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Autore: Josy_98    16/10/2021    0 recensioni
Quando Chirone la costrinse ad iscriversi alla Yancy Academy per aiutarlo a tenere d'occhio un probabile mezzosangue particolarmente potente, Avalon sapeva già che fosse una pessima idea. Ne era certa. E glielo disse, convinta più che mai che fosse una mossa totalmente sbagliata e che tutto sarebbe cambiato. Non necessariamente in meglio.
Da anni, infatti, tentava in tutti i modi di restare nell'ombra, lasciando ad altri il compito di occuparsi dei problemi divini, far avverare profezie e compiere imprese, limitandosi ad osservare il tempo scorrere senza interferire e rimanendo in disparte nonostante i diversi tentativi degli altri - mortali e divini - di coinvolgerla in ogni modo.
Purtroppo, però, quella volta non riuscì a restarne fuori come avrebbe voluto.
E, quando le cose si complicheranno, Avalon tenterà in tutti i modi di non distruggere quell'intricato lavoro che ha portato avanti in quegli anni, cercando inevitabilmente di salvare quel flebile e incerto futuro in cui lui sopravvive. Con la paura di non riuscirci.
Perchè, Avalon lo sapeva, lei aveva sempre ragione. Finchè non prendeva una decisione.
|Riscritta!|
|Allerta Spoiler!!|
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Castellan, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ho scelto io di essere una mezzosangue. Tecnicamente non sono nemmeno una mezzosangue nel senso classico del termine, ma questo è un dettaglio irrilevante al momento. Nella pratica ho gli stessi problemi di tutti gli altri, se non peggio.
Se state leggendo questo libro perché pensate di poterlo essere anche voi, vi do un consiglio: chiudetelo all'istante. Credete a qualsiasi scemenza i vostri genitori vi abbiano raccontato sulla vostra nascita e cercate di vivere una vita normale, cosa che io non ho mai potuto fare.
Essere dei mezzosangue è pericoloso. È terrificante. Nella maggior parte dei casi, si finisce ammazzati in modi orribili e dolorosi. E credetemi, io l’ho Visto.
Se invece siete dei ragazzi normali e pensate che questo sia solo un romanzo, perfetto. Continuate pure a leggere. Vi invidio per la possibilità di credere che niente di tutto questo sia accaduto.
Ma se vi riconoscete in queste pagine — se vi smuovono qualcosa dentro — smettete subito. Potreste essere dei nostri. E quando lo avrete capito, sarà solo questione di tempo perché se ne accorgano anche loro e vengano a cercarvi.
Non dite che non vi avevo avvertito.
Mi chiamo Avalon Elise, sì niente cognome, e ho dodici anni.
 

****
 

 
Per circa un anno ho studiato alla Yancy Academy, un collegio per "ragazzi difficili" dello Stato di New York. Sono una ragazza difficile? Sì. Direi che la definizione mi calza. Potrei partire da qualunque punto della mia breve e particolare vita per provarlo, ma le cose hanno cominciato a prendere davvero una pericolosa piega quando quell’equino malamente sviluppato di nome Chirone mi ha convinta, anche se sarebbe meglio dire costretta, ad aiutarlo in questa cosa.
Mi spiego meglio: da quando – alcuni anni fa – successe quella tragedia io mi sono sempre tenuta alla larga dalle questioni degli altri. Che fossero dei, semidei, mostri o altro non aveva importanza. Io mi limitavo a vivere la mia vita ai margini, ben consapevole degli avvenimenti che sarebbero accaduti in futuro e desiderosa più che mai di tenermene alla larga per evitare di peggiorare le cose. Come già era successo.
E così doveva essere anche questa volta: Chirone doveva raggiungere Grover, un satiro custode, in una scuola media per tenere d’occhio un potenziale semidio particolarmente potente e in pericolo. Niente di particolarmente anomalo, in apparenza.
Purtroppo si era messo in testa che dovessi esserci anch’io, per qualche assurdo motivo. E dire che lo sapeva benissimo come la pensavo: non dico niente di quello che so e non modifico niente.
Non era nulla di personale, per me. Semplicemente, avevo imparato a mie spese, e – cosa ancora più importante – non solo mie, che se mettevo becco in qualcosa finivo solo per peggiorare tutto. Per farvela breve: avevo tentato di salvare qualcuno ed era morto qualcuno altro. Questa cosa mi aveva traumatizzata in un modo allucinante, soprattutto perchè non l’avevo Vista.
Quando poi, diverso tempo dopo, avevo evitato di avvertire una persona a cui tenevo dei pericoli che avrebbe incontrato e quella si era solamente ferita, al posto di rimanere uccisa… mi è stato ancora più chiaro che avrei potuto rinchiudermi da qualche parte e buttare via la chiave. L’importante era che me ne rimanessi zitta e non accennassi nemmeno per sbaglio a quello che sapevo. E io di cose ne sapevo davvero parecchie.
Dopo il fattaccio successo qualche anno prima, e dopo l’orrore che avevo visto neanche dodici mesi dopo, chiusi i ponti con tutto ciò che riguardava quella mia capacità. O almeno ci provai. In ogni caso, impedii a chiunque di farmi domande di qualsiasi genere, se riguardavano in qualche modo il futuro, e mi limitai ad osservare lo scorrere del tempo sugli altri, vivendo comunque la mia vita.
Non era andata tanto male, fino a quel momento. Certo, non avevo bloccato il potere, quindi sapevo ancora tutto di tutti, ma almeno ora nessuno mi stressava più per avere informazioni, e io potevo fingere di non sapere. O almeno provarci.
Se non fosse stato per Chirone.
Quel maledetto cavallo mi aveva cresciuta, quindi sapeva meglio di chiunque altro cosa fossi in grado di fare. Motivo per cui se ne usciva spesso con domande riguardanti le Profezie, il futuro, gli dei, eccetera. E ogni volta io non lo lasciavo finire e scappavo via, nascondendomi da qualche parte o sparendo in un’insenatura sulla spiaggia da cui potevo buttarmi in mare e smettere di sentire. C’era così tanta pace, in acqua, che rimanevo lì per ore, fino a quando Chirone non smetteva di cercarmi e io decidevo di tornare. Poi facevamo entrambi finta di niente fino alla litigata successiva, se così si poteva chiamare.
Ma quella volta, dannato asino, mi aveva proprio fregata. Era stato talmente diretto che non mi aveva permesso nemmeno di fare un passo. Aveva stabilito che sarei andata con lui in quella scuola, la Yancy, senza possibilità di scelta e lo avrei aiutato a tenere d’occhio quel ragazzo. A meno che non gli avessi dato le informazioni che voleva.
Ciuco bastardo.
Aveva organizzato tutto. Sapeva già che non avrei detto una parola per non peggiorare il futuro, e ne aveva approfittato per incastrarmi.
Così passai l’intero anno scolastico a osservare quella combriccola di sfigati figli di papà e il loro comportamento, cercando di rimanermene in disparte come mio solito. Avrebbero fatto concorrenza alla banda dei figli di Ares.
Puah.
Alcuni erano peggio di altri, come quella Nancy Bobofit: una cleptomane rossa con denti storti e orride lentiggini arancioni che, insieme alla sua cricca, si divertiva parecchio a prendersela con Grover e il Caso Problematico – così avevo chiamato Percy Jackson nella mia testa, il ragazzo che dovevamo tenere d’occhio.
Il satiro, che conoscevo da sempre, aveva deciso di diventare suo amico per controllarlo da vicino, mentre io avevo preferito starmene alla larga, ovviamente. Senza riuscirci quanto avrei voluto.
Già dal primo giorno, infatti, ero stata al centro dell’attenzione a causa dell’inusuale bianco candido dei miei capelli, che fingevo di aver tinto, e dei tralci di vite che li intrecciavano insieme ai ferri, doni di zio D e delle mie sorelle. Fortunatamente non potevano vedere il resto o avrebbero dato di matto, motivo per cui ringraziavo silenziosamente l’esistenza della Foschia – una forza soprannaturale simile alla nebbia che distorce la realtà e impedisce ai mortali di vedere cose come mostri, dei, Titani e li sostituisce con cose banali della loro vita quotidiana.
Inoltre ero stata piuttosto svelta nel creare un muro tra me e quei disadattati grazie a quello che veniva definito come sguardo ipnotico, con il quale, a detta di tutti, ero in grado di mostrare stralci della vita dei malcapitati che lo incrociavano, soprattutto scene di come sarebbero morti. Non mi ero mai soffermata troppo sulla veridicità di questo fatto, limitandomi a usarlo solo su chi mi si avvicinava troppo e traumatizzandolo quanto bastava perchè mi stesse alla larga.
E aveva funzionato, fino a quando non era stato lo stesso Caso Problematico ad avvicinarsi. E io mi ero ritrovata a voler andare in vacanza al Tartaro per la disperazione. Alla fine di quella storia avrei ucciso Chirone e avrei venduto la sua carne di cavallo al migliore offerente.
Òntos.
Lui faceva la bella vita, come insegnante di latino in sedia a rotelle, mentre io dovevo sopportare quella tortura degna delle Furie di zio Gioiello. Avrei preferito mille volte dover fare il bagno a Cerbero.
Comunque all’inizio mi limitai a ignorarlo, esattamente come facevo con tutti gli altri ragazzi. Ma chissà perchè lui non demordeva. Era davvero testardo per essere un Caso Problematico. Un dannato Problema con la P maiuscola, e io ne avevo abbastanza di problemi.
Tuttavia lui continuava.
Non so cosa ci vedesse in me, o cosa non ci vedesse. Fatto sta che mi cercava per pranzo, si sedeva vicino a me in classe, mi chiedeva persino di studiare insieme. E ovunque andava lui Grover lo seguiva, motivo per cui mi ritrovai sempre circondata da quei due. E anche se io non dicevo una parola, limitandomi a osservare, Percy non se preoccupava e parlava anche per me. Dei, il difficile era farlo stare zitto, in realtà. Mi raccontava sempre tutto: dalle poche cose che sapeva del padre, a quanto fantastica fosse la madre, quanto detestasse il patrigno, persino tutte le cose strane che gli erano capitate durante gli anni e nelle scuole precedenti.
Più lo vedevo insistere, più vedevo Grover osservarmi con aria preoccupata, più mi irritavo e mi nascondevo da qualche parte pur di non averli intorno. E quello divenne il mio ciclo giornaliero per mesi: mi alzavo, andavo a lezione, prendevo il pranzo e scappavo da qualche parte prima che Percy potesse anche solo vedermi di sfuggita. Poi studiavo, osservavo quello che succedeva rimanendo nell’ombra e me ne tornavo in camera dopo aver preso qualcosa per cena. E così via, la mattina successiva.
Era una routine consolidata. Soprattutto da quando, a Natale, le cose al piano di sopra si erano smosse e la Dodds, un’orrida vecchietta antipatica, era arrivata come professoressa di matematica. Sapevo perchè fosse lì, così come sapevo perchè Chirone fosse sempre più preoccupato con il passare del tempo. Esattamente come sapevo perchè sembrava che il cielo e il mare fossero sul piede di guerra: Zio Uccello e Zio Pesce stavano litigando di brutto e sempre più pesantemente, portando di conseguenza la tensione fra gli altri dei a livelli davvero alti. Sinceramente speravo che Atena riuscisse a tenerli buoni, ma dovevo aspettarmi che non ne sarebbe stata in grado. Soprattutto sapendo quello che sapevo io.
Non mi restava altro che fare buon viso a cattivo gioco ancora per un po’, poi avrei ucciso Chirone con le mie mani e avrei usato la sua coda per creare pregiati archetti da vendere ai violinisti.
Avrei tenuto d’occhio il Caso Problematico e la Dodds, quel pipistrello avvizzito sotto copertura il cui vero nome era Alecto, Furia di Ade. Zio Gioiello doveva averla mandata qui a tenere d’occhio il ragazzo e, per chissà quale motivo, mi aveva sempre lasciata in pace, ignorandomi totalmente. Strano davvero data l’attitudine dei mostri a mangiarsi quelli come me. Forse aveva a che fare con l’accordo che avevano stretto gli dei…
Fino a quel momento, comunque, si era limitata a osservare – anche lei – il Caso Problematico, come in attesa di un qualche segno divino che le desse il via libera per ucciderlo. Ovviamente nulla le impediva di torturarlo con punizioni e simili, motivo per cui era risultato evidente a tutti fin da subito che Miss Pel Di Carota Andata A Male – alias Nancy – era la sua preferita mentre lui lo odiava.
Avendo scelto di diventare suo amico, Grover si ritrovava sempre coinvolto nei suoi casini perchè la Figlia di Ares Scampata – sempre Nancy – lo bersagliava in continuazione per far esplodere Percy e vederlo sbattuto in punizione dal Pipistrello. Quel ragazzo, infatti, era dannatamente leale. Ma non mi andava giù che cercasse sempre di attaccare bottone anche con me.
Pur vedendomi relativamente poco, dopo che iniziai a scappare letteralmente da lui per tenerlo alla larga, Percy non si era arreso e a volte lo vedevo osservarmi insistentemente da lontano, forse nel tentativo di capire cosa mi passasse per la testa e perché mi tenessi sempre alla larga da chiunque. Tempo perso, non ci sarebbe mai arrivato.
Ogni tanto riuscivo a vedere Grover, però. Senza di lui. E allora ci nascondevamo in un luogo appartato e parlavamo per ore, raccontandoci le cose che ci eravamo persi da quando ci vedevamo così poco. Lui mi parlava di quanto fosse fantastico quel ragazzo e di come avesse difficoltà a studiare a causa della dislessia-che-non-era-dislessia tipica dei semidei. Il nostro cervello, infatti, era impostato sul greco antico, motivo per cui era più difficile leggere in altre lingue – io mi ero allenata ed ero riuscita a superare quest’ostacolo dopo alcuni anni, ma lui non poteva farci niente soprattutto perchè non lo sapeva.
Allora gli passavo alcuni appunti scritti a chiare lettere – un banale trucchetto che avevo imparato con il tempo – in modo che Percy potesse capirli più facilmente, ma erano l’unica cosa che in cui mi permettevo di ficcare il naso. E solo perché sapevo come ci si sentisse a faticare tanto come lui. Del resto, stavo già rischiando troppo con la mia sola presenza lì. E alla fine Grover tornava da Percy con la promessa di tenere segreto il mio coinvolgimento, perchè sapeva che altrimenti il Caso Problematico mi avrebbe assillata con le sue domande e io avrei tosato a zero le sue zampe da capra.
Ma torniamo al punto: dopo aver passato quasi un intero anno scolastico a tenere d’occhio il Caso Umano e il Caso Mostruoso, sapevo che la gita a cui stavamo per partecipare avrebbe cambiato le carte in tavola. Di nuovo. Ma decisi di limitarmi a osservare, ben consapevole che tanto sarebbe successo comunque, prima o poi.
Quel giorno andammo al Metropolitan Museum of Art per vedere anticaglie greche e romane, quelle che poi sarebbero parte della storia della mia famiglia. Eravamo una trentina di ragazzi insieme a Chirone, che si faceva chiamare signor Brunner, e al Pipistrello.
Osservai con distacco, a qualche posto di distanza, quei due poveretti venire bersagliati da Miss Pel Di Carota Andata A Male per tutto il viaggio, con Grover che bisbigliava continuamente qualcosa all’amico per impedirgli di esplodere ed essere sospeso, dato che ne aveva combinate talmente tante durante l’anno da essere finito in libertà vigilata. Rimasi per conto mio anche durante il giro turistico, almeno fino a quando non arrivammo davanti a una colonna alta quattro metri, con una grossa sfinge in cima che fortunatamente per noi era di pietra. Chirone parlò e parlò, raccontandoci aneddoti su quella stele e perdendosi in chiacchiere sull’arte funeraria che io sapevo già, mentre i ragazzi continuavano a farsi i fatti loro. Io lasciai vagare la mente altrove, pur cercando di non pensare a cosa sarebbe successo di lì a poco. Non so per quanto tempo rimasi con la testa nel regno di Zio Pesce, ma un’esclamazione del Caso Problematico mi riportò alla realtà.
«Vuoi chiudere quella boccaccia?»
Quindi, alla fine, era esploso davvero.
Alzai gli occhi al cielo ma non dissi niente mentre il gruppo si metteva a ridere. Chirone interruppe la sua parlantina, con mio sommo sollievo. Stava diventando soporifero.
«Jackson.» disse. «Vuoi fare qualche commento?»
Percy diventò viola. «No, signore.»
Il professore indicò una delle figure sulla stele. «Forse vuoi dirci cosa rappresenta questa immagine?»
Lui guardò la scultura. «È Crono che divora i suoi figli, giusto?»
«Sì.» confermò il professore, poco soddisfatto. «E lo fa perché…»
«Beh...» Percy si sforzò di ricordare. «Crono era il dio sovrano e…»
Io non riuscii a trattenere un gemito di protesta, dal mio angolino in disparte. Quello era un insulto bello e buono ai veri dei.
«Dio?» ripeté Brunner, come a sottolinearlo.
«Titano.» si corresse velocemente lui. «E... non si fidava dei suoi figli, che erano dei. Perciò, ecco, li ha divorati, giusto? Ma sua moglie ha nascosto il piccolo Zeus e al suo posto ha fatto mangiare al marito una pietra. Poi, quando Zeus è cresciuto, con l'inganno ha costretto Crono a vomitare i suoi fratelli e le sue sorelle…»
«Bleah!» commentò una ragazza.
«... e così c'è stata una grande battaglia fra gli dei e i Titani.» continuò Percy. «E gli dei hanno vinto.»
Risatine sparse.
Nancy Bobofit borbottò a un'amica: «Come se questa roba servisse a qualcosa nella vita vera. Come se nelle domande di assunzione ci fosse scritto: “Spieghi perché Crono ha divorato i suoi figli.”»
La sentii persino io che mi trovavo dall’altra parte del gruppo.
«E come mai, Jackson.» fece Brunner. «Per parafrasare l'ottima domanda della signorina Bobofit, questo dovrebbe interessarci nella vita vera?»
«Beccata.» gongolò Grover.
«Chiudi quella bocca.» sibilò Nancy, la faccia più rossa perfino dei capelli.
Percy alzò le spalle. «Non lo so, professore.»
«Capisco.» sembrava deluso, ma io gli lanciai un’occhiata delle mie e lui comprese cosa volessi dire.
Era ovvio che non lo sapesse, non aveva la minima idea di quello che aveva intorno.
«Beh, sei andato benino, Jackson. Forse Elise vorrà esporci nel dettaglio come andarono le cose.» continuò ricambiando l’occhiata.
Lo maledissi mentalmente alzando gli occhi al cielo, poi risposi tenendo gli occhi fissi sulla stele. 
«Zeus fece bere a Crono una miscela di mostarda e vino, inducendolo a rigurgitare i suoi altri cinque figli. Ovviamente, essendo divinità immortali, avevano continuato a vivere e a crescere intatti nello stomaco del Titano, senza mai essere digeriti. Gli dei sconfissero il padre, lo fecero a pezzi con la sua stessa falce e sparsero i suoi resti nel Tartaro, la parte più oscura degli Inferi. Personalmente ritengo che una comune sbronza avrebbe avuto lo stesso effetto ma, ehi, suppongo che a quei tempi fosse un concetto a loro estraneo.» finii ironica facendo sghignazzare i miei compagni.
«E su questa nota allegra, direi che è ora di pranzo. Signora Dodds, vuole condurci fuori?» terminò Chirone dopo la mia spiegazione.
La classe si allontanò, le ragazze tenendosi lo stomaco disgustate da quello che avevano appena sentito e i ragazzi spintonandosi come degli idioti, totalmente indifferenti alla cosa.
Io mi tenni a distanza e li seguii, ignorando Percy che era stato fermato da Chirone. Lasciai perdere entrambi, in realtà. E anche quando Grover mi affiancò non prestai attenzione alle sue domande e mi limitai a osservare di sottecchi il Pipistrello, consapevole che di lì a poco si sarebbe fatta un fantastico – ma anche no – viaggetto al piano di sotto.
 

****

 
Quando il Caso Problematico e il Cavallo Bastardo ci raggiunsero fuori, io ero tranquillamente accomodata su un paio di gradini, intenta a gustarmi il misero pranzo che ci aveva servito la mensa, mentre Grover si era messo sul bordo della fontana, a debita distanza sia da me che da quegli altri che, poveri e insignificanti, si trastullavano con i piccioni. Personalmente trovavo molto più interessante studiare il temporale che si stava ammassando sulle nostre teste; magari avrei capito chi, tra quei due fratelli imbecilli, stava vincendo la litigata dell’anno. La stavano tirando un po’ troppo per le lunghe a mio parere – dopo tempeste di neve, inondazioni, incendi causati da fulmini – e speravo solo che Atena impedisse loro di generare un uragano, o avrebbero causato fin troppi danni.
Continuai a studiare il caotico movimento delle nuvole, sgranocchiando una mela e percependo sempre di più i loro occhi che ci osservavano, fino a quando non vidi con la coda dell’occhio un tentacolo d’acqua afferrare Miss Lentiggini Verniciate e trascinarla nella fontana.
Attorno all’opera architettonica, adesso, si erano radunati tutti i ragazzi della classe, che commentavano l’accaduto bisbigliando tra loro.
Io non mi mossi.
Il Pipistrello era arrivato non appena Nancy aveva urlato di essere stata spinta, ovviamente, ma io rimasi a osservare la Dodds avviarsi insieme a Percy all’interno del museo mentre Grover passava lo sguardo preoccupato dal ragazzo a Chirone, che se ne stava tranquillo in un angolo a leggere un libro sotto un ombrellone fissato alla sua sedia a rotelle, apparentemente ignaro di quello che stava succedendo. Doveva essere davvero preoccupato, il satiro, perchè osservava persino me.
Mi si avvicinò velocemente e si fermò davanti a me con sguardo implorante.
«Avie, ti prego, fa’ qualcosa!» disse.
«Non ci penso neanche.» mi opposi, calma, tornando a osservare le nuvole e tentando di scacciare la sensazione di tensione sempre più crescente intorno a noi.
«Per favore!» insistette lui. «Lo ucciderà!»
«L’idea è quella.» commentai semplicemente.
Lui gemette, ma non si mosse. Rimase lì, di fronte a me, a osservarmi in quel modo tanto insistente da essere irritante.
Sbuffai.
«E va bene.» cedetti, alzandomi e buttando i resti della mela in un cestino vicino. «Ma…» lo bloccai, mettendolo in guardia, prima che potesse dire qualcosa. «Non farò niente di più di quello che so sarebbe successo comunque. Sia chiaro.»
Lui era troppo sollevato per protestare e si limitò ad annuire, seguendomi poi mentre mi avvicinavo a Chirone con tutta calma. Io, intanto, pregavo silenziosamente le mie sorelle che me la dessero buona e che non peggiorassi tutto un’altra volta con quell’intervento non previsto.
«Se aspetti ancora un po’ la penna la userà da morto.» dissi al centauro dopo essermi fermata davanti a lui.
«Credi sia arrivato il momento?» mi domandò senza alzare gli occhi dal suo libro.
Io alzai un sopracciglio senza dire niente. Sapeva benissimo che non avrei risposto. Già quello che stavo facendo era una violazione in piena regola. Ne era perfettamente al corrente.
Una fitta alla testa mi colse in quel momento, ma la nascosi spostando di nuovo lo sguardo sulle nuvole. Si erano fatte più scure, quasi più pesanti, come a mettere in evidenza il pericolo incombente e i successivi guai in arrivo.
Chirone alzò gli occhi su di me e studiò la mia espressione. Poi sospirò.
«Molto bene.» disse, prima di mettere via il libro e muoversi verso la direzione presa da Percy e la Dodds.
Me ne tornai al mio posto sulle scale, riprendendo a ignorare il resto del mondo e rimanendo con i sensi ben allerta. La tensione nell’aria si faceva sempre più alta; riuscivo a sentirne l’elettricità sulla pelle, ma sembravo essere l’unica. Dopo neanche dieci minuti la Foschia circondò ogni angolo del museo e della piazza in cui eravamo, confondendo i ricordi dei mortali e facendogli credere che la Dodds non era mai esistita.
Chirone mi fece un cenno riprendendo il suo posto e Grover dovette capire l’antifona perchè tornò alla fontana. L’idea era talmente semplice che non era necessario ce la spiegasse: fingere che non fosse successo niente e, di conseguenza, fare impazzire Percy.
Avrebbero dovuto chiedere consiglio ad Atena, perchè quello era un pessimo piano. Non so perchè gli diedi ascolto. Ah, sì: non volevo intromettermi. Che cretina.
Quando Percy uscì dal museo, con espressione stralunata e la penna in mano, stava cominciando a piovere, ma io mi limitai a tirarmi su il cappuccio per coprirmi i capelli e rimasi in disparte a osservare la scena del Caso Problematico che cercava di capire cosa stesse succedendo e perchè tutti credessero che la Kerr — una pimpante biondina che non era mai stata presente a scuola finché non scese dall'autobus alla fine della gita — fosse la nostra professoressa di matematica. Lo vidi parlare con Grover, che non sapeva mentire, e poi avvicinarsi a Chirone per restituirgli la penna, prima di scambiare qualche parola con lui.
Era talmente sconvolto che si voltò persino a guardarmi, ma io mi limitai a distogliere lo sguardo e ignorarlo come al solito.
Sospirai, riportando l’attenzione sulle nuvole temporalesche. Sembrava che quel round lo avesse vinto Zio Uccello, ma non ero sicura che l’avrebbe spuntata lui, alla fine.
Il futuro, per quanto chiaro, era maledettamente volubile.
   
 
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