Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Green Star 90    22/10/2021    2 recensioni
[...] Kakyoin si tenne la testa con entrambe le mani «mi gira la stanza, ed è tutta colpa tua».
Jotaro inarcò un sopracciglio.
«Poco fa non dicevi di sentirti bene?»
«Mi sento ancora bene, ma mi gira pur sempre la stanza. Le due affermazioni non vanno in contraddizione» Kakyoin lasciò andare la testa e guardò colui che gli occupava il letto sfatto, mentre quello sul quale avrebbe dovuto dormire rimaneva immacolato «Jotaro?»
«Eh?»
«Ce ne saranno altri di momenti così?»
«Sì… non lo so. Dipende da quanto impari a reggere l’alcol»
«Non parlo del vino orribile che abbiamo bevuto, mi riferisco a noi che facciamo i cretini come delle persone normali».
***
Di due bottiglie di vino e una notte insonne.
Buona lettura.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jotaro Kujo, Noriaki Kakyoin
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Jojo in Heaven'
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Night Train Express

Night Train Express

 

Wake up late honey put your clothes
Take your credit card to the liquor store
That’s one for you and two for me tonight
I’ll be
Loaded like a freight train
Fryin’ like a space brain
One more tonight

Guns N’ Roses, Nightrain

 

«Hai freddo?».
Una domanda buttata lì quasi per caso.
«Non saprei, in effetti fa un po’ fresco stasera».
Non v’era stata altra replica perché chi avesse posto il quesito uscisse per andare a recuperare una coperta.
Una coperta, giusto?
«Ma quelle non sono coperte»
«Non ho mai detto che sarei andato a prendere delle coperte».

Era successo che quella notte a Jotaro, in preda all’insonnia e alla noia, che messe assieme riuscivano a rendere pericoloso qualsiasi diciassettenne, era venuta l’idea di procacciarsi dell’alcol in quel di Abu Dhabi, mentre lui e Kakyoin condividevano la camera di uno degli hotel più rinomati della città. Ed era anche successo che, per farsi compagnia, era sceso in reception e aveva preso non una ma ben due bottiglie di Night Train Express tanto per assicurarsi che il compagno di stanza partecipasse alla sbronza notturna, e così era stato. Dopo poche e prevedibili remore Kakyoin aveva bevuto il corrispettivo in canna del primo bicchiere, al quale era sopraggiunto il secondo, e poi il terzo, e poi il resto, fino a quando Jotaro non aveva ottenuto la soddisfazione di vederlo in pigiama a ridere per qualsiasi stronzata si dicessero o notassero. Certo era che se Polnareff lo avesse visto in quello stato non ci avrebbe pensato due volte a prenderlo in giro finché fosse campato, quindi, in mezzo all’obnubilamento nel quale stava facendo annegare i neuroni, aveva deciso saggiamente di non macchiargli la reputazione godendosi da solo – e in segreto – le sue spettacolari quanto idiote affermazioni da adolescente quasi astemio. Per quanto riguardava il post ubriacata, ci avrebbe pensato del paracetamolo provvidenzialmente conservato in valigia a risolvere l’impaccio, e tutti sarebbero stati felici e contenti, fegati a parte.
«Io… adesso… no aspetta!» Kakyoin si sventolava il volto con una mano, mentre con l’altra reggeva il collo della bottiglia del vino più scadente che avesse mai bevuto, impresa non da poco visto che quel pazzo di Jotaro gliene aveva fatto tracannare metà «Tu adesso mi spieghi che ci fa questa brodaglia in un albergo cinque stelle di Abu Dhabi».
Jotaro, da seduto, aveva finito per sdraiarsi di traverso sul letto di Kakyoin dopo aver abbandonato la giacca su una poltrona e adesso guardava il coetaneo con gli occhi lucidi per gli effetti dell’etanolo. Si puntellò sui gomiti e, afferrata la sua bottiglia, mandò giù un generoso sorso di alcol.
«Forse piace agli americani che di vino non capiscono un cazzo… O forse vogliono attentare alla nostra vita perché non siamo musulmani»
«Quindi per noi niente settantadue vergini…!» disse Kakyoin facendosi il calcolo con le dita.
«Ma che te ne fai di settantadue vergini?» chiese Jotaro guardandolo male.
«Non vuoi le settantadue vergini?»
«No, cioè, sì, ma sono troppe! Poi ti stressano tutto il tempo… meglio di no, dai»
«Però sommate assieme farebbero centoquarantaquattro… Centoquarantaquattro, vero? E dove le metteremmo?»
«Segnatelo su un taccuino, che quando Abdul morirà veramente lo chiederemo a lui»
«Vero, non ci avevo pensato» Kakyoin porse la mano a Jotaro, che la strinse per sancire la stipulazione dell’accordo «sei un genio, certe idee brillanti vengono in mente solo a te».
Jotaro, se possibile, lo guardò con espressione ancora più truce.
«Mi prendi in giro?»
«Io? Prenderti in giro?» Kakyoin prese la sua bottiglia e bevve ancora «Non potrei – hic! – mai! Sei mio amico. Vero che sei mio amico?».
Lo domandò ridacchiando, forse per nascondere la serietà recondita che aveva impiegato per pronunciare quelle parole impastate.
«Certo» Jotaro sollevò la bottiglia prima di tracannare altro veleno «gli amici servono a farti venire le sbornie, non lo sapevi?».
Kakyoin scosse piano la testa e a un tratto smise di sorridere.
«Ti ho concesso l’onore di farmi avere la mia prima sbornia, complimenti» singhiozzò ancora, ma le pieghe della bocca restavano incurvate verso il basso «se potessi ti darei una medaglia ma non le ho con me… Devo averle lasciate a casa… Ah, no, un attimo! Dov’è?» come mosso da una molla invisibile, scattò carponi sopra il materasso e frugò tra le lenzuola e sotto il cuscino finché non trovò il tappo di una delle bottiglie «L’ho trovata! Eccola, tieni»
«Onoratissimo» Jotaro chinò il capo per simulare un inchino e infilò il tappo in tasca «la esibirò alla cerimonia di diploma se sopravvivo»
«Ammesso che ci facciano diplomare, abbiamo un sacco di studio arretrato da recuperare… Aaah!» Kakyoin nascose il volto dietro la bottiglia «e tu mi aiuterai con lo studio, vero che lo farai?»
«Fino a ora ero convinto che il secchione fossi tu» Jotaro si mise seduto di fronte a lui e gli fece perdere l’equilibrio premendogli l’indice teso sulla fronte «e poi chi ti ha detto che non ce la farai senza di me?»
«Non me l’ha detto nessuno, ma magari sarebbe carino studiare assieme qualche volta, che dici?» Kakyoin si raddrizzò e, tirando su col naso, si passò una manica sul collo umido di sudore «Così almeno condivideremo assieme anche l’angoscia di rischiare la bocciatura»
«Mi sembra una bella prospettiva» disse Jotaro «noi che ci disperiamo e mia madre che non la smette di ripetere che finalmente ho portato a casa qualcuno senza prima averlo massacrato di botte»
«Ehi!» Kakyoin gli diede un pugno sul braccio «credevo di essere stato il primo!»
«Infatti lo sei, e sei anche l’ultimo se ci tieni a saperlo» Jotaro ricambiò il pugno «non sei mica l’unico a non avere avuto amici finora».
A quella confessione Kakyoin non parlò. A esprimersi per lui fu la testa piegata di lato e lo sguardo vacuo di chi processa un’informazione confidenziale coi fumi dell’alcol in circolo. Quando parve svegliarsi dalla trance lo fece soltanto per bere altro vino.
«Avere uno stand non è il solo motivo per il quale si può restare da soli… cioè» Jotaro riprese a parlare, o, per meglio dire, a impiastricciare parole, indicando sé stesso come per evidenziare la propria stazza «anche essere un hāfu fa abbastanza schifo, la gente ti guarda strano per tutto il tempo»
«Ah… non ci avevo pensato» Kakyoin gli si avvicinò con un colpo di reni «se può servirti a me non fai schifo» aggiunse, prima di sussultare con un altro singhiozzo.
Le abat-jour sui comodini erano spente e l’unica fonte di luce proveniva dai grattacieli intravedibili dal balcone spalancato, ma anche non fosse stato così Kakyoin non sarebbe stato in grado di capire se il rossore sul volto di Jotaro fosse dovuto alla sbronza o a quello che gli era appena uscito dalle labbra. Comunque fosse non fece capire di sentirsi in imbarazzo per quella dichiarazione disinteressata ribattendo così:
«Non posso farti schifo perché mi hai dato una medaglia»
«Ti ho dato una medaglia» ripeté Kakyoin che, nel frattempo, aveva dimenticato di avergli conferito tale onorificenza «e per cosa te l’ho data?»
«Me l’hai data perché… un attimo» Jotaro assottigliò gli occhi e guardò intensamente l’altro nel tentativo di ricordare il motivo per il quale avesse messo in tasca un tappo «credo avesse a che fare con lo stato pietoso in cui ti ho ridotto»
«Non dire così, in realtà mi sento bene» Kakyoin non riuscì a trattenere un sorriso «dico sul serio, sto molto bene adesso»
«Ne riparliamo domani mattina» Jotaro gli sfilò la bottiglia dal grembo e la agitò per capire quanto vino fosse rimasto «wow, ho fatto un bel casino e te ne accorgerai tra qualche ora quando ti verrà il mal di testa»
«Sarà un ricordo in più che mi porterò quando torneremo a casa… “ciao mamma, questo è Jotaro, l’aspirante criminale che mi sta facendo perdere un anno di scuola, sono sicuro che ti farà piacere conoscerlo”»
«Ma vaffanculo, sei un traditore!» Jotaro gli saltò addosso per avvinghiarlo alla vita e sollevarlo dal materasso «Se vomiti col cazzo che ti porto al cesso».
Invece di prendersela Kakyoin rise ancora più forte.
«Se continui così ti vomito addosso e col cazzo che ci arrivo, al cesso!».
Jotaro lo lasciò andare e lui cadde di peso sui cuscini facendo sobbalzare le molle del letto. Quando riuscì a mettersi di nuovo seduto l’aggressore lo fissava con le braccia conserte simulando un’espressione burbera, e ciò non sortì altro effetto se non prolungare la risata di Kakyoin.
«Grazie, grazie di cuore perché non ho mai riso così in vita mia!»
«Ah, no?»
«Lo giuro… oh» Kakyoin si tenne la testa con entrambe le mani «mi gira la stanza, ed è tutta colpa tua».
Jotaro inarcò un sopracciglio.
«Poco fa non dicevi di sentirti bene?»
«Mi sento ancora bene, ma mi gira pur sempre la stanza. Le due affermazioni non vanno in contraddizione» Kakyoin lasciò andare la testa e guardò colui che gli occupava il letto sfatto, mentre quello sul quale avrebbe dovuto dormire rimaneva immacolato «Jotaro?»
«Eh?»
«Ce ne saranno altri di momenti così?»
«Sì… non lo so. Dipende da quanto impari a reggere l’alcol»
«Non parlo del vino orribile che abbiamo bevuto, mi riferisco a noi che facciamo i cretini come delle persone normali»
«Con sommo dispiacere di tua madre, credo di sì» Jotaro avvicinò il volto a quello di Kakyoin e gli annusò il pigiama «puzzi da fare schifo, non so se sentirmi in colpa o essere fiero del mio operato»
«Visto che anche tu odori di vino del konbini e di tabacco sono in buona compagnia» invece di allontanarsi, Kakyoin si era avvicinato a sua volta fin quasi a far sfiorare le punte dei nasi «facciamo che la prossima volta ci ubriachiamo con qualcosa di meglio».
L’illuminazione notturna che si irradiava fioca nella camera costituiva l’unica spettatrice di un quadretto che non si sarebbe mai composto se i due protagonisti non avessero detto arrivederci ai freni inibitori con l’assunzione di liquido psicotropo; e soprattutto, un Kakyoin sobrio non si sarebbe mai permesso di stringere la mandibola di Jotaro e di salirgli a cavalcioni, così come un Jotaro sobrio non avrebbe mai permesso a nessuno di farsi fare una cosa del genere, e infatti l’unica cosa che fece fu biascicare un «Ma che…?» arrochito e appena udibile.
Kakyoin aveva smesso di parlare. Jotaro lo guardava con gli occhi sbarrati e le orecchie tese ad ascoltare il suo respiro pesante che a ogni rilassamento del torace rilasciava una scia odorosa di vino. Intontito com’era e troppo sorpreso dalla situazione per poter reagire, lasciò che gli incisivi di Kakyoin affondassero nel labbro inferiore e che le ginocchia si serrassero attorno al bacino. Non oppose resistenza nemmeno quando i denti mollarono la presa e avvertì il posarsi morbido e umido delle labbra sulle sue, un contatto dal penetrante sapore dolciastro che si fece più insistente con il primo guizzo della lingua in bocca.
Né chi aveva iniziato né il ricevente ebbero preoccupazione di domandarsi cosa stesse accadendo, semplicemente stava accadendo e basta, e d’altronde proprio quello era l’evento meno assurdo al quale fossero stati coinvolti, per cui andava bene anche così.
Kakyoin si era sistemato meglio sul ventre di Jotaro e con entrambi i palmi piantati sulle spalle di lui cercava di spingerlo per farlo sdraiare in posizione supina. Nonostante l’ebbrezza, però, e pur continuando a ricambiare il bacio senza risparmiare a sua volta piccoli morsi alle labbra e intrecci sempre più insistenti con le lingue, Jotaro era intenzionato a disobbedire a quel comando impartito col corpo: con uno schiocco e un mugolio di voluttà insoddisfatta si staccò da Kakyoin e tentò di rovesciare la situazione prendendogli i polsi e facendo leva sulle ginocchia nel tentativo di prendere il comando della situazione.
Peccato che entrambi avessero fatto i conti senza l’oste.
Avvertendo le intenzioni di Jotaro, Kakyoin aveva digrignato i denti in un ringhio di disappunto: soffiando come un gatto cercava di rimanere seduto sulle cosce del coetaneo irrigidendo le braccia per impedirgli di sottometterlo, mentre l’altro non mollava la presa sui polsi e pur di vincere quella battaglia si stava aiutando con colpi decisi delle reni. Per tutta risposta e in via inaspettata, Kakyoin rispose con più fervore piantandogli i denti nel labbro già arrossato da altri morsi e serrando la mucosa fino a fargli male.
«Stasera siamo aggressivi» sussurrò Jotaro a fior di labbra, mescolando un sorriso sarcastico a una smorfia di dolore; ignorando il sapore ferroso del suo stesso sangue gli lasciò stare i polsi e con una discreta quantità di forza gli afferrò il cavallo dei pantaloni.
«Molto aggressivi» aggiunse, incattivendo lo sguardo mentre stringeva le dita sull’asta «adesso che vuoi fare?».
A quella provocazione Kakyoin aveva soffiato ancora più forte, ma la mandibola continuava a serrare dolorosamente il labbro di Jotaro. Arricciò la punta del naso e dilatò le narici, mentre con la lingua assaggiava quel miscuglio sporco di sudore, sangue, tabacco e alcol. Come per vendicarsi dello smacco, prima di lasciare andare Jotaro affondò un’ultima volta il canino nella ferita da lui inflitta facendolo gemere per il dolore e la sorpresa e poi, in sincrono, si allontanarono l’uno dall’altro col fiato corto e la realizzazione di quello che stavano per fare.
Jotaro si portò una mano al labbro, mentre Kakyoin si teneva l’inguine con le gambe serrate. Per alcuni secondi non si udì altro suono all’infuori dei respiri che tornavano ad alleggerirsi; poi, tanto per tagliare la tensione che si era fatta insopportabilmente densa, Jotaro si azzardò a domandare:
«Si può sapere cosa volevi fare?».
Kakyoin lo guardò come se si stesse preparando a spiegare la proprietà commutativa a un bambino delle elementari.
«No, tu cosa volevi fare» ricambiò insolente.
«Scoparti, magari».
Se fosse stato possibile, a Kakyoin sarebbe caduta la mascella a terra. Jotaro si ricompose incrociando gambe e braccia all’estremità del letto e, sistemandosi il cappello che nella foga si era spostato sulle ventitré, capì finalmente perché non sarebbe stato possibile concludere alcunché.
«Aspetta» Kakyoin deglutì e indicò sia Jotaro che sé stesso, il pigiama sgualcito, i capelli incollati alla fronte e qualsiasi traccia di malizia e aggressività negli occhi evaporata come le loro erezioni «tu vuoi stare sopra, io voglio stare sopra, quindi…»
«Quindi non ci piace essere presi per il culo»
«Quindi non ci piace stare sotto»
«Cristallino»
«Lapalissiano».
Calò di nuovo il silenzio. Durò molto meno rispetto a prima, perché si guardarono in faccia sfatti, puzzolenti, sudati, appiccicaticci e con l’odore dell’altro addosso, e proruppero in una risata che valeva più di mille giustificazioni e scuse.
«Però ahia cazzo, mi hai strizzato le palle!» mentre rideva Kakyoin continuava a massaggiarsi le parti intime «Non me l’aspettavo!»
«Te la sei cercata, guarda come mi hai ridotto il labbro razza di psicopatico!» ricusò Jotaro «domani dovrò inventarmi di aver sbattuto contro uno spigolo!»
«Puoi sempre dire la verità eh» lo canzonò Kakyoin.
«Certo, così tanto per restare in tema i perculamenti di mio nonno e di Polnareff ce li portiamo nella tomba! Ma pensa!».
Lasciando sfogare gli ultimi spasmi delle spalle smisero di ridere. Kakyoin trasse un sospiro profondo per darsi una calmata e, sceso dal letto un po’ barcollante, prese i due Night Train Express e andò a svuotare nel lavandino del bagno i loro avanzi. Con la coda dell’occhio lo specchio gli restituì l’immagine di un ragazzo con il viso arrossato, le pupille dilatate e le labbra gonfie non per gli strascichi dell’ennesimo scontro ma per qualcosa che si sarebbe davvero portato nell’oltretomba. Scosse il capo, ancora ignaro del destino che lo attendeva, e tornò in camera trovando Jotaro in piedi e a torso nudo.
«Prima di andare a dormire vado a fare una doccia, non mi ci infilo così sotto le coperte» si affrettò a spiegare per prevenire qualsiasi fraintendimento, che però non riuscì a frenare il senso dell’umorismo di Kakyoin.
«Possiamo farla assieme se vuoi».
Jotaro gli lanciò la maglietta per soffocare un’altra risata.
«Bakayarou!» gli venne da dire mentre lo superava per andare in bagno. Giunto alla soglia, tuttavia, si arrestò per voltarsi: Kakyoin si era tolto l’impaccio di dosso e continuava a ridere, e siccome l’alcol non aveva smesso di fare il suo dovere, dicendo tra sé e sé che tanto quello che era accaduto lì dentro sarebbe rimasto lì dentro, tornò sui suoi passi e cinse le spalle di Kakyoin: prima che costui potesse dire o fare qualcosa piegò la testa di lato e gli stampò un bacio sulla guancia.
Sciolto l’abbraccio si affrettò a occupare il bagno, senza nemmeno dare il tempo a chi aveva ricevuto quella dimostrazione di tenerezza inaspettata di commentare il gesto. E non lo avrebbe mai fatto, o almeno non in quella vita: avrebbe custodito in segreto il privilegio di aver fatto breccia nell’armatura di quel ragazzo dall’aria impassibile, come Jotaro avrebbe custodito il tappo della bottiglia che gli era stato donato per scherzo.  

***


Sul Night Train Express e altra roba: prendi un vino scadente, dallo in mano a una band esordiente che avrebbe inciso uno degli album più iconici degli anni Ottanta e infine fallo (ri)ascoltare a una fanwriter che si dedica al fanservice su una saga a fumetti in parte ambientata negli anni Ottanta. Il risultato è una storiella dai connotati trash che mai avrei pensato di dare in pasto al pubblico ludibrio se non fosse stato per la moltitudine di fanart a tema Jotakak che si vede in giro, e per la precisione fanart a tema Jotakak in cui Jotaro è il seme e Kakyoin l'uke. Ecco, per me sono entrambi seme e sì, nella mia testa Kakyoin è uno di quelli che ti porta a cena nel ristorante più in della città e poi una volta pagato il conto diventa una tigre.
Headcanon a parte, giusto per dare un'idea temporale della, boh, cosa che ho scritto, ho ambientato l'evento poco prima dell'incontro con lo stand del Sole, quando Abdul viene dato ancora per morto da Polnareff. Se volete sapere come la sottoscritta sia arrivata a partorire questa one shot, potete recuperare le storie precedenti spulciando la mia serie Jojo in Heaven.

Grazie per aver letto, alla prossima.
   
 
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