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Autore: Martin Eden    01/11/2021    1 recensioni
Ciao a tutti! Dopo anni di latitanza, mi è venuta voglia di tornare su questo Fandom, che ho tanto amato...e lo faccio con una vecchia storia LOTR che ho ripreso in mano ultimamente, dopo aver rivisto i film della trilogia de Lo Hobbit...mi è venuta voglia!
Scommetto che molti di voi, come me si sono posti questa domanda: ma Legolas e Aragorn dove si saranno conosciuti?! :D
Questa fanfiction cercherà di dare una risposta...allora voi leggete e commentate! :)
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aragorn, Legolas, Thranduil
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Compagni di Sventura'
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Aragorn

 

Quando riaprii gli occhi, dopo essere caduto in un sonno profondo e oscuro, dove le urla di Bjorn continuavano a tormentarmi, l’elfo era ancora là dove l’avevo lasciato, a guardia della spaccatura nella roccia.

Non aveva mancato alla parola: era stato sveglio per quel che restava della notte, sempre vigile, senza disturbare il mio riposo, e non pareva per nulla stanco, nemmeno un po’ assonnato.

Quella pausa obbligata, per fortuna, mi aveva restituito lucidità e una buona dose di forza. Il mio corpo aveva incassato il brutto colpo, ma lo ritrovavo più rinvigorito rispetto alla sera prima, quando i recenti avvenimenti avevano stremato non solo il mio fisico ma anche il mio animo.

Mi tirai su, stropicciandomi gli occhi. Scoprii con infinito piacere che la ferita alle costole aveva smesso di sanguinare e pulsare. A dire il vero, quasi non mi sembrava di essere andato a sbattere contro quella torretta.

Legolas alzò la testa. Stava lucidando i pugnali che – sembrava un’èra prima – gli avevo sottratto dal fodero quando era ancora debole e indifeso. Su quelle lame ogni segno della battaglia era scomparso, ma lui continuava ad accarezzarle come scorgesse sempre piccolissime imperfezioni alle quali era necessario rimediare.

Mi avvicinai lentamente, spiando da sopra la sua spalla e ammirando quei manufatti elfici in tutta la loro pregiata qualità. Ma prima che potessi aprire bocca, l’elfo parve indovinare i miei pensieri:

- Appartenevano a mio padre.- spiegò, senza che io gli avessi posto una vera domanda.

Subito mi balenò in mente la figura di re Thranduil: alto e severo, con capelli così biondi da fare male alla vista e uno sguardo da scorpione. Era così diverso dagli altri re elfici che conoscevo. Non mettevo in dubbio le sue preziose virtù, ma dovevo ammettere che tra tutti i sovrani al cui cospetto mi ero trovato, Thranduil era quello che mi incuteva più soggezione. Pur non essendo mai stato poco cordiale con me, faticavo a metterlo in relazione con suo figlio, che sembrava risplendere della luce saggia dell’altruismo.

Erano quasi due gocce d’acqua nel corpo, ma sull’anima avevo qualche dubbio.

Non glielo dissi. Lo lasciai parlare:

- Quando è tornato dall’ultima battaglia, ad Angmar, li ha appesi al muro e non li ha più toccati. Poco tempo dopo sono finiti in un armadio - mi stava raccontando Legolas in quel momento – Non ha spiegato nulla, ma credo avesse bisogno di prendere le distanze da tutto quel dolore. Mia madre...sapete, mia madre è morta durante quella guerra.-

Tacqui, trattenendo il fiato.

Non mi aspettavo proprio una rivelazione del genere.

- Quando divenni adulto me li consegnò e mi insegnò come usarle al meglio.- terminò lui – Non ho mai dimenticato.-

Ripensai a quando l’avevo visto volteggiare nell’aria, con quella leggiadria nei gesti e negli affondi che faceva sembrare qualsiasi lotta uno spettacolo di danza. Non mi ero sbagliato: tanta perfezione nei movimenti, nell’uso delle armi e tanta ricchezza di esperienza poteva provenire solo da un ambiente regale.

Ancora non dissi niente. Guardai oltre la sua testa, in un mondo dove la polvere ora la faceva da padrone. Sotto il suo sguardo allarmato, lo superai e mi sporsi fuori. Non c’era nessuno e non si udiva alcun suono.

- C’è silenzio.- giudicai, con preoccupazione – Troppo silenzio.-

Legolas si alzò e venne accanto a me, cercando di oltrepassare la foschia con la sua vista acuta.

- Non c’è nessuno per miglia e miglia.- aggiunse.

E Gandalf dove sarà finito? pensai tra me e me

Sarà ancora vivo?

L’angoscia cresceva in me come un’erbaccia in pieno sole.

- Vado a vedere.- si offrì l’elfo, già pronto a partire.

Non mi lasciai sfuggire l’occasione:

- Vengo anch’io.- affermai con tono perentorio.

Credo che avrebbe voluto impedirmelo, ma qualcosa nei miei occhi lo fece desistere. Saggiamente, decise di non contraddirmi.

Uscii per primo dal nostro nascondiglio, con lui a ruota, a proteggermi le spalle. Immediatamente trovai una spada abbandonata sul campo e me ne impossessai, tenendola ben alta davanti a me. Appena fuori, i cadaveri degli orchi avevano cominciato a riempire il terreno di viscide membra e di un odore pestilenziale. Qualche animale aveva già cominciato a banchettare con i loro corpi: qualche volpe si aggirava lì intorno e ci osservava di sbieco, mentre tranciava brandelli di carne.

Mi mossi con circospezione attraverso quel campo di battaglia, sul quale ancora non avevo visto un solo uomo morto. Ma dovevano esserci, almeno qualcuno.

Soffrivo al solo pensiero di scoprire chi dei miei compagni avrei dovuto seppellire per primo.

Inconsciamente, speravo di non dover rivedere anche Bjorn. Gli ultimi istanti della sua vita mi avevano già segnato nel profondo e sapevo che avrei avuto bisogno di molto tempo per abituarmi all’idea che lui non sarebbe più stato al mio fianco. Ora facevo finta di niente, ma il suo fantasma già mi perseguitava e mi chiedeva giustizia.

Dovevo giustizia a lui, e a tutti quanti.

L’elfo mi seguiva con prudenza, pronto a scoccare frecce con il suo arco. La nebbia si stava alzando e le prime sagome di costruzioni dell’accampamento si facevano più chiare, anche se distrutte.

Nessuna traccia dell’enorme verme, a parte i grandi crateri che deturpavano l’erba.

Mi sforzavo di guardarmi attorno e non guardare per terra. Il mio respiro si era fatto sempre più pesante. Ero contento di non essere solo in un momento del genere, ma di avere un guerriero come Legolas al mio fianco. Anche se quasi temevo per la sua vita più che per la mia, specie alla luce delle ultime rivelazioni.

Suo padre re Thranduil non mi avrebbe certo perdonato una distrazione.

Gli lanciai un’occhiata, che lui ricambiò. Mi fece un cenno e capii che era ora di separarci: io sarei andato da una parte, lui dall’altra, per esplorare i dintorni e sperare di trovare qualche indizio.

Con il cuore in gola, cominciai il mio giro. Il silenzio mi schiacciava sotto il suo peso, interrotto solamente da deboli fruscii e qualche cinguettio: persino a Fornost l’aria trovava il coraggio di animarsi, illudendoci che tutto fosse tornato come sempre.

Arrivato al limitare delle torrette, mi chiesi per un attimo che azione sarebbe stato più razionale intraprendere. Non vedevo più l’elfo, a causa della densa nebbiolina, ma ero certo che lui vedesse me. Nel nulla, gli feci segno che mi sarei inoltrato tra i ruderi.

Poco prima che potessi compiere un altro passo, una luce azzurra scoppiò alle mie spalle, disegnando un’ombra scura davanti ai miei piedi. La sorpresa fu così repentina e accecante che sobbalzai dalla paura e mi voltai tentando un affondo con la spada, in maniera forse un po’ troppo avventata.

- Aragorn!- gridò una voce che stentai a riconoscere – Aragorn, sei vivo!-

Vidi una freccia che dall’altra parte del campo si infrangeva contro la luce azzurra e veniva spezzata da una forza invisibile. Poco dopo apparve l’elfo, con l’arco in mano e un’altra freccia pronta a partire.

- Sciocchi!- gridò la voce.

La luce si smorzò pian piano, rivelando una figura che non avrei mai pensato di rivedere così presto.

Era Gandalf.

- Che diavolo...- cominciai, mentre l’arma quasi mi cadeva dalle mani per la sorpresa e lo sgomento.

- Riponi le tue armi, Legolas Verdefoglia – ammonì lo stregone – Non sono io il tuo nemico.-

Vidi l’elfo avvampare di vergogna e in fretta posare l’arco. La cosa mi rassicurò: non era un’allucinazione quindi.

Ammirammo la figura dello Stregone in tutta la sua statura e serietà:

- Principe Legolas...che gioia ritrovarti!- lui si rivolse per primo all’elfo, che aveva piegato la testa in segno di deferenza.

- Mithrandir...- salutò, con contegno.

Gandalf si girò quindi verso di me, studiandomi con attenzione. Sicuramente aveva notato le bende macchiate di sangue attorno al mio torace.

Eravamo entrambi piuttosto malconci.

- Dove vi eravate cacciati? Temevamo foste morti!- tuonò il mago, sbattendo il bastone per terra.

- Abbiamo dovuto nasconderci...- cercai gli occhi del mio nuovo amico, incontrando il suo appoggio in quella comune versione – Io non ero in grado di combattere. Legolas mi ha protetto.-

Gandalf gli dedicò uno sguardo carico di riconoscenza e benevolenza, che l’elfo apprezzò molto.

- Si può sempre contare su di te.- lo lodò - Grazie per averlo salvato.-

- Dovere.- rispose il principe, arrossendo un pochino.

Poi lasciò vagare il suo pensiero sul campo di battaglia, stringendo gli occhi quel tanto che bastava per mettere a fuoco particolari che io non sarei mai stato in grado di cogliere.

Gandalf riprese la parola:

- Sono riuscito ad allontanare il verme Mangiaterra con la magia. Purtroppo non sono riuscito ad ucciderlo. E’ fuggito via, ma almeno ci ha lasciati in pace.- ansimò – Gli orchi si sono accaniti in particolar modo sui tuoi uomini, Aragorn, ma loro hanno saputo difendersi. Li hai addestrati bene. Io ho dato solo un piccolo contributo. Abbiamo subito poche perdite in confronto ai nemici, come puoi ben vedere...- con un ampio gesto della mano fece strada sul campo, disseminato di cadaveri – Altri però sono scappati e noi non li abbiamo inseguiti.-

- Mi dispiace averti coinvolto, Gandalf.- mi scusai – Avrei dovuto essere qui con voi.-

- Non ci saresti stato utile, se non atto alla battaglia.- ribattè Gandalf – L’intervento di Legolas è stato provvidenziale. Ti ha portato via da qui, dove nessuno avrebbe potuto nuocerti. Una decisione saggia, visto che ci servi vivo.-

Di nuovo lo stregone guardò significativamente l’elfo, ed ebbi l’impressione che quei due si conoscessero da molto più tempo di quanto potessi immaginare.

Mi chiesi come mai Gandalf non mi aveva mai parlato di questo principe dal cuore d’oro.

- Dove sono i miei uomini? E gli altri?- chiesi.

- Si sono rintanati dove tu gli hai spiegato. Io sono rimasto da solo, qui ad aspettarvi. Sarei venuto a cercarvi, se non vi avessi visto arrivare.-

Sospirai. Dovevo raggiungerli al più presto e riorganizzare le fila, mandare le donne e i bambini il più lontano possibile, inviare messaggi agli accampamenti più vicini. Il mio cervello ricominciava a pianificare un’offensiva.

- La battaglia non è ancora finita – Gandalf mi distolse dalle mie macchinazioni – E io ho anche un’altra cosa da dirvi.-

Da “dirci”?

Mi chiesi in che misura Legolas potesse essere implicato nella faccenda. Anche l’elfo sembrava sorpreso di far parte di quel grande gioco.

Gandalf trasse un sospiro stanco:

- Questo è anche il motivo della mia venuta. – precisò - Gollum è scappato da sotto la montagna.-

Quella creatura tornava a perseguitarmi. Già il nome mi faceva ribrezzo. La sua storia era avvolta nel mistero, ma quel poco che si sapeva di lui, mi era già stato raccontato dallo stregone tempo addietro. Per un motivo a noi sconosciuto, Gollum era l’ultima persona (si sarebbe potuto definirlo tale?) alla quale era stato concesso di tenere in mano l’Unico Anello del Potere di Sauron, il Dio delle Tenebre. Quell’individuo era perciò maledetto due volte, per il suo aspetto corrotto dal Male e per la sua avida sete di potere, trasmessagli dall’Anello.

A volte rivedevo Gollum nei miei sogni e Gandalf mi aveva ammonito: avrebbe avuto un ruolo nella nostra vicenda.

Anche Legolas sussultò.

- Chissà cosa gli dice quella sua testa suonata.- proseguì lo stregone – Non è saggio lasciarlo a piede libero. E’ meglio trovarlo e provare a parlargli, potrebbe tornarci utile per capire che cosa si sta muovendo sotto terra, dove le forze del Male trovano rifugio. Potrebbe essere diretto a Dol Guldur...-

- In tal caso, re Thranduil sarà già sulle sue tracce.- avevo cercato di rassicurarlo, ma il mago non sembrò per nulla persuaso. Probabilmente non riponeva una grande fiducia nel sovrano elfico.

Come me, del resto.

- L’ho visto molto turbato dopo la battaglia delle Cinque Armate.- spiegò – Non sono certo abbia la forza mentale per iniziare una caccia all’uomo. Inoltre, in questo periodo lo vedo particolarmente asserragliato in se stesso, concentrato perlopiù a proteggere la sua gente che non inseguire fantasmi.-

La cosa mi fece pensare. Ricordavo Thranduil come un essere dall’incrollabile fibra e una disciplina ferrea, il tipo di creatura a cui affideresti volentieri la tua vita se la volessi proteggere, certo che lui compirebbe un ottimo lavoro. L’immagine che invece Gandalf mi andava restituendo era molto lontana da quella che avevo vissuto: mi parlava di un elfo dal coraggio instabile, fortemente provato dagli eventi e invecchiato, ecco, se fosse stato un uomo avrei detto che era invecchiato.

A quel punto, dopo qualche istante di pesante silenzio, Legolas si intromise:

- Non ero a conoscenza di questo fatto, ma è grave.- sentenziò – Se partiamo subito, forse riusciamo a intercettarlo...-

- Partiamo?- ripetei, come inebetito.

Legolas mi guardò eloquentemente:

- Non posso tornare nella Terra-di-Mezzo senza l’erede di Isildur.-

A quel punto mi sentii chiamato in causa più che mai, e la mia bocca si mosse da sola:

- Non potrò andare da nessuna parte se prima non sistemo questi orchi e metto al sicuro i Raminghi del Nord.- dissi con un fil di voce.

Gandalf osservava la scena senza dir nulla: sembrava prendersi del tempo per rimettere tutti i tasselli dell’enigma al loro posto.

Legolas mi scoccò un’occhiata infuocata. Attese qualche secondo, prima di rispondere:

- D’accordo, lo capisco. Allora mi occuperò di Gollum dopo aver sistemato questi orchetti. Mi sembra abbiano la priorità.-

Gli fui immensamente grato per il suo sostegno.

- Non potete affrontare da soli quella marmaglia – intervenne Gandalf – E non potrete sconfiggere da soli il Mangiaterra. Il destino mi chiama altrove, io non posso aiutarvi. Il mio consiglio è che vi allontaniate da qui il prima possibile. Non deve succedere niente a nessuno dei due.-

- Io non lascerò i miei uomini senza un capitano, Gandalf – mi opposi – Costi quel che costi. La mia vita è qui.-

- Siamo gli unici che possiamo fermarli e abbatterli – Legolas non si tirò indietro – Ho esperienza con le creature del Male, ne ho sconfitte molte a Bosco Atro. Se solo...-

- Tu non hai idea di cosa si nasconde qui. La terra stessa è marcia. Qualsiasi tentativo è tempo perso! Nasceranno nuove specie nemiche sui cadaveri di quelle vecchie. Non riuscirete a fermarle!-

Legolas cercò supporto nei miei occhi, ma io non sapevo più cosa dire. Riconoscevo che Gandalf aveva ragione: sarebbe stato molto meglio utilizzare il tempo a nostro vantaggio, impiegandolo in un’impresa che avesse almeno una possibilità di riuscita, anche se non immediata. Ma non mi arrendevo all’idea di lasciare soli i Dùnedain.

Ancora una volta, Legolas parlò anche per me:

- Possiamo farcela.- affermò, sicuro di se stesso.

A quel punto Gandalf montò in collera. Ebbi l’impressione che l’atteggiamento dell’elfo richiamasse ricordi talmente amari che il mago non poteva più ignorarli.

- Testardo come Thranduil.- bofonchiò.

A quel nome, Legolas sussultò:

- Non mi paragonate a mio padre.- sibilò poi.

Gandalf, visibilmente irritato, sbattè di nuovo il bastone per terra e rincarò:

- Non solo testardo, pure orgoglioso come lui!-

A Legolas mancò il fiato, come se solo in quel momento si fosse reso conto di aver rischiato di mancare di rispetto allo Stregone:

- Perdonatemi.- abbassò la testa con deferenza, puntando lo sguardo a terra – Io...-

Eravamo tutti eccessivamente nervosi. Anche Gandalf lo sapeva, e nel momento in cui questo pensiero gli illuminò la mente, subito cambiò tono:

- Principe Legolas - lo interruppe, con rinnovato ardore – perdonate voi me. Avrei dovuto frenare prima la lingua. Avete ereditato le migliori qualità di vostro padre, come il valore e la generosità, e ne avete regalate in abbondanza, molto più di quanto ci si potrebbe aspettare da voi. Fate bene a camminare fiero sulle vostre gambe. Siete di grande esempio per tutti.-

Legolas tremò.

- Purtroppo la vostra vita non è stata facile.- lo stregone si avvicinò e gli strinse un braccio – Siete stato addestrato contro i pericoli, contro i mostri, contro i soldati e qualsiasi cosa potesse nuocervi. Siete cresciuto senza paura in un mondo che ha conosciuto quasi soltanto quel sentimento. Ancora una volta, ne uscite vincitore. Avete imparato molto e molto in fretta. Avete avuto un maestro molto severo. E non avete esitato a mettere le vostre conoscenze a disposizione di chi è stato meno fortunato di voi.-

La faccia di Legolas era attonita.

- Vostro padre vi ama.- sussurrò Gandalf – Vi ama profondamente ed è orgoglioso di voi. Lui vive per voi.-

L’elfo tratteneva a fatica le lacrime.

- Non è molto abile nel dimostrarlo...- continuò il mago – La sua mente è ottenebrata da mille pensieri e il suo cuore offuscato da cattivi presagi. Era un regnante molto diverso, prima della battaglia di Angmar. Da allora il suo cuore è stato corrotto dal male, così come il suo viso.-

Legolas era sempre più visibilmente in difficoltà, non sapendo cosa dire.

- Re Thranduil fa del suo meglio.- Gandalf era implacabile – Ha sempre fatto del suo meglio, ne sono certo. Con il suo popolo, nei confronti di suo padre Oropher, con te...ed era molto innamorato di tua madre.-

Il viso diell’elfo scattò:

- Tu sai cos’è successo?- lo disse in un soffio.

Gandalf non si mosse. Lo fissò intensamente ma in maniera gentile, quasi si trovasse indeciso se rivelargli qualcosa di più o proteggerlo dal peso di quelle informazioni. Non capivo il motivo di tanta reticenza, a dire il vero, ma sembrava importante nasconderlo quasi quanto poteva essere importante per Legolas venirne a conoscenza.

Tuttavia, notai che il mio nuovo compagno d’armi si dondolava ancora più ansiosamente da un piede all’altro, man mano che l’opportunità di sapere si chiudeva nel mutismo ostinato di Gandalf.

- Lascia stare i morti, Principe Legolas.- concluse lo stregone – Lascia che riposino in pace, finché è possibile.-

- Perchè non mi è dato sapere? Perchè devo rimanere l’unico a non sapere?- sbottò l’elfo – Tutta la vita senza poter conoscere i suoi lineamenti, il suo profumo, la sua voce! Sapete che cosa significa? Sapete che cosa si prova? Non ho nemmeno una tomba su cui io possa piangere!-

Ecco, ritornava la sua antica rabbia, quella che avevo intravisto in qualche occasione, senza poterci attribuire un senso. Ora mi rendevo conto che l’aveva, e forse anche più di uno.

Gandalf non si fece spaventare. Rimase al suo posto, ben ancorato al suo bastone. Il suo sguardo, tuttavia, tradiva una certa tristezza:

- Non stavo parlando di tua madre, ora.- chiarì.

L’elfo non ribattè: era ancora piuttosto scosso. Gandalf ne approfittò spudoratamente per cambiare discorso:

- Sei nel posto giusto, figliolo. L’uomo che cerchi è proprio alle tue spalle.- gli fece notare.

Legolas mi guardò, ma non disse nulla.

 

- Che cosa è successo alla madre dell’elfo?-

Non so con quale coraggio osai porre quella domanda. Forse perché vedevo Gandalf un po’ più tranquillo, dopo che Legolas si era allontanato, apparentemente senza rancore. La loro discussione, nonostante tutto, aveva destato la mia curiosità.

Gandalf non mi stava ascoltando. Era molto concentrato sul risanare le mie ferite; ma non ero certo che quello fosse sufficiente a distoglierlo dalla mia indiscrezione.

- Gandalf?- lo richiamai.

Lui alzò la testa. Mi guardò, poi si guardò intorno, per un attimo dubbioso. Mi aveva sentito benissimo.

Non capivo il motivo di tutto quel mistero.

- Prometti che non glielo dirai?- sussurrò, rimettendosi al lavoro.

Era il commento più strano che avessi sentito provenire dalla sua bocca. Sgranai gli occhi.

- Perchè non dovrebbe saperlo?-

Gandalf sospirò:

- Sono cose orribili a dirsi. Cose orribili da sopportare. Legolas è forte, ma vorrei evitare di turbarlo ulteriormente. E’ stato un momento difficile per lui.- si fermò, mentre controllava che l’elfo non gli comparisse alle spalle.

Non vedendolo arrivare, si rilassò:

- Thranduil si è adoperato tantissimo perché non sapesse, perché non soffrisse...ma non può nulla contro l’imprevedibilità di un sentimento potente come l’amore che lega un figlio alla propria madre.- continuò - Forse la sua non è stata la scelta più saggia, ma questo il re ha deciso, e io lo rispetto.-

Tacqui. In effetti, non era precisamente nel mio interesse scoprire quei particolari, e forse non avevo nemmeno fatto bene a chiedere. Non conoscevo quelle creature: non conoscevo Re Thranduil, né Legolas. Nemmeno Gandalf, a dire il vero.

Ma sapevo cosa significava essere solo in un mondo potenzialmente ostile.

- E’ morta qui, ad Angmar.- cominciò Gandalf, assorto nei ricordi – Io c’ero.-

 

Fuori, a poche leghe di distanza, infuriava la battaglia. Lei non ne aveva voluto sapere, di ascoltarlo. Era venuta con il suo seguito di Guardie scelte, per dargli manforte quando ne avrebbe avuto bisogno.

Sua moglie era una grande Regina, degna di un grande Re. Thranduil a volte si sentiva soggiogato da tanta bellezza e tanta compostezza, tanta audacia racchiusa in un corpo tanto esile.

Aveva fulgidi capelli d’oro e uno sguardo da cerbiatta, ma non c’era nulla di docile nel suo temperamento quando si scendeva in battaglia. Nonostante fosse una donna, era un guerriero nel cuore, e non avrebbe mai abbandonato il campo. Non senza il suo consorte.

La regina sosteneva che, se guerra doveva essere, era inutile la sua presenza a Boscoverde – tale era il nome di Bosco Atro, una volta – poiché questa non avrebbe certo cambiato le cose, se l’esercito elfico fosse stato sconfitto. Quella guerra doveva essere vinta, assolutamente. Per questo aveva lasciato il regno e Legolas in mano al Reggente e si era recata ad Angmar. Il suo posto era lì con Thranduil.

Non era donna da rimanere con le mani in mano. Lei si sentiva in dovere tanto quanto il re di salvare il suo popolo e suo figlio Legolas.

Mentre il re era impegnato al fronte, un pugno di Esploratori elfici della Regina teneva d’occhio le retrovie, per proteggere le spalle alle armate della Terra-di-Mezzo. Fu così che si accorse di un passaggio segreto, verso Nord, scavato dai Mangiaterra. Lei lo comprese subito: da lì gli orchi avrebbero potuto accorrere in gran numero e sorprendere così le truppe degli alleati.

Per non distogliere l’attenzione dello sposo dalla principale linea militare, la Regina partì immediatamente con la sua personale spedizione, diretta al passaggio sotterraneo, in totale segretezza: aveva intenzione di disporre un muro di soldati e pietre per rallentare – se non impedire – ogni azione nemica. Thranduil non era al corrente di questo piano e quindi non riuscì a fermarla: se ne accorse quando era ormai troppo tardi.

Purtroppo, qualcosa andò storto. Gli orchi l’aspettavano già al varco del passaggio: sbucarono dal nulla in gran numero, buttandosi quasi a peso morto sul drappello della Regina. Ormai in trappola, lei non poteva più tornare indietro: così sguainò la spada e iniziò a combattere come una belva feroce.

Quando Thranduil sentì il corno di allarme della Guardia Elfica, erano ormai troppo lontani.

In quel momento gli orchi attaccarono anche sul fronte principale, capeggiati da un Drago. Quella creatura si avventò precisamente su Thranduil e il re dovette difendersi. Ero con lui in quel momento. Con il mio aiuto e il suo coraggio, siamo riusciti a sconfiggere quella progenie malefica, ma a quale caro prezzo! Con le sue vibrisse, il Drago osò sfregiare il viso del re, lasciandolo tramortito nel bel mezzo della battaglia. Ho temuto sul serio che morisse. Per fortuna intervennero i suoi soldati, che prontamente lo portarono via dal campo. Ancora adesso Thranduil reca una cicatrice di quello scontro e se si può dire guarito del corpo, altrettanto non si può dire del suo animo.

Da certe tenebre non c’è cammino di ritorno.

 

- Non siamo riusciti a proteggerli.- concluse Gandalf - Sono sicuro che la Regina pensò soprattutto a Legolas e a come salvarlo. Lui era giovane, troppo giovane, non può ricordare.-

Ero allibito di fronte a un simile racconto. Mi mancavano le parole per esprimere anche solo la metà delle emozioni che mi suscitava.

- Suo padre invece è ancora vivo.- balbettai.

- Doveva rimanere vivo per suo figlio.- riprese lo stregone – Credo che Thranduil si sarebbe lasciato morire quel giorno, quando non abbiamo trovato la sua sposa, ma un mucchio di cenere. La sua intera esistenza era distrutta. Restare vivo per la triste eternità che gli rimane, credo che lui lo consideri il giusto scotto per non essere stato abbastanza attento a lei.-

- Non è stata colpa sua, lui era impegnato sull’altro fronte. Non è stato a causa di un suo egoismo.-

- Lo so.- replicò il mio amico – Ma lui resta convinto che avrebbe potuto fermarla e non l’ha fatto. Rimane convinto che era suo dovere pensare lui a tutto. Correre in aiuto del regno, proteggere suo figlio...invece che fosse la moglie costretta a farlo.-

Aggrottai le sopracciglia, piuttosto abbattuto:

- E’ una storia molto triste.- affermai.

- Già.-

Riflettei per un minuto.

- Loro...Legolas e suo padre...non si parlano per questo motivo?- mi azzardai a chiedere. Mancava ancora qualche pezzo al quadro completo.

- Oh no...- si riscosse il mio amico - Thranduil adora suo figlio, vorrebbe esaudire tutti i desideri di sua moglie e vederlo diventare un grande regnante, come i suoi predecessori. Non è facile essere madre e padre insieme.-

- I desideri di cui parli sono quelli di sua moglie, di suo figlio oppure i suoi?-

Gandalf mi osservò attentamente e sorrise di quell’impulsivo quesito:

- Una domanda acuta, figliolo.- mi diede una pacca sulla spalla – Penso tu abbia centrato il nocciolo della questione.-

Non ero felice di esser stato così intelligente. La verità lasciava parecchio a desiderare.

- Thranduil è ossessionato dall’idea di far fronte a qualsiasi cosa nella qualità e nei tempi che servono - rivelò Gandalf – e non vede l’ora di vendicare tutto il male che gli è stato riversato addosso ingiustamente. In questo rancore sconsiderato io riconosco l’impronta del nemico, qualcosa di malvagio che è latente in lui e lo divora, lo confonde. Il re cerca di tenerlo a bada, ma a volte è vulnerabile a certi pensieri. Nella sua affannata corsa verso ciò che è bene, spesso si dimentica delle persone che gli stanno accanto. Tra queste, suo figlio Legolas.-

Mugugnai qualcosa che non mi piacque. Il pensiero di Legolas stretto tra due fuochi, la gravosa responsabilità di erede e l’esigente pretenziosità dell’unico genitore rimastogli, mi faceva male come se al suo posto ci fossi io. Ripensavo al tutto e non potevo fare a meno di provare compassione per quella famiglia dilaniata dal destino.

Dopo un attimo di silenzio e di fronti aggrottate, mi decisi a porre quell’ultima domanda:

- Gandalf...- quasi bisbigliai – Perchè non c’è una tomba?-

Mi sembrava piuttosto grave il fatto che non ci fosse una tomba. Mi ricordava tristemente quanto avessi sofferto anche io, non sapendo su che pietra piangere, passando le notti a trattenere la pena per briglie ormai logorate, voltandomi a ogni bisbiglio, a ogni battito di ciglia, perché mi sembrava che i miei genitori fossero ovunque, mi circondassero. Ad occhi inesperti avrebbe potuto sembrare quasi una sensazione piacevole; in verità era un’ossessione tremendamente estenuante. Per questo mi sentivo così vicino all’elfo. Comprendevo il suo dolore. Per quanto intoccabile quella creatura potesse sembrare, cominciavo a intravedere le scalfitture in quella perfezione marmorea.

Gandalf restò zitto per un lunghissimo minuto. Anche il suo respiro sembrava essersi del tutto estinto. Si era tramutato in una statua di cera. Mi voltai a fissarlo ed era bianco come un lenzuolo, freddo come l’acqua ghiacciata.

- Perchè non c’è un corpo.- mormorò, e sembrò riprendere fiato per dire qualcos’altro, ma la sua voce fu spezzata da qualcosa che gli si era incagliato negli occhi. Erano lucidi e fragili come calici di cristallo.

Mi avvicinai a lui:

- Dov’è il corpo, Gandalf?- volevo saperlo – Dove l’hanno portato?-

Lui si alzò di scatto in piedi:

- Questi non sono affari che ti riguardano.- tagliò corto – E io non sono autorizzato a rivelarti questi particolari inutili e macabri.-

Anche io mi alzai in piedi. Non ero per nulla intimorito, anzi. Mi rivedevo in quella storia. Ma qualcuno aveva avuto pietà di me e mi aveva fornito una versione, per quanto romanzata, della morte dei miei genitori, a cui potevo ripensare quando volevo: era pur sempre un frammento da tenere in un angolino della mente e del cuore per i momenti bui. Sempre meglio di niente. Ma il silenzio...il silenzio non era una condizione accettabile.

- Ci tieni così poco al tuo amico elfo?- gli feci notare – Voi che sapete la verità, o una parte di essa, non vi sentite colpevoli di avergli fatto perdere una seconda volta sua madre, non concedendogli niente, neanche una lapide? Che diritto avete di negargliela?-

A Gandalf si illuminarono gli occhi. Mi riconosceva come il “suo” Aragorn, l’erede di Isildur, il leale e fiero capo degli Uomini di Nùmenor, uno che non si lasciava spaventare. Forse seppe in quel momento che io e Legolas eravamo già legati per la vita da una profonda amicizia, a nostra insaputa, nonostante la giovane età. Eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. Potevamo essere compagni e migliorarci a vicenda. L’uno fare tesoro dell’esperienza dell’altro.

Non si mostrò per niente allarmato, mentre credevo di averlo messo fieramente con le spalle al muro:

- Amico mio...- disse quasi sorridendo, benchè non ci fosse nulla da ridere – Non hanno portato via nessun corpo. Non è mai stato trovato. Probabilmente la Regina è stata dilaniata dalle spade, fatta a pezzi, oppure bruciata e offesa fino nelle sue viscere. Non lo sappiamo. Non è rimasto nulla di lei, su questa terra. A parte Legolas.-

Vacillai. Mi immaginavo la scena, con tutta la crudeltà che potevo concepire: disegnavo nella mia mente il fumo, le lame che roteavano, il sangue che sprizzava scintille lucenti nel tramonto, il riverbero sopra ogni cosa, capelli lunghi, biondi e innocenti abbandonati sull’erba rossa...

Era troppo da sopportare, persino per uno sconosciuto come me.

- Non è così che Re Thranduil la vuole ricordare.- proseguì quietamente Gandalf – Non c’è niente di nobile nel celebrare una tale morte. Lui non vuole ricordarla da morta. Lui vuole ricordarla viva e vegeta, invincibile, più forte e bella di chiunque altro. Credo che in fondo al suo cuore, non sapendo dove in effetti sia andata a finire, abbia sperato e speri ancora di poterla ritrovare. Per lui era perfezione pura, e a quella agogna. Anche se non vi è mai stato tanto lontano come in questo momento.-

Cominciavo a capire. Il principe era stato coinvolto suo malgrado in un terribile ingranaggio, che con il tempo avrebbe finito per stritolarlo.

- Legolas...- esalai.

Gandalf mi guardò e seppe che avevo capito tutto:

- E’ esatto.- mi incoraggiò.

A quel punto, scoppiai:

- Il dolore di Thranduil non gli dà il diritto di trattare il figlio come una marionetta! Ciò che è stato, è stato, non può essere recuperabile e neanche restituito!-

- Non fraintendere.- mi rimproverò lo stregone – Thranduil ama perdutamente suo figlio, come amava perdutamente sua moglie, e sta cercando di proteggerlo in tutti i modi possibili, forse perché crede di non averlo fatto con la Regina. Come dicevo innanzi, la mente di Re Thranduil è ottenebrata dal Male e la sua visione delle cose a volte è distorta. - mi illuminò – La ferita che ogni tanto appare sulla sua guancia sinistra è il simbolo della sua lotta. Attraverso quella ferita, il Drago trasmise a Thranduil molti sentimenti cattivi, come l’avidità indisciplinata, l’ossessione, la bramosia, la vendetta. Sentimenti che di solito agli Elfi sono sconosciuti, essendo puri di cuore come i Valar li hanno voluti e creati.-

Fece una pausa.

– Una volta contagiati, non se ne può guarire. Thranduil ha un carattere molto forte, lo ha sempre avuto, per questo è un grande maestro nelle armi e condottiero, una vera attitudine al comando e benvoluto dalla sua gente. Ma dopo essere sopravvissuto a quella battaglia e a tutto ciò che ne è derivato, è divenuto spietato, a volte anche con i suoi simili. Sono convinto che lui nemmeno sa cosa lo spinge a fare certe cose, e tutti i giorni lotta contro i suoi demoni: lo so perché lo vedo nei suoi occhi, vedo il vecchio Thranduil che se ne va per fare posto a quello nuovo. E’ come se albergassero due anime nello stesso corpo. A volte stento a riconoscerlo.-

Ero sempre più sbigottito. Tutte quelle informazioni mi affollavano la testa e non ero certo che sarei stato in grado di smaltirle tutte prima di poter incrociare ancora gli occhi di Legolas. Il nostro rapporto, se così si poteva definire, rischiava di essere ormai compromesso.

- La presenza di Legolas è l’unica cosa che lo fa tornare indietro, alla realtà, che gli dà conforto… Dà conforto a molti. In questo assomiglia molto alla madre.-

Ho salvato la vita a un angelo dei Valar?

- Legolas non è stato contagiato dal Male?- mi intromisi.

Gandalf scosse la testa:

- No, lui no. Quando è stato concepito, non c’era l’ombra del Male a Bosco Atro. Legolas è nato puro. Aspettava i genitori presso la reggia. Ne ha visto tornare solo uno da lui. Era solo un bambino.-

Sorrise ancora, godendosi la mia espressione cruda e meravigliata allo stesso tempo:

- Sapevo che vi sareste affezionati.-

 

Lo trovai appeso al suo malumore, sul ciglio del dirupo. Era in solitudine di fronte al tramonto, con i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani, perso a fissare il vuoto.

Era una delle rare occasioni in cui il dimenticato regno di Angmar si liberava dalla nebbia per lasciar filtrare i raggi del sole morente.

Mi avvicinai con circospezione ma senza cercare di ingannarlo sulla mia effettiva presenza. Udì subito i miei passi, lo intuii da come la sua testa era scattata leggermente indietro; ma evidentemente non ero abbastanza importante per indurlo a voltarsi.

Mi affiancai a lui, in piedi:

- Vi ho portato delle vettovaglie...- iniziai.

Gli recavo in dono del pane e qualche pezzo di formaggio raccattato nei dintorni, in attesa di poterlo invitare a cenare con noi. Non riuscivo a capire se la compagnia di Gandalf poteva essergli d’aiuto o di fastidio, ma non osavo chiederlo e, nel dubbio, avevo lasciato da parte lo stregone.

Poichè Legolas non si muoveva, né mi aveva risposto, gli poggiai una mano sulla spalla.

Era come caduto in trance.

- Tutto bene?-

Al mio tocco, si volse. Probabilmente gli venne naturale scostarsi, come se io fossi ancora un suo nemico; ma così facendo mi concesse anche un po’ di posto accanto a lui, di cui io approfittai prontamente.

Mi sedetti, ancora con il magro spuntino in mano, cercando di indovinare quali ombre si celassero su quel viso.

Desideravo alleviare il suo dolore perché curare le sue ferite interiori era come curare me stesso. Condividevamo lo stesso destino, ormai.

Lo vidi mentre cercava di nascondersi al mio sguardo inquisitore:

- Non potete capire...-

La interpretai come una muta richiesta di aiuto.

- Lasciate che vi racconti una storia...- iniziai.





****NOTA DELL'AUTORE****
Ecco il nuovo capitolo! E' un po' più lungo degli altri, ma spero sia anche piacevole! Qui si scoprono tanti altarini! :D Ho tante idee e spero di riuscire a svilupparle tutte! Aspetto come sempre le vostre recensioni, a presto!

 

  
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