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Autore: MrsShepherd    01/11/2021    0 recensioni
Santana e Brittany hanno 35 anni. Santana vive a New York, con Rachel, Kurt e Blaine. Brittany vive in Ohio e ha aperto una scuola di danza con alcuni ex compagni del Glee club. A tenerle unite è la loro figlia Riley, che in questa storia sarà il filo conduttore che porterà le due donne a riavvicinarsi inevitabilmente e a chiarire ciò che dodici anni prima era rimasto sospeso.
Ogni capitolo porterà il titolo di una canzone eseguita dai protagonisti della serie tv. Il testo di ogni canzone rispecchierà il contenuto del capitolo.
Spero che questa fanfiction incentrata su Brittana possa appassionarvi quanto ha appassionato (e sta appassionando) me mentre la scrivo.
Un pensiero va' inevitabilmente a Naya Rivera, che ovunque si trovi, mi ha ispirato a scrivere questa storia.
Buona lettura!
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Brittany Pierce, Nuovo personaggio, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 5: BRAVE
Riley si svegliò rinvigorita. La delusione del giorno precedente era quasi del tutto sparita e un nuovo sentimento stava prendendo posto nel suo cuore: l’orgoglio.
Oggi sarebbe stata la sua giornata: era spuntato finalmente il sole, aveva vinto la partita e il premio sarebbe stato praticamente suo.
Si alzò dal letto pimpante, si vestì e fece colazione con la madre, fu un momento felice e raramente spensierato, che alimentò il sorriso e l’autostima di Riley. Stamattina era il turno di Santana per portare i ragazzi, che salirono in macchina allegri. Finnegan cantò durante tutto il viaggio e Bette lo accompagnò solo nelle canzoni che conosceva. Il ragazzino riccioluto dagli occhi color corteccia sapeva quasi tutte le canzoni che passavano in radio. La madre Rachel, cantante professionista si occupava personalmente della sua formazione artistica, dandogli lezioni di canto giornaliere. Non c’era musica che Finnegan non conoscesse e che le sue squillanti corde vocali non sapessero intonare. Bette invece aveva una dolce voce bianca che serbava solo per le sue canzoni preferite. Stravedeva per gli One Direction e più che altro si limitava a cantare quelli. Un repertorio piuttosto limitato rispetto a Finnegan, che era in grado di mettere in musica anche i bugiardini dei medicinali. Riley non cantava, neanche credeva di saperlo fare, si limitava a tenere il tempo e ad ascoltare gli amici e i loro genitori, che alle feste dedicavano sempre una canzone a qualcuno dei presenti. Non si era mai posta il problema se sapesse cantare o meno e nemmeno Bette e Finnegan se l’erano chiesti; la loro amicizia era sempre stata complementare: Finn era la voce, Bette la mente e lei le gambe. Sapeva correre e questo le bastava. Soprattutto oggi.
Ascoltò gli amici cantare a squarciagola battendo il tempo con le mani e prima di scendere dall’auto scrisse un messaggio a Brittany. Aveva l’abitudine di scrivere sempre un pensiero alla madre, anche banale, su cosa avrebbe fatto durante la giornata. Le piaceva renderla partecipe della sua vita e sapeva che ad entrambe questo faceva bene. Si videochiamavano tutte le settimane, ma per lei questo piccolo rito era una certezza e si sentiva di averla sempre un po’ accanto a lei.
“Ciao mamma, oggi sarà una bellissima giornata. Ieri abbiamo vinto la partita e ho segnato! Oggi mi consegneranno il premio di ATLETA D’INVERNO. Lo dedico a te e alla mamma. Buona giornata, ti voglio bene!”
Sorrise nuovamente e si apprestò a scendere dall’auto; era come se la felicità quel giorno le si fosse appiccicata addosso e niente o nessuno avrebbe potuto strapparla via. Nemmeno il ghigno beffardo di Renè Bjorken che la guardava con occhietti malefici. Ma stava guardando proprio lei?
Riley si girò e vide Santana che rientrava nell’auto e metteva in moto. Rimase interdetta, ma il suono della campanella non le diede il tempo di elaborare.
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La mattinata era trascorsa veloce, senza alcuna turbolenza. Riley aveva ascoltato la pesante lezione del professor Usborne con il cuore leggero e nell’ora di chimica era riuscita a ricavare il DNA di un kiwi senza sforzo e soprattutto senza rompere nessun Baker.
Durante la mensa lei e i suoi amici erano stati invitati a sedersi con alcune compagne di squadra, per pranzare insieme e rivivere i momenti più salienti della partita.
<< Non ho mai preso così tanta acqua in una partita sola! >> constatò il portiere Dorothy Windthorpe.
<< Eh beh ci credo, eri tutta spugna tu! >> la prese in giro Zinab, per il modo in cui era costretta a vestirsi ad ogni partita, con pesanti imbottiture su braccia e gambe per proteggersi dagli urti durante i tuffi.
<< Effetto spugna per i piatti >> risero le compagne.
<< Ridete ridete! >> mugugnò lei con finto broncio: << Però Riley dopo il bagno di fango che le avete fatto era sicuramente più zuppa di me! >>
<< Concordo. >> confermò la diretta interessata alzando entrambe le mani in segno di resa.
<< Beh dopo la magia che ha fatto con i piedi, ci stava tutta l’esultanza dai! >> commentò Lindsey Johnson mimando uno chapeau.  
<< Sono d’accordo. >> disse Bette gustandosi la sua insalata e mais: << Dagli spalti si è visto tutto benissimo.>>
<< Ti meriti il premio.>> fece eco Finn con la bocca piena.
<< Dite?>> chiese Riley con un gran sorriso. Era talmente immersa nella conversazione che si era scordata di mangiare.
<< Scherzi?!>> le disse Lindsey: << Hai fatto un’azione da paura e ci hai diretto per tutto il tempo!>>
<< Se avessimo seguito la strategia del coach saremmo state sotto di almeno tre goal.>> commentò severa Amber. << Ci avrebbero letteralmente asfaltate.>>
<< Già erano degli armadi a quattro ante.>>
La conversazione proseguì ancora un poco su questa scia quando Dorothy disse: << Sapete cosa mi rende più felice?>> fece una pausa ingoiando un pezzo di pane soddisfatta: << Che quella cavallona della Bjorken non vincerà il premio quest’anno.>>
<< Già>> disse Bette: << Ci vorrà molto più che menare la coda per essere prima. La “cavalleria” è arrivata!>>
Tutte risero. << E noi abbiamo il nostro cavallo vincente!>> fece eco Lindsey.
Riley rideva a crepapelle: << Piantatela con queste battute o mi farete schiattare prima della cerimonia.>>
<< Non sia mai.>> gracchiò una voce gelida alle sue spalle. Riley si volto e vide Renè Bjorken che la guardava dall’alto in basso.
Indossava un paio di leggings aderenti neri che risaltavano le sue gambe lunghe e nodose e una maglietta sportiva rosa salmone dal collo largo, coperta da una pesante felpa Nike grigia. Aveva un fisico alto e atletico, una coda di cavallo chilometrica e un volto spigoloso. Frequentava l’ultimo anno della scuola media ed era già nella lista delle migliori scuole di New York, che la volevano come figura di punta nel loro programma di atletica leggera. Non vincere l’ambito premio di atleta d’inverno, oltre ad essere uno smacco per la sua carriera, la faceva ribollire di rabbia. Riley l’aveva capito dalla curiosa vena sporgente sopra l’occhio destro, che sembrava sul punto di esplodere.
<< Stavate parlando di me suppongo.>> constatò acida.
<< Veramente stavamo commentando la partita di ieri sera.>> le rispose Dorothy fissando i suoi piccoli occhi scuri.
<< Già, quella dove Riley ha spaccato.>> la sostenne Lindsey sistemandosi la coda di cavallo in segno d’orgoglio. Renè fece una smorfia verso Riley di disgusto, che però si trasformò immediatamente in un ghigno malefico.
<< Oh, sì c’ero anche io alla partita. I miei complimenti.>> Riley la fissò attenta, cercando di capire dove volesse andare a parare. << Ho apprezzato soprattutto gli squallidi tentativi di andare a goal del primo tempo…e il rigore poi…>>
Dorothy strinse i pugni e si alzò in piedi per risponderle a tono, ma Riley non si sarebbe lasciata rovinare la giornata. Non oggi. Tirò la compagna per una maglietta e la invitò a sedersi: << Tranquilla, ci penso io.>> si alzò a sua volta e andò verso Renè Bjorken. La ragazza cavallo era più alta almeno di una spanna, ma a Riley non incuteva alcun timore. Le sorrise impassibile: << Grazie.>> sospirò: << è stata una bella sfida tra me e te quest’anno e mi dispiace che tu sia arrivata seconda, ma come si dice…in partita chi non vince, perde.>>
Renè avrebbe voluto strapparle gli occhi verdi dalle orbite e schiacciarli uno per uno sotto i le scarpe. La sua vena pulsava e il sangue amaro le ribolliva in corpo. << Hai ragione. Devo ammettere che dalla nullità che sei sempre stata quest’anno ti sei data molto da fare. E sono sorpresa che tu ci sia riuscita. DA SOLA.>> sogghignò sprezzante dardeggiando uno sguardo furente verso Bette e Finn: << Tu e tutti i tuoi altri esperimenti di laboratorio avrete sicuramente avuto uno scopo, per una volta nella vita.>>
Riley serrò la mascella. Odiava quando lei, Bette e Finnegan venivano presi in giro per come erano nati e per come vivevano. Erano speciali è vero, ma erano sempre stati voluti e amati.
<< Sapete cosa ho sentito dire?>> alzò la voce Renè rivolgendosi a tutta la mensa. << Che Riley è un mostro della scienza, selezionata in laboratorio come un cane. Il padre ha donato lo sperma in maniera anonima. Cioè nessuno sa chi sia.>>
<< Bjorken finiscila!>> urlò Bette arrabbiata per gli insulti verso Riley e la sua famiglia.
<< Forse non voleva accollarsi una piaga come lei.>> continuò la ragazza, suscitando le risate di alcuni suoi compagni.
Riley aveva perso il sorriso, ma fortunatamente riuscì a mantenere la calma. Si girò verso Bette e ritornò al posto. << Lasciala perdere Bette >> le disse sistemando nel vassoio gli avanzi del pranzo: << è solo invidiosa. Andiamocene.>>
<< Brava, fai quello che nella tua famiglia sanno fare meglio.>>
Riley si fermò: << Scusa?!>>
<< Prima tua madre è scappata da te in Ohio. A mezza giornata di distanza per non dover vedere la tua brutta faccia. Sarà stata felice.>>
<< Lascia stare Brittany, Bjorken.>> rispose secca la ragazzina.
<< Ieri l’altra tua madre invece è stata la ciliegina sulla torta…>>
<< Che ne sai tu di quello che è successo ieri alla partita.>>
<< Oh, mi scuso…>> disse con falsa innocenza: << Credevo che Bette e Finnegan ti avessero raccontato di cosa è successo nel backstage.>>
Riley si voltò a guardarli, loro la guardarono stupiti, non sapendo affatto dove la ragazza dalla coda di cavallo volesse andare a parare.
<< Mi stai dicendo una cazzata. Loro non sanno nulla. Quindi chiudi quella fogna e fatti gli affari tuoi.>> ringhiò Riley a denti stretti.
<< Loro forse no, ma io sì.>>
Riley si voltò verso Bette e Finnegan lanciò loro uno sguardo truce. L’amica la guardò allarmata, ma ciò non basto a frenare la curiosità della ragazzina dagli occhi verdi che anziché andarsene sbatté il vassoio a terra e guardo Renè negli occhi invitandola tacitamente a proseguire.
<< Vedi, la tua “mamma”, se così si può chiamare, mentre tu eri in campo impegnata a salvarti le chiappe è fuggita dietro gli spalti. Io l’ho seguita e l’ho sentita parlare al telefono e sicuramente da ciò che diceva non parlava alla tua Brittany.>>
Riley rimase stupita dalle parole della ragazza e indietreggiò confusa. Bjorken ne approfittò per rincarare la dose. << Mi pare che la chiamasse Amore…ti viene in mente qualcuno? Qualcuno tra le tante insomma…>>
<< Sta’ zitta.>>
<< Oh, e ha anche detto che presto sarebbe venuta a vivere da lei. E che non vedeva l’ora. Ora io mi domando, in quella misera casa che ti ritrovi in tre la convivenza è sempre stata un po’ difficile, mi pare. >> si avvicinò all’orecchio della ragazzina: << Chissà chi sarà il prossimo ad andarsene…>>
Riley la spinse così violentemente da farla cadere a terra, sentiva una rabbia incontrollata montarle dentro e non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito.
<< Bugiarda!>> urlò accaldata: << Non farebbe mai una cosa del genere.>>
<< Dici?>> ghignò Renè rimettendosi in piedi: << Perché non guardi tu stessa?>> tirò fuori il telefono e mostrò a Riley una fotografia di sua madre che rideva al telefono.
Riley le diede un altro spintone, Bette si avvicinò e la prese per un braccio, ma la ragazzina la scostò malamente. << è solo una fotografia >> disse l’amica a Renè: << Non prova niente.>>
<< Può darsi, ma il tempo rivelerà tutto. E poi…>> e si rivolse a Riley << Se fosse vero il dubbio ti sarebbe già venuto.>>
La ragazzina sussultò e Renè, tutt’altro che sprovveduta, colse l’espressione di panico sul suo volto: << Già mi immagino: torna tardi la sera. Non c’è la mattina dopo. Ha sempre meno tempo da dedicarti. Tutto torna non è vero?>>
Riley vedeva rosso, si sentiva come un topo in gabbia che ha una sola via di scampo, reagire, ma lei non doveva, non poteva, ma non riusciva a controllarsi.
<< Lasciami in pace Renè.>> strinse i pugni talmente forte da sentire le unghie conficcarsi nei palmi delle mani.
<< Povera Riley Lopez. Neanche tua madre vorrebbe uno scherzo della natura come te. Avrai anche vinto un premio, ma per questa scuola non sei nessuno. E poi, se dovessero assegnare l’atleta di inverno anche per la condotta delle mamme, la tua sarebbe sicuramente NELLA bocca di tutti…anche se credo lo sia già. >> qualcuno rise: << Saranno stati molto “sudati” i suoi di premi, non so se mi spie…>>
Non fece in tempo a concludere la frase perché un pugno la colpì in pieno volto. Riley si era scagliata contro il suo collo con forza ed era riuscita ad atterrarla; Renè si era trovata spalle al pavimento, in una posizione di svantaggio. La ragazzina infuriata le sbatteva la testa per terra gridando come una dannata: << Non insultare mia madre, pezzo di merda!>>
Renè non riusciva a liberarsi dalla furia della ragazzina, la graffiò in volto con le unghie, ma lei non si spostava e non mollava la presa. Il sangue era mischiato con grosse lacrime calde che scendevano dal viso paonazzo di Riley.
<< La uccide, la uccide!>> urlavano alcuni ragazzini con la speranza che qualche adulto intervenisse a fermare la situazione.
Bette e Finnegan si precipitarono contemporaneamente dall’amica, tentando di allontanarla da Bjorken, che a sue spese era riuscita nell’intento di farla scattare. La presero per entrambe le braccia staccandogliele con forza dal collo della ragazza dalla coda di cavallo. Riley era indomabile e ad esse sostituì i piedi, mollando un poderoso calcio sullo stomaco della ragazza. Ci vollero due sorveglianti per placarne la furia: uno la tenne prona sul pavimento con la testa schiacciata al freddo linoleum e l’altro le bloccò le gambe. Quando Riley non riuscì più a muoversi finalmente si calmò.
<< Non respiro, non respiro!>> frignava Renè con più aria in corpo di quanta volesse mostrare.
<< Questa la portiamo direttamente in presidenza.>> disse uno dei due sorveglianti sollevandola di peso. Ormai Riley non reagiva più. Aveva capito cosa sarebbe accaduto e il premio atleta dell’anno non le era sembrato mai così irraggiungibile.
Bette e Finnegan si guardarono all’unisono con le lacrime agli occhi. Tutto ciò non prometteva niente di buono.
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Santana si sedette in presidenza. Questa volta Riley non era seduta in macchina, ma accanto a lei. Aveva gli occhi rossi, un graffio sulla faccia, sangue sui vestiti e un viso completamente stravolto. Santana la osservò con la coda dell’occhio preoccupata: non l’aveva mai vista in quello stato. Le sollevò la faccia con due dita, per accertarsi che stesse bene e che il sangue si fosse fermato.
<< Signora Lopez, ci scusi per l’urgenza, ma l’abbiamo chiamata immediatamente.>>
Santana capì definitivamente che quella non era una chiamata di cortesia. Sospirò affranta:
<< Che ha combinato stavolta?>>
Il preside guardò la bambina con aria severa, poi si sistemò i baffi brizzolati e continuò: << Questa volta è la peggiore di tutte.>>
<< Cioè?>>
<< Ha aggredito una compagna. L’ha quasi strozzata.>>
Santana era incredula. Sgranò gli occhi neri e prese la figlia per una spalla: << Dimmi che non è vero.>> Riley abbassò lo sguardo senza proferire parola e la madre capì da quel gesto che l’uomo stava dicendo la verità. Spalancò la bocca e lasciò immediatamente la figlia, come se scottasse, come se fosse pericolosa.
<< E per…>> si ricompose: << Per quale motivo l’avrebbe fatto scusi…?>>
<< Eccesso di rabbia, credo. Signorina Lopez?>> chiese chiarimenti il preside.
<< Eccesso di rabbia sì.>> rispose frettolosamente Riley. Avrebbe voluto essere in qualsiasi altro posto in quel momento, ma certamente non lì.
<< E quindi. Adesso che si fa?>>
<< Ovviamente non riceverà il premio Atleta d’Inverno. Sicuramente capirà la situazione…>>
<< La capiamo, vero Riley…?>> La ragazzina non capiva se quella della madre fosse una risposta o un’affermazione e si limitò ad annuire.
<< Poi dovrà scusarsi con la compagna.>> continuò il preside.
<< Chiederai scusa…?>> ancora non capiva: << Chiederò scusa.>>
<< Finirà sui documenti ufficiali…>>
<< Naturalmente.>> commentò Santana con rammarico.
<< E…con lei presente, la dichiaro espulsa da questa scuola.>>
<< Cosa?!>> dissero le due Lopez all’unisono. Riley avrebbe dovuto prevederlo, ma gli ottimi voti e la condotta piuttosto esemplare dell’ultimo mese le avevano fatto erroneamente sperare che le cattive azioni precedenti sarebbero state cancellate.
Santana sembrava aver perso quel suo modo di fare schietto e autorevole: << La prego preside, non la mandi via. Lei…noi non sappiamo dove altro andare. A metà anno iniziato…cerchi di fare il possibile.>>
<< Le assicuro che l’ho già fatto. I Bjorken volevano sporgere denuncia. Ho convinto loro a non farlo perché pare che Renè Bjorken l’abbia provocata. Ma questa non è un’attenuante. Mandarla via da questo istituto, visto i continui comportamenti mi sembra il minimo…>>
L’uomo baffuto estrasse un bigliettino di carta dura da uno dei cassetti della pesante scrivania di noce. Lo porse a Santana che sgranò gli occhi: << Consiglierei anche assistenza psicologica per la signorina Lopez.>> concluse con comprensione.
Santana capì che non ci sarebbe stato più nulla da fare, si alzò amareggiata e mise il biglietto nella tasca della sua Louis Vuitton scura.
<< Il suo nome e Riley comunque. E lei sta facendo un grande sbaglio. Rispettiamo comunque la sua scelta e la ringraziamo per tutto quello che ha fatto per noi.>> diede un colpetto alla figlia che approvò con un cenno del capo. Salutarono freddamente il preside e uscirono dalla porta. Santana l’aspettava all’ingresso sorvegliandola a vista, mentre Riley svuotava lentamente il suo armadietto, infilando tutto nella cartella stracolma che pareva dovesse esplodere.
<< Puoi dare qualcosa a noi se non ci sta tutto…>> disse Finnegan tirando su con il naso. Era tremendamente dispiaciuto per tutto.
<< Riley ti giuro che noi non sapevamo di questo. Davvero.>> singhiozzò Bette attaccandosi al collo dell’amica.
<< Non piangere. Vi credo. Non me ne sto andando per sempre, ci vedremo fuori, lo sapete. Ora ci sono le vacanze e poi…vedremo…>> disse tremante Riley cercando di trattenere le lacrime. Le compagne di squadra si avvicinarono e si strinsero a lei in uno stretto abbraccio.
<< Guarda come ti ha conciato quella scema.>> constatò Dorothy accarezzandole il volto. << Mi dispiace per tutto.>>
<< Faremo ritirare il tuo numero>> le promise Lindsay: << E lotteremo per una tua riammissione.>>
<< Già. Faremo striscioni e proteste!>>
Riley sorrise: << Grazie ragazze, apprezzo molto. Ma non è il caso che vi mettiate nei guai. Me la caverò. Come sempre.>> guardò la madre che stava osservando la scena in fondo al corridoio, appoggiata al muro, con le gambe incrociate, stretta in un piumino aderente verde smeraldo. Aveva lo sguardo triste e anche quando Riley le si avvicinò con la faccia livida e sbattuta, Santana non riuscì a fissare i suoi penetranti occhi verdi. Trascorsero il viaggio in auto in completo silenzio. Riley non aveva praticamente toccato cibo e si sentiva lo stomaco in fiamme, lottò con tutte le sue forze per non vomitare. Si portò le gambe al petto e rimase rannicchiata a guardare un punto imprecisato dell’auto. Santana guidò lentamente, con una calma che denotava rassegnazione più che risentimento. Sperava che Riley avesse capito la gravità della situazione e sinceramente non aveva proprio idea di cosa avrebbero fatto adesso. Quando dodici anni fa aveva partorito quel piccolo esserino tutto le era sembrato così chiaro: avrebbe sputato sangue per donare a quella bambina la vita che lei non aveva mai avuto, avrebbe cercato per lei le migliori scuole, le migliori opportunità. E in tutto questo non era da sola, ma con Brittany, la compagna della sua vita.
Si ricordò quando aveva stretto per la prima volta sua figlia tra le braccia, il dolore e la stanchezza del parto che erano state spazzate via in un solo istante. Aveva guardato i suoi occhi verdi, già aperti verso il mondo e si era commossa. Brittany l’aveva baciata in fronte ed entrambe già sapevano che la loro vita era definitivamente cambiata da quel preciso momento: << Riley.>> aveva deciso la moglie: << Significa coraggio. E mia figlia sarà la bambina più coraggiosa del mondo.>>
Avevano cominciato la loro vita crescendo una piccola Riley, coraggiosa e intraprendente come Santana, dolce e leale come Brittany. Il sangue non importava, era la loro bambina, solo loro e basta e Santana era certa che nulla sarebbe cambiato.
E invece adesso erano arrivati a questo punto. Lei, una donna sola di 35 anni con una figlia di 12 che nessuno voleva. Senza certezze, senza piani, senza scopi.
Si richiuse la porta di casa alle proprie spalle. Riley si sedette sullo sgabello della cucina, troppo alto per le sue gambe corte e sottili, con i palmi premuti contro le barre di acciaio. Guardò la madre, aspettandosi una punizione o quantomeno una ramanzina memorabile, ma Santana non disse nulla. Sospirò e si preparò un bicchiere di vino rosso sotto gli occhi di Riley che la osservava turbata. Si sedette di fronte a lei, fece roteare il vino nel bicchiere di cristallo e sorseggiò lentamente, assaporando l’aroma fruttato.
<< Mamma…>> la chiamò la figlia. Santana sollevò un sopracciglio invitandola a parlare.
<< No, niente.>> disse d’un tratto Riley scendendo dallo sgabello.
<< Se devi dire qualcosa parla, su.>> la esortò la madre aspettandosi una spiegazione per tutto l’accaduto.
<< Tu sei proprio…insomma…lesbica?>>
La madre appoggiò il bicchiere di vino, tenendolo stretto con la punta delle dita: << Scusa?>>
<< Nel senso…>> tentò di spiegarsi sua figlia: << Stai con le donne o…con qualcun altro insomma.>>
<< è davvero di questo che vuoi sapere?>> le chiese Santana che si era figurata una conversazione ben diversa.
<< Chiedo. Perché l’altra sera alla partita te ne sei andata via.>>
<< La partita sì…>> sbuffò lei alzando gli occhi al cielo: << mi è suonato il telefono.>>
<< Chi era?>>
<< Sei tu a farmi il terzo grado ora?>> le disse la donna ridendo acida: << Non credo che siano affari tuoi.>>
Riley improvvisamente risentì quella morsa allo stomaco provata poche ora prima con Renè. Respirò profondamente cercando di tenere a bada l’agitazione.
<< Lui deve essere così importante se non ne vuoi nemmeno parlare.>>
<< Non c’è nessun lui.>>
<< Allora è una lei.>>
<< Non ho detto questo.>> ma effettivamente non aveva nemmeno smentito il contrario. Santana si sentì estremamente a disagio e sapeva che se avessero continuato quella conversazione la sua natura impulsiva avrebbe preso il sopravvento. Cercò di dare la spiegazione più esaustiva e diplomatica possibile.
<< Non credo che tu sia nella posizione ideale per parlarmi di queste cose. Soprattutto con quel tono supponente, che come abbiamo visto, ti ha portato fino a qui. Chi frequento non ti interessa, sono problemi miei, sono adulta ed è passato tanto tempo da…da tua madre. È un mio diritto.>>
<< è anche un mio diritto avere mia madre presente alla partita. Invece come sempre non c’eri...ma non è una novità.>> bofonchiò la figlia a pugni stretti.
<< Sono mancata 10-15 minuti massimo. Non mi sembra una tragedia.>>
<< Per me erano importanti!>>
<< Non così tanto, visto che ti sei fatta soffiare il premio in meno di 24 ore.>> disse aspra Santana sorseggiano il suo vino rosso, che le si impastava in bocca.
<< Ecco che torniamo sempre lì…al maledettissimo premio.>>
<< Mi pare lo volessi anche te, se non sbaglio.>>
<< Vuoi sapere la verità!?>> gridò Riley balzando giù dalla sedia: << Non me ne frega un cazzo di quello stramaledettissimo premio. Avrei voluto che per una volta tu mi supportassi e fossi fiera di me.>>
<< Che stronzata, io sono fiera di te!>>
<< Sempre?>>
La donna aprì la bocca per dire di sì, ma si fermò perché quella, in quel momento, non era la verità.
<< Sei contenta solo quando vinco, o prendo un bel voto, o ti rendo perfetta.>> continuò la figlia.
Santana strinse la mano attorno al sottile manico di cristallo e la guardò con occhi piccoli: << Mi rendi perfetta?! Ma ti ascolti quando parli?>>
<< A Santana importa solo di Santana.>> sentenziò Riley amareggiata.
<< Non è così.>>
<< Dimostramelo.>>
<< Se non tenessi a te non sarei preoccupata adesso. E sono molto preoccupata Riley. Stai gettando all’aria tutta la tua vita e per cosa? Cosa vuoi dimostrare, che non sono una buona madre? Non ho nulla da rimproverarmi, mi sono fatta il culo per portarti a dove sei adesso e non sono nel torto se voglio che sfrutti al meglio tutte le possibilità che IO ti ho procurato.>>
Si versò un altro calice di vino. Riley la osservò turbata, quando beveva era ancora più schietta e velenosa del solito.
<< Stai bevendo troppo.>>
<< Faccio quello che mi pare.>> sorseggiò: << Oggi, in cinque minuti, hai buttato via ciò che ho costruito da quando sei nata e tutto ciò che ti preoccupa è una partita di calcio. Incredibile. Sei davvero incredibile.>>
<< Non ti ho mai chiesto nulla. Volevo…voglio solo essere normale.>>
Santana rise: << Sveglia Riley, non sei normale. Sei figlia di due lesbiche che erano insieme al liceo. Vivi e fai la spola tra New York e Lima. Non hai una casa fissa, non hai una borsa di studio, non hai più una scuola. Non hai niente che possa contare per il futuro. In questo mondo o sei Renè Bjorken o le cose te le devi guadagnare e nel tuo caso, visto che adesso ci troviamo qui, dovrai sudare il doppio degli altri.>>
<< Non voglio che sia così. Io non sono così. Non sono come te!>>
<< Lo so e mi dispiace!>> urlò la donna creando gelo nella stanza.
Riley la guardò fissa rimanendo in silenzio.
<< Wow.>> mormorò sarcastica: << Finalmente l’hai ammesso.>>
<< Ammesso cosa?>>
<< Che hai passato tutti questi anni ad investire sulla persona sbagliata. Non sono ne sarò mai la tua prima scelta, non sono brava come te, o resiliente come te. Non lotto come te. Non sono nemmeno “normale”, l’hai detto tu.>>
<< Io…>>
<< Magari non sono nemmeno figlia tua, ma di quella “lesbica di Brittany”. Meglio, così puoi avere una scusa per lasciarmi andare. >> respirò profondamente: << Brittany…>> raccolse tutto il coraggio che aveva: << Brittany alla partita sarebbe rimasta.>>
Santana sbatté il bicchiere su tavolo così energicamente che andò in mille e pezzi e il contenuto rossastro schizzò fuori bagnando entrambi i volti delle due. Gli occhi di Riley si gonfiarono di lacrime, ma non voleva darle la soddisfazione di piangerle in faccia. Per fortuna il telefono della madre vibrò, stemperando un poco la tensione.
<< Dovresti rispondere. Sembra importante.>> ringhiò sarcastica la ragazzina.
<< Vai a darti una pulita. E poi in camera tua.>> ribatté la mamma sostenendo il suo sguardo.
<< Me ne stavo già andando.>>
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Riley sbattè la porta della sua camera. Si tolse le scarpe e le scagliò contro l’armadio. Premette il cuscino sulla faccia e ci soffocò dentro un urlo di rabbia. La odiava, ma soprattutto odiava sé stessa, per non riuscire mai a trattenere la lingua. Forse il preside aveva ragione, era pericolosa e nessuno l’avrebbe mai voluta. Eppure, lei non si sentiva tale, aveva solo bisogno di un po’ di serenità e silenzio. Niente più Santana, Brittany, la squadra, Renè Bjorken, Gregory Usborne. 
Si rannicchiò sul letto e guardò il telefono.
Ciao Little Bee, sono fiera di te e di quello che sei. Il premio lo devi dedicare a te stessa e all’impegno che ci hai messo per ottenerlo. Sono molto felice per te! Bacio in fronte e mandami la foto del premio. Ti voglio bene!
Riley strinse il cellulare al petto e iniziò a piangere. Le mancava sua madre, i suoi abbracci e il suo profumo. Voleva sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene. Era così spaventata…
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Santana aveva pulito tutto il macello che aveva causato rompendo il bicchiere. Si era pure tagliata un dito che aveva opportunamente medicato con un cerotto. Nel cestino del bagno aveva notato le garze intrise di sangue della figlia e si era trovata come un ebete a fissarle, mentre la sua testa vagava e ritornava alla spiacevole conversazione avvenuta poco prima. “Il karma avrà colpito tutte e due” si disse guardandosi l’indice ferito. Recuperò dalla cucina lo straccio intriso di vino e si diresse verso il bagno per buttarlo. Si fermò davanti alla camera della figlia. La porta color panna aveva inciso il suo nome, come aveva voluto Brittany dodici anni prima.
<< Questa sarà la camera di nostra figlia e di quelli che verranno.>>
<< Quelli che verranno?>> chiese Santana con un sorriso: << Ti cedo il turno però…>>
Brittany l’aveva baciata. Aveva preso tra le braccia sua figlia appena nata e l’aveva portata verso quella porta. << Questa è tua.>> le aveva sussurrato all’orecchio, prendendole la manina e appoggiandola sulla porta di legno d’abete. << Riley Lopez Pierce, la coraggiosa. Crescerai sincera come la tua mamma e sarai per me la cosa più importante al mondo.>>
Santana si commosse ricordando quel momento e quando sentì sua figlia dall’altra parte della porta, tutta la tristezza che fino ad adesso era riuscita a controllare la investì come un treno. Si appoggiò con entrambi i palmi alla porta e guardò la scritta incisa sul muro. RILEY LOPEZ PIERCE, LA CORAGGIOSA.
Strinse i pugni per bussare, ma poi si fermò come paralizzata. Si accasciò a terra con l’orecchio teso alla porta e con una mano premuta sul volto soffocò le sue lacrime che scendevano a fiotti segnando le sue guance scavate. Non era mai stata così spaventata.
 
   
 
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