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Autore: Saralasse    02/09/2009    4 recensioni
[...]La Maia sorrise mentre il suo sembiante visibile spariva confondendosi con il Vento dell'Ovest che l'avrebbe riportata infine alla beata Aman. «Vilya». Echeggiò una voce nell'aria.[...] Il background della storia è quello dei Racconti Ritrovati e Racconti Perduti, non quello del Silmarillion
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vilya – Il pianto del vento

Su Tol Eressëa, la prima delle Terre Occidentali, si trova Mar Vanwa Tyaliéva, la Casetta del Gioco Perduto, una minuscola casetta dove i figli degli Uomini ancora in grado di imboccare la Strada Diritta si recano come in un sogno ad ascoltare le storie che Lindo, il gentile padrone di casa, racconta intorno al Fuoco dei Racconti nella Stanza dei Ceppi.
“Lindo cosa ci racconti stasera?”, chiese la piccola Cwén.
“Vi racconterò una storia triste”, sorrise Lindo
“Ma come!”, protestò la piccina
“Lasciami finire”, la rimproverò Lindo. “Una storia triste ma di speranza”.
Disse cominciando il racconto.

§§§

“Vi siete mai fermati ad ascoltare il soffiare del vento?”

“Perché mai?” chiesero i bambini.
“Perché avreste sentito la sua voce... il suo pianto confondersi col ruggito del vento di tempesta o accompagnare le gentili brezze primaverili.
Non ne esistevano più della sua gente... non in quelle terre almeno; essi erano... sono i Mánir, gli spiriti dell'aria che accompagnarono Manwë Súlimo e Varda la Bella nella loro discesa verso Arda.
Con loro era un'altra stirpe di silfi dei venti, i Súruli... nemmeno loro si rincorrevano più giocosi nell'aria sopra la Terra di Mezzo, solo ella era rimasta solitaria a librarsi fra boschi e montagne alla ricerca di qualcosa... cosa ancora non lo sapeva”.
“Come si chiamava?”.
“Avete bisogno di rivolgervi a lei con un nome per darle esistenza? Chiamatela Vilya, ché come lei, all'aria era sacro l'Anello che fu di Gil Galad e che Elrond riportò all'Occaso, presso i potenti Signori d'Occidente che a lungo si rifiutò di raggiungere.
Continuò a vagare sulla Terra di Mezzo... e infine un solo luogo le diede un po' di pace, una foresta antica dove ancora gli alberi sembravano sul punto di ridestarsi dal pesante torpore che li aveva avvinti. Una foresta che gli antichi Uomini del Sud, i cui signori sedevano nella città maestosa che Elfi e Uomini hanno chiamato Rûm (ma che gli Elfi soltanto conoscono come Magbar) chiamarono Silva, “foresta” nella loro antica lingua giacché non potevano, nel pronunciare tale parola, pensare a un luogo diverso del loro pur vastissimo reame.
Molte vite degli Uomini erano trascorse da quando persino la possente Rûm era caduta in rovina e i figli degli Uomini del Sud chiamavano questo bosco semplicemente Sila. Ma che la si voglia chiamare Silva o Sila, i suoi alberi non avevano perso nulla del loro antico splendore; le montagne avevano visto passare eserciti di Uomini, erano state teatro di lotte sanguinose ma nulla le aveva smosse, nulla aveva turbato la loro pace ancestrale.
Tanto era antico e ameno quel luogo, che Vilya nel suo peregrinare si voltava di scatto al minimo rumore, pensando... sperando di trovarsi dinnanzi uno della grande schiera di folletti, fatine e spiritelli che formava il corteo di Yavanna, soliti incontrarsi tra le fronde degli alberi e l'erba dei prati; per poi ritrovarsi a fissare gli occhi di qualche animale curioso il cui sguardo le passava attraverso: persino gli animali, corrotti dagli Uomini, avevano perso la loro saggezza e non percepivano più la presenza di esseri come lei”.
E gli Uomini?”, chiese ancora Cwén.
Gli Uomini non potevano più vederla perché non credono in lei... in noi, in coloro che con il loro canto diedero forma ed esistenza al loro Mondo, alla terra che calpestano e ai mari che solcano con navi veloci; essi hanno perso ormai le virtù dei Priminati che seppur tenuemente, risplendevano in loro.
Eppure, nella sua ostinazione, Vilya continuò ad alimentare la fiducia che nutriva nella loro stirpe, tentando di avvicinarli, di riportarli sulla via che i Signori d'Occidente avrebbero voluto per loro... ma nessuno di loro scorse mai neppure il suo riflesso sull'acqua, né udì un solo sussurro delle sue parole... e se qualcuno vi riusciva, si ritraeva spaventato, livido di terrore innanzi a quello che la sua gente da molti oscuri anni definisce fantasma.
Una notte, dopo il sorgere della Luna, Vilya decise di allontanarsi dalla protezione che la Sila le offriva per riprendere la sua ricerca e il suo cammino la condusse a un villaggio di Uomini che sorgeva al limitare del grande bosco. A una sola finestra scorse un lume acceso e si avvicinò; dietro il vetro stava una fanciulla... una bambina piuttosto, china su un volume vecchio e polveroso le cui pagine sembravano sfaldarsi a ogni tocco. Incuriosita dal libro più che dalla bambina stessa, la Maia rimase a osservarla al di là della finestra tentando inutilmente di capire di cosa stesse leggendo con tanta attenzione, finché lei non si voltò e la vide; stava per allontanarsi onde evitare che si spaventasse ulteriormente ma lei la richiamò
«Aspetta!», esclamò aprendo la finestra. «Non andartene!».
Vilya si voltò stupita
«Perché mi hai fermata? Non temi i fantasmi?».
«Tu non sei un fantasma», disse lei fissandola negli occhi. «Sei forse uno di quegli Elfi di cui leggo nel mio libro?».
«No, non sono un Elfo... ma tu come conosci i Priminati? In quale opera degli Uomini è conservata ancora tale saggezza?», chiese Vilya mentre un sentimento che aveva dimenticato tornava ad affacciarsi nel suo cuore: la speranza. La speranza di aver finalmente trovato ciò che tanto bramava.
«La mia famiglia custodisce quel libro da anni», disse la bambina sorridendole. «Tanti anni, così tanti che la memoria di come i miei antenati ne entrarono in possesso è svanita... solo il libro rimane lì, trasmettendosi agli eredi con la raccomandazione di non lasciare svanire il sapere che contiene. E' il Libro Rosso dei Confini Occidentali».
Vilya sbarrò gli occhi mentre l'ombra di un sorriso le incurvava le labbra.
«Voi... voi sapete e ricordate... e soprattutto credete... la benedizione del potente Ilúvatar e dei Valar vi accompagnerà sempre finché custodirete un tale sapere... come ti chiami fanciulla?».
«Firíel... e il tuo nome qual è?».
La Maia sorrise mentre il suo sembiante visibile spariva confondendosi con il Vento dell'Ovest che l'avrebbe riportata infine alla beata Aman.
«Vilya».
Echeggiò una voce nell'aria.





NdA: questa modestissima storia è un mio piccolo omaggio al Professore perchè nel giorno del 36° anniversario della Sua morte, spero che nessuno dimentichi mai ciò che Lui ha creato.
Hannon le J.R.R. Tolkien
  
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