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Autore: Florence    16/10/2021    0 recensioni
-Pluto, ci stai dicendo che se non riusciremo nella nostra missione la nostra esistenza futura potrebbe essere compromessa?-
-È molto complicato... quel che è certo è che la nostra realtà non esisterà più, perché nessuno può fermare la collisione con un'altra dimensione che avverrà alla prossima eclisse di luna.-
-E quindi... ? Stiamo per morire?-
-Non è così semplice, Neptune: continuamente le nostre coscienze passano tra una realtà e l'altra senza che noi ce ne accorgiamo nemmeno, questo avviene ogni volta che si incontrano dimensioni molto simili tra loro nel continuum spazio-tempo.-
-E quindi perché stavolta dovremmo preoccuparcene?-
-Perché stavolta stiamo per scontrarci con una dimensione del tutto differente dalla nostra... Dobbiamo "sistemare" gli eventi del passato di quella dimensione affinché non sia tutto perduto.-
-In sostanza, cosa dovremmo fare? Altre battaglie? Scontri epici?-
-No, niente di tutto ciò, Uranus: il vostro scopo è quello di fare innamorare Usagi Tsukino e Mamoru Chiba prima che avvenga l'eclissi di luna.-
-Parli dei nostri sovrani? E qual è il problema: quei due si amano da sempre!-
-Ne sei proprio sicura...?-
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Mamoru/Marzio, Nuovo personaggio, Outer Senshi, Usagi/Bunny | Coppie: Endymion/Serenity, Mamoru/Usagi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie, Prima serie
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Capitolo 15
Il Re triste, Consigli & L'Intruso


A Naru non andava proprio di prestarsi a fare uno di quei giochini stupidi adatti a un gruppo di ragazzini di dodici anni, non si capacitava di come quelle svampite delle amiche di Usagi avessero potuto acconsentire senza battere ciglio a fare “Obbligo o Verità”. Serviva una bottiglia da far girare o un mestolo e ci era voluta andare lei a cercarlo per avere una buona scusa per impedire quella sciocchezza. Entrò in cucina con l’idea di cercare una bottiglia quadrata che non avesse girato, o una paletta da arrosto che si sarebbe incastrata… qualunque idea che avesse mandato a monte quella roulette russa dei baci, tanto lo sapeva…

 

-Usagi, avresti un…-, Naru si guardò intorno, Mamoru era di spalle, intento a sciacquare gli ultimi piatti; -Mamoru?-, lo chiamò, -Dov’è Usagi?-

Osservò il giovane chiudere il rubinetto dell’acqua, posare il piatto; avrebbe potuto giurare di aver visto la sua schiena gonfiarsi appena, come se stesse prendendo parecchia aria, prima di rispondere. -È andata via-, disse lapidario, senza voltarsi, con voce atona.

Naru aggrottò le sopracciglia e fece qualche passo nella sua direzione: -È in bagno?-, domandò allora.

-Non lo so, è andata via-, quella volta la risposta di Mamoru fu inequivocabilmente seccata, tanto che si voltò verso di lei finendo di asciugarsi le mani con uno strofinaccio e allora, alla fredda luce del neon che penzolava sopra le loro teste, Naru vide ben definito sul volto del ragazzo il segno rosso e pulsante di una mano, una piccola mano sinistra che senza alcun dubbio lo aveva colpito non più di pochi minuti prima.

-Oh!-, esclamò portando troppo tardi la mano alla bocca, ormai la sua esclamazione si era senza dubbio udita… Allungò le dita verso la guancia di Mamoru, negli occhi due punti interrogativi grandi come mongolfiere; -Di nuovo?-, si limitò a domandare rassegnata, e lui non rispose, tornando a darle le spalle e aprendo ancora l’acqua.

Naru alzò le sopracciglia, più scandalizzata che incuriosita e, scrollando la testa, uscì, valutando per un istante se disinteressarsi della questione e tornare da Umino, oppure andare a cercare l’amica.

Stava per accingersi a salire di sopra, quando Mamoru uscì dalla cucina e la oltrepassò, senza proferire parola, andando a sedersi sul dondolo del patio, tra Motoki e suo fratello Kenzo. A Naru parve, quando il ragazzo le sfilò accanto, che dell’ombra della mano di Usagi non fosse più rimasto niente, così lo imitò e raggiunse gli altri amici. Voleva bene a Usagi, ma quello non era il momento per impicciarsi degli affari suoi.

 

-Naru, l’hai trovata una bottiglia?-, le chiese Kenzo, poi si voltò di scatto verso il giardino, -Ma cos’è questa musica?-, domandò con un filo di eccitazione nella voce.

-C’è un locale qua vicino-, gli rispose Yuichiro senza staccare gli occhi da Rei, -Ma dovrebbero smettere entro mezzanotte-, aggiunse. L’oggetto della sua radiografia, intanto, continuava a giocare a sasso-carta-forbice con Hiro, ridendo allegra a ogni colpo vincente oppure sbuffando quando perdeva.

-Come a mezzanotte finiscono?-, rilanciò il cugino di Umino, -Allora dobbiamo andare subito!-

Hiro, che evidentemente riusciva a fare due cose allo stesso momento, drizzò le antenne e fece spalla all’amico: se c’era un locale ci sarebbe stato sicuramente da divertirsi, alcool a fiumi e belle ragazze. In breve fu il caos. I due compari insistevano per andare al “Tazuki” e divertirsi almeno finché non avesse chiuso ed erano riusciti a convincere persino Motoki; le ragazze protestavano sentendosi quasi tradite da quell’atteggiamento farfallone, perché loro non avrebbero potuto certo seguirli; Umino tremava, perché non avrebbe voluto andarci, mentre Naru sembrava di avviso contrario. Ami aveva categoricamente rifiutato di muoversi di casa perché voleva ripassare un po’ di Fisica; Yuichiro detestava quel posto dove era stato costretto a “divertirsi” in passato, succube delle sorelle maggiori; Mamoru non aveva ancora proferito parola.

-Ma dov'è Usagi?-, chiese d'un tratto Ami, quasi vergognandosi per non aver notato prima l'assenza dell'ingombrante iperattività dell'amica. Non le sfuggì l'occhiata repentina che Naru rivolse a Mamoru, né il movimento distaccato con cui lui si voltò nella direzione della musica del locale.

-Vado a vedere se è in camera nostra-, si propose l'unica che non aveva assistito alla tragica scena accaduta prima di cena, salì rapidamente al piano di sopra e ritornò pochi minuti dopo. -Dorme-, disse soltanto, consapevole che non fosse il caso di insistere per uscire.

I maschi intanto avevano stabilito che sarebbero andati a vedere "che posto fosse il Tazuki", così magari avrebbero potuto tornarci insieme la sera dopo, organizzandosi per tempo e avevano già iniziato a sistemarsi i capelli e calzare le scarpe nell'ingresso. Yuichiro sbuffò, esasperato quando vide Kenzo che prendeva la via per il garage.

-Non prenderete moto e scooter se proprio ci volete andare!-, fu categorico: il rischio che i suoi compagni tornassero ubriachi era reale e non voleva rogne.

-E come ci andremo, allora?-, si lagnò Hiro, con in mano le chiavi della moto che già pregustava finalmente di cavalcare.

-Ci si può arrivare in una ventina di minuti a piedi, passando da una stradina secondaria che…-, parlare e realizzare che avrebbe dovuto portarceli lui fu un tutt’uno, così non continuò la frase e si limitò a replicare il gesto di poco prima, soffiando aria dal naso, indispettito.

-Ce li porto io-, si propose Mamoru stupendo un po’ tutti. Chi l’avrebbe mai detto che fosse interessato ad andare in un locale del genere! Il problema della stradina secondaria difficile da individuare, però, persisteva, così alle dieci e venticinque di sera un piccolo gruppo di ragazzi varcò il cancello di Villa Kumada armati di torce, mentre le ragazze e Umino rimasero in casa, chi per un motivo, chi per un altro. 

 

-Che si fottano-, sentenziò Rei incrociando le braccia al petto. Ami arrossì per l’espressione colorita e Minako riprovò per l’ennesima volta a convincerla a seguire i maschi.

-Mai! Yuichiro è stato uno sciocco a lasciarsi convincere, sono tutti dei maiali, ecco cosa sono!-, sbraitò ancora e salì in camera sua. Minako sospirò sconfortata e la seguì, avrebbe voluto divertirsi pure lei, ma effettivamente non sarebbe stato il caso, soprattutto con Usagi crollata al piano di sopra.

Ami rimase a leggere il suo libro di fisica al fresco in giardino, i due fidanzatini si misero a guardare un film e Makoto si offrì di tornare a controllare come stesse la loro amica. Avendo osservato che Usagi effettivamente stesse dormendo, tornò giù e, finalmente sola, entrò in cucina per preparare un’altra torta.

 

---

 

Come preventivato, dopo venti minuti di camminata lungo una stradina divorata dalle piante selvatiche, il gruppo dei ragazzi raggiunse l’ingresso del “Tazuki”. In pochi secondi si divisero in due gruppi, Kenzo e Hiro da una parte, diretti verso il centro della sala da ballo, Motoki, Mamoru e Yuichiro dall’altra, prima in coda al bar e poi appartati a un tavolo defilato. Dopo poco Yuichiro fu notato da alcuni vecchi conoscenti e dovette intrattenersi con loro, lasciando soli i due più intimi.

La musica era molto alta, ma non assordante e Mamoru ne approfittò per annullare ogni pensiero e affogarlo nella birra ghiacciata che aveva preso. Non che amasse la birra, era più un tipo da the caldo e pasticcini, ma era stanco di doversi sempre sentire fuori luogo, così aveva deciso che, per una sera, si sarebbe confuso tra la masnada di giovani con qualcosa di alcolico in mano. Si guardava attorno: tanti ragazzi e ragazze della sua età ballavano, ridevano e si divertivano, apparentemente senza pensieri, come avrebbe dovuto essere lui. E invece, più lui si sforzava di non pensare a nulla e vivere semplicemente l’attimo, più un nodo simile a un ganglio di frustrazione gli si formava in gola, un buco silenzioso nel petto e le idee tornavano a bruciare nel suo cervello. Stava quasi valutando di ubriacarsi davvero, per provare almeno una volta in vita sua lo stordimento effimero che avrebbe potuto alleviare almeno un po’ quella indistinta sensazione di perpetua inadeguatezza che lo tormentava, quando Motoki, alzando la bottiglia della sua birra per finirla, indicò con un dito qualcuno, non lontano da loro.

-Sbaglio o sono i tizi che abbiamo incontrato oggi per strada?-, domandò dopo aver buttato giù l’ultimo sorso. Era molto caldo, quella non sarebbe stata certamente l’ultima bevuta neanche per lui.

Mamoru guardò nella direzione indicata e per prima vide la ragazza, incantevolmente fasciata da un miniabito nero. Aveva gambe lunghissime e un portamento elegante, si faceva strada precedendo il fratello al bordo della pista da ballo, la borsetta in mano e lo sguardo alto e fiero, quasi in cerca di qualcosa. Lui, alle sue spalle, teneva due bicchieri da cocktail in mano e la seguiva, lanciando occhiate omicide a quelli che indugiavano troppo con lo sguardo sul corpo della sorella. Gli stava antipatico anche solo a vederlo da lontano, eppure, povero ragazzo, non aveva poi fatto nulla di male. Certo, aveva salutato in un modo particolarmente caloroso Usagi, si era fatto spogliare con lo sguardo da lei, le aveva fatto l’occhiolino e si era mostrato un po’ troppo amicone di tutti loro, ma, in fondo, a lui che importava? Bastava che si tenesse alla larga da lui: qualcosa in quel tipo non lo convinceva.

-Ehi, ciao!-, Motoki si alzò in piedi, sbracciandosi a salutare i due fratelli e invitandoli al loro tavolo. Perfetto: esattamente quello che significava tenersi alla larga… Mamoru ingoiò un’imprecazione e si sforzò di essere educato, li salutò, ascoltò un paio di frasi e si eclissò, con la scusa di andare a comprare altra birra per sé e Motoki.

Quando tornò al tavolo, vi trovò solo Haruki. Perfetto.

-Dov’è Motoki?-, domandò lapidario.

-L’ha chiamato quel vostro amico con i capelli a punta. Mia sorella è andata a incipriarsi il naso, invece, se te lo stessi chiedendo-, annunciò, come se gli potesse interessare dove fosse la ragazza. Era bella, senza ombra di dubbio, ma non aveva alcuna voglia di intrattenersi con lei. Era ancora turbato da quello che era accaduto con Usagi in quella interminabile giornata che non accennava minimamente a volersi concludere. In quel momento fu sfiorato dall’idea di preferire i suoi incubi familiari e svegliarsi col fiatone e un senso tremendo di oppressione al petto, piuttosto che rimanere in quel locale infernale con unica compagnia qualcuno che sentiva di detestare a pelle.

-E le vostre amiche, invece, dove sono?-, domandò Haruki, accavallando le gambe, con una caviglia sul ginocchio opposto. Si lasciò scivolare sul divanetto e allungò un braccio, mettendosi comodo. Ostentava tutta la sicurezza che a lui mancava in un ambiente in cui si sentiva un alieno.

-A casa-, rispose Mamoru in tono asciutto senza aggiungere particolari. Non aveva proprio voglia di far conversazione con un estraneo.

-Peccato…-, esordì Haruki con un mezzo ghigno. Tirò giù una sorsata della sua bevanda, si guardò per qualche istante intorno e poi riprese.

-Quanti anni avete?-, domandò a bruciapelo. ‘Che te ne importa’, pensò tra sé Mamoru, sforzandosi di non essere maleducato.

-Io ne ho quasi venti, Motoki uno in più di me-, ancora una risposta lapidaria e puntuale, in attesa della domanda che sapeva sarebbe arrivata.

-E… le vostre amiche?-, eccola lì!

Prima di fornire quell’informazione, Mamoru ci pensò un po’ su: quel giovanotto voleva fare i conti sulla legalità della loro vacanza insieme?

-Più o meno ne hanno tutte sedici-, in particolare Usagi, rifletté. Sedici anni non erano molti, ma neanche pochi per evitare di risultare interessanti ai maschi.

-Comunque io e Michiru abbiamo diciannove anni e mezzo-, annunciò sovrappensiero.

-Non sembrate gemelli-, puntualizzò Mamoru, ancora più insospettito. Haruka sentì una goccia di sudore freddo formarsi tra le scapole, stava per far saltare la loro copertura… Stette ben attenta a non mostrare alcun cedimento e non cambiò posizione.

-È che... nostro padre, pace all'anima sua, è stato un incallito Dongiovanni-, improvvisò, -e quasi vent'anni anni fa pensò bene di mettere incinta sia mia madre che la madre di Michiru-, le veniva bene questa indecente improvvisazione! -Lei e io abbiamo ignorato l'esistenza reciproca l'uno dell'altra fino a che non abbiamo compiuto sedici anni, lo abbiamo scoperto al funerale di nostro padre.- Prese un altro sorso del suo cocktail, finse di ricordare con dolore quel momento, perdendosi con lo sguardo assente davanti a sé: era brava a inventare cose, avrebbe potuto andare avanti ancora.

Mamoru si limitò ad alzare le sopracciglia e registrare l'informazione, senza fare commenti. A costo di apparire estremamente indisponente preferiva fare scena muta piuttosto che dare spago a quello sconosciuto. Lo imitò e alzò la birra prendendo un lungo sorso.

-Comunque la tua ragazza è la più carina di tutte, con quei lunghi codini biondi e gli occhi azzurri come un'allegra mattina di primavera! Complimenti!-, esclamò senza preavviso Haruki, per poco Mamoru non si soffocò mandandosi di traverso la birra e tossì sonoramente.

-Tranquillo! Mica te la mangio!-, rincarò la dose il biondino seduto davanti a lui. Cambiò posizione e si sporse verso di lui, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia aperte,

-Non è la mia ragazza!-, rispose Mamoru, piccato, sbattendo appena la bottiglia sul tavolo nel rimetterla giù.

-Io parlo di Usa… Usani… Usako?-, azzardò, visto che si era documentata prima della sua partenza, e a quel punto per Mamoru fu davvero troppo. Non doveva scoppiare, non doveva… lui non era così!

-Usagi, suppongo. Comunque, ripeto, lei non è la mia ragazza-, e contò fino a dieci. Quel bellimbusto era interessato ad Usagi? Ottimo, a lui non doveva importare.

-Ah-, preso apparentemente alla sprovvista, il ragazzo si limitò ad alzare le spalle e caricare il colpo.

-È libera-, lo anticipò Mamoru, e bevve ancora, stringendo con disprezzo il vetro della bottiglia.

Presa in contropiede, Haruka doveva formulare il modo migliore per perseguire il suo scopo. Psicologia inversa…

-Avrei giurato che ti avesse guardato male, oggi pomeriggio, vedendo come anche tu hai guardato Michiru, per questo pensavo steste insieme…-

-Avresti giurato male, allora. Usagi non è il tipo che si accorga delle reazioni altrui-, Haruka strinse i denti: per come la conosceva lei, invece, la regina Serenity era molto empatica.

-Meglio così-, il finto giovanotto accompagnò con un ghigno quelle due semplici parole e osservò l'impercettibile movimento involontario dei muscoli facciali del suo futuro sovrano, che, per dissimulare, riprese a bere la sua birra. 

I suoi interessi erano di ben altra natura, lo erano sempre stati, eppure Haruka non poté fare a meno di notare, nella penombra psichedelica di quel locale, quanto il suo Re fosse un bellissimo ragazzo. Si era sempre chiesta come una come Pluto, sicuramente la più rigida nel rispetto del suo dovere di Guardiana, avesse potuto subire a tal punto il fascino del Re; nonostante le sue negazioni, loro outers se n'erano accorte eccome dello sguardo adorante che la loro compagna riservava ogni volta che passava davanti alle immagini del sovrano e di come apparisse più servile e accondiscendente del dovuto alle sue parole. Ebbene, in quel momento fu chiaro anche a lei il motivo: Mamoru Chiba irradiava un fascino misterioso e arcano anche in quel momento di irritazione, i suoi occhi socchiusi mentre sorseggiava la bevanda lanciavano i bagliori della notte e della passione, il collo inarcato all'indietro, i ciuffi neri come la notte che gli solleticano la fronte… Si rese conto di essere arrossita, probabilmente, ma nessuno se ne sarebbe accorto. -Usagi è davvero molto, molto carina…-, si sforzò di insistere mantenendo il piglio saldo.

Il Re posò la sua bottiglia, inspirò gonfiando appena le narici -oh quel naso era perfetto!- e osservò senza vederla la sala da ballo per qualche istante.

-Se la rivedrai, se avrai intenzione di farti avanti con lei, ricordati però di stare attento-, le rispose Mamoru, -Permettimi di metterti in guardia la lei: Usagi non è una ragazza come le altre, lei è…-, prese a muovere le mani quasi a dipingere la sua futura consorte nell'aria, -Lei è capace di infonderti una irresistibile allegria, eppure è misteriosa come una notte di luna. È potente come il fuoco che ti può bruciare eppure sfuggevole come l'acqua tra le mani, è elettricità e vento, che ti può ferire e lasciare senza fiato, è capace di annullare il tempo e confonderti senza che te ne renda conto. È impetuosa come il mare in tempesta eppure placida come un tramonto, allo stesso tempo.-

Si voltò verso Haruka, i suoi occhi lampeggiavano come zaffiri colpiti da un raggio di luce nel buio più totale: -Stai attento...-, ripeté, -E soprattutto non provarti a farla soffrire in nessun modo, perché sennò…-

-Mamo, a che birra sei?-, l'amico biondo del Re interruppe quel fiume di parole inatteso. Haruka si voltò di scatto verso di lui, per un istante fu come vedere davanti a sé Lord Furuhata e comprese chi sarebbe diventato. Sbatté le palpebre, doveva rimanere lucida; alle spalle del ragazzo scorse Michiru, che era tornata al tavolo assieme a lui e il discorso appena udito, in un baleno, fu accantonato.

Qualche minuto dopo, furono raggiunti dal tipo con la barba incolta, che si lasciò sprofondare sul divanetto lamentandosi di aver dovuto fare salotto con alcuni amici delle sue sorelle, poi bevve un the freddo e si mise composto. Solo allora Michiru e Haruka realizzarono di aver conosciuto in vita il grande sacerdote del tempio perduto, di cui avevano ammirato alcune statue d'oro, nel distretto di Marte. 

Michiru sembrava abbastanza soddisfatta della sua serata, Haruka avrebbe dovuto aspettare di tornare alla loro casa per conoscerne i dettagli. Ma evidentemente la sua amica voleva strafare e per questo invitò tutti i presenti attorno al tavolo a buttarsi in pista a ballare. Con suo sommo stupore, sia Lord Furuhata che il Re accettarono, uno con l'espressione divertita in faccia, l'altro come se stesse andando verso il patibolo, ma a testa alta. La musica era frenetica e le due outers colsero con ilare complicità l'occasione di vedere il Grande Re Endymion dimenarsi sul palco.

 

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La torta era in forno, avrebbe dovuto aspettare almeno quarantacinque minuti per controllare la cottura, così Makoto, rassettato il piano di lavoro, finalmente uscì dalla cucina. C'era un leggero brusio proveniente dal salone, si affacciò e scorse Umino e Naru stravaccati sull'enorme divano, catturati dalle immagini finali di Romeo+Giulietta con Leonardo di Caprio.

Cercò Ami e la trovò appisolata con il libro tra le mani al fresco sul dondolo della terrazza che girava tutto attorno all’edificio. Gli occhiali le si erano storti sul naso e l'espressione era rilassata. Non volle disturbarla e provò a cercare compagnia al primo piano, bussò alla porta di Rei e Minako, aprì silenziosamente e le vide entrambe allo specchio intente a provare gli abiti per i giorni successivi, mentre parlottavano tra loro. Makoto scosse la testa e richiuse senza che le amiche si accorgessero di lei. Le rimaneva solo Usagi, decise di controllare se stesse sempre dormendo ed entrò di soppiatto nella sua stanza. La ragazza era distesa su un fianco dandole le spalle, così decise di non disturbarla e fece per uscire.

-Sono sveglia, Naru-, chiamò invece Usagi, senza muoversi. Non era da lei rimanere così ferma, qualcosa non andava. Makoto non le rispose e rientrò, chiudendo la porta alle sue spalle.

-L'ho fatto di nuovo, Naru, ho dato uno schiaffo a Mamoru, e stavolta non intendo chiedergli scusa-, disse piano piano.

Makoto si sedette sul letto dalla parte opposta a lei, valutando se dirle che stava sbagliando interlocutrice. 

-Lui è così… così… Mi ha spaventata, prima, e allora gli ho tirato uno schiaffo-, si mosse appena stringendosi nelle spalle.

-Non dirlo a nessuno, ti prego…-, una pausa, -Io… Quel baka mi sta facendo diventare pazza! È tutto un litigare, trattarmi come se fossi una bambina eppure… Prima in moto… o quando eravamo soli in spiaggia… Credo che in qualche modo perverso lui… lui mi pia…-

-Basta-, Makoto non poteva ascoltare oltre senza tradire la fiducia della sua amica, Usagi si voltò di scatto verso di lei, rendendosi conto dell'equivoco.

-Mako!-, strillò imbarazzata. Non erano dunque solo loro quattro Sailor a conoscere i segreti di Usagi, ma era a loro che lei aveva salvato la vita, per questo le doveva rispetto.

-Perdonami-, disse all'amica, colpevole, si allungò verso di lei e l'abbracciò; -Quando ti andrà, se ti andrà, sappi che puoi confidarti anche con me-, sussurrò al suo orecchio.

-Grazie-, rispose Usagi, tirando su col naso e sciogliendo l'abbraccio. Makoto fece per alzarsi, -... adesso?-, le domandò confusa l'amica e Makoto le sorrise nella penombra.

Le mani piccole di Usagi iniziarono a torturarsi tra loro, la voce tardava a uscire.

-Ti sembrerò una stupida-, esordì, -o meglio una ragazzina 'fatua', perché solo oggi pomeriggio ti ho detto che mi ero innamorata di quel ragazzo al bar e che comunque amo da sempre Moto-chan…-, pausa, -Ma… Mi sono resa conto con orrore che tra tutti loro è quel baka che mi fa andare via di testa più di tutti, che mi ha fatta sentire una scema quando sono rimasta sola con lui perché non riuscivo a contenere il mio cuore che batteva all'impazzata e che…-

Makoto non credeva alle sue orecchie: Usagi si era davvero presa una cotta di tali proporzioni per Mamoru, in soli due giorni? Constatò che aveva lo stesso tono di poche ore prima, quando avevano già parlato di lui mentre facevano il bagno e lei si era agitata oltre quel limite quasi indistinguibile tra il disprezzo e l'ammirazione. Motoki ci aveva visto giusto, dunque! 

Ma allora perché gli aveva tirato uno schiaffo, perché sembrava soffrire, invece di mostrare solo l’euforia che sarebbe stata adeguata a una scoperta di quella portata? Quando aveva parlato di ciò che provava per Tuxedo Kamen, la sua amica le era parsa altrettanto appassionata, ma la resa, la malinconia nei suoi occhi avevano convinto Makoto che sarebbe stato molto meglio che Usagi se lo togliesse dalla testa. Lei era una ragazza reale prima di essere Sailor Moon e tutto quello che loro vivevano nei panni delle guerriere Sailor non doveva ripercuotersi sulla loro identità di adolescenti. Loro meritavano di vivere quella vita, appartenevano a quel mondo fatto di fette di torta e di piccoli problemi quotidiani. Più Usagi si fosse separata da Tuxedo Kamen, più avrebbe avuto la possibilità di essere felice, perché, in fondo, lui non era altro se non un’idea, una maschera.

Quelle confessioni su Mamoru però la stavano confondendo; se da una parte la facevano sentire sollevata, perché lui invece era reale, dall’altra sembravano far soffrire Usagi ancor più di quanto non avesse fatto al pensiero di dover lasciar perdere ogni sentimento avesse mai provato per l’eroe mascherato. La sfiorò l’idea degli opposti che si attraggono, ma Usagi meritava qualcuno che la facesse stare bene, non un ragazzo che era riuscito a ridurla a quel modo! Le sue parole trasudavano amarezza, il gesto che aveva confessato di aver compiuto svelava una rabbia sopita contro di lui: come avrebbero potuto essere davvero fatti l’uno per l’altra se lei sembrava essere imp…

-Perché Mamoru mi fa impazzire?-, pigolò Usagi, rannicchiandosi sul letto. Appunto. Impazzire era il termine corretto: le brillavano gli occhi, le mani tremavano, sembrava davvero innamorata, ma lo aveva preso a schiaffi. Qualcosa non tornava. Makoto non l’aveva mai vista così vulnerabile. Era così tanto attratta e allo stesso tempo arrabbiata con lui? Che fosse davvero amore? Ma che amore poteva essere quello per qualcuno che le aveva tolto il sorriso e spinta a compiere un gesto così sbagliato?

Scosse la testa, “Mamoru non fa per lei”, si disse.

-Forse perché ti irrita più di tutti? Forse è la rabbia che ti fa tremare il cuore?-, azzardò. Usagi si sgonfiò come un palloncino e parve riflettere tra sé e sé. 

-Deve essere proprio così-, concluse, anche se non sembrava del tutto convinta. Neanche Makoto a dire il vero era convinta della sua ipotesi, perché realmente aveva davanti una Usagi che le pareva di non conoscere più: tanto era stata euforica per la scoperta di Haruki o per il solo pensiero di Motoki, tanto in quel momento sembrava piccola e fragile, come se stesse sforzandosi di tenere a bada una bomba pronta a scoppiarle tra le mani, eppure quella bomba stentava a volerla gettare via.

-Che ti ha fatto, prima, per schiaffeggiarlo di nuovo?-, Usagi se l'aspettava quella domanda. La risposta era che, senza motivo, lui l'aveva bloccata stringendola con le sue mani e le aveva toccato la pelle del petto proprio dove la magia della penna lunare copriva la sua cicatrice, provocandole una scarica di elettricità, una sensazione indescrivibile, paura, dolore e allo stesso tempo piacere. Una sensazione che era così simile a quello che ricordava dei suoi sogni segreti, così piacevolmente dolorosa.

-Mi ha presa in giro, non lo sopporto più-, rispose invece: non si sentiva pronta per confessare tutte quelle sensazioni che l'avevano messa in subbuglio. Makoto pensò che “essere presa in giro” non potesse giustificare il suo stato d’animo, Mamoru doveva aver fatto qualcosa di più, lo sconvolgimento di Usagi andava oltre le normali esternazioni delle sue cotte! No no no: si erano tutti sbagliati fino ad allora, Mamoru non andava bene per Usagi! E se anche fosse andato bene in futuro, in quel momento non era il ragazzo giusto, non fosse altro per come lei stava reagendo.

Per Usagi ci voleva uno tranquillo, solare, divertente e premuroso, uno come Motoki, che la facesse stare bene senza arrabbiature, prese in giro o fraintendimenti.

-E allora la risposta è questa: tu non sopporti Mamoru Chiba, un buon motivo per ignorarlo, quindi adesso basta lambiccarsi il cervello con questi discorsi!-, avrebbe aiutato l’amica a ragionare e a cercare di essere felice, e se essere felice avesse significato spingerla tra le braccia di Motoki, avrebbe fatto anche quello. 

Usagi annuì e parve tranquillizzarsi, a sua volta Makoto sperò di essersela cavata dandole un consiglio sufficientemente ponderato.

Si alzò dal letto intenzionata a lasciare riposare l'amica, ma lei le prese un polso e la fece voltare ancora: -Sei proprio sicura, Mako-chan, che dovrei ignorare quello che sento?-, le domandò con occhi profondi come fondi di crateri che ribollivano guizzi di lava incandescente.

Makoto sospirò: no, non era sicura affatto in realtà, perché le era chiaro che, tra tutti, soltanto Mamoru, tra una presa in giro, un dispetto e parole scortesi, era stato in grado di bucare la corazza che quella povera ragazzina in cerca d’amore usava come nascondiglio al subbuglio del suo cuore. Ma Mamoru Chiba sembrava nascondere troppi scheletri nell’armadio che esternava in una appena sufficiente sopportazione del genere umano e sfogava esclusivamente con lei: se avesse fatto davvero breccia nel suo cuore, Makoto ne era certa, la sua amica avrebbe sofferto ancora di più. Quei due erano troppo diversi, come il giorno e la notte… non ne avrebbe cavato nulla di buono dal mettersi con uno come lui. Però, in fondo, il giorno e la notte si sapevano incontrare generando alba e tramonto, le cose più belle che ci fossero in cielo… Sospirò: in realtà non sapeva cosa pensare, qualunque consiglio sarebbe stato sbagliato, per questo indirizzarla verso un porto sicuro come Motoki, forse poteva essere la scelta più saggia.

-Lasciami andare ora, altrimenti brucerò la torta per la colazione di domani!-, le disse soltanto, evitando di rispondere alla sua domanda.

La lasciò sola nella sua stanza e tornò in cucina, con in testa mille dubbi e la consapevolezza di aver sbagliato a non essere del tutto sincera con lei.

 

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Michiru e Haruka smisero di ballare perché lo spettacolo che si stava svolgendo sotto ai loro occhi meritava tutta l'attenzione possibile. Si scambiarono un'occhiata divertita e si godettero la scena: il Re si era lasciato andare e, forse complice la terza birra offerta da Lord Furuhata, stava dando il meglio di sé in mezzo alla pista, insieme agli altri ragazzi. Quattro o cinque svampitelle con poca carne coperta si dimenavano e si strusciavano a lui e al suo compare, una addirittura, palesemente ubriaca, osò attaccarsi al collo del loro sovrano, tentare di baciarlo, mentre allungava l’altra mano in posti assolutamente sconvenienti! Haruka non credeva ai suoi occhi: cosa era andato perso nel trentesimo secolo, rinunciando all'alcool! Un'occhiata di Michiru alla compagna fu sufficiente e le due raggiunsero i ragazzi, nel tentativo di allontanare quelle sciacquette da loro: ci mancava soltanto che il loro futuro venisse messo a soqquadro da una smorfiosa rimorchiata in un patetico bar di provincia! Haruka in particolare si sentiva in colpa, che fosse stato a causa delle sue avances nei confronti di Usagi che Mamoru aveva perso ogni speranza con lei e aveva pensato di dar sfogo alle pulsioni della carne? Aveva ripensato alle parole che il sovrano le aveva detto mettendola in guardia poco prima: era riuscito a racchiudere in una sola frase l'essenza più profonda di quella che sarebbe stata la più grande paladina del pianeta. Erano così giovani, eppure lui aveva già capito che Sailor Moon era fuoco, acqua, vento, mare, elettricità, mistero e padrona degli arcani del tempo. Era tutte loro. Solo una cosa, forse, ancora non gli era chiara: che per lui Sailor Moon sarebbe stata anche l'amore più puro che avrebbe mai potuto incontrare… o forse no? Non dovevano rischiare di complicare ulteriormente il futuro...

Prese un profondo respiro e, facendo un occhiolino di sfida al suo futuro Re, si mise dietro la più spudorata delle ragazze, facendola voltare verso di sé e le si offrì come un galletto molto lascivo, infilando le mani in posti che le sarebbero costati una severa scenata di gelosia. Michiru si avvicinò a Mamoru e, dopo due sgambetti, finse di non sentirsi bene e gli domandò se poteva accompagnarla al tavolo.


Li doveva ringraziare: in qualche modo i misteriosi fratelli piovuti dal nulla a Kakeroma lo avevano salvato da una situazione in cui non si voleva trovare, nonostante non avesse fatto nulla per evitarlo. Era stato lui ad accettare di ballare e sempre lui a lasciare che un nugolo di femmine impazzite gli si strusciassero addosso. Mamoru colse al volo l'occasione e si defilò dalla pista, scortando Michiru lontano da lì.

-Scusami, ti stavi divertendo…-, simulò lei, lasciandosi crollare sul divanetto. Le gambe erano in bella vista, ma Mamoru non abbassò mai lo sguardo.

-Affatto, ti ringrazio-, la voce appena impastata, -in realtà io detesto ballare e le discoteche in generale. Mi sono lasciato coinvolgere, ma solo perché Motoki insisteva-, spiegò. Si passò una mano tra i capelli, guardò verso il cielo limpido, abbozzò un sorriso rassegnato.

Michiru notò quanto fosse bello: era lesbica, d'accordo, ma non disdegnava affatto i begli uomini. Aveva il collo forte e nobile reclinato indietro, quando parlò di nuovo il pomo d'adamo vibrò appena.

-Voglio tornare a casa-, disse, -ma prima devo convincere quei babbuini-, poi rise per l'epiteto con cui aveva appellato i suoi amici.

-Siete degli adorabili babbuini-, confessò Michiru e sorrise di rimando a Mamoru.

Come sarebbe stato tornare a sera e perdersi tra braccia molto più grandi e forti delle sue, abbandonarsi su un petto largo, grandi spalle… allungò una mano e sfiorò il volto di Mamoru, ma lui si ritrasse, come scottato.

-Scusami-, gli disse Michiru. 

Mamoru sospirò e scosse la testa, -Non importa-.

 

E non gli importava davvero niente, in fin dei conti, però quel tocco inatteso e lieve gli aveva riportato alla mente quello ben più grezzo che aveva rivolto lui a Usagi poche ore prima. La sua reazione, quello schiaffo che lui aveva lasciato frizzare sul suo viso ad ammonizione per la sua pessima azione finché non aveva dovuto mostrarsi di nuovo agli altri, era stato un gesto che solo allora aveva compreso.

Per un attimo sperò che Michiru si avvicinasse a lui di nuovo, per un tempo lungo un respiro pregò per non essere più se stesso, per riuscire davvero a spegnere la sua maledetta testa, per avere la possibilità di lasciarsi andare e non pensare più al groviglio di allucinazioni che lo tormentavano, per non pensare a niente. Michiru, quella tizia che gli si era attaccata addosso, sarebbe andata bene chiunque… voleva solo dimenticare la tempesta in cui i suoi sogni lo trasportavano legandolo a una misteriosa dama, l'attrazione mai sopita per Sailor Moon e quella sensazione dolce amara che ormai aveva associato a Usagi. Chiuse gli occhi, isolò la mente dal frastuono di quel luogo e si domandò come potesse essere passato dalla divertente sensazione che provava nel prendere in giro quella ragazzina al dolore che aveva provato per un istante, quando aveva toccato la sua pelle. Ripercorse ogni secondo passato con lei quel giorno, realizzando che ogni gesto, ogni tocco, ogni sguardo e ogni sorriso l'avevano silenziosamente sconvolto. Parlando a Haruki, poco prima, aveva detto qualcosa che solo allora davvero comprendeva e non poteva tollerare di sentirsi schiacciato da quelle sensazioni inopportune e che lo avrebbero deviato dal suo dovere e dalla sua ricerca. Doveva cancellare Usagi, o sarebbe impazzito.

 

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Ami si svegliò di soprassalto e, tirandosi su, provò una fitta dolorosa al collo. Si mosse e sentì che qualcosa stava scivolando dalle sue spalle, tastò e si rese conto di essersi addormentata su uno dei dondoli del giardino. Qualcuno doveva averle messo una coperta addosso. Era buio, guardò l'orologio e constatò che erano ancora le due e mezzo di notte. Si alzò silenziosamente prendendo il suo libro e realizzò solo allora che il rumore che l'aveva svegliata era stato causato da qualcuno che stava rientrando a quell'ora. Scorse Hiro e Kenzo levarsi le scarpe e aprire furtivamente la porta per entrare in casa; un'auto partì adagio oltre la recinzione.

-Vi sembra questa l'ora di rientrare?-, apostrofò i due ragazzi cogliendoli in flagrante, -E gli altri?-, chiese una volta che si fu resa conto che erano solo loro due.

-Oh scusa mammina!-, la schernì uno dei ragazzi, -Quei guastafeste è da un pezzo che sono tornati-, gli fece eco l'altro.

Non si era accorta di nulla. -Almeno sono stati più coscienziosi di voi-, azzardò.

Hiro e Kenzo si scambiarono un'occhiata complice, -Oh, sì, taaanto coscienziosi!-

Ami li guardò con aria inquisitoria, -Vedessi come si sono scatenati i due principini: uno si strusciava alle ganze e l'altro si faceva toccare dappertutto!-

A fugare ogni dubbio, prima che lei potesse elaborare le Informazioni appena descritte, Kenzo puntualizzò: -Soltanto il nostro monaco si è comportato da vero monaco: è stato tutto il tempo a pregare che Rei gliela desse!-

Ami, scandalizzata, scosse la mano vicino al viso come a scacciare una mosca e se ne andò. Ci mise parecchio, dopo, a prendere di nuovo sonno, torturata dalle immagini del mite Motoki-che-soffriva-per-amore e di Mamoru-il-morto-dentro che flirtavano con delle sconosciute.


---


Non ci sei più.

Io lo sento.

Te ne sei andato, hai rinunciato a me.

Mi hai sconvolta, mi hai rubato il cuore

e poi sei andato via.

 

"Non lo permetterò"

mi hai detto,

ma sei stato

il primo

 a lasciarmi.

Il primo

a farmi sentire viva,

il primo

che ho amato

e il solo

che amerò.

 

La Luna è alta

la Luna è rossa

In questa notte senza di te.

 

Sei già cenere,

Amore mio?

O sei una stella ormai?

 

Ti cerco nel cielo,

Mentre la terra trema sotto di me.

 

Invoco la Luna

Ti prego Signora della notte!

Lascia che attraverso il tempo

Io lo possa ritrovare.

Aiutami a riconoscerlo,

Insegnami ad amarlo.

Insegnami a farmi amare.





 

---

 

-Ma cos'è quello?-, Kenzo aveva bevuto davvero troppe birre, perché stava avendo le allucinazioni: sul parapetto del balcone più in alto della casa, quello che si raggiungeva dalla mansarda e che loro non avevano neanche esplorato, c'era qualcosa. Sembrava un manichino, oppure una persona che aveva una luce in fronte.

-Cosa?-, Hiro non alzò nemmeno la testa, parlò solo con voce un po' troppo alta.

-Shhh! Un ladro!-, l'alcool scivolò giù dal cranio di Kenzo lasciandogli la testa vuota e le gambe pesanti come macigni, -C'è un ladro!-, allertò Hiro, tappandogli la bocca e facendolo abbassare per nascondersi dietro al dondolo. Il suo cuore batteva forte: tutti gli altri, le ragazze!, erano a letto senza alcuna protezione.

-Sta per entrare, dobbiamo fare qualcosa!-, bisbigliò spaventato il suo amico, d'un tratto lucido.

E se fosse stato armato? E se avesse fatto del male a qualcuno? Se la stava facendo sotto dalla paura, eppure non potevano fare finta di nulla.

-Tu resta qua e controllalo senza farti vedere, attento che non scappi!-, ordinò Kenzo e si affrettò a entrare in casa. Prese un ferro per attizzare il fuoco dal camino, salì facendo attenzione a non fare alcun rumore fino al piano delle camere, proseguì lungo l'ultima rampa di scale, abbassò la maniglia della porta a sinistra della mansarda e rimase immobile, scioccato per quello che vide. Era indubbiamente una donna, sembrava una dea o un'apparizione celeste, stava seduta sul bordo del balcone guardando in alto verso la luna, un lungo abito bianco svolazzava attorno alle sue gambe mosso dalla brezza notturna. 

-Ferma… Ferma lì-, la voce del ragazzo tremava. La misteriosa donna si voltò lentamente e di nuovo lui vide quella luce: la sua fronte emanava luce e anche… erano lacrime quelle? Un'intensa sensazione di dolore lo attanagliò immediatamente.

-Va via-, pronunciò la donna.

Kenzo deglutì e fece un passo indietro.

-Chi sei?-, era bellissima, non poteva essere una creatura umana… un altro passo verso l'uscita.

-Sono la tua Regina, sono un'amica, sono colei che è destinata a soffrire per amore-, altre lacrime di luce scivolarono a terra.

-Rischi di cadere-, riuscì a dirle il ragazzo, attonito.

La misteriosa signora gli sorrise, -Sei un ragazzo gentile, adesso va' via e dimenticami. Comportati con gentilezza sempre, lotta per l'amore vero-, gli ordinò.

Kenzo annuì, indietreggiò fino alla porta, uscì e la richiuse alle sue spalle, scese al piano terra, ripose l'attizzatoio e raggiunse Hiro che era ancora con il naso all'insù.

-È tardi, andiamo a letto. Ti sveglierai col mal di testa altrimenti-, gli disse, sbadigliando.

L'amico lo guardò stranito, alzò di nuovo gli occhi verso il ladro e con stupore si accorse che non c'era più nessuno sul tetto della casa.

-Che è successo? È scappato?-

-Di chi parli?-, Kenzo lo guardò senza capire, si stropicciò un occhio, gli sorrise e gli fece cenno con la testa di seguirlo.

Hiro era attonito, un sottile senso di nausea risalì fino alla sua gola, stava impazzendo forse? -Il ladro! Dai, cretino, che è successo?-

-Va tutto bene Hiro?-, Kenzo piegò le sopracciglia, -Di cosa stai parlando? Dai, è tardi…-, gli fece cenno che sarebbe andato a letto e lo mollò lì, in fondo alle scale, con la faccia stralunata e il dubbio di aver bevuto davvero troppo.

 
   
 
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