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Autore: Artemys22    02/12/2021    0 recensioni
La storia di una persona nata l' 1 Ottobre 1989 raccontata attraverso i suoi incontri con tutti i membri dell'Umbrella Academy.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Entrò in un centro commerciale con un viso sciupato e barbuto da adulto. Non era molto affollato, eppure l'aria era soffocante e sapeva di chiuso e di fretta. Sostò annoiato per un po' davanti a un'edicola leggendo di sfuggita i vari titoli di giornale. Una foto in particolare catturò la sua attenzione: una splendida bambina sorrideva abbracciata al padre. Ignorò totalmente la didascalia che, a caratteri cubitali, contornava la scenetta. Prese la rivista lucida fra le mani per osservare meglio la fotografia, ma una voce lo interruppe.

《Ehi, amico. Se vuoi leggere lo devi comprare.》

Un uomo, avrà avuto suppergiù la sua età apparente, si sporgeva da dietro il banco ammiccando alla rivista. G diede un'ultima occhiata all'immagine.

"Sì, posso replicare."

Poi sbuffò e la ripose dove l'aveva trovata, facendo un cenno al negoziante prima di andarsene.
Avanzò quindi a passo sostenuto verso un negozio di abbigliamento. Erano parecchi giorni che vestiva panni maschili, cambiandone tanto spesso la fisionomia come fossero pezze per lavare e lui il pavimento più immondo della storia. Sicuramente tornavano utili in molte situazioni, ma aveva voglia di cambiare aria. Di certo un uomo sui quaranta che si nasconde dietro una tenda per provare vestiti da bambine sarebbe sembrato quantomeno assurdo e inquietante a chiunque; perciò nascose un paio di jeans, due scarpe e una felpa dal reparto femminile 8-10 anni sotto a un paio di camicie blu e si infilò nel camerino più lontano. Si disfò di tutti i vestiti prima di lasciarsi avvolgere dalla luce blu: il risultato allo specchio era quasi impeccabile. Soddisfatta, si infilò nei jeans e nella felpa rosa che aveva scelto, non prima di aver strappato, con una certa difficoltà, tutte le etichette. I pantaloni andavano un po' corti e le scarpe erano scomode poiché aveva dimenticato di arraffarsi un paio di calzini, ma se lo fece andare bene. Infilò nel grande zaino nero solo la giacca scura che indossava insieme al vecchio volto e i pantaloni color kaki- perché chissà; poi strisciò sotto la parete divisoria nel camerino adiacente. Uscì fingendo di chiamare la mamma e l'allarme del negozio non fiatò. Ricordava la prima volta che provò a rubare i vestiti con questo stratagemma: era terribilmente giovane e senza esperienza alcuna; dalla fretta dimenticò di scassinare l'antifurto della maglia con la stampa di Spiderman e lo beccarono in tempo zero quando l'allarme urlò rivelando a tutti il furto. Scosse la testa fra sé e sé; aveva fatto davvero tanta strada da allora. Sempre se di "strada" si poteva parlare. Ma infondo, pensò, la colpa era sua. Alla fin fine, la scelta di condurre quello stile di vita era unicamente sua, e si doveva ripetere tutti i giorni che non avrebbe avuto alcun senso tentare un altro sentiero, poiché non ha né storia né avvenire, per impedire alla colpa di eroderla ancora di più, lasciando però più spazio alla desolazione ogni giorno più pressante. Chi era, chi doveva essere? Che avrebbe combinato nella vita? Ma forse, forse era più impellente preoccuparsi di cosa avrebbe fatto per arrivare alla notte successiva. Si grattò la nuca reprimendo un'altra volta i pensieri e liberò i capelli gonfi dall'impedimento del cappuccio.

Uscendo dal centro commerciale sgraffignò un dolcetto da una bancarella ambulante e se ne andò saltellando. Si era quasi dimenticata di come fosse la prospettiva del mondo dal basso. È ovvio che ai bambini sembri tutto più magnifico o più spaventoso: ogni cosa diventa enorme. Anche la mano di qualcuno che le avvolse la spalla da dietro facendola girare.

***********

Allison era atterrata da poco. L'aeroporto era gremito come al solito, ma nulla reggeva il confronto con la sua mente e il suo cuore in quel momento. Suo padre era morto e, per quanto avesse odiato la sua infanzia proprio a causa sua, doveva tornare per il funerale. Certo, in questo modo aggiungeva inevitabilmente benzina al fuoco dei problemi che già aveva con il tribunale. E Patrick. E Claire. Sarebbe rimasta poco; un paio di giorni, appena il tempo di rinfrescare il ricordo della sua famiglia in pezzi e seppellire il padre.

Riuscì a fermare un taxi appena in tempo. Il viaggio durò a lungo, un po' perché la sua casa natale era lontano dall'aeroporto, un po' per il traffico in periferia, ma fu dannatamente silenzioso. Si sentiva ansiosa e a disagio all'idea di tornare in quella vecchia, grande casa vuota. Non era del tutto sicura del motivo, ma la sensazione le faceva tremare le gambe di fastidio.

《Mi lasci qui, per favore,》fu tutto quello che disse all'autista prima di prendere il suo trolley dal bagagliaio e pagarlo. Lo aveva fatto fermare in una strada anonima, a pochi isolati dall'Accademia. Una camminata all'aria aperta non poteva che giovarle, smaltire l'agitazione l'avrebbe aiutata a rilassarsi. O così pensava.
Passò davanti a un piccolo centro commerciale e a fatica registrò la densità di persone bizzarramente bassa. Sospirò e pestò un tacco a terra. Doveva darsi una calmata; insomma, che le prendeva?

"È soltanto un funerale."

Solo un funerale.

Che avrebbe portato a galla vecchi dolori e questioni irrisolte, lo sapeva. Avrebbero odiato anche lei per non essersi mai fatta viva in tutti quegli anni? Si sarebbero dati la colpa a vicenda? Probabilmente a coprire quell'aspetto ci sarebbe stato l'astio ancora vivo nei confronti di Vanya per aver scritto quel dannato libro. Come stava Vanya, che fine aveva fatto? Com'era cambiata? Aveva davvero senso avercela ancora con lei, con tutti loro, o era meglio fare finta di niente? Allison deglutì qualcosa di simile al senso di colpa misto alla rabbia che stava nascendo. E Luther? Era sceso dalla Luna? Aveva ancora gli stessi occhi, si sarebbe sentita come un tempo guardandoli? Ebbe paura della risposta, e rincarò la dose quando, per un momento, si chiese se anche lui l'avrebbe detestata per essersene andata via.
Pestò di nuovo un tacco sul cemento trattenendo il respiro.
Desiderò non pensare a tutto ciò che l'aspettava, solamente distrarsi per quei pochi minuti che la separavano dall'Accademia; e, come se i suoi pensieri fossero stati ascoltati, arrivò qualcosa a distrarla dal suo prossimo futuro catapultandola nel passato.
Qualcuno.
Allison era certa di vedere proprio Claire camminare per strada.
Non poteva essere lei, eppure avrebbe riconosciuto ovunque quel faccino delicato, le ginocchia leggermente valghe e i capelli scuri che sembravano di zucchero filato. Sollevò istintivamente una mano e la posò sulla sua spalla quasi senza pensarci, il suo nome a fior di labbra; ma quando la bambina si girò, i suoi sgargianti occhioni verdi non la riconobbero. E lei, in essi, non riconobbe Claire.

《Oh... S-scusami tanto, piccola,》 si ritrovò a balbettare.

《Ero sicura fossi un'altra persona...》

La bambina la guardò per alcuni istanti, sorpresa e un po' confusa; sul suo volto nessuna traccia di paura. Superato lo sconcerto iniziale, Allison notò subito un'assenza ingombrante.

《Ehi, uhm, dove sono la mamma e il papà?》

La piccola batté le ciglia lunghe un paio di volte. Aveva sottovalutato la curiosità delle persone. Effettivamente, pensò G, era una bambina sui dieci anni, forse anche meno, che gironzolava tutta sola. Ci mise del tempo per elaborare una bugia credibile, ma appena prima che l'istinto materno di Allison potesse intervenire, le sovvenne un'idea, a parere suo, decisamente migliore.

《Ma tu sei... Jackie Jordan?》

Ricordò improvvisamente di averla vista in un film di amore e avventura in un ruolo secondario qualche tempo prima, in un cinema all'aperto non lontano dalla città. Decise di restare nel ruolo di bambina che si era scelta accennando al personaggio che aveva interpretato. Sapeva bene quale fosse il nome dell'attrice; dopotutto era sempre stata brava con le facce, era difficile che ne dimenticasse una, tanto di più se il volto in questione era quello di una celebrità. Dal canto suo, la donna fece un'espressione indecisa, ma infine le rispose.

《Jackie Jordan... Sì, sono io. Ma il mio vero nome è Allison,》le sorrise.

《Hargreeves...》G se lo lasciò sfuggire sovrappensiero, rigirandosi quel nome sulla lingua sottovoce. Allison non ne parve particolarmente sorpresa, e accettò di buon grado quando le chiese un autografo sul retro della felpa rosa pastello. La ringraziò e prese a sfregarsi i palmi con leggero disagio quando la donna rimase lì accanto, in silenzio per alcuni lunghi istanti.

《Sai, tu... tu assomigli tantissimo a una persona,》disse, e G colse chiaramente lo sconforto dilaniante nella sua voce.

《È una persona che conosci?》

《Sì... è una persona che amo moltissimo. È mia figlia.》

《Oh.》

La piccola incollò gli occhi a terra concentrandosi con scarso successo sull'asfalto che veniva mangiato dalle suole delle sue scarpe mentre camminava lentamente in tondo. Non aveva idea di cosa volesse dire avere una figlia. Non aveva idea di cosa volesse dire avere una famiglia in assoluto. Perciò non era del tutto sicura di sentirsi di indicare la nota triste che aveva accompagnato la donna parlando della sua bambina.

《Mi dispiace》 disse soltanto, a bassa voce; perché non voleva davvero che sentisse, ma non voleva neanche starsene in silenzio.

《Per cosa?》 chiese allora Allison, che invece l'aveva sentita.

G alzò le spalle inclinando la testa di lato, sembrando estremamente dolce agli occhi della donna.

《No, è solo che... mi sembravi triste parlandone,》 spiegò. Allison corrugò la fronte, stupita dell'acuità della piccola. In realtà, si rese conto, non era capace di trattenere malinconia e apprensione fuori dalla sua voce tanto quanto non era capace di tenere sua figlia fuori dai pensieri anche solo per un secondo.
Si lasciò andare.

《Si chiama Claire. Sai, penso che ti piacerebbe. È molto curiosa e le piacciono le caramelle,》sorrise ammiccando al leccalecca che aveva in mano. A G non piacevano i bambini, anche se ogni tanto si divertiva a vestirne i panni; ma sorrise ugualmente e annuì in silenzio. Guardò per un momento il dolcetto, se lo girò fra le dita un paio di volte. Poi alzò la mano porgendolo alla donna.

《Tieni,》 insistette scuotendo debolmente il braccio davanti a lei quando la vide ferma e confusa.

《Puoi portarglielo.》

《Ma è tuo,》rispose Allison, le sopracciglia aggrottate e le mani ancora ben lontane dall'accettare il dolce.

"Ma se l'ho rubato," pensò G.

《Tanto non mi va,》disse infine.

Allison allungò allora una mano, seppur esitante, e ripose il leccalecca dentro la sua borsa dall'aria costosa. Nel processo, la bambina scorse un tatuaggio nero sul suo polso. Allison si premurò di tirare per bene le maniche della giacca appena notò lo sguardo della piccola incuriosito su quel dettaglio.

《Ne ho sentito parlare,》disse indicando l'ombrello ora coperto. Allison sembrò agitarsi appena.

《Ma è roba vecchia, credo.》

《Già... è stato molto tempo fa.》

《Però,》riprese la piccola, che questa volta non aveva colto il disagio misto a nervosismo di Allison a riguardo, 《pensa che fico: vivere in così tanti, tutti insieme sotto lo stesso tetto!》

Allison tornò confusa. Stava per chiederle di spiegarsi, ma pensò di aver sicuramente inteso male le sue parole e si rilassò in un sospiro.

《Sei figlia unica, eh?》

G non sorrise, né la guardò negli occhi, ma annuì.

《Sarò del tutto sincera con te. Anche io sono cresciuta in una casa piena di bambini. Avevo... Ho tre fratelli e una sorella,》le raccontò esitando sui numeri. Ben era morto e Cinque non sarebbe mai tornato. Il riverbero del dolore arrivò dal passato e le strinse appena lo stomaco.

《Ma ti assicuro che quando si è in troppi è una vera rottura di-》si censurò appena in tempo troncando anche la risata con cui si accompagnava. La bambina sospirò, per nulla convinta delle sue parole.

《Almeno non si è da soli.》

《Te lo concedo,》le carezzò i capelli gonfi.

《Sai, avere fratelli, o sorelle può essere davvero... speciale. Ma- e devi credermi, non è mai una passeggiata.》

《Non lo è mai comunque,》asserì in risposta.

《Ma penso...》esitò un momento in quella che era a tutti gli effetti la confessione di una delle sue più agognate fantasie.

《... che alla famiglia, alla fin fine, non si voltino mai le spalle. Nonostante le brutte parole, nonostante il tempo, nonostante tutto. Penso che si sentano tutti più... come dire, al sicuro, sapendo di averne una su cui poter contare. Giusto?》

Allison non si mosse. Faticava a trovare le parole, quelle giuste da dire, parole e basta.

"Nonostante tutto."

Ma la bambina non le diede il tempo di rispondere.

《Scusami Allison, ehm... la mamma mi chiama.》

Le strinse la mano. 《Addio!》

   
 
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