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Autore: MaxB    15/11/2021    4 recensioni
Questa è una storia che ho iniziato a scrivere dopo aver finito di leggere il secondo volume, quando ancora doveva uscire il terzo.
La considero una prosecuzione della storia originale come se il terzo libro non esistesse, e narra quindi delle vicende familiari che si sono succedute dopo la fine de Gli scomparsi di Chiardiluna, con leggere modifiche alla trama.
Sostanzialmente, Thorn e Ofelia saranno alle prese con la vita quotidiana da coppia sposata, cercando di capirsi, vivere insieme e prendere confidenza l'uno con l'altra.
E con un inaspettato desiderio di Ofelia...
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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RITARDO ESTREMO. Miseriaccia il tempo vola fin troppo.
Dunque, per farmi perdonare questo capitolo sarà molto dolcioso e diabetico e spero vi piaccia.
Grazie mille  a tutti che leggete, mi supportate e portate tanta pazienza, come sempre *-*


Capitolo 43

Tornarono a casa la sera, giusto in tempo per la cena, stracarichi di borse. Avevano impiegato pochi minuti per scegliere e farsi confezionare gli occhiali del Balder, aiutati dal fatto che le lenti neutre erano sempre disponibili e facili da reperire, ma invece di andare a casa avevano scelto di farsi un giretto nei dintorni e quando Berenilde aveva adocchiato i negozi di vestiti e merletti era stata la loro rovina. Aveva impiegato tutto il giorno per cercare di convincere Ofelia a comprarsi qualcosa, come un cappotto nuovo dato che quello che Ofelia usava era ancora quello che sua madre le aveva fatto confezionare quando era fidanzata con Thorn; quel capo che, nonostante gli anni passati, era sì ancora irascibile come la donna che glielo aveva cucito, ma anche incredibilmente tenace: si sarebbe detto ancora nuovo.
Alla fine, cedendo alle pressioni congiunte di Berenilde e della zia Roseline, aveva comprato due nuovi vestiti (a detta di Berenilde troppo castigati e "povero Thorn che doveva guardare sua moglie portare robaccia che non esaltava nemmeno la più procace delle signore" e a detta della zia Roseline troppo insignificanti e che sembravano "cuciti da quelle zitelle mezze cieche di cui la cugina Carlotta presidiava il circolo e che non avrebbero fatto apparire carina una signora neanche a farselo pagare in oro, perché troppo bisbetiche ed invidiose”. Era più per questi commenti che Ofelia aveva comprato quei vestiti, che per esasperazione. Non provava gusto nel fare sempre l'opposto di ciò che volevano da lei, ma in qualche modo la faceva sentire padrona, libera di scegliere). E poi, quei vestiti a lei piacevano.
Il prozio aveva ghignato sotto i baffi tutto il tempo, assicurandole che quando Sophie lo trascinava per boutique nel tentativo di rinnovare il suo guardaroba finiva sempre per comprare metri e metri di scampoli per lei, perché: - Insomma, figliola, tua madre non è decisamente una donna contenuta, in tutti i sensi -, e lui doveva sorbirsi ore di prove e di rimbrotti perché era poco partecipe.
Se le due zie erano riuscite a non riempire Serena di vestiti pomposi, imbellettati, pieni di pizzo e fiocchetti inguardabili era solo perché Ofelia era riuscita a sfinirle prima.
- Mi auguro solo che vostra figlia sia più ragionevole di voi, Ofelia cara, o dovrò organizzare il matrimonio anche a lei altrimenti non troverà mai nessuno.
Ignorando la frecciatina, Ofelia aveva continuato a provare i modelli di vestiti a Serena, grata quando la vedeva ignorare completamente i merletti e gli accessori per scegliere timidamente cose più sobrie. Non l'avrebbe costretta, al contrario della sua famiglia, a scegliere vestiti che non le piacessero, pertanto avrebbe accettato qualsiasi decisione di Serena, ma internamente aveva tirato un sospiro di sollievo nel non aver generato una piccola Agata.
Balder aveva girato con gli occhiali senza lenti per tutto il giorno, facendo ridere alcuni passanti. Ofelia aveva cercato di fargli capire che, se prima non adattavano le lenti alla sua miopia, era inutile tenere la montatura vuota sul naso, ma il bambino non aveva nemmeno quattro anni e, come tutti i bambini, quando aveva una cosa nuova che per altro gli piaceva, la indossava ovunque.
Tyr aveva squadrato tutto ora distaccatamente, ora appigliandosi ad ogni pezzo di stoffa che trovava, strillando se lo si costringeva a lasciarlo. Ofelia gliene aveva dovuti comprare tre solo per smettere di farlo strillare, e il bambino aveva perso interesse per il nuovo acquisto nell'arco di pochi secondi.
- Come ha fatto mia madre con sei? - aveva chiesto inorridita alla zia Roseline quando, stanchi, avevano finalmente deciso di rincasare.
- Una come lei, poi - aveva bofonchiato la zia Roseline. - Tua madre ha la pazienza di un cucchiaino da tè se non la si asseconda.
Renard le era stato di enorme supporto, Archibald un po' meno, flirtando con chiunque indossasse una gonna solo per il gusto di vedere la zia Roseline passare da un pallore cadaverico ad un imbarazzato scarlatto e infine ad un nero livore. Ofelia si era chiesta se fosse quello il vero motivo per cui Archibald era così irriverente con le donne: si divertiva con gli oltraggi, e la zia Roseline gli serviva la sua riprovazione su un piatto d'argento.
Una volta rientrati, trovarono Thorn impalato in sala da pranzo che guardava fuori dalla finestra. Si girò appena quando li sentì, più che vederli, entrare.
- Oh, caro nipote, quante belle cose abbiamo comprato! - lo salutò Berenilde facendo cenno a Renard, che era diventato il facchino, di posare le borse.
- E pensare che sono un terzo di quello che avete preso. Non capisco proprio perché non abbiate voluto portare a casa tutto - borbottò il prozio, che era sopravvissuto a quella giornata solo perché Renard lo aveva accompagnato a fare un giro della città mentre loro erano nei negozi. Ofelia non si era fidata a lasciarlo andare da solo, era troppo pericoloso.
- Perché, vi ho già spiegato, gentilissimo, che qui non siamo su Anima dove i vestiti vengono confezionati a casa o in boutique in cui tutti si conoscono. Qui i vestiti più sfarzosi devono essere commissionati, e se tornassi a casa da un negozio con i vestiti già pronti significherebbe che non avevo denaro per pagare le modifiche che servono a rendere unico l'abito.
Ofelia concordava con il prozio nel ritenere tutto quel gioco di apparenze una grandissima sciocchezza, ma non aveva voglia di litigare e sapeva bene che nulla avrebbe fatto cambiare idea a Berenilde, pertanto se ne rimase zitta.
- Qui è tutto un ostentare, zio. Lo imparerete con il tempo. Io stessa devo ancora abituarmici, potete immaginarvi! - borbottò la zia Roseline.
Ofelia pensò che, finché Berenilde non l'avesse sottoposta alle lezioni di portamento e dizione di una volta, avrebbe potuto fare avanti e indietro dai negozi quanto voleva. Senza di lei, ovviamente.
- Mangiamo - ordinò Thorn. - Ho da fare dopo cena.
Renard, stremato, non sapeva più dove appoggiare le borse, che lasciò cadere lì dove si trovavano quando vide entrare sua moglie con Ilda. Si illuminò e le raggiunse, riempiendole di sonori baci. I lamenti di Gaela vennero soffocati dagli schiocchi delle labbra di Renard, che fecero sorridere Ofelia.
- Se le colombine vogliono degnarsi di sedersi invece di regalarci un altro pargolo sul tappeto del soggiorno... - li invitò seraficamente Archibald, che si lasciò cadere sgraziatamente su una sedia. - Ho un certo languorino.
Thorn lanciò un'occhiataccia ad Archibald per la sua volgarità, ammonimento che venne ricambiato da un'irriverente strizzatina d'occhio. La conversazione a tavola languì, stanchi com'erano dopo la giornata di compere. Il prozio aggiornò la zia Roseline sulla salute di ogni cugino e zio che avevano, argomento che non si esaurì nemmeno dopo cena, Renard confabulò con Gaela per carpirle informazioni su come fosse andata la giornata con Ilda, che rispose al papà sputacchiando, mentre Berenilde e Archibald si scambiarono ridacchiando alcuni pettegolezzi e novità su alcune coppie improbabili e scandali appena avvenuti.
Ofelia cercò di chiedere a Thorn cosa dovesse fare dopo cena, visto che era da molto che non lavorava fino a tardi, ma Thorn le diede solo secche risposte evasive tra una cucchiaiata di zuppa e l'altra che Balder si ostinava a spargere per il tavolo e una sgridata a Tyr che lanciava pezzi di cracker a Ilda, la quale non lo notava nemmeno.
Thorn fu il primo a finire di mangiare, e quando si alzò si chinò discretamente verso Ofelia.
- Vieni in camera nostra tra mezz'ora - le intimò.
Nonostante il tono sepolcrale, Ofelia si sentì rabbrividire. Che fosse... quello il lavoro che aveva da fare? Certo, era da... troppo tempo che non ottemperavano ai loro doveri coniugali, ma per un motivo comprensibile. Qualcosa non le tornava.
- Con i bambini - aggiunse Thorn a scanso di equivoci prima di allontanarsi con le sue lunghe falcate da spaventapasseri.
Ofelia rimase intontita per il resto del pasto, mangiando il dolce senza sentirne davvero il gusto, e beccandosi più volte delle rimbeccate dalla zia Roseline perché non si accorgeva di quando Balder, nel tentativo fin troppo cavalleresco di aiutare Tyr a mangiare, si sbrodolava tutto, e sporcava pure il fratello.
Allo scoccare della mezz'ora richiesta da Thorn fu con fin troppo trasporto che Ofelia trascinò i bambini lungo il corridoio, impossibilitata a rispondere alle loro domande perché non aveva risposte.
Trovarono Thorn seduto alla scrivania adiacente alla porta, intento a scrutare delle scatoline ricamate in oro. Quando li vide entrare si alzò, erigendosi di fronte al loro in tutta la sua statura torreggiante.
I bambini ammutolirono percependo che il papà stava per dire qualcosa di importante, in attesa. Ofelia per una volta avrebbe voluto che Thorn fosse più basso, per poterlo guardare negli occhi e capire ogni sfaccettatura della sua espressione, cosa si arrovellasse in quel cervello iperattivo.
E desiderò leggere qualcosa che non le apparteneva. Voleva scoprire a cosa servissero quelle scatoline, e quale fosse lo stato d'animo di Thorn mentre le maneggiava. Notando come le dita di Serena si contraevano nei guanti, immaginò che Serena provasse lo stesso, nonostante fosse ancora ai rudimenti di come si eseguisse una perizia di lettura.
Thorn, probabilmente stanco di osservare la sua minuscola famiglia con il collo tutto reclinato, si sedette nuovamente di fronte alla scrivania e si schiarì la voce. Persino Tyr, sempre ciarliero e disturbatore, rimase zitto in braccio alla mamma.
- Vi ho preso dei regali. Delle cose utili.
Alla parola “regali” il cuore di Ofelia si era stretto in una morsa. Quando aveva aggiunto "utili" si era leggermente sgonfiato. Se c'era una cosa che le mancava di Anima, quella era la Festa dei Regali, un giorno in cui bisognava fare regali a tutti i membri stretti della propria famiglia. C'era anche una gara a fine giornata, durante la quale veniva scelto il regalo più bizzarro e divertente, e il vincitore aveva il diritto di ricevere un regalo tanto ambito con i soldi delle casse comuni di Anima.
Quei regali non erano utili, erano cianfrusaglie esotiche, colorate e spesso prive di utilità, ma era una gioia scartare i pacchi avvolti nella carta e trovarsi di fronte oggetti strani e spesso incomprensibili che diventavano dei veri rompicapo.
Un regalo non doveva essere utile.
Solo in un secondo momento Ofelia si rese conto dell'imbarazzo di Thorn. Fortunatamente intervenne Serena a toglierlo dalla situazione scomoda.
- Possiamo prenderli, papà?
Girandosi rigidamente come un automa, Thorn le allungò una delle due scatoline quadrate, prendendo poi una delle due più lunghe per Balder. I piccoli cercarono di aprirle con un certo ritegno, ma erano bambini di tre e sei anni e rotti che maneggiavano il primo regalo della loro vita, e l'aria si riempì subito di sospiri ed esclamazioni soffocate.
- Una collana tutta d'ovo?
- Cos'è papà, cos'è? - si agitò invece Balder, che non capiva cosa fosse il suo regalo.
- La tua è una collana d'oro con un ciondolo ad orologio, Serena - la informò Thorn, allungando la mano perché la bambina gliela cedesse. Con uno scatto del dito aprì il pendente rotondo appeso alla catenina d'oro, che era sembrata tanto grande tra le manine di Serena quanto era piccola in quelle di Thorn. All'interno del pendente c'era un piccolo orologio riccamente decorato con ingranaggi a vista, abbastanza piccolo da non diventare un gioiello vistoso e pacchiano, ma abbastanza grande da essere letto senza doverselo portare a poca distanza dagli occhi.
- Sapere l'ora è molto importante, Serena. Anche un po' di più. Sai leggere un orologio?
La bambina annuì con orgoglio. - Me l'ha insegnato il maestro Renal. No, Renold, la mamma ha detto che si chiama Renold.
- Allora dimmi che ore sono.
Serena strizzò gli occhi per la concentrazione, muovendo la bocca mentre contava in silenzio ore e minuti.
- Le nove e tre minuti!
- Tre minuti e mezzo - la corresse Thorn, preciso fino all'ossessione.
- Cos'è regalo mio papà? - insisté Balder, fiondandosi tra le gambe di Thorn e agitando la scatolina fin troppo preziosa per le mani di un bambino.
- Il tuo è un orologio da polso, Balder. Una nuova invenzione, presumo sia più comodo di un orologio da taschino. Basta legare il cinturino al polso e il quadrante sarà sempre facilmente consultabile.
La voce di Thorn rimase fredda come sempre, tagliente e scricchiolante come il ghiaccio anche quando spiegava il funzionamento di qualcosa che lo appassionava.
Anche nel caso di Balder, il cinturino era in maglie d'oro e il quadrante in oro e avorio, con degli ingranaggi elaborati visibili sotto il vetro.
Erano due piccole opere d'arte, dei gioielli forse fin troppo preziosi per dei bambini piccoli.
- Sai leggere l'ora, Balder? - lo interrogò Thorn.
Il bambino scosse la testa, mortificato.
- Quando imparerai, dovrai tenere sempre l'orologio al polso, e non rovinarlo mai.
- Non si sbatte in giro!
Thorn aggrottò le sopracciglia. - Non si sbatte nulla in giro, di norma.
Il bambino strinse le labbra come se avesse appena combinato un guaio, tanto che anche Ofelia si chiese cosa mai Balder sbattesse in giro per avere un'aria così colpevole.
Serena continuava a scrutare la sua collana, ripresa dalle mani di Thorn, con sguardo estatico. Era indubbio che le piacesse, sembrava non avere parole per esprimersi. Quando allungò la collana al papà perché gliela allacciasse, con Balder che cercava di prendere il pendente a orologio per confrontare i due regali, Ofelia ne approfittò per guardare da vicino l'orologio da polso.
Era un'opera di incredibile fattura, e Ofelia dubitava che un Miraggio con le sue portentose creazioni illusorie avrebbe potuto fare di meglio. Non sapeva che al Polo ci fossero dei tali maestri artigiani. I piccoli ingranaggi dorati erano lucidi e splendenti, fatti risaltare dall'avorio biancheggiante dov'erano indicati i numeri dorati di minuti e ore. Anche le lancette erano dorate, ma nel complesso, stranamente, tutto quel lucore non dava fastidio. Ofelia non aveva mai amato l'oro, lo aveva sempre considerato un po' pesante e troppo vistoso, ma nella collana e nell'orologio era così finemente lavorato e gestito che non sarebbe stato eccessivo nemmeno aggiungerne ancora, probabilmente grazie anche all'opacità delle maglie dell'orologio che non brillavano troppo.
Ofelia stava per ridarlo a Thorn quando notò una piccola incisione in alto, appena sotto il dodici. Anche con gli occhiali dovette avvicinare il quadrante agli occhi per poter essere sicura di cosa ci fosse scritto.
L'orologio rischiò di caderle di mano.
Lisbeth.
Si sentiva gli occhi di Thorn puntati addosso, ma non aveva il coraggio di guardarlo in volto.
- Mi sta bene, papà? - lo richiamò Serena, accarezzando il pendente che le scendeva sul petto, decisamente lungo per una bambina. 
Crescendo le sarebbe ricaduto sopra il seno, un elegante punto luce che persino Ofelia che non amava orpelli e pizzi avrebbe sfoggiato volentieri.
Thorn distolse lo sguardo da Ofelia e afferrò di nuovo il pendente a orologio di Serena. Invece di rispondere alla domanda della figlia, cosa che non sorprese Ofelia dato che avrebbe dovuto esprimere un parere a cui non era e non sarebbe mai stato avvezzo, aprì il monile e lo avvicinò al viso della figlia.
- C'è il nome di vostra sorella inciso dentro il quadrante - annunciò senza mezza termini, confermando il sospetto di Ofelia. - Per ricordarvi sempre che avreste avuto una sorella e che il tempo sarebbe passato anche per lei.
Ofelia si morse la cucitura del guanto per cercare di fermare il tremore al labbro. Cos'aveva fatto Thorn?
Balder alzò la testa, e solo allora Ofelia si rese conto che portava ancora sul naso gli occhiali senza lenti. Il giorno dopo avrebbe dovuto spiegargli come animarle per adattarle alla sua miopia, quella sera non ne aveva le forze.
- Serena è qui, papà - gli fece notare innocentemente.
Non sapeva ancora leggere, ma Thorn prese il suo orologio dalle mani di Ofelia e glielo mise sotto il naso, indicandogli la scritta in oro senza toccare il quadrante, per non sporcarlo. Meticoloso come sempre.
- Qui, c'è scritto Lisbeht. È il nome della sorella che non è nata, ma che avreste avuto.
Balder parve capire. - Quella che la mamma portava in pancia?
Thorn annuì in risposta, mentre Serena si mordeva le labbra nel tentativo di non raccontare al fratellino tutto quello che sapeva. Giudiziosa com'era, aveva capito che non era il caso di spiegargli cose che non avrebbe ancora potuto comprendere.
- E dov'è? - chiese il bambino, sgranando gli occhioni. - Niente sorellina?
- Niente sorellina - confermò Thorn, sorprendendo Ofelia con il tono condiscendente che usava con Balder. Si era sempre rivolto ai figli come a degli adulti, quella piccola premura la toccò nel profondo. - Non era pronta per nascere e quindi non la vedremo mai.
Balder parve accontentarsi di quella spiegazione, al contrario della sorella. Ma affettuoso com'era non accettò la mancata presenza di una quarta sorella o fratello.
- Altro fratello quando?
Ofelia incontrò lo sguardo di Thorn per un attimo, prima che lui si affrettasse a distoglierlo.
Non avevano parlato di avere altri figli. Non era venuto in mente a nessuno dei due perché sapevano, senza bisogno di dirselo, che non era il caso. Sia di parlarne che di averne, per il momento. Non sarebbe stato giusto nei confronti di... Lisbeth, Ofelia l'avrebbe visto come un rimpiazzo, e li aveva sempre odiati. Era certa che anche Thorn provasse la stessa cosa, soprattutto visto com'era stato sostituito da tutti per tutta la vita, messo da parte persino da sua madre per qualcuno di più congeniale come Archibald, o dalla zia per i propri figli.
- Non si sa - ripose vagamente Thorn, lui che era l'antitesi della vaghezza.
Per qualche motivo Ofelia sentì una sorta di speranza in quelle parole, nonostante la voce di Thorn fosse stata fredda come sempre. Un po' come se... avesse lasciato uno spiraglio. Un giorno, forse, ci avrebbero riprovato. Un giorno, forse, avrebbero visto un nuovo figlio non come un rimpiazzo, ma come una cosa naturale, giusta e... voluta.
Ofelia si sentì in colpa per essersi sentita tanto male alla scoperta di essere nuovamente incinta dopo Tyr. Quel sentimento non era in alcun modo collegato alla perdita di Lisbeth e alla sua iniziale titubanza per la quarta gravidanza, però si sentiva come se le avesse voluto meno bene.
Cercò di distogliere la mente da quei pensieri negativi, che l'avrebbero condotta in una spirale di tristezza in cui non voleva più rimanere incastrata.
Thorn le lanciò un'altra occhiata, e lei cercò di abbozzare un sorriso. Incoraggiato, Thorn non distolse subito lo sguardo, anche se non rilassò le spalle e la postura contratta. Era rigido come un manichino.
Balder si fece nuovamente distrarre dal suo regalo. - Voglio bene alla solellina Lisbeth. Posso mettere l'orogio... oloro...
- Non devi rovinarlo, Balder - gli intimò Thorn con più serietà del solito. - È un regalo importante. Va trattato con cura, pulito ogni sera.
Attento a quelle indicazioni, Balder prese l'orologio per il cinturino cercando di toccarlo il meno possibile.
- Lo metterai domani - lo informò Thorn. - Ora si va a letto.
Tyr, capendo cosa significassero quelle parole, si mise a tirare una ciocca di capelli di Ofelia, brontolando.
Mentre Thorn conduceva i bambini fuori per portarli in camera loro, Ofelia lavò Tyr, lo cambiò e fece quanto poteva per addormentarlo. Con lui avevano subito capito che cullarlo non era efficace, anzi, sembrava più che altro agitarlo. Parlargli lo calmava, ma con voce dura, non con quella gentile e rassicurante che si usava con i bimbi così piccoli: finiva per arrabbiarsi e sputacchiare. Invece con un tono stentoreo si quietava, come riconoscendo inconsciamente che ad una voce seria corrispondeva un rischio, e dunque era meglio starsene buoni. Per Ofelia non era facile addormentarlo nemmeno in quel modo; anche se non aveva più la voce da passerotto di una volta, non si poteva certo dire che avesse un tono autoritario. Era pacata anche quando si arrabbiava, e il suo alzare la voce era sempre meno impressionante di quello degli altri.
Non si oppose quindi quando, tornando in camera, Thorn le prese Tyr dalle braccia e si mise a spiegare al bambino alcune leggi penali con incredibile serietà e durezza. Ofelia ne approfittò per mettersi la camicia da notte, e non si sorprese quando scoprì che Thorn era riuscito a far addormentare Tyr in molto meno tempo di lei. Lo depose nella culla, e Ofelia gli si avvicinò per depositargli la sciarpa accanto. Questa si raggomitolò vicino al bambino che, abituato alla sua presenza, le strinse la coda, come per prenderle la mano.
Ofelia si inteneriva sempre quando il piccolo si aggrappava alla sua sciarpa. Era l'oggetto che più preferiva al mondo, e spesso faceva i capricci se Ofelia non gliela cedeva.
Rimasero fermi ad osservare Tyr addormentato per diverso tempo, in silenzio. Ofelia sentiva che stava per accadere qualcosa, anche se non avrebbe saputo dire cosa. Quella era stata una serata importante sotto molti punti di vista, e aveva molte domande per Thorn, ma era come se sentisse che non era ancora il momento di porle.
Infatti, poco dopo lui le strinse delicatamente le dita guantate, mettendole sotto il naso una scatolina quadrata come quella che aveva dato a Serena.
- Per me? - domandò stupidamente lei.
Thorn la fissò con quello sguardo ipnotico che non aveva mai perso effetto su di lei, bloccandola come un uccellino spaurito di fronte agli occhi del serpente.
Impaziente, Ofelia aprì subito il regalo, senza neanche preoccuparsi di allontanarsi da Tyr per non svegliarlo.
Per un attimo aveva pensato che nella scatolina ci fosse proprio il regalo del figlio minore, ma vi trovò una collana.
- E Tyr? - chiese di getto.
Thorn increspò la fronte, preso in contropiede dalla domanda. Ofelia lo vide scuotere lievemente la testa, come se fosse contrariato. Non da lei, però, bensì dalla sua incapacità di riuscire a prevederla dopo tutti quegli anni insieme. Per quanto ormai la conoscesse intimamente, Ofelia rimaneva ancora un mistero per Thorn, e le sue domande improvvise accompagnate dalle azioni che a volte intraprendeva lo lasciavano spesso basito.
- Ha un orologio come quello di Balder. Glielo darò quando sarà più grande.
Ofelia approvò con un cenno prima di riportare l'attenzione sulla collana. Era uguale a quella di Serena, una catenina d'oro leggermente più spessa con un pendente dorato. Ofelia la prese in mano e con qualche difficoltà dovuta sia alla goffaggine che all'agitazione riuscì ad aprire il ciondolo. Al contrario di quello di Serena, non conteneva un orologio. Era un semplice sfondo avorio su cui erano incisi a sbalzo dei nomi dorati, come un elenco. Thorn, Ofelia da una parte. Serena, Balder, Tyr, Lisbeth dall'altra.
Per la prima volta da giorni Ofelia sentì il bisogno di piangere non per la tristezza, ma per la gioia, per la commozione e l'amore che provava.
- È… non è bellissimo. Cioè, lo è. Io...
Ingarbugliandosi da sola nelle parole come troppo spesso le accadeva, Ofelia desiderò per una volta riuscire ad esprimersi chiaramente, aprire il suo cuore a Thorn. Ma non ci riuscì.
- Te la metto? - domandò lui, a disagio, forse incerto sull'apprezzamento del regalo da parte di Ofelia.
Annuendo, lei gli passò la collana, chiudendola con cura dopo aver accarezzato con lo sguardo i nomi della sua famiglia, e gli diede le spalle. Spostò i capelli aggrovigliati e gli permise di allacciarle il ciondolo. Quando sentì il peso del monile ricaderle sul petto, lo percepì familiare e confortevole, come se fosse sempre stato quello il suo posto.
Thorn si schiarì la voce e Ofelia percepì la tensione del suo corpo alle sue spalle come se fosse incapace di trattenere gli artigli. Non sentiva dolore o fastidio, ma era come se tutto il suo imbarazzo e il suo essere così poco avvezzo a quelle situazioni la toccassero.
- Non ho mai... pensato di farti dei regali. So che di norma però un uomo dovrebbe farne ad una donna. Quindi...
Thorn prese un respiro particolarmente profondo. Ofelia continuò a dargli le spalle. Voleva guardarlo in volto, voleva vederlo vulnerabile come si sentiva lei, ma sapeva che Thorn avrebbe fatto ancora più fatica a parlare se lei lo avesse distratto. In compenso, senza farsi notare cominciò a slacciarsi i bottoni della camicia da notte. Lui le aveva sempre concesso tutto il tempo del mondo, lei avrebbe fatto altrettanto.
- Un regalo, ecco, per te e per i bambini, e per ricordare Lisbeth. Non perché verrà dimenticata senza un promemoria, solo per... portarla con noi...
Ofelia alzò di scatto la testa. Si girò, calciandosi un piede da sola ma senza perdere l'equilibrio. Cercò sul volto di Thorn una conferma, ma trovò solo le punte rosse delle sue orecchie a tradirne il disagio.
- Hai un orologio anche tu?
Leggendo tra le righe la vera domanda di Ofelia, Thorn prese il suo immancabile orologio da taschino e lo aprì. Il consueto tac-tac fendette l'aria, simile al battito di un cuore metallico. Thorn le indicò con un lungo dito l'interno dello sportellino, quello che andava a chiudere il quadrante dell'orologio: anche lui aveva fatto incidere all'interno dei nomi, quello di Ofelia e dei figli, fino a Lisbeth.
Quando fu sicuro che Ofelia aveva visto la modifica, richiuse con uno scatto l'orologio, sempre lucido e immacolato nonostante gli anni, e lo rimise nella tasca della giacca da intendente che ancora doveva togliersi.
Ofelia continuò a fissarlo, immobile, finché lui non distolse lo sguardo. - Ti piace? Può andare bene? - le domandò, insicuro come non l'aveva mai visto.
In risposta, preda di un intollerabile bisogno di contatto che la fece quasi vergognare, lasciò cadere la camicia da notte, rimanendo esposta di fronte a lui, vestita solo della biancheria e della collana che, già lo sapeva, non si sarebbe mai tolta.
Thorn cercò di non mostrarsi troppo impaziente e avido mentre osservava il flebile luccichio dell'oro contro la pelle di Ofelia e le sue curve. Lei invece non riuscì bene a mascherare il suo desiderio; alzatasi sulle punte, gli fece scorrere le mani sul petto e gliele allacciò dietro al collo, per tirarlo verso di sé. Ci arrivava a malapena nonostante si fosse allungata sulle punte.
- La superficie del retro è uno specchio. È molto piccolo, ci passano difficilmente due dita, però almeno se ti troverai in difficoltà avrai sempre sotto mano qualcosa con cui mandare messaggi o contattarmi. Ne terrò uno anche io sulla scrivania così...
Ofelia lo zittì con un bacio imperioso, stringendosi a lui. Allontanandosi da Tyr, che non era proprio il caso di disturbare finché dormiva, riuscì a spingere Thorn contro il muro. Perdendo finalmente ogni reticenza, lui le permise di spogliarlo, con i suoi ritmi e i suoi ingarbugliamenti di dita, mentre le accarezzava ogni centimetro, ogni millimetro di pelle esposta, liberandola poi di quel poco che la copriva, eccetto i guanti e la collana.
Erano entrambi a corto di fiato e smaniosi quando Ofelia finalmente riuscì a liberargli il torso. Thorn si occupò da solo dei pantaloni e delle scarpe prima di spingere gentilmente Ofelia a letto, seguendola subito dopo. Quando fu sdraiata le tolse anche gli occhiali e i guanti, baciandole il punto del petto su cui si era depositato il ciondolo dorato.
Ofelia allontanò la bocca di lui per un attimo, prendendogli il viso tra le mani e sussurrandogli con voce spezzata: - Ti amo, Thorn.
In risposta, lui si fuse con lei e le depositò un bacio in fronte, respirando contro la sua pelle mentre si muovevano insieme.
- Io anche un po' di più - sussurrò contro il suo collo in un soffio poco dopo, prima di accasciarsi su di lei senza pesarle addosso.
Ofelia si aggrappò alla sua schiena ruvida di cicatrici, accarezzandolo in punta di dita e chiudendo gli occhi, beandosi del contatto con il suo corpo caldo, con il suo petto ampio, del profumo di sapone dei suoi capelli ora spettinati.
In pace con se stessa, finalmente, non sarebbe riuscita a misurare il tempo che era passato nemmeno se dentro al pendente ci fosse stato un orologio, come in quello di Serena. Quando però Thorn si scostò lo trattenne, incurante di che ora fosse, e gli salì sopra baciandogli tutto il viso, la mascella, il collo e il petto con infinita dolcezza. Thorn la fissava tra le palpebre quasi chiuse, il bagliore metallico delle pupille come unica prova del fatto che non stesse dormendo e avesse gli occhi aperti.
Si unirono di nuovo, ma senza fretta, con la calma di chi conosce l'altro meglio di sé e senza alcuna urgenza da soddisfare, solo il bisogno di sentirsi vicini, stretti, fusi insieme.
Ofelia non pianse, nonostante quella punta di dolore che sentiva nel cuore, lenita però da tutto l'amore che provava e riceveva. Aveva troppo di cui essere grata per rattristarsi.
Si addormentò subito dopo, con Thorn che le rimboccava le coperte, ritrovandosi a pensare che finalmente quella notte, stretta tra le sue braccia, aveva finalmente ritrovato se stessa.
Aveva fatto ritorno a casa.
 
La mattina dopo i bambini andarono a svegliarli, facendo di tutto per mettere in mostra i propri regali: Serena se ne stava impettita come un uccello impagliato mentre Balder sventolava ovunque il polso. Ofelia lo vide sbattere l'orologio contro la porta e controllare nel panico che Thorn non se ne fosse accorto. Il bambino tirò un sospiro di sollievo quando vide che il suo papà non aveva visto e che l'orologio non si era rovinato.
Ofelia quella notte aveva capito quanto il viaggio e quegli ultimi giorni avessero distrutto Thorn: quando Tyr si era svegliato, alle prime ore del mattino, non aveva sollevato nemmeno una palpebra, sordo a tutto; era sempre stato lui ad alzarsi ancora prima che i bambini piangessero, con il sonno tanto leggero da svegliarsi anche se qualcuno passava fuori dalla loro camera. Ofelia aveva portato il bimbo in cucina per dargli del latte, ormai non lo allattava più da parecchio, e quando era tornata, con Tyr riaddormentato, Thorn era rimasto fermo nella stessa posizione, anche quando si era rimessa sotto le coperte e lo aveva abbracciato.
Non fu sorpresa quindi quando la informò che quel giorno avrebbe lavorato a casa. Ofelia sospettava che anche far incidere e commissionare i loro regali gli fosse costato parecchio in termini di tempo. L'idea di Thorn che discuteva con qualcuno di una cosa così personale la fece sorridere. Si immaginava il povero artigiano che aveva dovuto realizzare i gioielli, come doveva essersi sentito al cospetto dell'intendente, che altro non era che l'uomo più alto, freddo e spigoloso che Ofelia avesse mai visto.
Mentre Renard faceva lezione a Serena, Ofelia ne approfittò per spiegare a Balder come animare le lenti neutre degli occhiali per farle adattare alla sua miopia. Non fu molto semplice far capire quei concetti ad un bambino piccolo, ma Balder aveva voglia di imparare, e soprattutto di indossare i suoi occhiali, quindi si applicò con impegno. Quando, dopo molti falsi allarmi, nel primo pomeriggio urlò di gioia che ci vedeva "così bene che poteva vedere la pelle grinzosa della zia Roseline anche da lontaniiiissimo" Ofelia aveva capito che ce l'aveva fatta davvero. E che probabilmente era anche più capace di Serena con il suo dono. La zia Roseline non l'aveva presa granché bene, invece, ma era bastato un complimento di Archibald per farla arrossire e dimenticare l'offesa.
A giornata conclusa, Ofelia subissò Thorn di domande quando si furono sdraiati a letto, con Tyr in mezzo a loro nel lettone. Non ne voleva sapere di addormentarsi, ma finché stava tranquillo meglio lasciarlo in pace. Gli chiese di come gli fosse venuta l'idea di andare a prendere, anzi, "far mandare a prendere", come l'aveva corretta Thorn, il prozio; delle ragioni più profonde e nascoste per cui aveva voluto regalare ai bambini collane e orologi; di come li avesse commissionati, e quando; di cosa avesse fatto in quei giorni in cui era stato via, omettendo la parte relativa al suo timore di un abbandono.
Thorn le rispose con poche e stentate parole, senza arricchire il racconto di dettagli, anzi, senza raccontare proprio nulla se non i fatti nudi e crudi, privi di sentimento e di entusiasmo. Ofelia fece così fatica a cavargli i fatti di bocca che finì con l'addormentarsi prima di Tyr, soddisfatta nonostante le risposte parche e monosillabiche perché Thorn non avrebbe tollerato da nessun altro, se non da lei, un terzo grado simile.
E Ofelia aveva iniziato a sottoporglielo appena si erano conosciuti, senza sapere nulla su Thorn e la sua idiosincrasia verso il mondo.
Non le servivano gesti o parole dolci da Thorn quando questi le dimostrava chiaramente quanto lei fosse importante andando contro alla sua stessa natura.
Scivolando nel sonno si chiese come avesse potuto un uomo che non aveva nessuna dote nel raccontare storie addormentare per anni tre bambini, facendoli letteralmente pendere dalle proprie labbra. Poi si rese conto che non servivano doti da narratore per parlare di matematica, la materia più soporifera del mondo. Forse avrebbe dovuto parlarne anche lei ai bambini, per tenerli buoni.
Quando Thorn, più tardi, rimise Tyr nella culla, aggrottò la fronte davanti al sorriso di Ofelia mentre dormiva.
  
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