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Autore: _Zaelit_    20/10/2021    0 recensioni
È trascorso qualche mese dal termine della lotta per la libertà dei guerrieri originati dal Progetto Jenova e Progetto Yoshua.
Sephiroth è partito in cerca della sua redenzione, mentre Rainiel vive con Zack ed Aerith nel Settore 5. Un altro nemico, però, intende portare avanti la guerra che loro credevano terminata. Quando un vecchio amico porterà discordia nelle vite dei due ex-SOLDIER, quando un angelo dalle piume nere tornerà a cercare il dono della dea, Rainiel e Sephiroth, e tutti i loro compagni, dovranno ancora una volta confrontarsi con un male più pericoloso del precedente e che, come se non bastasse, sembra conoscerli molto bene.
Libertà, amore, pace: tutto rischia di essere spazzato via ancor prima di poter essere ottenuto... e il Dono degli Dèi è più vicino a loro di quanto pensino.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genesis Rhapsodos, Nuovo personaggio, Sephiroth, Zack Fair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Crisis Core, Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Heiress of Yoshua'
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Capitolo 13

PARTE DI TE


 

Cloud stava trasportando le buste con i viveri comprati come ringraziamento per l'ospitalità di Elmyra, camminando con calma all'ombra della piattaforma sospesa.

Tifa era a qualche passo di distanza, più avanti sulla strada, e regolarmente si fermava a chiedergli se avesse bisogno di una mano a trasportare tutto quanto. Aiuto che lui prontamente rifiutava con un tenue ringraziamento.

Quel posto era molto diverso da Nibelheim ma, chissà come mai, Cloud qui si trovava a suo agio. Certo, lontano dal caos del mercato o dalla strada del bar, dove bambini e adulti affollavano le strade per dirigersi ai negozi sulla strada o al grande schermo per ascoltare le ultime notizie. Dopo aver comprato quel che serviva, avevano deciso di fare una breve passeggiata prima di tornare. Ora stavano attraversando una strada limitrofa del settore, e Tifa si era appena fermata ad ammirare dei fiori lungo la strada, lodandone il bel colore dei petali.

Cloud notò che, vicino ai suoi piedi, vi era una macchietta dello stesso tipo di fiori. Si abbassò sulle ginocchia e, con viso impassibile, ne strappò uno e andò verso di lei.

«Non credevo che a Midgar ci fossero fiori tanto belli. Immagino sia merito di Aerith se...»

La ragazza stava giusto parlando tra sé e sé, e quando si alzò e si volse si portò una mano alle labbra. Cloud le stava porgendo uno di quei fiori. Sentì gli zigomi infiammarsi e accettò, sfiorando la sua mano.

«Oh... grazie mille, Cloud. È decisamente il più bello tra questi.» Ed era vero. Ai suoi occhi era il migliore proprio perché era stato lui a regalarglielo.

Il ragazzo guardò altrove, mostrando un morbido sorriso appena accennato. Quando non era sovrappensiero, quando era da solo con lei e non c'erano altre persone né il pentimento di essere tornato a Nibelheim a tormentarlo, non gli dispiaceva comportarsi una volta tanto in maniera carina.

Tifa era un'amica speciale. Forse più di una semplice amica, per lui, ma non glielo aveva mai rivelato. Non voleva rovinare il loro rapporto.

«Vuoi tornare a casa?» le chiese, appoggiando a terra le buste che scivolarono lente sul suo stivale.

Lei sollevò le spalle, stringendo il fiore giallo al petto.

«Potremmo fare un salto da Aerith per portare loro la spesa. E per mettere questo in un vaso con un po' d'acqua, prima che appassisca.» propose, aspettando una sua indicazione.

«Perfetto. Andiamo, allora.»

Si rimisero in marcia e pochi minuti dopo bussarono alla porta di casa.

Ad aprire fu Elmyra, che probabilmente era tornata da poco, considerato che aveva ancora indosso la giacca e le scarpe.

Quando Cloud portò il piccolo dono in cucina, a lui e Tifa parve di scorgere una scintilla di gratitudine e tenerezza nell'espressione sempre un po' crucciata della padrona di casa, che offrì loro anche il vaso di cui avevano bisogno.

Aerith scese le scale di fretta, seguita poco dopo da Zack, più pacato di lei.

Si sedettero insieme al tavolo, Cloud e Tifa ne approfittarono per riposarsi un po'.

«Rainiel sta meglio?» chiese il ragazzo più giovane, convinto che l'amica fosse ancora addormentata, e che Sephiroth stesse vegliando su di lei come aveva fatto sin dalla sera prima.

«Alla grande. La dormigliona si è decisa a svegliarsi. Immagino che stia portando Sephiroth a fare un giro del settore.» ipotizzò Zack, con una sottile risatina. Aerith gli pizzicò un braccio, ma trattenne anche lei una risata.

Tifa era raggiante. «Oh, allora potremmo andare a cercarli! Non ho ancora avuto occasione di presentarmi come si deve.» propose.

Cloud annuì, ed Aerith strizzò loro l'occhio.

«Se conosco bene Rain, in questo momento si trova alla chiesa.»

«Chiesa?» le fece eco Cloud, confuso. Pensava di aver capito male, dato che Rainiel non era un'assidua frequentatrice delle messe.

Aerith annuì in risposta e spiegò loro a cosa si riferiva: alla periferia del settore, superata una strada sterrata che si apriva tra macerie e discariche meccaniche, v'era una chiesa abbandonata dove i fiori crescevano spontaneamente. Lei e Rain passavano molto tempo lì, a prendersi cura del piccolo giardino o semplicemente per stare lontane dal resto del mondo, se ve ne era bisogno. La chiesa era un luogo estremamente calmo e isolato.

«Che indecenza. Scegliere una chiesa per un incontro romantico!» scherzò Zack, la lingua affilata come al solito, e si buscò uno schiaffo sulla nuca da parte di Elmyra.

La fioraia spiegò ai due nuovi arrivati come raggiungere quel luogo, e Cloud e Tifa lasciarono di nuovo la villetta nel giro di qualche minuto.

«Allora,» cominciò a bassa voce Tifa a un tratto, mentre in silenzio attraversavano una strada deserta, «stavo pensando... che non ti ho mai davvero chiesto nulla a proposito di Rainiel. Praticamente non so nulla di lei.»

«È testarda quasi quanto qualcuno di mia conoscenza.» Cloud sbuffò divertito, e Tifa si copri le labbra con due dita per bloccare un risolino. «Ma è anche coraggiosa, e gentile. Penso che andrete d'accordo.» immaginò.

Tifa si massaggiò il collo e si sentì relativamente in colpa. Da come la descrivevano gli altri, Rain sembrava una persona stupenda. Bastava pensare al modo in cui, solo il giorno prima, aveva difeso Zack al costo della vita contro un nemico pericoloso come Genesis. Cloud era partito con Sephiroth per difenderla, perché aveva un debito da ripagare. Avevano combattuto fianco a fianco una volta, e l'avrebbero fatto ancora se uno di loro ne avesse avuto il bisogno.

Lei, d'altro canto... si era messa in viaggio solo perché Cloud aveva deciso di lasciare Nibelheim. Non c'era niente, in quel villaggio, per lui, e a questo punto Tifa la pensava allo stesso modo per se stessa. Voleva fare parte della sua vita, delle sue avventure, e non sentirle semplicemente raccontare al suo ritorno.

Si disse che non c'era da vergognarsene: avrebbe stretto amicizia con Rain, e dimostrato a Cloud che anche lei poteva entrare a far parte di quel gruppo... di quella strana e stupenda famiglia.

 

Aerith non si era sbagliata: Rainiel era, difatti, alla vecchia chiesa in compagnia di Sephiroth. Avevano aperto le grandi porte e richiuse subito dopo, entrando in quell'ambiente che non sembrava fare parte dello stesso mondo oltre le pareti. La struttura era vuota, eccezion fatta per qualche panca, e lì dove avrebbe dovuto trovarsi l'abside ora si abbeveravano della luce del sole un centinaio di piccoli fiori gialli, l'erba del verde più intenso sparsa attorno, che aveva sovrastato la pavimentazione di assi di legno. In cima, da un curioso buco nel soffitto, la luce filtrava come un raggio ultraterreno, e lo stesso valeva per le grandi finestre. C'era un buon profumo e l'aria era fresca. Persino Sephiroth si rilassò più di quanto avesse previsto, una volta che si fu guardato attorno e che ebbe inspirato a fondo.

«Allora?» Rainiel lo precedette nella navata, camminando all'indietro con le mani intrecciate oltre la schiena, gli occhi chiusi e un sorriso speranzoso in viso. «Che te ne pare?» chiese, e la sua voce leggera fu trasportata dall'eco e rimbombò tra le travi del soffitto e le colonne di pietra sgretolate.

Sembrava di aver messo piede in un sogno. Sephiroth sfiorò con una mano, coperta dal guanto, una delle panche attorno a lui, giusto per assicurarsi che fosse tutto vero.

«È... interessante.» si concesse di dire, con un'espressione atona ma gli occhi vagamente più brillanti del solito.

Tanto bastò a Rain per dirsi soddisfatta. Sapeva che lui preferiva i luoghi riservati, silenziosi, e che nonostante la sua fama non apprezzava restare troppo a lungo in luoghi affollati. Forse era a causa dei brutti ricordi di guerra, in cui era inevitabile rimanere bloccati nella massa in fermento, o forse era semplicemente introverso. Non le parve il caso di chiedergli un motivo.

Lentamente, si avvicinò a lui e il legno sotto i suoi stivali cigolò. Gli prese una mano, e lo guardò per qualche secondo dal basso prima di fare qualsiasi altra cosa.

Sephiroth vide di nuovo i suoi capelli cospargersi di luce, ammirò quegli occhi blu e profondi che tanto gli erano mancati, e ispezionò quelle labbra morbide e sottili che avrebbe tanto voluto assaporare in quel preciso istante.

Non aveva mai saputo spiegarsi come Rainiel facesse ad avere un tale effetto su di lui. Senza bisogno di parlare, o fare altro che essergli accanto... lo rendeva diverso. Più simile alla persona che avrebbe voluto diventare, più... umano.

E l'avrebbe davvero baciata se lei non si fosse spostata per condurlo al piccolo giardino al termine della navata. Rain si piegò sulle ginocchia e carezzò alcuni boccioli dorati.

«Ecco il tesoro segreto di Aerith.» gongolò, inspirando il profumo dei fiori. Poteva quasi sentire la loro energia vitale sotto le dita. Come un tenue battito cardiaco, che dal cuore del pianeta si diffondeva e ramificava fino alla più piccola venatura delle loro foglie.

Sephiroth non sapeva spiegarsi un'altra cosa: come avessero fatto quei fiori a sbocciare in un luogo del genere. Midgar sorgeva sopra una distesa arida, come aridi erano i bassifondi. Quel poco spazio che non occupavano le case era stato caricato di rifiuti e macchinari malandati, e nelle discariche prosperavano i mostri. I fiori, per quel che sapeva, erano esseri delicati, che avevano bisogno di cura e attenzione per crescere nel modo adatto. Come una persona, avrebbe detto la parte più infantile e profonda di lui. No, doveva esserci una soluzione razionale.

«Li hai creati tu?» domandò allora, e Rain s'irrigidì.

Da quando aveva fatto ritorno, quella era stata la prima volta che faceva riferimento ai suoi poteri. Un argomento che lei avrebbe sorvolato più che volentieri.

«Oh, no. Io... non uso più il dono da...»

La ragazza smise di parlare dopo essersi rialzata, e il suo sguardo naufragò nel vuoto.

Senza contare quelle poche volte in cui aveva rinvigorito i fiori nel giardino dell'amica, Rainiel non attivava il dono di Yoshua dalla notte in cui avevano combattuto contro Hojo. Aveva assimilato la creatura aliena, assorbito i suoi poteri e poi li aveva scagliati contro lo scienziato. Come se non bastasse, dal suo potere e da quello di Sephiroth, dal loro stesso sangue, era nata una materia di un rosso scuro. Sephiroth aveva letteralmente perso la vita in quello scontro, ma una volta usata la materia ignota Rain si era rivelata capace di usare il suo dono per riportarlo in vita. O almeno questo pensava che fosse accaduto. Più ricordava quei momenti, più la sua mente andava alla deriva.

Rimembrava la paura di averlo perso, il senso di disperazione che l'aveva colta. E, per quanto non avrebbe mai cambiato idea sull'uso della materia ignota se fosse tornata indietro, si rendeva conto che lei non avrebbe dovuto essere capace di riportare in vita qualcuno con il suo potere. Era sbagliato, e contro l'ordine naturale delle cose. Un Cetra non l'avrebbe fatto, per il bene del lifestream. Ma lei non era un'Antica, era a malapena una persona. Un ibrido. Non esisteva nessuno come lei su Gaia. Non abbastanza umana, non del tutto aliena.

La mano di Sephiroth le si posò sulla spalla. Bastò quel tocco deciso ma delicato a salvarla dal flusso incessante di pensieri in cui ogni tanto rischiava di annegare.

«Capisco per quale motivo,» disse in tono più pacato l'uomo, «ma non devi sentirti in colpa per essere ciò che sei.»

Quelle parole e il loro significato avevano aiutato anche lui a tornare sulla retta via, quando aveva perso la strada e si era lasciato divorare dall'odio che provava per ogni cosa ma, più di qualsiasi altra, per se stesso.

Lei chinò la testa e non osò affrontare quella discussione in maniera diretta.

«Non mi fa sentire bene... usare il dono. Tutto qui.» sollevò le spalle, e lui ritirò la mano, «Ad ogni modo non ne ho avuto bisogno, mi sono difesa con le mie sole forze quando era necessario, e tutto è filato liscio come sempre.» prese a diventare più schiva.

Sephiroth lo notò. Aveva trascorso abbastanza tempo con lei da sapere che, per portarla a riflettere, doveva assumere il tono da maestro che pensava di aver lasciato al simulatore della Torre Shinra tanto tempo prima.

«Ieri hai combattuto contro Genesis. Avevi la necessità di usare il tuo potere, ma non l'hai fatto. Perché?»

Lei notò la sua voce, più severa, e si sentì di nuovo una giovane allieva che ha tutto da imparare.

«Non ne avevo bisogno.» insisté. Una menzogna.

«Questo non è vero.» E una verità. «Eri in pericolo di vita. Se non fossi arrivato io...»

Rain si sentì spazientita e perse il controllo.

«Sarei morta? Sì, lo so.» alzò le braccia e poi le lasciò ricadere, cingendo se stessa in un abbraccio personale che, in qualche modo, la faceva sentire più protetta. «Lo so benissimo. È chiaro che Genesis abbia pensato di eliminarmi. Ma lui continuava a chiedere di mostrare il dono, di usarlo contro di lui...»

Sephiroth notò che la giovane stava tremando. Si mosse istintivamente verso di lei.

E Rain indietreggiò. Era ancora scossa dalla lotta, evidentemente.

«E non è del tutto corretto dire che io non l'abbia usato. Sapevo di essere in pericolo, così ho evocato il potere, ma...» Rain strinse le palpebre e scosse piano la testa, «Quelle radici erano troppo deboli. Troppo lente. Volevo attaccare Genesis, ma non ne sono stata in grado. Non so più come controllarlo e ho paura...» fece una pausa, che durò qualche secondo e comprese un singhiozzo quasi impercettibile, «... ho paura che tornerà ad avere lui il controllo su di me, se lo lascio libero. Temo di poter fare del male a qualcuno come è stato con i miei genitori. Non voglio correre questo rischio... non sopporterei di nuovo di perdere qualcuno...»

Si stava aprendo completamente a lui perché si fidava ciecamente, e perché si era tenuta dentro quelle parole inespresse per un tempo che le era sembrato interminabile. Ora che poteva sfogarsi, in un certo senso, si sentiva meglio, ma rimaneva il terrore di quella possibilità. Ne aveva abbastanza dei sensi di colpa.

Sephiroth era forse l'unico che poteva comprenderla, l'unico che condivideva un passato simile al suo e a sua volta aveva ceduto all'oscurità del suo animo e alla paura. Era precipitato nella follia, e non ne sarebbe mai emerso senza l'aiuto di Rainiel.

Stavolta non le diede il tempo di indietreggiare. La raggiunse e la strinse a sé, avvicinandola dopo averle cinto un fianco e portato l'altra mano dietro la nuca. Mentre lei si abbandonava alla bella sensazione della sua vicinanza e premeva la fronte e le mani sul suo petto, lui le baciò i capelli ramati scuri e mossi.

Avrebbe potuto calmarla semplicemente rimanendo lì, con lei, in silenzio. Tuttavia sapeva che Rain aveva bisogno di più che di qualche attimo di pace, che doveva sentirsi bene con se stessa, ma non solo quando lui era presente.

«Quello che è successo non riaccadrà mai più.» le promise, e in un certo senso stava parlando di entrambi. «Sei perfettamente in grado di controllarlo. Sei tu ad avere potere su di lui, e non il contrario.»

Mentre lo diceva, ripensò alla voce che aveva sentito nel reattore di Nibelheim. Jenova che lo chiamava a sé, gli prometteva comprensione e potere, un potere così sconfinato che in quel momento rifiutare gli era sembrato un gesto stupido. Eppure doveva ricordare a se stesso che quel richiamo non era nulla di buono. Che lei non era sua madre.

Allo stesso modo, Rainiel doveva ricordarsi di essere padrona di se stessa e delle sue abilità, e non schiava.

«Credi che sia essenziale che io lo usi?» domandò la giovane donna, circondandogli le spalle con le braccia. Sephiroth era un gigante in confronto a lei, per cui doveva sempre sollevarsi sulle punte quando lo abbracciava... o baciava. Anche se era passato un bel po' di tempo dall'ultima volta che era successa una cosa simile.

Lui cercò di agevolarla chinando un po' di più la testa. Anche se era sovrappensiero, aveva ascoltato con attenzione la sua domanda.

«Fa parte di te. Come lo fanno i tuoi occhi, o i tuoi arti. E più di quanto lo facciano le tue spade.» disse la sua opinione, per quanto anche lui si sarebbe sentito nudo e in un certo senso vulnerabile, senza la Masamune. «Piuttosto che usarlo con rassegnazione, dovresti accettarlo.»

A lei piacque quella spiegazione. «Però! Non ti ricordavo così filosofico.» ridacchiò, facendo accelerare i battiti del cuore dell'uomo. Lei non se ne accorse. «Mi piacerebbe accettare tante cose di me stessa. Ma è un po' difficile senza un mentore che mi indichi la via.»

Sephiroth comprese la sua implicita richiesta. «Abbiamo abbastanza tempo a disposizione per riprendere gli allenamenti.»

«Prega solo che non inizi a piacermi troppo il mio potere. Potrei persino sconfiggerti.»

«Non ci spererei troppo.»

Rain gli colpì piano un braccio, lasciandosi scappare un "Hey!" fintamente offeso che riecheggiò più forte delle altre parole.

Stavano ancora ridendo, quando le porte della chiesa si aprirono lentamente.

Entrambi furono presi alla sprovvista e, da soldati quali erano, si misero sulla difensiva.

Rain cercò accanto a un fianco una Aikuchi che quella mattina però non aveva portato con sé, mentre Sephiroth sollevava un braccio in modo da coprirla parzialmente e le sue pupille si facevano più strette, così come le palpebre, lo sguardo puntato dritto sull'ingresso.

Nessuno andava mai alla chiesa se non Aerith, che per quanto ne sapeva Rain non ci sarebbe andata quella mattina, e ricevere visite era un po' strano. Tuttavia, il nemico che Sephiroth e Rainiel stavano aspettando non si palesò mai. Non era stato Genesis a sorprenderli di nuovo con una delle sue entrate a effetto, né un altro inviato della Shinra venuto lì per riportarli nelle loro gabbie d'oro.

Dietro la porta fecero capolino solamente il giovane Cloud, che spingeva con entrambe le braccia i portoni, e dietro di lui una Tifa leggermente imbarazzata.

 

 

   
 
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