senza ombra di dubbio il momento più bello della sua vita: nemmeno nelle sue più vivide fantasie avrebbe potuto immaginare l’intensità di tutte le sensazioni, i brividi, i sospiri che L gli stava provocando.
Stava per scostare la maglia leggera del moro, arrivando ad accarezzare la sua pelle…
Quando questo d’improvviso si allontanò dal suo corpo, rimanendo in ginocchio sul manto di foglie, tra le sue gambe aperte.
L’espressione felice sul volto di Mihael, al mancare di quel contatto, si fece prima confusa, poi preoccupata a sentire le parole che il moro pronunciò subito dopo:
” Mio Dio…Che cosa ho fatto?!”
“ come se si trovasse davanti l’arma più pericolosa del mondo, L prese ad arretrare, prima sulle ginocchia, poi, una volta che si fu alzato, velocemente sui suoi piedi, mentre sul suo viso si dipingeva un espressione sconvolta.
Lo sguardo di Mello, ancora inchiodato in quello spaventato dell’altro, si riempì di dolore, mentre dalle sue labbra non usciva un suono, e le sue mani tremavano.
Quando quello sguardo, che sembrava quasi accusarlo, diventò insopportabile, Mihael si alzò velocemente, con le lacrime agli occhi, e cominciò a correre in quella che sperava fosse la direzione dell’orfanotrofio.
L, come risvegliatosi improvvisamente dallo shock, corse dietro al ragazzo che non era riuscito a fermare in tempo, poiché ancora impietrito e spaventato dalle sue azioni precedenti.
Ripercorse quindi la strada al contrario, chiamando più volte il suo nome e rimproverando sé stesso di averlo lasciato fuggire, ma non riuscì in alcun modo a raggiungerlo.
Quando giunse all’orfanotrofio si precipitò dentro, chiamandolo a gran voce e chiedendo a qualche ragazzo se lo avesse visto passare.
La risposta fu la stessa in tutti i casi: no, Mello non era mai entrato da quella porta.
Amareggiato percorse il corridoio, infilandosi alla fine in un’aula vuota: aveva bisogno di riflettere, e in fretta…
“Ciao, L” disse una voce dal fondo dell’aula.
Il detective si girò, sorpreso.
Seduto sul pavimento, in mezzo a tanti giocattoli, se ne stava un ragazzo dai capelli totalmente bianchi, che riprendevano il colore di quello che aveva tutta l’aria di essere un pigiama.
“Tu…Tu sei Near, vero?”
“Esatto… Cosa ci fai qui? Credevo che dopo la visita di stamattina tu te ne fossi andato… Beh, meglio così, mi dispiaceva non averti incontrato. Sai, in genere frequento delle lezioni speciali, a parte dagli altri ragazzi…”
“Lo so” rispose L “ Sembra che oggi io abbia a che fare solo con piccoli geni…”
Sorrise per un istante, ma poi, ricordandosi il motivo per cui era lì, riprese: “Sono tornato qui perché stavo cercando Mello, l’hai visto per caso?”
“No, è da ieri che non lo vedo… Perché, è successo qualcosa?”
“Maledizione, non ho più tempo…” disse L fra sé e sé, controllando il grande orologio appeso alla parete dell’aula.
“Near, devo chiederti un favore… Puoi riferirgli un messaggio da parte mia, se lo vedi?”
“Certo, dimmi pure” rispose il ragazzo, mentre con due dita tormentava una ciocca di capelli.
“Digli… Digli solo che mi dispiace.”
Near non si scompose a quella strana affermazione, si limitò solamente a fissarlo per qualche istante, prima di rispondergli “Ok, glielo riferirò”
“Grazie… Ora scusami, ma devo andare… Devo essere a Tokio entro stasera…” e così dicendo si avvicinò a lui, dandogli un buffetto sulla testa.
“Mi ha fatto piacere rivederti, L” disse Near, con un lieve sorriso sul volto.
L gli sorrise di rimando, prima di imboccare nuovamente la porta dirigendosi verso l’uscita.
Una volta fuori dalla villa si fermò per qualche istante sui gradini, emettendo un lungo sospiro, dopodiché si inoltrò nell’ormai fredda sera londinese, percorrendo il viale di ghiaia.
Nascosti tra le fronde rossastre, due occhi lo osservarono oltrepassare il grande cancello, prima di scomparire tra le intricate vie della città.

                               *****
Fine primo capitolo… vi incuriosisce? ^^

  
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