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Autore: ValePeach_    07/11/2021    1 recensioni
Inghilterra, 1826
Quando la sorella maggiore ed il marito decidono di partire per una stravagante quanto inaspettata luna di miele in Italia e di mandare la giovane Camille al nord per tenere compagnia ad un suocero che odia qualsiasi tipo di contatto con la società ed una zia bisbetica molto più affezionata ai suoi amati gatti che alle persone, con grande sconforto inizierà a pensare che la sua vita sia finita.
Stare lontana da Londra e dal ton è quanto di peggio le potesse capitare e tutto ciò che spera è di tornare presto alla normalità. Ancora non sa, però, che anche la tranquilla e monotona vita di campagna può riservare svolte inaspettate… e fra l’arrivo dell’insopportabile quanto affascinante John Mortain e l’accadimento di un omicidio che la vedrà inaspettatamente coinvolta, inizierà a pensare che, forse, una vita anonima non era poi tanto male.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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CAPITOLO 2

 
 
 


Il castello di Lodgewood apparve in lontananza. Una struttura enorme, imponente ed austera che dominava la valle esattamente come avevano fatto i Mortain nel corso dei secoli.
Il sole stava tramontando fra le colline dietro di esso, creando giochi di ombre dalle strane forme che davano all’antica abbazia un’atmosfera mistica, quasi… magica.
Enormi campi lo separavano da quel luogo, che d’ora in avanti avrebbe dovuto reimparare a chiamare casa.
Mai avrebbe pensato di tornare. Aveva giurato a sé stesso che per nessuna ragione avrebbe fatto ritorno, che una volta morto suo padre avrebbe rinunciato al titolo in favore di Jamie, eppure eccolo lì: fermo sulla collina da quella mattina incapace di compiere l’ultimo tratto di strada.
Se solo ci fosse stata un’altra possibilità. Se solo i servizi segreti britannici non gli avessero dato il ben servito dopo avergli così abilmente leccato il culo per anni ora non si troverebbe in quella situazione. Ma cos’altro poteva fare se non tornare a casa?
«Non lasciare che soffrano» erano state le ultime parole del suo amico Henry. «Loro ti aiuteranno a superare tutto questo. Torna a casa e dimentica tutto.»
Quella maledetta promessa.
Già una volta non era riuscito a mantenerla e solo Dio sapeva quanto si fosse sforzato, quanto avesse provato ad andare oltre. Non ce l’aveva fatta. Forse perché era un debole e vigliacco, ma dopo gli orrori del campo di battaglia di Waterloo stare in società per lui era diventato impossibile. Li odiava tutti, dal primo all’ultimo. Quei nobili pomposi che si divertivano e si comportavano come se nulla fosse successo. Come se su quel campo non fossero morti migliaia di giovani. Come se i cannoni non avessero fatto esplodere gli uomini maciullandoli. No affatto. A loro importava solo della caccia, di Londra, di matrimoni, balli e pièces teatrali.
Dopo nemmeno un mese se ne era andato. Era scappato da quel ridicolo mondo che sembrava vivere in una bolla di sapone, mentre fuori c’era appena stato il più grande massacro che la storia avesse mai vissuto.
Così era entrato nei servizi segreti.
Girare il mondo come diplomatico lo aveva aiutato a tenere la mente occupata, a non tornare su quel campo e sentire le urla spaventose dei soldati, ma ora anche loro lo avevano abbandonato. E per cosa? Perché la ferita alla gamba iniziava a dargli seri problemi e una spia non poteva permettersi di andare in giro zoppicando. Con un arto mezzo andato infatti, cosa sarebbe successo se la situazione avesse richiesto azione e prontezza di riflessi? Per quello lo avevano benevolmente congedato, dopo aver ricevuto i ringraziamenti per i servizi svolti da sua maestà, da tutto il corpo militare e una medaglia al valore.
Se non fosse stato per la sua buona educazione, al momento della consegna avrebbe detto al suo superiore un bel posto dove potersi mettere quella dannatissima medaglia.
«Che diavolo, ma perché fa così freddo qui?» si lamentò Daniel, suo amico e partner d’azione… anzi, ex partner d’azione purtroppo ed ora convertito ad ossequioso valletto.
John non aveva potuto dire nulla riguardo quella decisione. Non avrebbe mai voluto che il suo compagno d’avventure diventasse il suo servitore personale, ma Daniel era stato irremovibile. Era sempre stato un soldato di bassa lega e quella di vivere in un palazzo accanto ad un visconte era una prospettiva decisamente migliore rispetto ad una topaia in città. Quanto ad affiancare un nuovo partner, non lo aveva preso nemmeno in considerazione. Diceva che le missioni in India, Jamaica e Russia gli erano bastate.
«Pensavo che dopo i cinque anni passati a San Pietroburgo ti fossi fatto la pelle» disse John.
«Preferivo il caldo soffocante dell’India.»
«Di pure che preferivi le concubine dell’India.»
«Non so… anche le ballerine russe non erano male, così flessuose…»
John abbozzò un sorriso, ma quella breve conversazione non servì ad allentargli la tensione. Perché stando lontano dall’Inghilterra era stato semplice portare avanti le sue menzogne, ma adesso? Cosa avrebbe detto a suo padre?
Almeno Jamie non c’era. Per sua fortuna era in Italia insieme alla moglie e non sarebbe tornato per un altro anno minimo. «Lo sai vero che il più delle volte una grana in meno sono dieci guai in più?» gli diceva sempre Daniel, ma stava tornando a casa da suo padre… cosa gli sarebbe mai potuto succedere di così disastroso?
«Allora andiamo? A furia di stare fermo al povero cocchiere sarà venuto il sedere quadrato e per il servizio giornaliero ho sentito che ci prenderà una corona, praticamente un furto!» cercò di spronarlo Daniel.
John sospirò.
«Torna a casa.»
E va bene.
Era il momento di lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare. Forse quella sarebbe stata la volta buona.
Stanco e con il ginocchio che gli dava fitte atroci per essere stato troppo tempo in piedi e nella stessa posizione rientrò in carrozza e quando il cielo aveva ormai iniziato ad imbrunire, arrivarono davanti all’enorme scalinata che segnava l’ingresso del castello.
Rimase in parte sollevato nel rendersi conto di quanto tutto gli fosse parso familiare mentre percorrevano il lungo viale alberato, superavano i giardini con le fontane ed arrivavano davanti alla scalinata, come se quei lunghi anni non fossero mai trascorsi. Eppure, una volta sceso dalla carrozza c’era qualcosa che non si aspettava di vedere: una ragazza, avvolta in due coperte di lana e vestita di tutto punto che lo fissava in modo truce.
Di riflesso si voltò verso Daniel, il quale veloce gli porse il bastone senza mancare di sollevare le sopracciglia divertito.
John invece riportò gli occhi su quella figura e con rammarico dovette correggersi: davanti a lui c’era una bellissima giovane dai capelli biondi e grandi occhi ambrati, avvolta in ben due coperte di lana pesante e un cappotto con pelliccia che lo fissava in modo truce.
Quell’ultimo dettaglio non cambiava di una virgola…
Ritentò di nuovo, ma la ragazza pareva stargli lanciando le peggiori maledizioni.
Ma chi diavolo era?
«Finalmente avete avuto la decenza di arrivare» sbottò infuriata. «Spero abbiate una buona scusa per giustificare il vostro immenso ritardo, lo riterrò un miracolo il non essermi presa un malanno!»
«Prego?» domandò, ignorando la risata soffocata di Daniel.
«È da questa mattina che vi sto aspettando qui fuori al freddo» asserì, mentre si avvolgeva di più nelle coperte.
Di nuovo si chiese chi fosse.
Se suo padre intendeva dargli il benvenuto con grazia, avrebbe potuto scegliere una ragazza più accondiscendente e dagli occhi dolci. Perché non c’era proprio niente di affettuoso in lei.
Fino a quel momento.
Quello dopo un caldo sorriso le si disegnò in volto.
«Finalmente siete arrivato» ripeté e questa volta c’era emozione nella voce. Si era anche avvicinata allungando le mani verso di lui, come a volerlo salutare. Poi però, rendendosi conto che lui non aveva idea di chi fosse, tornò a stringere le coperte. «Perdonatemi milord, è che vi ho riconosciuto subito» disse, ma John non ebbe tempo di replicare perché la giovane corse dentro urlando a squarciagola il nome del signor Montgomery e della signora Potter.
Poco dopo, come c’era da aspettarsi, vide maggiordomo e governante apparire emozionati. Il primo fece una profonda riverenza, mentre la signora Potter, con le lacrime agli occhi, gli si tuffò addosso stringendolo e lasciandolo senza fiato. A dispetto degli anni passati, la forza di quella donna non era diminuita.
John ricambiò impacciato quel gesto pieno di amore, ricacciando quanto più possibile il senso di colpa.
«Finalmente siete qui» disse in lacrime, dandogli due sonori baci sulle guance.
Fu molto felice di vederla così arzilla e piena di energie. Dopo che la loro madre era morta, era stata la signora Potter a crescerli e sia lui che Jamie le volevano immensamente bene.
«Signora Potter, così lo soffocate» blaterò il signor Montgomery.
«Sciocchezze! Non lo vedo da più di undici anni, potrò sì abbracciare il mio signorino» piagnucolò, proprio come avrebbe fatto una madre. «Ma vedo che non siete solo» aggiunse, osservando Daniel.
«No esatto. Lui è Daniel Cooper, il mio valletto.»
«Benvenuto a Lodgewood, signor Cooper. Se volete seguirmi, vi mostrerò dove portare i bagagli di sua signoria e la vostra stanza.»
«Siete molto gentile» disse l’amico, seguendo la governante all’interno.
John invece rimase ancora fuori, dove seguì l’arrivo dei domestici. Purtroppo non riconobbe nessuno dei vecchi camerieri e quello gli fece capire quanto tempo realmente fosse stato lontano. Cercò anche quella ragazza fra tutti loro, ma non c’era.
«Venite milord» disse il signor Montgomery una volta conclusosi il rituale dei saluti. «Vi accompagno in biblioteca da vostro padre.»
Ecco, la frase che non avrebbe voluto sentir pronunciare.
Sentì lo stomaco stringersi e una paura silenziosa farsi strada in lui.
Chissà se sarebbe stato felice di riaverlo lì. Sicuramente la risposta era sì, ma non poteva dire altrettanto riguardo al suo perdono. Dopotutto lui lo aveva abbandonato, senza prendersi la pena di tornare a Lodgewood per dirgli addio, quindi cosa poteva pretendere? Doveva essersi sentito tradito, proprio come Jamie. Le lettere nelle quali gli chiedeva di tornare a casa le aveva stampate nella mente. Parole piene di speranza e disprezzo insieme. Come aveva potuto lasciarli senza dire nulla? Come aveva potuto andarsene tanto lontano? Non se lo meritavano, non loro che ogni giorno avevano pregato affinché tornasse vivo dal fronte.
E lui era tornato vivo, ma era solo una pallida ombra del giovane che ricordavano.
Scacciò quei pensieri.
Non era il momento di rimuginare e seguendo il maggiordomo nel grande atrio affrescato, salì l’enorme scalinata ed arrivò nell’ala est. Se il signor Montgomery aveva notato con quanta fatica aveva fatto gli ultimi gradini non lo diede a vedere.
Maledetta gamba.
Se non fosse stato per quelle schegge di legno che gli si erano conficcate nella carne su quel maledetto campo di battaglia ora sarebbe ancora in Russia a sventare complotti. Certo anche là aveva avuto a che fare con nobili pomposi, dopotutto la corte dello zar non era poi così diversa dal ton di Londra: gli uomini pensavano alla caccia e alle tenute, a sperperare i loro averi nel gioco d’azzardo e nelle prostitute, le nobildonne passavano a setaccio ogni singolo scapolo presente cercando di accasare le figlie combinando matrimoni, ma era diverso. Quella del nobile diplomatico era solo una copertura, mentre lì sarebbe stata normale routine.
Ancora si chiese se quella di tornare a casa fosse stata la scelta più giusta, ma poi vide quella ragazza uscire dalla biblioteca e pensò che forse non era stata poi così terribile come decisione.
«Vi sta aspettando» sussurrò, lasciando l’uscio aperto e sorridendogli di nuovo.
«Grazie» si limitò a rispondere.
«Vi lasciamo soli» intervenne invece il signor Montgomery e dopo aver offerto il braccio alla giovane, se ne andarono insieme apparentemente più felici che mai.
Una volta scomparsi dalla sua visuale, John bussò con cautela e aprendo la porta vide suo padre seduto alla grande scrivania di fronte al caminetto scoppiettante. Aveva una coperta sulle gambe e di fianco a lui c’era un bastone.
«Padre» mormorò, osservando la sua figura e sentendo il cuore mancare i battiti nel vedere quanto fosse invecchiato.
Aveva ancora i capelli scuri quando se ne era andato e la calvizie non era così accentuata. Anche le rughe sul viso erano aumentate e le spalle erano diventate curve. Lo sguardo severo però era sempre lo stesso e non osò fiatare senza prima aver avuto il permesso di avvicinarsi.
Il vecchio Mortain però non disse niente. In silenzio appoggiò la penna nel calamaio, si tolse gli occhiali e dopo aver afferrato il bastone si alzò e camminò verso di lui.
«Figlio mio» disse il visconte, fermandoglisi di fronte. John lo superava di tutta la testa in altezza.
«Padre» rispose lui e fece per inchinarsi. Non voleva che fosse suo padre a dover alzare gli occhi per guardarlo, ma prima che potesse farlo Vincent lasciò cadere a terra il bastone e lo abbracciò stretto.
«Finalmente sei tornato» sussurrò commosso, stringendolo ancora di più.
«Non avrei voluto metterci tanto» disse sinceramente.
«Pensavo che sarei morto senza averti rivisto… mi sei mancato così tanto.»
«Anche voi padre, immensamente. Potrete mai perdonarmi?»
«Non c’è nulla di cui perdonarti» disse, allontanandosi un poco. «Sei qui, sei tornato, e questo mi basta.»
John annuì, ma il peso sul cuore rimase lo stesso.
«Vieni, ci sono tante cose di cui dobbiamo discutere… ancora non posso credere che tu sia qui, accanto a me» disse emozionato, tornando a sedersi.
Anche John lo fece e non gli sfuggì l’occhiata che suo padre diede alla gamba. Ma non disse nulla. Sapeva che era rimasto gravemente ferito in guerra. Quanto alle cose da discutere…
«A dire il vero temo abbiate molte più cose voi da raccontare rispetto a me» fece sbrigativo. «La vita di una piantagione è piuttosto noiosa e monotona e come potrete immaginare la compagnia di persone piuttosto limitata… ma sono contento di essere tornato.»
«Sono felice di sentirlo… finalmente il viscontado ha di nuovo il suo erede e io ho di nuovo mio figlio. E per quanto riguarda i tuoi racconti, non pensare di cavartela con così poche parole… specialmente con Camille. Le ho parlato talmente tanto di te e della Jamaica che non si accontenterà di misere descrizioni.»
Camille. Dunque era quello il nome della giovane.
«Chi è?» domandò, cercando di non far trapelare troppa curiosità e di non pensare alla marea di bugie che avrebbe dovuto inventarsi. «Mi sembra troppo grande per essere la figlia di Gwyneth.»
«No, infatti… è Camille Grey, la sorella di Heather.»
«Non sapevo che la moglie di Jamie avesse una sorella» disse. Nelle poche lettere che si era scambiato con il fratello infatti, non aveva mai fatto menzione ad una sorella… ma forse era troppo impegnato a decantare le immense qualità di Heather per prendersi la briga di parlare della sorella minore.
«Oh sì. Un bocciolo in piena fioritura, così l'ha definita tua zia e per una volta non posso che darle ragione.»
«Come mai è qui? Insomma… non aveva una famiglia con cui stare?»
«No purtroppo… i genitori di Camille ed Heather sono morti in un tragico incidente in carrozza che erano ancora bambine e da quanto mi ha raccontato Jamie la convivenza con il lontano cugino ereditario e famiglia non è mai stata rosea, per questo hanno chiesto a me di farle da tutore nel mentre della loro assenza… Heather non se la sentiva di lasciarla sola in compagnia dei parenti e devo dire che nemmeno Camille ha mai speso buone parole per descriverli, in particolar modo la cugina Margareth e la figlia maggiore Dorothy» disse, bevendo un sorso di tè. «Naturalmente è stata una fortuna che alla nascita delle figlie il compianto signor Grey avesse già vincolato la loro dote e fatto predisporre al notaio l’entità del loro mantenimento, altrimenti sono sicuro che il signor Kensington non avrebbe sborsato un penny per la loro buona educazione e sostentamento.»
«Immagino si tratti di somme cospicue» disse John. Dopotutto per arrivare a sposare il secondogenito di un visconte non si poteva parlare certo di spiccioli.
«Frederick Grey era uno dei possidenti terrieri più ricchi del Devonshire, avrebbe potuto comprarsi un titolo nobiliare con uno schiocco di dita, ma per orgoglio non lo ha mai fatto. E chi sopporterebbe d’altronde le chiacchiere di società nei confronti di un titolo comprato? Comunque, quanto alla dote delle ragazze, fece predisporre quarantamila sterline per la maggiore e venticinquemila per la minore, più mille sterline l’anno a testa per il mantenimento fino al matrimonio.»
Nel sentire quelle somme per poco a John non andò di traverso il tè.
«Converrai che chiunque sarebbe stato ben felice di accaparrarsi la mano di Heather per puro interesse economico, ma fortunatamente la nostra famiglia non ha mai avuto bisogno di sposare delle ereditiere per mantenere ricchezze e titoli e difatti la loro unione è basata solo ed esclusivamente su sincerità ed affetto reciproco.»
«Ne convengo, ma convengo anche che chiunque sarà ben felice di accaparrarsi la mano della giovane Grey ancora nubile.»
«Proprio per questo non potevano lasciarla senza un adeguato protettore. Aggiungici anche il fatto che sia molto gradevole di aspetto, le sarebbero arrivati tutti addosso come avvoltoi ancor prima di mettere piede a Londra.»
«Immagino la scena.»
«A dire il vero è un bene che tu sia arrivato proprio in questo delicato momento» continuò suo padre. «La convivenza iniziava a diventare… ecco… un po’ tesa.»
«Perché lo dite?»
«Oh, lo capirai» esclamò, facendo un rapido gesto con la mano. «Non fraintendermi, mi sono affezionato tanto a lei, la considero come la figlia che non ho mai avuto… e mi verrebbe da aggiungere per fortuna che il cielo mi ha risparmiato dall’avere figlie femmine, specialmente se…» si bloccò di colpo, schiarendosi la voce e sorridendogli. «Bè, insomma… ecco… è una giovane particolarmente… come dire… entusiasta.»
«Entusiasta» ripeté lui.
«Sì, entusiasta. Assolutamente. Cambiamo argomento, ti va?»
«Non è che per caso c’è di mezzo uno scandalo?»
«Certo che no!» esclamò Vincent con veemenza. «Camille è assolutamente una giovane a modo e dalla reputazione impeccabile.»
«Allora perché tutto questo mistero?»
Vincent si agitò sulla sedia sbuffando. «Perché, se proprio lo vuoi sapere, lei è molto tes-»
Purtroppo non riuscì a finire la frase, perché vennero interrotti proprio dalla diretta interessata del discorso.
«Oh, Camille!» quasi urlò suo padre, balzando spaventato sulla sedia.
«Scusate zio, non volevo disturbare.»
Bè se aveva paura di disturbare perché non aveva aspettato che le dessero il permesso di entrare nella biblioteca anziché presentarsi senza nemmeno bussare?
Un momento… lo aveva chiamato zio?
«Niente affatto mia cara» disse suo padre, alzandosi in piedi come una molla. «Vieni, siediti con noi.»
«Oh no grazie, sono qui solo per dire che è arrivata zia Shaw, vi attende in salotto, e che la cena sarà servita fra due ore. Il signor Montgomery si scusa per non essersi presentato lui stesso, ma a quanto pare c’è stato un piccolo problema con il dolce di questa sera. Credo che la cuoca sia un po’ sotto pressione.»
«Non mi stupisce affatto. I nervi della signora Jenkins sono sempre più fragili ogni giorno che passa, dovrebbe andare qualche tempo a Bath e rimettersi in sesto.»
«Temo non basterebbe… ma problemi della cuoca a parte, mi sono permessa di dare disposizioni affinché fosse preparata la stanza da bagno» disse, spostando lo sguardo su di lui. I suoi occhi si mossero veloci lungo tutta la sua figura, soffermandosi poi naturalmente sul bastone e sulla gamba distesa. «Immagino che sua signoria voglia rilassarsi un po’ dopo il lungo viaggio.»
Ma certo. Evidentemente dopo averlo visto zoppicare su per la scala doveva aver pensato che allo storpio servisse un bagno caldo per lenire i dolori.
«Non ho affatto bisogno di rilassarmi» disse. Se c’era una cosa che odiava era la compassione.
«Ma comunque un bagno non potrà che farti bene. Ti toglierà di dosso la polvere del viaggio» intervenne suo padre. «Sei stata molto gentile mia cara e non far caso a John… ha scordato le buone maniere stando troppo tempo nelle piantagioni» concluse e non mancò di mandargli un’occhiataccia.
«Non vi preoccupate zio, sono abituata alla scontrosità dei Mortain» disse e suo padre si agitò borbottando qualcosa di incomprensibile. «Sapete che scherzo» si affrettò ad aggiungere divertita e John la osservò di sottecchi.
Mai nessuno avrebbe osato fare una battuta del genere di fronte a suo padre, lei invece non solo lo aveva fatto con una leggerezza che sembrava celare una conoscenza molto più profonda, ma addirittura lo chiamava “zio” e lui “mia cara”.
Cosa diamine era successo a suo padre?
«Bene, dunque, a dopo.»
«A dopo.»
Camille abbozzò un inchino prima a suo padre e poi a lui, dopodiché uscì lasciando dietro di sé una scia di profumo di arancio e lavanda.
«Per un attimo ho pensato che mi avesse sentito» disse suo padre, visibilmente sollevato.
«Pare che quella fanciulla vi metta parecchio in difficoltà… cosa esattamente non mi state dicendo?»
«Nulla di che, avrai modo di conoscere Camille tu stesso… e sii più gentile le prossime volte per favore, voleva solo essere cordiale.»
Lui annuì poco convinto. E per quanto riguardava il conoscerla meglio, stando alle reazioni appena viste non era proprio sicuro di volerlo fare…
   
 
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