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Autore: Evil Daughter    06/12/2021    6 recensioni
NEW: 03 ~ LINGUE DI GATTO. / Guest Star: Tights, sorella di Bulma. E questa è anche comica.
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Raccolta di One Shot, da leggere a caso, non hanno ordine.
Dove? Alla Capsule Corporation e dintorni.
Con chi? Ne ho da raccontarvi sul rapporto tra quel saiyan e quella terrestre. Ancora.
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Trunks, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'ARANCE MARCE: Bulma e Vegeta, sbagliati e quindi veri.'
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Stand by me
 

01 ~ «Tu non piangere, ai lacci penso io.»
 


C’era un bambino, stava seduto, ascoltava i suoi genitori, avrebbe voluto sentirli parlare. Alzavano la voce. Si chiedeva se fosse colpa sua, che la camera dei giochi era piena e lui molto solo, che i pensieri facevano sentir freddo.

Avrebbe voluto vederli amarsi un po’ di più, quando il loro punto di incontro era una frontiera ricoperta di neve e lui ancora un bambino.

 

~ ~ ~

 

«Dove starebbe il problema?»
«Mi stai mettendo addosso abiti che non sono miei, mai lo saranno!»
«Sarebbe almeno un risultato, i tuoi hai deciso di farli sparire.»
«Sei stata tu a farlo!»
«No, io ho assecondato quel che mi hai detto per farti capire da che parte stare.»
Si inseguivano lungo il corridoio al primo piano. La lite stava animandosi nell’ascendenza elicoidale delle parole sopraffatte dall’aritmia dei loro respiri, con intermittenze di pena e impazienza. Lui scese giù per le scale, lei lo seguì: «Pensaci: mio padre sta invecchiando e per te potrebbe essere una possibilità!»
Si fermò, tre gradini ancora e avrebbe raggiunto l’ingresso della Capsule Corporation; un’uscita in quel momento, nella sua direzione. 
«Chi ti ha detto che ho bisogno di una possibilità?» disse, voltandosi verso sua moglie, per capire che razza di idea si fosse fatta di lui.
Dalla faccia che vide, era un’idea deludente.
«Sinceramente, io non so di cosa tu abbia bisogno. Se di una possibilità, di uno scopo.»
Costretto, sbirciò in un posto invisibile, un impero di memorie grigie che cadeva a pezzi e a malapena custodiva il ricordo dolente dei suoi fallimenti. Era rimasto niente laggiù. La ragione che avrebbe potuto continuare a giustificarlo, permettendogli di essere se stesso... s’era fatta disintegrare, lontano, per sempre, togliendogli tutto.
Mancava di scopi, sua moglie non aveva torto.
«Se ti impegnassi in un lavoro qui alla Capsule Corporation, certamente ti-», «Smettila! – la fissò negli occhi cercando in lei sostegno, comprensione – Quello che mi stai chiedendo è impossibile.» la vide scuotere la testa. 
«Quale altra possibilità? Tu non vuoi essere nemmeno chi eri!»
«E che dovrei fare? Lasciare questo posto? Partire alla volta dello spazio, tornare a... fare il cane randagio! Il...  fottuto principe conquistatore... » pispigliò in ultimo, strascicato, a proprio svantaggio; poi, s’appoggiò al corrimano con entrambe le mani e smise di guardarla disperandosi con sé medesimo. È stata la mia vita, la maggior parte della mia vita. Dopo... sei arrivato tu, Kakaroth.
«Sai che non intendevo questo.» lei era triste e non la percepì muoversi dai quattro gradini che la distanziavano dall’inganno, da lui. Comprensione esaurita.
«La pace è qualcosa di annientante.» raccontò a se stesso. Un plausibile alibi che motivasse l’apatia, la resa. Precisamente. Perché lui si era arreso, aveva scelto di indossare la propria pelle mai più. Di non vivere e sopravvivere. In cambio, stava male; non si piaceva e non faceva nulla per alleviare quella metamorfosi.

«Anni fa mi innamorai di un uomo, un saiyan pieno di ambizione, tenacia, orgoglioso e coraggioso, non avrebbe parlato male di se stesso pure dinnanzi alla morte. Mi riferivo a quell’uomo... Dov’è?»
Lui chiuse gli occhi, «Non c’è mai stato, Bulma...  il saiyan è caduto.»
A far terra bruciata era bravo.
«Ma tu hai una famiglia!... Di là, il bambino che non sa allacciarsi le scarpe ha imparato a reprimere le lacrime, sta iniziando a capire chi è suo padre. Trunks ti chiama papà perché gliel’ho insegnato io. Puoi fare l’egoista con te stesso, con me... Non osare con tuo figlio, Vegeta.»

 

~ ~ ~

 

Sul volantino, la foto di un aggrovigliato ottovolante inaugurava la riapertura del luna park e le facce sorridenti di una coppia di ragazzini eccitati invitavano a scoprire la nuova attrazione. «Il meraviglioso parco giochi della Zona 48 ti aspetta, per te un ingresso omaggio... » lesse Bulma ad alta voce, rigirandosi tra le dita il volantino trovato nella cassetta delle lettere posta all’ingresso del cortile intorno alla Capsule Corporation.
Lo conosceva, ci era stata, ne conservava ricordi privi di importanza. Sorrise, poteva essere un’idea per averne di nuovi.


«Dove stiamo andando?» domandò Trunks, mentre sua madre si preoccupava di sistemargli il cappotto e il cappellino di lana sulla testa, «In un posto dove ci divertiremo come matti!» rispose lei. Ma Trunks, impegnato a stritolare il suo dinosauro gommoso, sino a deformargli la testa, non si lasciò contagiare dall’entusiasmo della mamma e, sospettoso, rimase rigido a farsi imbacuccare.
Era pronto. Quasi. Gli mancavano le scarpe.
«Che c’è, tesoro? – il piccolo non accennava l’ombra di un sorriso, a volte, era la goccia d’acqua di suo padre – Dai, aiutami, così finisco di prepararti e andiamo via.»
Suo figlio però non collaborava, così Bulma gli prese un piede e lo infilò nella scarpa; ma quando gli afferrò anche l’altro, Trunks si tirò indietro.
«Guarda che non dirò a nessuno che ci stiamo allacciando le scarpe insieme.» lo rassicurò lei. A quattro anni e mezzo Trunks non se la cavava con i nodi, ma guai a farlo sapere in giro: in poco più di mezzo metro di altezza c’era già tanto orgoglio.
La scienziata invece era ingenua, credeva davvero che fosse quella la causa del broncio nascente, degli occhi immobili, riflessivi e adulti rispetto alla tenera età.
«Andiamo soli, io e te?» le domandò lui.
«Sì, te l’ho detto. Questa volta i nonni li lasciamo a casa.» Bulma sorrise. Il piccolo non sembrò comunque contento della risposta, non smetteva di stringere il morbido pupazzetto. Parlò inespressivo: «Papà non viene mai con noi.» Fu innocente, inconsapevolmente bruciante; frantumò sua madre e staccò la testa al dinosauro.

 

Riprendersi da una carneficina è difficile. La Città della Zona 48 aveva impiegato quattro anni per tornare a qualche centinaio di abitanti. Si vendevano immobili a prezzi stracciati. Chi viveva lì dapprima dell’attacco del mostro, ed era sopravvissuto, conservava negli occhi il fantasma della paura. Quello non si poteva dar via in alcun modo, purtroppo. E arrivare in un parcheggio vuoto era entusiasmante quanto avere alla propria festa un pagliaccio e niente invitati.
«Uffa, non c’è nessuno!» lamentava Trunks, aveva la fronte appiccicata al finestrino da cui osservava accigliato la scoraggiante desolazione.
«Vedrai che dentro troveremo altri bambini con i quali potrai giocare.» Bulma lo sperava.
Scesi, la scienziata ridusse l’hovercar ad una capsula. Non si fidava a lasciarla incustodita, in una zona talmente isolata avrebbero potuto rubargliela facilmente o danneggiarla.
Magari qualcuno aveva avuto la sua stessa idea, questo le faceva ben pensare che potessero esserci altre persone entrate come lei con le capsule in tasca. 
Si guardò intorno: un muro di cemento di cui non aveva memoria delimitava l’area e l’ingresso al botteghino; oltre, sopra le fronde degli alberi, sbucava l’ottovolante della foto. Disegnava nel cielo curve rosse e verdi più simili alle spire di un’anaconda gigante, mostruosa.
Non ricordava di avere mai provato tanta inquietudine visitando quel luogo. E nonostante l'enorme manifesto pubblicitario che riportava i visetti dei gioiosi ragazzini del volantino, l'impressione non cambiava. Si augurò che fosse solo una sensazione passeggera e che, all’interno, il parco fosse più ameno e piacevolmente vivace.
«Mamma, andiamo?» Trunks la richiamò dall’incanto. «Sì, tesoro. Andiamo a prendere i biglietti.»
Bulma rivolse un ulteriore sguardo al nulla, all’asfalto scadente sotto i loro piedi, alle cicche di sigaretta schiacciate, alle cartacce, alle foglie marroni spinte svogliatamente dal vento freddo di febbraio.
«Trunks, dammi la mano.»



Si sedette sulla panchina di fronte alla pedana della giostra, ad aspettare che Trunks finisse il sacchetto di gettoni utilizzabili. Se non altro, il suo piccolo poteva girare veloce quanto voleva il manubrio circolare della tazzina gigante su cui era salito; e non far piangere nessuno. Adulti compresi.
Bulma accese la sigaretta; l’aveva presa dal pacchetto che conservava nella tasca della borsa. Il parco si era rivelato deserto come fuori, interamente diverso da quello conservato nei ricordi della sua adolescenza. Ma l’ultima volta che ci era stata era assai più recente, risaliva a cinque anni prima della nascita di Trunks. Non c’era più la pesca dei pesci, per esempio, né il chiosco del tiro a segno. Né Yamcha. Cell aveva ucciso i proprietari succhiandone le viscere, fino a lasciarne solo abiti vuoti, aveva spazzato via le loro esistenze. Al posto di quelle piccole e semplici attrazioni, rimaste orfane, adesso c’erano giostre nuovissime e colorate. Vuote. E i ricordi, pure se inutili, continuavano a far male per il solo fatto che permanevano, inestirpabili. Lei pure era nuova come quegli ammassi di ferraglia smaltati e luccicanti: non aveva rinunciato alle gonne corte, ma fumava da qualche mese ed era lì con suo figlio, il figlio di Vegeta. Vegeta, suo marito; pure se un matrimonio non c’era mai stato; Vegeta, la scelta migliore, che li stava dimenticando. No, in verità, non si era mai preoccupato di loro. Trunks lo aveva capito.

«Ti sei stufato?» il piccolo saiyan scese dalla giostra battendo i piedi sul sentiero selciato. Fece vedere a sua madre il sacchetto, aveva esaurito i gettoni. «Ne prendiamo altri se vuoi.», lui scosse la testa. Incredibile come riuscisse ad essere tanto comunicativo: non era annoiato, era deluso.
«Ehi, qui c’è un posto in cui vendono dolci buonissimi, ciambelle ripiene, che ne pensi?»
Bulma lo vide sorridere a metà. Poi, il sorriso sparì completamente appena scoprirono che al posto del chiosco dei dolci era stato installato un distributore automatico.
Che miseria...
Inserite un paio di monete, lo zucchero filato scelto arrivò chiuso in un bicchiere di cartone. Era scolorito e sapeva di chewing-gum masticato. Quello fece perdere entusiasmo persino a lei. Trunks lo teneva tra le mani con la voglia di sbarazzarsene. «Non sei obbligato a mangiarlo.» lo buttarono via.
Ripresero a camminare per i sentieri del parco; intanto, il sole affrettava la propria discesa definitiva tingendo l’aria di bruma dorata. Bulma provò più volte a convincere suo figlio a fare un giro sull’ottovolante, ma Trunks sembrava averne timore. Doveva aver fatto impressione anche a lui. Se la si guardava con insistenza, quella costruzione annodata, tra curve, salite e discese, sembrava la grottesca rappresentazione dell’incubo con cui Cell aveva ingoiato la piccola cittadina, attraverso la sua lunga e orribile coda. Un indelebile ricordo, un monumento inconsapevole al mostro.
Cell, alla fine, aveva ucciso anche suo marito.


«Palloncini!» esclamò Bulma dopo aver scorto un uomo con sopra la testa una mongolfiera fatta di palloni colorati; era più contenta di Trunks, dimenticò l’ottovolante – e Vegeta – e corse col suo bambino vicino all’uomo che ne teneva un fascio legato al proprio avambraccio.
«Mi raccomando, non lasciarlo altrimenti volerà via.» disse quello dopo essere stato pagato mentre si preoccupava di legare un palloncino al minuscolo polso di Trunks. «Ti piace?» suo figlio aveva occhi sognanti; il palloncino era arancione, aveva scelto lui quel colore, arancione, le ricordava Goku, l’arancione era un colore allegro. Ed era grande, svolazzava sopra la testa di suo figlio seguendolo ad ogni movimento.
Trunks rise.


Uscirono dal luna park entrambi felici, il piccolo saiyan giocava col palloncino agitando il braccio. L’ottovolante era alle loro spalle, li guardava allontanarsi. Non erano caduti nella trappola, Trunks non si girò nemmeno a guardarlo. Bulma anche, stava già pensando alla cena da preparare una volta tornata a casa, o da ordinare. Era bastato un palloncino a scaldarli, a renderli dimentichi di un’assenza, per un po’.

Fuori, nel parcheggio, c’erano quattro auto; Bulma prese l’astuccio, estrasse la capsula che le serviva, premette il bottone e lanciò l’Hoipoi avanti a sé. Tempo di completare questa operazione e si accorse di suo figlio immobile che fissava il cielo, il palloncino che si allontanava distanziando il suolo. «Trunks!», il piccolo aveva gli occhi umidi, mostrò il polso con il laccio ancora attaccato; era stato il palloncino ad essersi sciolto. «Perché non mi hai avvisata? La mamma avrebbe potuto prenderlo prima che volasse così in alto!» era gonfio d’elio e saliva sempre più su. Lei non sapeva volare. Il sorriso sulla bocca di suo figlio tramontò rapido come il sole. Ma Bulma non si arrese, non voleva dopo la fatica che aveva fatto. Diede un’occhiata alle proprie spalle, pensando di riuscire a rimediare, poteva rientrare e comprarne un altro.
Sfortunatamente, l’ingresso del parco era già stato chiuso.
«Tranquillo, torneremo domani e ne prenderemo uno nuovo; anzi, la mamma è sicura di averne uno più bello nei suoi laboratori!» le promesse erano allettanti, ma quel palloncino, per Trunks, era quel palloncino. Insostituibile... Come suo padre. 
Bulma non avrebbe potuto con nessun altro uomo.
Trunks ingoiò, placando i singhiozzi, sua madre gli offrì un caldo abbraccio. Che lui gradì in impassibile silenzio.
Salirono in auto. Non erano più felici.



Il mascara si stava sciogliendo intanto che guidava dritta verso casa, provava a toglierselo rischiando di accecarsi; non voleva rovinare il make-up né piangere davanti a suo figlio.
Quel parco doveva portare sfortuna, sperò che Trunks si addormentasse durante il viaggio di ritorno, la giornata per niente allegra lo aveva sfiancato. Ma quando arrivarono a casa, Trunks era sveglio, assorto. Ovviamente dispiaciuto. Totalmente, non era andata come lei aveva sperato. Bisognava pensare ad un modo per risolvere, sì, in laboratorio avrebbe trovato una giusta soluzione. E si convinse così finché non accadde l’impensabile: gli occhi grandi e cristallini del suo cucciolo stavano guardando oltre il finestrino. Lo osservò diventare improvvisamente radioso. Se anni prima non avesse deciso di tagliargli la coda, lo avrebbe visto scodinzolare.
Trunks si slacciò la cintura di sicurezza e si precipitò fuori dall’auto per correre verso l’ingresso di casa. C’era il buio del pomeriggio invernale, faceva freddo, ma il cortile era illuminato e ad uno dei pali che sostenevano la pensilina rossa stava legato un palloncino. Era grande, arancione. Era lui.
«Sei tornato da me!» scoppiò di giubilo, chiamò sua madre. Bulma lo raggiunse, rimase incredula, confusa, non ci arrivò immediatamente perché il solo pensarla una simile possibilità l’avrebbe fatta impazzire. Suo figlio invece ci aveva creduto subito, prima ancora di accorgersi di suo padre fermo davanti alla porta dell’ingresso alla CC. Vegeta si fece avanti. Trunks, vedendolo, diventò di colpo serio e corse a guardare i lacci delle proprie scarpe.
Bulma perse i battiti del cuore.

 

~ ~ ~

 


Aveva da poco rotto la testa del suo dinosauro, la mamma non lo aveva sgridato e stava finendo di allacciargli le scarpe.
Veder comparire suo padre, però, lo paralizzò. «Siamo pronti.» decretò la scienziata al contempo, poi, alzando gli occhi, fece immediatamente caso all’espressione strana di suo figlio. Si girò e capì presto la natura del disturbo. Suo marito se ne stava lì, impalato, a guardarli. «Volevi dirci qualcosa, Vegeta?» gli domandò lei, divertita. Lui si imbufalì: «Sì. Che hai fatto?» chiese a sua volta.
«Non capisco di che parli. Spiegati.» Vegeta avanzò e, a causa della rabbia esplosiva, non riuscì a contenere la velocità che fu tanta da far sobbalzare Bulma dallo spavento appena se lo ritrovò a pochi centimetri dal naso. Trunks avvertì la paura di sua madre; lei cambiava odore quando ne aveva; e quella stessa paura si impadronì anche di lui.
«Perché le hai distrutte
«Non ne avevi più bisogno, ormai hai deciso, no? In questo modo la smetterai di piangerti addosso.»
«Come ti è venuto in mente di... Dovevi rimanerne fuori, Bulma!»
«No, Vegeta. Ti sbagli se pensi che anche stavolta me ne starò zitta e buona a guardare.»
«Tu non ti rendi conto di cosa hai fatto!»
«E tu finiscila di urlare davanti a tuo figlio!»
Vero, aveva dimenticato che c’era anche lui. Vegeta spostò il capo di lato per scorgere Trunks, lo trovò accovacciato dietro le gambe di sua madre; si rese conto di quanto lo stesse effettivamente terrorizzando. Ma lui era arrabbiato, follemente arrabbiato con sua moglie. Stupidamente.
«Perché non riesce ancora ad allacciarsi le scarpe?»
Bulma sospirò sommessa: «Ha quattro anni e mezzo, ci stiamo lavorando.»
«Alla sua età io-», Trunks la vide mettere un dito davanti alla bocca di suo padre e zittirlo, e sfidarlo. 
«Lascialo stare e guarda prima te stesso.»
«Che vorresti dire?»
Aveva una mamma fortissima.

 


~ ~ ~

 

Le sue scarpe erano irrimediabilmente slacciate. Anche se aveva ritrovato il palloncino, Trunks si sentiva immeritevole di prenderlo. Tornò a rivolgere l’attenzione a suo padre. Lui non cambiava mai espressione, Trunks era convinto che non sapesse ridere. A volte, gli piaceva imitarlo. Altre, si rendeva conto di quanto facesse male trattenere il sorriso. Come in quel momento.

Vegeta si avvicinò a lui, si chinò alla sua altezza e disse: «Tu non piangere, ai lacci penso io.»

 


Fine, fin qui.


Note:
Bentrovati, sì, il titolo di questa raccolta è quasi del tutto omonimo con Standby (racconto multicapitolo dedicato all'inizio della relazione tra Bulma e Vegeta), ma perché volevo stabilire una continuità. Per me è un seguito, tranquilli che NON È NECESSARIO AVER LETTO Standby, che non si è ancora conclusa... e io già arrangio il sequel. ^^' 
Sarà una raccolta sconclusionata, priva di ordine cronologico. Vi basti sapere che si parte dalla fine dei misteriosi da Toriyama mai raccontati tre anni. Dopo questa potrei pubblicare qualsiasi momento, andare avanti oppure indietro. Stand by me, va da sé. 
1) la città della Zona 48 viene nominata nel volume 31. Esiste. Cell, va a servirsi lì oltre che a Ginger Town.
2) il luna park è una mia invenzione che però è collegata a Standby, lì ho nominato Nicky Town (questo nome  si sente solo nell'anime al posto di Zona 48) e c'è un intero capitolo ambientato in questo luna park che spiega la malinconia che Bulma ha nella qui presente OS.
Se siete curiosi vi metto il suddetto capitolo qui cliccate così potete scoprirlo, per chi non lo ho mai letto, oppure rispolverarlo. 
Comunque, stavolta ho voluto esser più precisa, Zona 48.
3) Nel volume 35, tra i desideri espressi al  dio drago, vengono fatte resuscitare tutte le persone uccise da Cell. Benissimo, io mi sono presa la libertà di non far tornare in vita i proprietari del chioschetto del tiro a segno e della pesca dei pesci. Dovevo aggiungere il dramma al dramma.
4) Bulma fuma? Sì, ma la vediamo fumare solo dal volume 36. Dopo Cell. Per me ha iniziato dopo i 4 anni compiuti da suo figlio.
5) Se vi state chiedendo cosa sono queste cose che Bulma ha distrutto così importanti (?) da far arrabbiare Vegeta, sono le battle suit.
Beh,  io non lo scrivo esplicitamente perché per me questa storia è collega anche ad un'altra OS - GLI ALIENI... NON ESISTONO qui per leggere , in cui Trunks è alle prese con la scoperta di questo mistero, i saiyan, gli alieni, suo padre, che sarà terribile, e lì cito vagamente un mesto suo ricordo, di lui più piccolo mentre assisteva ad una  lite  fra i suoi genitori. Questa potrebbe essere la lite e questo il ricordo da me citato. 
6) Nel volume 36 Bulma si lamenta  con Gohan di Vegeta che non ha mai voluto lavorare. Bene, io ho pensato ad un Vegeta distrutto e perso dopo la morte di Goku, giura di non combattere più alla fine dello scontro contro Cell, quindi eccoci: sua moglie non condivide questo suo stato di isolamento e passività, e ho pensato che potesse starci, come il pollo con le patate, lei a pungolarlo, ad arrabbiarsi, e ad offrirgli un lavoro come rimedio alla sua apatia. O di fare il padre, se gli scappa.
Lui si rifiuta sì di lavorare ma, come potete vedere dalla fine della storia, inizia a dare attenzioni a suo figlio. Arriverà ad allenarlo. In qualche modo deve succedere. Passo passo. Io voglio così.
Se volete leggervi anche una storia di vegeta che torna dopo lo scontro con Cell, e torna a tocchi, vi linko anche La morte è insopportabile per chi non deve vivere. QUI.
7) Trunks sente gli odori in modo speciale? Sì, i saiyan percepiscono gli odori in modo speciale e superiore ai terrestri, sanno rinoscere le persone dagli odori. Non lo invento io, se vi ricordate nel volume 6, quando Goku va a trovare Bulma per farsi riparare il dragon radar, goku la sente arrivare percependo il suo odore da lontano, meglio dei cani. Cosa che il poliziotto che gli sta vicino non riesce a fare. Per intendere la differenza tra terrestri e saiyan.
Anche nel capitolo 15 di Standby Vegeta percepisce l'odore di Bulma, ma soprattutto le sente addosso l'odore di Yamcha.


Dopo avervi riempito di inutili (utili?) note, spero possa esservi piaciuta. È una narrazione che non vuole dirvi tutto. 
Vi mando un abbraccio e se non dovessi tornare prima di Natale, Buone feste, anzi Buon Natale. =)
Mi scuso per i miei ritardi.
Evil... Martina.

 

 

   
 
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