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Autore: searidings    26/11/2021    3 recensioni
È appropriato, pensa Kara. Kryptonite e Lena. La sua debolezza saldata nel cuore della sua più grande debolezza.
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Kara Danvers, Lena Luthor
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Buonsalve a tutti e grazie in anticipo per aver cliccato su questa storia :)
Volevo premettere che questa fanfiction NON è MIA, ma appartiene all’autrice: searidings, che ha scritto anche tantissime altre meravigliose storie supercorp in lingua inglese che ho deciso di tradurre per farle arrivare anche a tutti i fan italiani della coppia. 

Spero di aver reso abbastanza bene la storia e le sue sfumature. Come molti di voi già sapranno, con le traduzioni, si tende sempre a perdere quel qualcosa che solo la lingua originale può dare, però ho cercato di fare del mio meglio, ma in caso notate qualche errore - anche di grammatica - fatemi sapere e provvederò a sistemare. 

L’autrice della fanfic in questione è al corrente del fatto che io la stia traducendo e, assieme a me, seguirà anche le vostre recensioni, quindi fateci sapere ;)
Vi lascio anche il link della storia originale che potete leggere qui.

 

Titolo: hollow talk
Autore: searidings
Pairing: Kara/Lena
Ambientazione: stagione 5 episodio 13


 


 

 


 

“Listen to me. I am your echo. I would rather break the world than lose you.”

- Amal El-Mohtar, "This Is How You Lose the Time War"



 

“Tu non sai niente di cosa sia la sofferenza, ma io lo so.” 

Lena, che non è veramente Lena, ma che sarà sempre e allo stesso tempo non sarà mai più la stessa Lena, si accovaccia tra i frammenti scheggiati davanti a lei. Nel suo petto, dove dovrebbe pulsare il suo cuore umano, vi è un pugno di Kryptonite verde che sta attanagliando Kara, corrodendo ogni cellula del suo corpo con una fame soprannaturale.

Kara sta bruciando ma Lena, Lena è già cenere. 

“Ma posso mostrartelo. Posso farti sentire quello che sto provando io.” La sua voce è un eco. Una bara vuota. L’effigie di una luce da tempo estinta, un’anima a lungo defunta. 

I suoi lineamenti duri non vacillano, non si ammorbidiscono. 

Kara forza un ultimo, fatale respiro fuori dai suoi polmoni, solo per essere in grado di pronunciare qualche parola. “Non combatterò con te, Lena.”

Non posso, avrebbe dovuto dire. Non potrei mai, avrebbe detto in circostanze normali. 

Ma, alla fine, qua non c’è niente di ordinario, nessuna vittima dai piani alti. Arrendersi, sottomettersi, cedere — questa è una scelta fatta consapevolmente. Un dono offerto gratuitamente. Una promessa intrisa di sangue.

Lena raddrizza la schiena e la sua voce è morbida e la profonda piega fra le sue sopracciglia potrebbe quasi, quasi, essere confusa per pietà. “Allora vorrà dire che morirai urlando.”

E così accade. 

 

 

 

Kara urla.

Urla mentre il suo corpo bolle vivo e la sua anima freme nel suo guscio mortale. Urla mentre il mondo si illumina di verde e la sua vera essenza si fa a pezzi, e tutta l’esistenza implode intorno a lei, ma anche quello non basta a portarle sollievo. 

Urla finché la sua voce non cede e poi continua a urlare ancora, e ancora. Urla come se così facendo il dolore diminuisse. Come se avvenisse una trasmutazione, una conversione in onde sonore della kryptonite che scorre acida nelle sue ossa. 

Una permuta; un tipo di radiazione per un altro. Da nocivo a innocuo. 

Urla come se ci fosse qualcuno là fuori ad ascoltarla. Urla come se qualcuno sentisse, come se a qualcuno importasse. 

Urla, e urla, e urla. 

E quando le urla cessano – quando il verde sbiadisce facendo spazio all’oscurità e l’intensa agonia diminuisce a poco a poco e le sue grida lasciano posto a dei conati di vomito gutturali e singhiozzi rauchi, spezzati – Lena è ancora lì.

Lena è li, inginocchiata accanto a lei, i polpastrelli di tre dita premuti sullo sterno di Kara. Dita che premono proprio nel centro del suo petto, proprio sopra l’incavo dove –  dietro allo sterno – carne e ossa hanno ceduto il loro spazio a metano e morte. 

Kara sta tremando così forte che il suo corpo interrompe l'alone di vetri rotti che lo risuonano; il suono acuto e sottile del cristallo in frantumi che le riempie le orecchie. Le dita di Lena premono con fermezza, indice, poi medio, poi anulare, fermando la sua cassa toracica contro il linoleum che ricopre il pavimento dell’edificio.

La sua voce è una vibrazione attraverso il nucleo fuso del pianeta. "Perché non combatti?”

Kara non riesce parlare, non riesce a respirare. L’unica cosa in grado di fare è fissarla attraverso gli occhi macchiati di morte, l'immagine luminosa di un dolore ineffabile che si aggrappa scivoloso a ogni filo nel tessuto del suo essere.

“Io ti conosco,” le dice Lena, e Kara trema, mentre le lacrime le sgorgano dagli occhi, sforzandosi di non ricordare quel tempo in cui quella stessa frase, pronunciata da quelle stesse labbra rosse, in una realtà lontana, era stato tutto ciò che aveva mai sperato di sentire.

“Conosco le tue capacità, Supergirl.” La voce di Lena è calma, il suo comportamento impassibile. La pressione delle sue dita non vacilla nemmeno per un istante. “Quindi perché non combatti?”

E Kara non sa come spiegarle che sono i suoi poteri la causa ultima ti tutto ciò, la stessa fionda che le ha catapultate entrambe in questo inferno. Non sa come articolare che per tutto ciò che le sue mani sono capaci di fare – schiacciare l’acciaio, sbriciolare le montagne, spaccare le ossa –  l'atto migliore, il più gentile, il più potente di cui sono capaci è il  lasciare andare. L’arrendersi. L’accettazione.

Lena appiattisce la sua mano, il palmo che si curva verso l’arco delle costole di Kara, proprio sopra il suo diaframma. E quel contatto, in qualche modo, è il più intimo che Kara abbia mai avuto con la pelle di Lena e questo pensiero, così improvviso, smuove qualcosa di denso e igneo dietro la sua trachea. La sua testa rotola di lato in preda a dei conati di vomito mentre la bile, tinta di rosso e ferrosa, si fa strada dalla sua bocca. 

Lena si limita a guardare, la sua apatia così totale da soffocare.

“Il tuo nome,” mormora la mora mentre Kara continua a sputare sangue dalle sue labbra, il petto che si solleva sotto il pesante palmo di Lena. "Hai detto che il tuo nome è Kara.”

Si sforza di incontrare lo sguardo di Lena, le ciglia che sbattono. Il terreno duro sotto di lei avvertito come cento milioni di chiodi contro la sua pelle; la secca sotto il naufragio del suo corpo avvelenato. Kara non riesce ad articolare una risposta a quell’affermazione, ma Lena è comunque in grado di notare la conferma nella piega disperata della sua fronte.

“Kara.” Ripete la mora ancora una volta e il suo nome pronunciato in quel modo, da quella labbra carnose e rosse, Kara vorrebbe poter dire che non faccia male, che non abbia importanza, che non incendi qualcosa dentro di lei, ma non può. Perché fa male, perché ha importanza, perché innesca qualcosa.

“Kara. Solo due sillabe. Una cosa così piccola.”

La mano di lena non si è mai mossa, le sue dita incanalano i solchi delle costole di Kara, le punte scavate nella concavità del suo plesso solare.

“Gli abitanti di questa città avrebbero sicuramente urlato tale nome.” Le sue unghie affondano leggermente nella sua pelle, una pressione deliberata esercitata su uno dei punti più vulnerabili del corpo di Kara. Non abbastanza per inabilitarla ulteriormente ma solo un promemoria dell’eventuale possibilità.

“Sicuramente più breve che urlare il nome di Supergirl. Più facile.” Continua Lena, voce morbida e fredda allo stesso tempo. “Avrebbero urlato il tuo nome quando mio fratello stava facendo a pezzi il loro mondo. Io avrei urlato il tuo nome. Ma loro non lo sapevano.”

Le dita di Lena si rilassano contro il suo sterno. Il suo pollice traccia il bordo inferiore della cresta sul petto di Kara, il modo in cui si modella sul rigonfiamento del suo seno. “Loro non lo sapevano, e tu non eri qui.”

C'è del sangue che ricopre i denti di Kara, può sentirne il sapore. "Perché non sono morta?” Raschia con uno sforzo esorbitante, ansimando. "Perché non mi hai ucciso?"

Lena inclina leggermente la testa. “Vuoi che ti uccida?”

Il modo così casuale in cui è stata posta la domanda, quel tono imparziale, è come un coltello che trafigge il cuore già mutilato e storpiato di Kara. “No.”

Un paio di labbra rosse si separano in minima parte, solo un’oscurità eterna è visibile al loro interno. "Mi fermerai?"

Kara tenta di deglutire, ma fallisce. “Non combatterò contro di te.”

Il freddo abietto in quegli occhi verdi diventa ancora più gelido. "Ho chiesto," e stringendo le dita, le unghie mordono la carne indebolita di Kara, "mi fermerai?”

Quando una domanda non è una domanda? Quando c'è una sola risposta possibile: “No.”

La mano sul suo petto si allenta. Lena la guarda con curiosità, l'interesse distaccato di un osservatore spassionato. “Beh, questo è davvero sciocco da parte tua."

Kara decide di ignorare quel commento. Non ha senso perdere tempo su delle verità a lungo riconosciute. Sputa un'altra boccata di sangue sul linoleum consumato che giace sotto la guancia. “Ti aiuterà?"

Le labbra di Lena si increspano infinitamente. "Che cosa mi aiuterà?”

“Ti aiuterà,” riesce a ripetere, ansimando, “a farmi sentire quello che provi tu?”

Questa volta, si può vedere un solco nella fronte pallida di Lena, un restringimento dei suoi occhi scuri. “Che cosa?”

Kara chiude gli occhi, tanto, troppo stanca. "Ti aiuterà, Lena, farmi del male?

Il viso sopra di lei diventa guardingo, in cerca forse di una trappola. “Perché me lo chiedi?”

Come se non fosse chiaro ormai. “Perché puoi,” sussurra Kara, mentre le sue scarse forze diminuiscono. I muscoli tesi si rilassano, la guancia penzola contro la bile sanguinolenta che ricopre il pavimento. “Puoi farmi tutto ciò che vuoi, se questo ti aiuta.”

L'oscurità incombe, densa di sangue e letale per la kryptonite. L'ultima cosa che Kara registra è una pressione, le nocche di Lena premute a valle tra i suoi seni, attraversando l'arcipelago del suo sterno.

E poi il tempo si dissolve, e Kara con lui.

 

 

 

Quando Kara riapre gli occhi, è passato abbastanza tempo perché il sangue sulla sua pelle si sia seccato, adesso è uno strato appiccicoso e screpolato. Non abbastanza, però, perché il cielo oltre le ampie finestre che adornano l’edificio di Catco si sia illuminato del tutto. Non abbastanza a lungo affinché il suo corpo potesse guarire. 

Rotea la testa e numerosi scrocchi scandiscono ogni singola vertebra del suo collo. Attraverso la desolata distesa dell'ufficio decimato Lena siede silenziosa, come un'ombra mutevole nel debole bagliore rosso. Sta osservando Kara intensamente, le gambe accavallate, le mani incrociate sull’addome.

Alza un sopracciglio mentre gli occhi di Kara si aprono. Il lembo di tessuto nero sul suo petto è stato sostituito, il veleno verde brillante ancora una volta nascosto alla vista. L'urlo nel sangue di Kara è diminuito, la fiamma nel suo midollo si è ridotta a brace ardente. Il pannello deve essere piombato.

Tuttavia, nessuna quantità di vestiti può nascondere la verità. Niente può mitigare l'orrore di ciò che è avvenuto qui.

È appropriato, pensa Kara. Kryptonite e Lena. La sua debolezza saldata nel cuore della sua più grande debolezza.

"Sei viva.” È Lena la prima a interrompere il silenzio, riempiendo quelle ampie pareti che le circondano.

Kara spalanca gli occhi e serra la mascella. "Non mi hai ucciso.”

“Volevo sapere il perché,” le dice Lena con un'aria di neutrale disinteresse, affrontando la domanda inespressa senza preamboli, “Non mi combatti ma invece ti offri volontaria per essere ferita da me. Non riesco capire.”

Con uno sforzo enorme, Kara costringe il suo corpo palpitante a rotolare su un fianco e si lecca le labbra secche che sanno di ferro. “Posso... posso avere dell’acqua?”

Lena la fissa in modo piatto. “No.”

Il silenzio si protrae per diversi lunghi, interminabili momenti. Testa che gira, stomaco in subbuglio, arti che tremano, Kara si spinge verso l'alto. Metà striscia, metà si trascina sulle ginocchia e sui gomiti fino alla scrivania capovolta in fondo all'ufficio. Quella era stata la scrivania di Cat, una volta. Poi di James. Poi di Lena.

Si appoggia contro di essa, ansimando, gli occhi chiusi mentre aspetta che l'ondata di dolore, nausea e vertigini passi. Ma non accade. Alla fine, non ha altra scelta che riaprire gli occhi. 

“Perché ti sei arresa?” Le chiede di nuovo Lena. E se la donna è colpita dalla sofferenza di Kara, nulla in lei lo tradisce. “Perché non combatti?”

La testa di Kara gira così forte che cade di lato, il corpo che scivola contro il bordo carbonizzato della scrivania. Riesce ad allungare una mano, appoggiandosi al pavimento una frazione di secondo prima di colpirlo di faccia. “Perché è così importante per te che io combatta?”

"Sei Supergirl.” Lena ribatte con disprezzo, spezzando la calma patina che sembrava essersi formata, rivelando un accenno del veleno al suo interno, e non è questo il punto cruciale di tutto? Lei è Supergirl, e questo è il motivo per cui tutto intorno a lei brucia.

“Potresti essere un Dio,” continua Lena, con una calma ritrovata, le parole che esplodono nello spazio tra loro. “Eroe o terrorista. Ma non c'è dubbio che tu sia potente. Eppure hai deciso di non alzare un dito su di me. Voglio sapere il perché.”

Kara sospira, solo che è più un ansimare, che è davvero più un sussulto mentre lotta per portare aria nei suoi polmoni convulsi. “Perché non voglio.”

Un muscolo nella mascella di Lena sussulta. “Come mai?”

"Perché farei qualsiasi cosa per te.”Ammette Kara, realizzando onestamente, che se l'avesse ammesso un po' prima forse non sarebbero mai finite fino a questo punto.

Lena arriccia le labbra. “Tutto tranne salvarmi la vita.”

Kara chiude gli occhi. “Anche quello. Soprattutto quello.”

“Ma non l'hai fatto.” La voce di Lena è dura come la pietra, ogni parola una campana a morto. “Non eri qui.”

“Lo so e mi dispiace. Ti ho premesso che ti avrei sempre protetta e ho fallito. Ti ho delusa.”

Tutto ciò è pronunciato qui, in questo mondo da incubo, al guscio svuotato di una donna per lei preziosa, ma in realtà ogni parola recitata da Kara viene pronunciata per qualsiasi Lena, per la Lena di ciascuna linea temporale, per tutte quelle innumerevoli volte che l’ha delusa. Anche, e soprattutto, per la sua Lena.

“Non mi hai mai incontrata prima. Non so a chi tu l’abbia promesso, ma non ero io.” 

La labbra di kara si aprono in sorriso. Un sorriso piccolo e che sa di tristezza. “Eri tu. In un certo senso, eri tu.”

E quindi le racconta. Le rivela di Mxyzptlk e la sua offerta di una seconda possibilità e di tutte le agonizzanti linee temporali che ha visto sgretolarsi sotto i suoi occhi. Le racconta del tradimento che ha dato inizio a tutto. Di Lena, la sua Lena; di cosa significavano l’una per l’altra prima che la trappola dell'inganno di Kara fosse scattata, stringendosi attorno alle loro gole. Le racconta di cosa significa ancora Lena per lei.

Alla fine del suo racconto, gli occhi di questa Lena di induriscono, uno sguardo che potrebbe perforare un diamante.

“Mi sta dicendo che questo mondo, il mio mondo, non è reale?” 

Il viso di Kara si arriccia in una smorfia. “Lo è. Reale intendo, ma solo finché io sarò qui. Se io non riuscissi a tornare indietro, se non dovessi far più ritorno a casa, allora diventerebbe la realtà. Permanentemente.”

“Finché tu sarai qui.” Ripete Lena, il suo volto un'ampia tela di scioccata incredulità. “Quindi tutto riguarda te.”

“No, non è quello che io…”

Ma Lena non le da nemmeno l’opportunità di tentare. “Tu soffri veramente di deliri di onnipotenza.”

Udire quelle parole, pronunciate da quelle stesse labbra, con quella stessa furia che si abbatte su di lei, le provoca un dolore paragonabile a quello della Kryptonite.

A quanto pare, il mondo in cui si trova non è un fattore rilevante. Non importa quale Lena si trovi di fronte a lei. Fino a che Kara è il comune denominatore, è destinata a deluderla. Quindi si inumidisce le labbra, assaporando il vuoto dell’oblio. “Lena, mi dispiace.”

“Perché?” La maschera impenetrabile è tornata, insieme a quello stesso tono distaccato. “Perché ti stai scusando con me? Non sono io quella che ha iniziato tutto questo. Non sono colei che tu hai ferito.”

“Ma lo sei!” Kara esclama, avvicinandosi leggermente a lei. “Questo mondo è una mia responsabilità. Creato da una mia decisione, la stessa che — che ha portato te qui, ora. Ti ho ferita perché non ti conoscevo. Perché non ero qui per te.”

Lena la fissa per qualche istante. “Non sono nemmeno reale.”

“Il tuo dolore è reale. La tua sofferenza la sento anch'io. Proprio qui.” Il pugno di Kara preme contro il suo plesso solare, un riflesso inconscio del centro dell'agonia di Lena. “Vuoi che io senta quello che provi tu? Lo sento. Quando tu soffri, io soffro.” Un angolo della sua bocca si apre in un sorriso così triste che quasi brucia. “Sempre.”

Lena serra la mascella. “Forse con lei.”

Kara scuote leggermente la testa, il palmo della sua mano si rilassa e giace aperto sulla sua gabbia toracica, in prossimità del suo cuore. E improvvisamente, capisce. Questo è ciò che Mxy stava cercando di mostrarle. “Con te. Sempre con te.”

Lena raddrizza la schiena. Il suo volto è una fortezza, i suoi occhi i parapetti ornati di punte. Regna il silenzio, teso e temperato, finché la mora non parla di nuovo. “Ma questa donna. Quest’altra — la tua Lena,” le dice, in tono freddo e calmo. “Lei non è me. E io non sono lei.”

“No.” La flebile ammissione fluisce fuori da lei, liscia e naturale come un respiro. “Ma non importa. Qualsiasi mondo, qualsiasi universo. Sei sempre mia.” Pronuncia queste parole senza fermarsi, senza ripensamenti. Eppure. “Cioè — no.” Non può dire cosi. Dopotutto non è vero. “Quello che voglio dire è — io sarò per sempre tua.”

Lena si ferma ad osservarla, la mascella dura e la pelle cinerea e le ciglia scure che tremano sugli occhi verdi socchiusi.
Vede se stessa in quegli occhi. Vede il suo passato, il suo futuro, i suoi sbagli e i suoi sogni. Vede il suo stesso rimpianto; un essere vivente che si contorce. Vede ogni lacrima, ogni supplica, ogni scusa e tutto il tempo in cui ha cercato di rimediare, senza alcun risultato.

Lena si prende il suo tempo prima di rispondere, come se stesse valutando il peso delle parole che andrà a pronunciare. Si assicura che i suoi occhi incrocino quelli di Kara, che siano incatenati gli uni con gli altri, prima di parlare. “Tu sei sempre mia.” Ripete, gelida come la pressione dell'acciaio affilato alla giugulare. “Eppure…”

Eppure.

Eppure eccole lì, due cuori spezzati in due corpi sconfitti, che sanguinano sul terreno mentre i se e i ma filtrano dalle loro vene. Eppure, da qualche parte là fuori, in un tempo, in una vita e in un mondo a cui Kara tiene più di ogni altra cosa, in una realtà che potrebbe non tornare mai più, un'altra donna con lo stesso volto di Lena sta cadendo a pezzi. Eppure, nonostante l'amore che turbina ricco di ossigeno e altrettanto vitale in ogni sussulto dei suoi polmoni affannati, Kara l'ha delusa. Ha deluso entrambe. Ha deluso tutti.

Sì, pensa Kara. 

Eppure.

 

 

 

 

Il silenzio calato dopo questo scambio di battute si protrae per parecchio tempo.

Con l’assalto di Lena, il corpo di Kara è irradiato da una quantità di Kryptonite troppo grande perché le sue cellule possano filtrarsi da sole. È avvelenata, contaminata fino al midollo, e probabilmente morirà qui.

Mxy non ha modo di riportarla a casa e probabilmente non ne troverà uno prima che il corpo di Kara ceda. Non che si meriterebbe la facile fuga anche se dovesse materializzarsi.

Quindi Kara è convinta che morirà qui, disperata e angosciata e più dispiaciuta di quanto non sia mai stata in vita sua. Le persone che ha già ferito continueranno a soffrire e il danno che ha causato continuerà a ingigantirsi.

Lena, la sua Lena sarà probabilmente cancellata dall’esistenza. È una maledizione, si rende conto Kara, una maledizione insopportabile, sapere che l'oblio a volte è una gentilezza.

Ma non è ancora morta. C’è ancora tempo quindi, forse, c’è ancora speranza. 

Forza il suo corpo cadente a raddrizzarsi. “Non mi hai ucciso.”

Lena la guarda spassionatamente, lo sguardo che fluttua tra le vene verdi di Kara, le sue ossa tremanti, il sangue secco che le cola dalla bocca. “Morirai abbastanza presto.”

"Ma non mi hai ucciso." Ripete Kara. Questa è una cosa importante, lo sente. Questa potrebbe essere la chiave di tutto. “Perché ti sei fermata, Lena? Perché non l’hai fatto?”

Lena alza il mento mentre una sfida familiare le brilla negli occhi. “Continua così e potrei ancora farlo.”

“Io credo di no.” Con uno sforzo astronomico, Kara riesce a mettersi in ginocchio. Il mondo si inclina disgustosamente e la donna sprofonda sui talloni, le mani appoggiate sulle cosce piegate. Alza lo sguardo su Lena attraverso ciocche di capelli arruffati di bile, imponendo a se stessa di non vomitare, non in quel momento. “Non credo che tu voglia uccidermi.” Ansima Kara, ogni parola un marchio attraverso la carne già in fiamme. “Penso che qualcosa ti abbia fermato. Qualcosa nel profondo del tuo cuore”.

Le labbra di Lena si arricciano. “Non ho un cuore. Non più.”

“Non ci credo,” dice Kara. “Posso ancora vederlo.”

Pensa alle lacrime negli occhi di Lena mentre erano a faccia in giù in questo ufficio tagliato di rosso, al modo in cui la sua voce si era incrinata attorno alle accuse che aveva scagliato come missili. Pensa a un dolore così completo che potrebbe significare solo la morte, pensa che finisca, che si interrompe prima che l'annientamento prenda piede.

“Potrà anche essere tutto diverso qui, ma tu sei ancora lei.” Le parole sono soffocate, grondanti dell'amaro pungiglione della bile. “Sei ancora Lena. Ti conosco, e penso... penso che tu conosca me.”

La postura di Lena si è irrigidita, la difesa si fa strada nelle linee delle sue spalle. “No.”

“Sì.” Kara si lancia in avanti, agitando le braccia, per metà strisciando e per metà trascinando il suo corpo pieno di vesciche sul pavimento. “Lo senti anche tu, vero? Una connessione tra di noi.”

Lena si alza dalla sedia, le gambe della seduta che raschiano bruscamente contro il pavimento. “No.”

“Siamo importanti l'uno per l’altra,” sussulta Kara, più per il linoleum macchiato di sangue che per Lena, mentre continua la sua traversata tortuosa. “In qualsiasi universo — in ogni universo — puoi sentirlo. Ecco perché non potevi uccidermi. Ecco perché non puoi porre fine a. tutto questo.”

“Attenta,” la avverte Lena, gelida come una tomba. “La Ragazza d'Acciaio è andata in frantumi. Un altro colpo forte da parte mia e sarai morta.”

“Ma non vuoi farlo,” insiste Kara, le parole ferme anche se le sue corde vocali si indeboliscono sempre di più. “Non vuoi.”

“Non c'è niente che voglio.” Il tono di Lena è più duro e gelido di ciò che si cela nei suoi occhi. “Non c'è niente da volere. Sto morendo. Sto morendo dal giorno in cui mio fratello ha sparato in cielo verso il mio elicottero in decollo, e questo…” un lungo dito batte leggermente contro il pannello che copre il suo petto sfigurato, “questo ha solo accelerato il processo. Non vivrò per vedere un altro anno. Non voglio vivere un altro giorno.”

“Allora fallo. Se non hai niente da perdere, se veramente non c’è niente in grado di fermarti, fallo.” È la disperazione che spinge queste parole fuori dalla bocca di Kara. È a metà dell’ufficio, ormai. È a metà strada da lei. "Fallo. Uccidimi subito”.

“Lo farò.”

“Va bene.” La forza di Kara alla fine si esaurisce e lei crolla, a faccia in giù in mezzo al pavimento. “Allora fallo.”

Un ringhio furioso e strangolato colpisce le sue orecchie e il secondo successivo kara si sente sollevare, la realtà che ondeggia intorno a lei, mentre Lena la strappa da terra tenendola per il colletto.

Il suo viso è contorto dalla furia, il calore ardente scioglie la patina di ghiaccio dall'interno. “Hai sfidato la sorte una volta di troppo, Supergirl!” Esclama veemente la mora, apparentemente imperturbata dal modo in cui il corpo di Kara penzola dalla sua presa come una bambola di pezza floscia. “Guardami mentre ti frantumo.”

Una mano si alza, strappando il lembo che copre il suo nocivo cuore verde. L'agonia trafigge il corpo di Kara all'istante, un miliardo di trilioni di aghi che si insinuano sotto ciò che resta della sua pelle.

“Volevo essere quella Luthor che ci è riuscita, che ha saputo condividere la sua casa con una kryptoniana, ma non ne ho mai avuto la possibilità,” ringhia Lena, con la sua presa che preme sulla clavicola di Kara. Il cuore di Kryptonite brilla più luminoso che mai, un avvertimento di una frazione di secondo prima che si scarichi. L'ultima cosa che Kara vede è il verde degli occhi di Lena, più consumati del veleno.

La voce di Lena non trema: “Ora, almeno, possiamo condividere una tomba.”

 

 

 

 

La kryptonte la colpisce.

Ogni singola cellula nel corpo di Kara canta all’impatto, intonando un lamento funebre. È quella nota acuta e sottile che frantuma il cristallo, un battito del cuore prima dell'implosione. È l'urlo quando il mondo finisce.

Tutto è un supplizio, una folta foschia verde. Kryptonite verde, che corrode la vita stessa. Occhi verdi, scintillanti di lacrime.

Ma qualcosa è cambiata. Deve essere diverso, perché non è scagliata all'indietro dalla forza della Kryptonite. Lena la sta ancora tenendo, i suoi piedi che penzolano a pochi centimetri dal suolo, mentre la Kryptonite si schianta contro di lei a un pelo di distanza. Kara quasi ride per l’ironia della situazione. Una linea diretta, dal cuore di Lena al suo.

“Reagisci.” La incita la mora, sopra l'ululato nelle sue orecchie, il richiamo incessante di una morte troppo a lungo evitata. “Combattimi, dannazione. Contrattacca!”

L'esplosione di Kryptonite diminuisce in modo esponenziale, l'incendio nel suo corpo passa da inabilitante a semplicemente paralizzante.

"Fermami, Supergirl!" Lena urla e la disperazione nel suo tono è la cosa più reale che si è lasciata sfuggire dalle labbra per tutta la notte: "Colpiscimi. Uccidimi! Reagisci”.

Con uno sforzo così monumentale da poter invertire una stella, Kara riesce a inalare aria nei suoi polmoni. “Non ti farò del male, Lena. Non lo farò.”

Le mani sul suo colletto si stringono, tremando duramente. La testa di Kara scatta all'indietro, i muscoli si afflosciano, il collo penzola.

“È troppo tardi per quello,” dice Lena e ora ci sono decisamente lacrime nei suoi occhi, un notevole tremore nella sua voce. “Quindi fallo per me, per favore. Contrattacca. Uccidimi. Solo... fermami.”

Ed ecco che, in un lampo di chiarezza così accecante da bruciare accanto al bagliore della Kryptonite, Kara capisce. 

Realizza che vogliono la stessa cosa. Lei, questa Lena, la sua Lena. Stanno tutte cercando di raggiungere lo stesso punto, tutto ciò che vogliono è che questo incubo finisca. 

Quindi, Kara fa l'unica cosa che forse avrebbe già dovuto fare. L’atto più coraggioso e allo stesso tempo facile che abbia mai fatto.

Costringe i suoi muscoli a conformarsi, si lancia in avanti a mezz'aria e preme le sue labbra su quelle di Lena.

E’ un contatto duro, ruvido e imperfetto, i denti che cozzano, le bocche che sussultano. Una pressione vellutata per un battito, due, tre, e dopo l'esplosione di Kryptonite balbetta e svanisce. E poi, non resta altro che la sua bocca su quella di Lena, sangue e lacrime che si mescolano, un marchio indelebile dipinto tra loro.

Kara separa le labbra di Lena con le sue, la Kryptonite nei suoi muscoli impallidisce in confronto all'inferno che la squarcia a macchia d'olio al primo tocco della lingua di Lena contro la sua. Le sue mani tremanti si alzano, la mascella di vetro intagliato cullata tra i palmi. La sua testa si inclina più vicino attraverso lo scarso spazio tra di loro, più per la stanchezza che per qualsiasi altra cosa mentre la sua bocca sfiora quella della mora una, due, tre volte, gentile come una carezza d'amante sul fremito del labbro inferiore di Lena.

Non sarebbe mai dovuto succedere così, si ritrova a pensare Kara. Eppure, non lo cambierebbe. Eppure, non sarebbe mai potuto succedere in nessun altro modo.

Quando finalmente le loro bocche si separano, non vanno lontano. Una fronte fredda poggia su quella di Kara, due paia di occhi ben chiusi. Il respiro di Lena trema in modo irregolare, alto e acuto nella parte posteriore della gola. Una mano pallida si muove leggermente nello spazio tra di loro, fissando il pannello rivestito di piombo sopra la kryptonite nel suo petto.

C'è un momento in cui semplicemente esistono lì, insieme. Dove il naso di Lena le sfiora la guancia e le mani di Kara si arricciano contro il suo mento, il suo collo, il delicato incavo sotto il suo orecchio. E poi l'altra mano di Lena, quella ancora avvolta nel colletto di Kara e molto probabilmente l'unica cosa che la tiene in piedi, si libera.

Lena quasi la lascia cadere, spingendo via e barcollando all'indietro. Le sue guance, pallide come la morte, ora bruciano di un rossore roseo. Le tremano le mani. Tira giù il tessuto nero delle sue maniche per coprirle, stringendo forte i pugni nel tessuto, e Kara avverte il suo cuore spezzarsi per la familiare vulnerabilità del movimento.

Accartocciata a terra e troppo debole per fare qualsiasi cosa, alza il suo sguardo su Lena. I suoi muscoli tremano, il suo corpo scosso così forte che la vista le vacilla.

Allunga una mano fragile, le dita che bruciano sia per il sangue rappreso che per il tocco della pelle di Lena, mentre si sforzano debolmente sul pavimento liscio. “Lena..."

“Vai via da qui." La voce della mora è dura ma fragile allo stesso tempo; un guscio vuoto, echeggiante. È mezza girata dall'altra parte, incapace di incontrare lo sguardo di Kara, una mano che stringe il bavero chiuso della sua giacca nera. "Vattene ora. Lascia che il tuo spiritello ti porti a casa.”

Lo stomaco di Kara si contorce. “Possiamo solo…”

“No.” Un colpo di frusta. Si sente il rumore dello sparo nella frazione di secondo prima dell'impatto del proiettile. “Va’ via da qui e torna da lei.”

Le lacrime rigano le guance di Kara, il loro calore è trascurabile sotto il fumo del veleno nel suo sangue. “Lena, per favore…”

“Io non voglio tutto ciò!” Esclama la mora con forza, le unghie che graffiano i suoi capelli accuratamente acconciati, mordendo, graffiando. “Non voglio vivere in un mondo dove tu—dove noi siamo—” La frase si interrompe di getto, soffocata, agonizzante sotto il peso della sua rabbia, le dita pallide tremanti sul suo petto, sul suo cuore. “No,” ripete ancora, ferma anche se le lacrime scendono chiare come il cristallo e sfumate di scarlatto sulla curva della sua guancia. “No, te ne devi andare. Lascia che tutto questo... finisca. Torna dalla tua Lena.” Sputa quasi tutte le parole, gli occhi cerchiati di rosso e le labbra bagnate, voltandosi completamente verso Kara. “E sii più gentile con lei.”

Nel respiro successivo, se n'è andata.

Kara collassa, gli ultimi spiragli di forza che cedono quando il suo volto colpisce il pavimento. Pozze di liquido denso e soffocante si espandono sotto la sua bocca, il suo naso. Adesso non ha nemmeno la forza di alzare la testa.

Potrebbe essere sangue, potrebbero essere lacrime. È probabile che siano entrambi. Alla fine, come tante cose, non ha molta importanza.

 

 

 

 

Ad un certo punto, attraverso il dolore, l'oscurità e la disperazione cavernosa c'è un lampo di blu elettrico e incandescente, e all'improvviso Kara non è più a faccia in giù non sul pavimento duro in un'ombra contorta tra le pareti di Catco, ma nel morbido tappeto del suo appartamento. 

Una mano si posa sulla sua spalla e lei sussulta, incapace di trattenersi. Ma è solo Mxy, con gli occhi spalancati e disperatamente dispiaciuto, che l'aiuta a sedersi e ad appoggiarsi al bordo del divano.

Il suo corpo sta ancora tremando. Anche se non è più avvelenata, anche se la Kryptonite che l'aveva irradiata non è, in realtà, mai esistita, la avverte ancora. Un bruciore spettrale nel suo flusso sanguigno. Un cappio fantasma intorno alla sua gola.

“Lascia che mi faccia perdonare,” sta borbottando Mxy, troppo veloce e con tono troppo acuto per essere tollerabile nel suo fragile stato. “Sento che abbiamo imparato molto da tutto questo. Scegliamo un altro momento, un altro momento per dire a Lena la verità, so che possiamo…”

“No,” lo interrompe lei, confusa dal dolore, ancora tremante. “Non ho bisogno di un altro momento. Adesso ho capito.”

Saluta il folletto con uno spintone più deciso che può e poi vola, irregolare e instabile, zigzagando nell'aria fresca della notte.

Atterra nel balcone di Lena — è più uno schiantarsi in realtà. I suoi piedi si agganciano la ringhiera mentre scende e poi si accartoccia, una macchia rossa e blu sul freddo cemento bianco. La porta del suo balcone è aperta... bene.

Lena è in cucina che prepara del tè e sussulta all'arrivo di Kara, socchiudendo gli occhi... male.

“Fammi indovinare,” inizia la mora, riempiendo con tono gelido lo spazio fra di loro, “sei qui per dirmi, ancora una volta, che dovrei perdonarti.”

Ma Kara non riesce a parlare. Non è in grado di fare niente se non tremare, raggomitolata a terra a fissare Lena. La sua Lena, con i suoi soffici capelli raccolti in una coda di cavallo, i suoi calzini colorati che spuntano da sotto i suoi jeans, il suo comodo maglione viola che si tuffa in una raffinata V sul suo petto.

Il suo petto integro, senza macchie e senza cicatrici di metallo, senza kryptonite, senza morte.

Le sue labbra piene e prive di trucco. Le sue dita che si stringono sulle maniche del maglione. Il suo corpo bellissimo che vibra, così pieno di vita che Kara potrebbe mettersi a piangere. C’è quasi, può sentire le lacrime accumularsi sulla sua linea delle ciglia.

La fronte di Lena si corruga davanti alla sua forma curva, alla sua mancanza di risposta, al suo sguardo disperato. “Perché sei qui, Supergirl?” Le chiede con una fredda ostilità accompagnata da qualcos’altro, qualcosa di caldo e urgente che la donna sta cercando in tutti i modi di nascondere. “Cosa c’è che non va?”

Ancora una volta, Kara non riesce a parlare. Vedere Lena di fronte a lei così vitale e piena di promesse di un futuro che può ancora vivere, impedisce a qualsiasi parola di fuoriuscire dalla sua bocca. 

La riluttanza colora i passi di Lena mentre si avvicina, la diffidenza le annebbia i lineamenti. Si ferma a pochi passi di distanza, le braccia conserte sul petto, la soglia del suo soggiorno che le separa. È allo stesso tempo la barriera più insignificante e insormontabile che Kara abbia mai affrontato.

“Non puoi più piombare qui quando ti pare.” Le dice Lena, gli occhi serrati, concentrati a decifrare la strategia di Kara. “Quel privilegio ti è stato revocato.”

C’è freddezza nella sua voce, si, ma è così lontana dalla cenere gelida che ricopriva la gola di quella donna che questa donna sarebbe potuta diventare che, per Kara, il tono di Lena è come una spruzzata di sole.

Le lacrime si liberano dalle sue ciglia e la mora emette un respiro pesante.

“Cosa c’è, Kara?” Lena scatta in avanti, lo sguardo che vaga sul suo vestito, nel suo corpo. "Sei ferita? Tu... cazzo.” La frustrazione sanguina nel suo tono, l'irritazione le fa scorrere la mano attraverso l'estremità libera della sua coda di cavallo. “Hai bisogno che chiami qualcuno?” Lo chiede come se fosse l'ultima cosa che vorrebbe fare. Il fatto che sia ancora qualcosa che farebbe, nonostante tutto, non fa nulla per fermare il diluvio di lacrime di Kara.

“Lena,” riesce finalmente a sussultare, il corpo sconvolto dall'emozione, con le cicatrici di una battaglia mai combattuta. "Lena. Giuro che sarò sempre qui.”

Il mento di Lena si solleva di scatto, gli occhi si restringono, ma ora che Kara ha ritrovato la sua voce non la perderà più.

“Sarò sempre qui per te,” ansima, le unghie che affondano ruvide nella carne delle sue cosce. “Prometto che non ti lascerò mai e, e... e che farò tutto ciò che è in mio potere per tenerti al sicuro. Mi dispiace così tanto per quello che ho fatto, per come ti ho ferita, ma l'unica cosa che posso fare ora è cercare di essere migliore.”

Fa un respiro tremante, la vista esplode di verde, verde, verde. “Io... imparerò a essere più gentile con te, Lena. Lo giuro.”

Le labbra rosa di Lena sono tese per l'apprensione, la sfiducia che increspa la linea orgogliosa della sua fronte. “Cos'è questo?” Chiede la mora, ogni sillaba che trema quando colpisce l'aria. “Stai morendo?”

Kara sbuffa in una risata acquosa, mocciosa e in lacrime, perché sta accadendo, vero? Sta morendo dal giorno in cui Lena è uscita dalla Fortezza della Solitudine con Myriad in una mano e il cuore infranto di Kara nell'altra. Sta morendo dal primo giorno in cui ha aperto bocca davanti a questa donna, e tutto quello che è venuto fuori è stata una bugia.

“Lo so che ti ho ferita,” Ripete lei, invece “Lo so che sei arrabbiata, e hai tutto il diritto di esserlo. Lo capisco. Ma credo — Credo che in realtà quello che vuoi più di ogni altra cosa è che tutto questo finisca.”

Poi lancia un'occhiata a Lena, l’impenetrabilità del suo volto, le punte delle dita che battono sui suoi gomiti piegati. Non arriva alcun disaccordo, che, date le circostanze, sembra tanto una bandiera più bianca di quanto qualcuno possa osare sperare.

“E lo voglio anche io.” Sussurra Kara, spingendosi fino a quando non si inginocchia davanti alla donna che ama — per la seconda volta quella notte, la seconda volta in altrettanti universi. “Non per cancellare quello che ho fatto. Ma per calmarlo, forse, invece di peggiorare sempre tutto. Ho solo... ho bisogno di te, Lena.”

La sua voce si incrina mentre le immagini inondano le sue retine con un’oscurità disperata, con il guscio bruciato del suo loft, con il sangue striato sul linoleum. Un cuore che brillava di verde.

Si avvicina sempre di più e, quando l'altra donna non si tira indietro, si lancia in avanti, il viso premuto contro lo stomaco coperto dal maglione di Lena, le dita che cercano di afferrarle i fianchi. La tiene, si aggrappa a lei. La inspira, disperata e ansimante, le lacrime che si inzuppano nel costoso cashmere.

“Non voglio lasciarti andare,” si attutisce contro lo stomaco di Lena. “Non voglio che diventiamo ciò che inevitabilmente diventeremo senza l'altra. Ho bisogno di te, e ti voglio, e ti amo, Lena. Ti amo, ti amo, ti amo.”

 

Più tardi, ore dopo, raggomitolata sul divano di Lena con la pelle arrossata dal pianto e le voci rauche dai combattimenti e il cuore ferito e sanguinante, Kara le spiegherà cosa intende. Con le mani di Lena calde, morbide e vere nelle sue, le rivelerà tutto. Le racconterà di Mxy e della sua offerta e dei mondi che ha visto e bruciato. Le racconterà di ciò che avranno, quello che potrebbero avere, ma che non avranno mai l’una senza l'altra.

Bacerà le lacrime dalle guance di Lena, leccherà il sale dalle sue labbra, e quando le mani di Lena si alzeranno, un palmo tremante premuto su ciascuno dei loro petti, sopra i loro sterni, sopra i loro cuori, lei saprà che Lena capisce.

Ripeterà ciò che prova per lei finché le parole non si confondono, incomprensibili ma non per questo meno ardenti; cento miliardi di ti amo premuti sui capelli di Lena, sulla punta delle sua dita, sulla sua gola, sulla sua bocca.

E Lena piangerà, e scuoterà il capo con un accenno di rassegnazione negli occhi, e le sue nocche premute sullo sterno di Kara saranno come un promemoria che le ricorderà che non è tutto finito, che le cose non saranno improvvisamente aggiustate, ma le labbra di Lena sulla guancia di Kara e quelle tre parole pronunciate sul mento di Kara come se non fosse più in grado di rifiutarle saranno una promessa che, un giorno, le cose si risolveranno.

Tutto questo accadrà più tardi, ore dopo, lontano dalla quiete e dalle stelle che illuminano il balcone freddo.

Ma ora, proprio ora, mentre il viso di Kara preme sul maglione di Lena e il suo dolore e la sua paura e le sue suppliche escono da lei con la forza di un'esplosione di kryptonite, solo un po' meno distruttiva, un po' più curativa, le braccia si aprono.

Ora, proprio ora, le mani di Lena scendono, una a lato del collo di Kara, l'altra dietro la sua testa. Ora, il respiro di Lena trema mentre fuoriesce dai suoi polmoni e le sue dita si infilano leggermente tra i capelli di Kara, e Kara avverte la promessa di tutto ciò che verrà in seguito nel palmo caldo e sicuro sulla nuca, nel pollice che accarezza il suo volto.

E per adesso, per adesso è abbastanza.





 

   
 
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