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Autore: Demy77    06/11/2021    3 recensioni
Cornovaglia, 1783. Dopo aver combattuto per l’esercito inglese durante la guerra di indipendenza americana Ross Poldark ritorna in patria e convola a giuste nozze con il suo grande amore, la bellissima Elizabeth Chynoweth, che lo ha atteso trepidante per tre lunghi anni.
Due giovani innamorati, una vita da costruire insieme, un sogno che sembra realizzarsi: ma basterà per trovare la felicità?
In questa ff voglio provare ad immaginare come sarebbe stata la saga di Poldark se le cose fossero andate dall’inizio secondo i piani di Ross.
Avvertimento: alcuni personaggi saranno OOC rispetto alla serie tv e ai libri.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Quando Ross rientrò in sacrestia il reverendo Odgers era profondamente mortificato. Si scusò per aver preso – lui di solito così timoroso e cauto – quell’iniziativa che doveva aver inquietato Demelza, vista la maniera in cui era fuggita. Ross cercò di minimizzare, anzi disse al reverendo che aveva fatto bene ad organizzare quell’incontro e che era normale che la signora fosse turbata; si fece consegnare la lettera di Francis, se la mise in tasca e si fece giurare da Odgers che avrebbe mantenuto la massima discrezione sul suo contenuto. Salì poi in sella a Seamus e cavalcò a spron battuto fino a Truro. Arrivato lì si recò allo studio del notaio Pearce e gli mostrò la carta. La risposta del legale fu che quella lettera – in cui non si ipotizzava neppure che un figlio potesse essere in arrivo – dal punto di vista giuridico non aveva alcun valore per un riconoscimento postumo di Julia. Dopo il colloquio con Pearce, mentre faceva ritorno a Nampara Ross pensò irritato che il battibecco con Demelza era sorto per nulla. Rifletteva intanto su come comportarsi con lei.  Doveva andare a parlarle? Lasciare che sbollisse la rabbia e fosse lei a cercarlo? Se la rossa avesse saputo che aveva cercato Pearce senza nemmeno consultarla si sarebbero creati ulteriori dissapori tra di loro. D’altra parte Ross era impulsivo per natura; aveva cercato a lungo di moderare quel tratto del suo carattere, ma adesso era stanco di usare tatto e diplomazia. La questione del cognome della bambina nascondeva un problema più grande. Ross quella donna la voleva, e non solo come amica. Era inutile fingere che gli bastasse starle vicino e assicurarle protezione; la amava con tutto se stesso, voleva sposarla e che anche la bambina facesse parte della sua famiglia. Julia, in una maniera o l’altra, avrebbe dovuto chiamarsi Poldark. Ross era anche disposto a riconoscerla, se la lettera di Francis non aveva valore legale: ma come avrebbe accettato la cosa Demelza? Il giovane capitano cominciava ad essere infastidito da quell’atteggiamento prudente, a tratti sfuggente, della ragazza, che da quando era tornata in Cornovaglia non gli aveva più parlato di amore, come se nulla fosse cambiato. Ross non capiva se ciò dipendeva da semplici scrupoli o da un vero e proprio ripensamento; in ogni caso, era stanco di vivere nel dubbio. Se i progetti di vita di Demelza non includevano lui, era giusto che glielo dicesse chiaro e tondo una volta per tutte.
La prospettiva di tornare a Nampara e trascorrere una notte insonne ad arrovellarsi sull’accaduto non lo allettava. Sebbene fosse molto tardi l’istinto lo portò a svoltare in direzione di Trenwith. La notte era piuttosto scura ed il vento gli sferzava il volto, mentre galoppava nel bosco. Giunto nei pressi della casa rallentò l’andatura e cercò di scorgere, a distanza, se vi fossero finestre accese. Ross notò solo una luce fioca nei pressi dell’ingresso di servizio: forse qualche domestico era ancora nelle cucine. Dovevano essere le dieci di sera, non era certo orario per visite; forse era il caso di tornare l’indomani per parlare con Demelza, se non voleva mettere in allarme tutta la casa. Mentre Ross rifletteva sul da farsi un rumore sordo squarciò l’aria e l’uomo sentì un tremendo bruciore alla spalla destra. Istintivamente se la toccò con la mano opposta, che ritrasse sporca di sangue; cadde in ginocchio dal dolore, realizzando che era appena stato ferito da un’arma da fuoco. Mentre si lamentava accasciato al suolo sentì avvicinarsi gli zoccoli di un cavallo ed in breve un uomo vestito con una giubba rossa e bianca gli fu di fianco.
“Capitano Poldark, siete voi! Maledizione! Che ci fate qui a quest’ora?”
“Mc Neil…”- rantolò Ross, mentre l’altro gli tamponava la ferita con un fazzoletto. L’uomo che aveva sparato, di origine scozzese, era da qualche mese il nuovo capitano delle guardie della contea. Aveva una trentina d’anni - all’incirca l’età di Ross - gli occhi verdi, i capelli scuri legati in un codino ed un paio di baffetti che gli conferivano un aspetto sornione. Si era messo in evidenza nella guerra americana, al pari di Ross, che però apparteneva ad un diverso battaglione. Al ritorno in Inghilterra il re lo aveva insignito, per meriti in battaglia, del titolo di capitano; successivamente si era stabilito in Cornovaglia ed aveva assunto l’incarico di tutelare l’ordine pubblico nella zona di Sawle e dintorni.
“Ho sparato temendo si trattasse di un malintenzionato – cercò di giustificarsi Mc Neil - Eravate acquattato tra le fronde, osservando la casa con fare circospetto; nel buio non vi ho riconosciuto, chi poteva mai andare a pensare… Abbiamo avuto parecchi assalti di briganti da queste parti, nei giorni scorsi, e stiamo facendo delle ronde… la signora Armitage vive sola, in una ricca dimora, ed è la preda ideale per questi delinquenti. Mi sono sentito in dovere di assicurarle personalmente protezione. Ma ora venite dentro, bisogna curare la ferita. Non dovrebbe essere profonda, ma va estratto il proiettile, altrimenti si infetterà”.
Mc Neil bussò con forza all’uscio di servizio e con l’aiuto di un paio di domestici portò Ross all’interno della tenuta. Una cameriera andò a chiamare Demelza, la quale era già in camera da letto al piano di sopra. Nel corridoio, benchè fosse provato dal dolore alla spalla, Ross colse una parte del dialogo tra Mc Neil e Demelza e comprese che la padrona di casa era irritata con lo scozzese, le cui intenzioni nei suoi confronti andavano ben oltre l’assolvimento di doveri di polizia. “Potevate ucciderlo, vi rendete conto? Se questo è il sostegno che volete offrirmi, ne faccio volentieri a meno…- gli diceva la donna, mentre l’altro balbettava inutili scuse – vi ho detto e ripetuto in varie occasioni che questa casa è sicura: abbiamo porte e finestre al piano terra che di notte vengono sprangate ed una marea di domestici in grado di difendermi. Piuttosto, se volete davvero rendervi utile, andate a chiamare il dottor Enys a Killewarren: non c’è tempo da perdere. Nel frattempo cercherò di tenere pulita la ferita. Non è il caso di riportare il capitano Poldark a Nampara nelle sue condizioni, resterà qui per questa notte.”
Fu così che Ross, sopra una lettiga improvvisata, fu portato al piano superiore, nella camera degli ospiti di fianco a quella di Demelza. Due camerieri gli tolsero giacca, stivali e pantaloni, lo adagiarono con cautela sui guanciali mentre la padrona di casa dava istruzioni per far bollire l’acqua e preparare delle pezzuole di lino per pulire la ferita. Quando Ross la vide entrare era in veste da camera, con i capelli legati in una treccia, evidentemente pronta per coricarsi. “Mi spiace arrecarti tanto disturbo…” – le sussurrò.
Lei gli si avvicinò e gli carezzò la fronte, asciugandogli il sudore con un panno. “Quale disturbo… Dwight sarà qui a momenti e si prenderà cura di te. Quell’imbecille! Se penso che poteva ammazzarti…- disse riferendosi a Mc Neil – ma perché ti trovavi a Trenwith a quest’ora, Ross?”
“Volevo parlarti, ma adesso non sono in condizioni di discutere…” – concluse lui sofferente, mentre lei annuiva con il capo e provava a scoprirgli la spalla per esaminare meglio lo squarcio causato dallo sparo.
“Sarà necessario toglierti la camicia per farti medicare – gli disse Demelza – pensi di farcela?”
Ross, pur a fatica, annuì, e Demelza gli slacciò la camicia, cercando delicatamente di sfilare prima la manica sinistra e poi quella destra, passando dal capo. La donna provò poi a detergere con i panni strizzati nell’acqua bollente i grumi di sangue dalla spalla ferita, mentre il torace dell’uomo sussultava ritmicamente, sia per la reazione al dolore che per l’affanno crescente nel respirare.
Per fortuna Dwight, arrivato poco dopo, sentenziò che il proiettile non era andato in profondità e non aveva leso alcun osso. Demelza coraggiosamente volle essere presente alle operazioni di estrazione della pallottola, ma prima congedò bruscamente Mc Neil, dicendogli che aveva già fatto abbastanza danni per quella sera ed invitandolo a non girare più armato di notte nei pressi della sua abitazione. Verso mezzanotte Dwight terminò la fasciatura alla spalla di Ross, raccolse tutti i suoi ferri e tornò a Killewarren, poiché Demelza gli promise che si sarebbe presa cura lei sul ferito, ancora intontito sotto gli effetti del laudano.
Il mattino dopo, quando Ross aprì gli occhi, scorse la rossa coricata di fianco a lui. Doveva essersi addormentata dopo averlo vegliato tutta la notte. Era così bella alla tenue luce del mattino… con la mano sinistra le sfiorò una guancia, ma la lievissima rotazione del busto che aveva dovuto compiere per quel gesto gli provocò un gemito di dolore alla spalla ferita. Demelza si riscosse dal sonno e si preoccupò di saggiare la temperatura della fronte del ferito e di chiedere come si sentisse. Ross rispose che stava bene, non aveva febbre, solo la gola secca, e per questo le chiese un bicchiere d’acqua. Mentre Demelza provvedeva a versargli da bere gli spiegò che Dwight aveva garantito che sarebbe stato di ritorno in mattinata per controllare che la fasciatura fosse pulita; lo informò che già la notte prima aveva mandato un messaggio ai Paynter per tranquillizzarli circa il suo mancato ritorno a Nampara ed aggiunse che era opportuno che Ross restasse a Trenwith fino a quando non sarebbe stato in grado di muoversi.
“Del resto tu sei abituata a prenderti cura di invalidi” – commentò Ross con una battuta infelice, alla quale Demelza reagì male. “Non capisco per quale motivo devi offendere la memoria di Hugh, ed indirettamente anche me”.
“Hai ragione. Nessuno osi macchiare il ricordo del tuo perfetto primo marito! Mi domando se vuoi farmi pagare più il fatto di non essere come lui o il fatto di essere cugino di Francis”.
Demelza rispose che Ross era ingiusto e si augurava che quelle farneticazioni fossero solo frutto della sofferenza per la ferita e non di una meditazione più profonda.
Ross colse la palla al balzo per dirle che era venuto a discutere proprio di quello la notte precedente. Le disse che i sentimenti che provava per lei non erano un mistero già da quando erano in vita Elizabeth e Hugh, che la amava e desiderava passare la vita insieme a lei. Adesso che entrambi erano liberi e nient’altro era di ostacolo alla loro unione era stupito del fatto che lei non avesse più nemmeno sfiorato l’argomento.
“Ieri poi, con Odgers, hai avuto una reazione eccessiva all’idea che Julia potesse assumere il cognome Poldark. Che cos’è che ti dà più fastidio? Pensare che è il cognome dell’uomo che ti ha rovinato la vita? Rifiuteresti quel cognome anche se fossi io a darglielo? Io sono diverso da mio cugino, Demelza… non potrei mai farti del male, e sarei felice di poter trattare Julia come una figlia! Quanto a Hugh, non ho mai nascosto di esserne geloso, sia per quello che c’è stato tra voi, sia perché, nonostante sia morto, tu continui a venerarlo come un santo! Io non sono perfetto, Demelza, sono quello che sono: un uomo pieno di difetti e contraddizioni, ma che ti ama da impazzire e sarebbe capace di dare la vita per te!”
 “Non ti ho mai paragonato a Francis – rispose lei - e neppure a Hugh. Ti ho sempre apprezzato per ciò che sei e conosci quali sono i miei sentimenti per te, Ross. Ci sono vari motivi per cui non ti ho incoraggiato da quando ci siamo ritrovati; ho preferito non parlartene pensando che non li avresti capiti fino in fondo, né condivisi”.
“Potrei almeno provarci, se me ne rendessi partecipe” – la incoraggiò Ross.
Demelza si sedette sul bordo del letto ed iniziò a parlare.
“Sei stato tu stesso a dirmi che hai deciso di sposare Elizabeth di impulso appena tornato dalla guerra pensando che fosse la donna della tua vita, il tuo unico, perfetto ed intoccabile amore: nonostante il sentimento così forte che vi legava sappiamo entrambi com’è andata a finire. Aspetta, non interrompermi – fece lei, vedendo che Ross smaniava per intervenire nel discorso e porre obiezioni – Adesso dici di essere innamorato di me, ma quanto possiamo dire di conoscerci davvero, Ross? Siamo certi che fra di noi funzionerà e che l’amore che ci lega non si spegnerà come un fuoco fatuo alla prima difficoltà? Siamo molto diversi, proveniamo da ambienti diversi, ed anche se ora sono una persona agiata, se fossi tua moglie ti creerei una miriade di problemi; sono una donna chiacchierata, mentre tu appartieni ad una delle famiglie più illustri del luogo. Quanto a Julia, so bene che un domani, fra una quindicina d’anni, quando sarà in età da marito, un cognome onorato potrebbe assicurarle un futuro migliore, ma su quali basi dovrebbe chiamarsi Poldark? Non voglio che sappia in quali circostanze è stata concepita, quella notizia non deve trapelare, e non voglio neppure che tu la riconosca come tua figlia: significherebbe confessare un adulterio mai avvenuto, e non è giusto né per Elizabeth, né per te ed il tuo buon nome”.
“D’accordo, lasciamo fuori la questione di Julia per un attimo – riprese Ross – ma trovo assurdo che tu paragoni la nostra situazione e quella tra me ed Elizabeth. Quando decisi di sposarla ero un giovane scapestrato ed impulsivo, innamorato di un’idea più che di una persona, che in fin dei conti non avevo mai conosciuto davvero. Io e te non ci siamo mai frequentati in veste ufficiale, per dire così, ma ci conosciamo da tanto… tre, quattro anni? Mi sembra un tempo sufficiente a capire una persona, il suo modo di vivere e di pensare. Se vuoi attendere che si compia un anno dal lutto, come si conviene, posso capirlo, ma non trovare altre scuse, perché dell’apparenza e delle opinioni della gente non mi è mai importato nulla. Sposarti per me non sarebbe motivo di scandalo o di vergogna, ma un onore immenso. L’unica cosa da capire – il resto sono dettagli insignificanti – è se tu mi ami al punto di accettare di diventare mia moglie”.
Demelza non rispose subito.  “Prima di dare una risposta a questa domanda c’è dell’altro che hai il diritto di sapere ….”
Un tocco alla porta interruppe quella conversazione. Il maggiordomo venne ad avvisare Demelza che erano arrivati gli operai per i lavori alla scuola ed era richiesta la sua presenza al piano inferiore.
Ross le lanciò uno sguardo accorato, ma non si poteva fare diversamente. Demelza doveva dedicarsi alle sue incombenze di padrona di casa, e dare le dovute attenzioni anche a Julia, che non vedeva dalla sera prima. Nonostante quindi la rossa gli avesse promesso di tornare il prima possibile, Ross non la rivide per molte ore. Fu il povero Dwight, oltre a medicarlo, a dover raccogliere il suo sfogo. Il medico consigliò all’amico di pazientare, ma Ross era arrabbiato, deluso e stanco. Il suo sesto senso gli suggeriva che la titubanza di Demelza avesse qualcosa a che fare con Armitage. Dwight gli somministrò dell’altro laudano, così da calmare sia lo stato d’animo che il dolore per la ferita.
Quando Demelza rientrò nella camera di Ross era ora di cena; recava infatti lei stessa un vassoio con un piatto di minestra calda. Aiutò l’uomo a mettersi seduto sul letto e lo imboccò, dato che il suo braccio destro era fuori uso. Riuscì anche a smorzare con un sorriso le resistenze di Ross, che recitava la parte dell’offeso e dichiarava con orgoglio di voler fare da solo, servendosi della mano sinistra.
Appena ebbe finito gli asciugò delicatamente le labbra con un tovagliolo, lo ripose sul comodino e lo fissò negli occhi. “Hai ragione a pretendere una spiegazione, Ross. Voglio essere completamente sincera con te, poi potrai fare le tue valutazioni.”
“Ti ascolto”.
Demelza fece un sospiro. “Mi sono innamorata di te appena ti ho conosciuto. Era come se una forza irrazionale mi calamitasse verso di te, e più cercavo di allontanarmi più mi spingeva nuovamente nella tua direzione. Ma è inutile che ti ripeta queste cose, considerato che ne hai avuto una dimostrazione evidente la notte che ti intrufolasti in camera mia a Londra”.
“Cosa è cambiato da allora?” – saltò subito al sodo Ross.
“Nel periodo in cui ho vissuto con Hugh – proseguì Demelza – in un primo momento ho provato una profonda gratitudine nei suoi confronti, dell’affetto sincero, fraterno; anche queste sono cose di cui sei già al corrente… man mano però che vivevo accanto a lui scoprivo un nuovo modo di relazionarmi con un uomo. Un modo che mi piaceva… fino ad allora avevo conosciuto l’amore solo attraverso la passione che provavo per te, ricambiata, ma Hugh mi ha fatto sentire per la prima volta nella vita meritevole di  attenzioni, tenerezze, considerazione per ciò che sono… in breve, mi ha fatto sentire amata.
“Anche io avrei potuto darti tutto questo, se solo…”
“Lasciami finire! Ecco perché dico che non avresti capito! Il fatto è che in un certo qual modo mi sono ritrovata a provare qualcosa per Hugh, un certo non so che, cui non so dare un nome, di intensità diversa da ciò che provavo per te, ma sufficiente a farmi dubitare di me stessa… perché vedi, avevo sempre creduto che nella vita potesse esistere un unico vero e grande amore. Quando Elizabeth è morta, e anche Hugh, ho immaginato che mi avresti fatto questa proposta, ma sapendo quanto avevi già sofferto a causa di un matrimonio sbagliato ho cercato di prendere del tempo , volevo capire se potevo essere davvero capace di renderti felice come meriti. Per questo ho cercato di non illuderti troppo, negli ultimi mesi, con l’unico risultato di apparirti fredda e scostante”.
“Demelza – disse Ross prendendole le mani fra le sue  – Io ho amato molto Elizabeth, tu hai amato Hugh, forse più di quanto avessi sinora immaginato; questi sentimenti fanno parte di noi, ma nel passato: a me interessa il presente. Non chiederti se sei capace di amarmi: amami e basta! Nessun rapporto è privo di momenti di sofferenza e difficoltà; io non voglio vivere un amore da favola, chiedo solo di trascorrere la vita accanto a te, ognuno con le sue imperfezioni, abbandonando le paure e mettendo in gioco il nostro cuore giorno dopo giorno. Tu sei disposta a farlo? Solo questa è la risposta che devi darmi.”
Demelza gli strinse a sua volta le mani. “Ross caro! – esclamò - C’è un’ultima cosa che stavo cercando di dirti. I dubbi di cui ti parlavo, sulla nostra storia, mi hanno accompagnato a lungo; ma quando ieri notte ti ho visto ferito, quando ho pensato che se Mc Neil avesse mirato un po’ più a destra il colpo di pistola avrebbe potuto attingerti al cuore, che avrei potuto perderti, io… io finalmente ho capito che….”
“Che cosa?” – domandò Ross.
Mentre due lacrime le rigavano il viso, Demelza rispose: “Che Hugh ha potuto sfiorare il mio cuore, ma tu, e soltanto tu, l’hai sempre posseduto. Io ti amo, Ross Poldark, e se sei disposto a scommettere su noi due, allora lo farò anch’io… non vedo l’ora di diventare tua moglie!”
“Oh, Demelza… mi hai reso talmente felice!” – disse Ross, ghermendola con il braccio sano ed attirandola a sé, mentre le loro labbra si univano in un bacio da troppo tempo anelato da entrambi, che ogni istante diveniva più esigente, tanto era il desiderio che avevano l’una dell’altro.
“Sei crudele – le sussurrò tra un bacio e l’altro– proprio adesso che non posso muovermi….”
“Tu no, Ross. Ma io sì….” – gli rispose maliziosa, mentre il suo uomo le affondava le dita nella chioma ramata, pregustando l’estasi che di lì a poco, ne era certo, sarebbe arrivata.

 
  
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