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Autore: MaxB    08/12/2021    4 recensioni
Questa è una storia che ho iniziato a scrivere dopo aver finito di leggere il secondo volume, quando ancora doveva uscire il terzo.
La considero una prosecuzione della storia originale come se il terzo libro non esistesse, e narra quindi delle vicende familiari che si sono succedute dopo la fine de Gli scomparsi di Chiardiluna, con leggere modifiche alla trama.
Sostanzialmente, Thorn e Ofelia saranno alle prese con la vita quotidiana da coppia sposata, cercando di capirsi, vivere insieme e prendere confidenza l'uno con l'altra.
E con un inaspettato desiderio di Ofelia...
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il tempo vola signori miei! Di sicuro, almeno, vola in questo capitolo! Eddai che 'sti bambini finalmente crescono, un po' alla volta!
Il prossimo capitolo non penso proprio che erriverà la settimana prossima ma almeno questo è stato veloce dai xD
Grazie a tutti come sempre e buona lettura!


Capitolo 45

Quando Tyr entrò nel secondo anno di età, e quindi Serena e Balder entrarono nel loro settimo e quarto anno, ad Ofelia sembrò di essersi tolta un peso dalle spalle, soprattutto con il più piccolo.
Serena e Balder erano la calma fatta persona, obbedienti e rispettosi come nessun altro bambino, cosa che veniva spesso ribadita sia dalla zia Roseline che da Berenilde, che si vantava con tutti i cortigiani dei suoi pronipoti. In compenso, Tyr era irrequieto come pochi. Persino Ilda sembrava pacifica a confronto. Tyr aveva l'argento vivo nelle vene, dormiva poco e ascoltava ancora meno. Persino Thorn ne era stato esasperato, e con lui aveva dovuto usare toni ancora più duri per farsi rispettare.
Un giorno aveva distrutto i cuscini del divano lanciando piume dappertutto. Balder e Serena si erano messi a giocare con quelle piume così grandi che Ofelia si chiese se le Bestie che i Draghi avevano cacciato in passato potessero essere anche alate, perché piume di quelle dimensione non le aveva mai nemmeno immaginate. Quando Thorn, passato per caso nel salotto, si era accorto del disastro, Serena e Balder avevano subito capito che aria tirava e se l'erano svignata. Tyr invece aveva sfidato il papà con gli occhi, continuando a lanciare piume, finché Thorn non gli aveva strappato il cuscino di mano portandolo in camera da Ofelia, che non aveva fatto domande sul perché marito e figlio avessero i vestiti e i capelli pieni di piume.
A tavola aveva la pessima abitudine di lanciare il cibo che non gli piaceva, che era davvero tanto, troppo. Mangiava per lo più pappine perché, agitato com'era, Ofelia aveva paura che si soffocasse, ma qualcosa di solido sarebbe stato decisamente più facile da lavare via dai vestiti. Soprattutto da quelli di Thorn, che si beccava sempre qualche viscida pappetta informe sull'uniforme lavata e stirata. Il fatto che fosse quasi sempre il padre la vittima dei suoi lanci di cibo dipendeva non tanto da un’antipatia personale, quanto dal fatto che era sempre Thorn che insisteva perché mangiasse tutto, accanendosi particolarmente quando c’era qualche verdura frullata che faceva storcere il naso persino ad Ofelia. Quando gli aveva fatto notare che nemmeno lui era un grande amante dell’alimentazione, Thorn aveva liquidato la questione evidenziando che lui era in grado di capire i principi nutritivi di un cibo rispetto ad un altro mentre Tyr aveva due anni e doveva mangiare.
Quando era ora di dormire diventava particolarmente irascibile e sgattaiolava dappertutto, prima indignato e poi divertito, pensando che il farsi seguire da Thorn fosse un gioco. Quando lo catturava, sempre in corridoio perché Tyr non arrivava mai oltre con quelle gambe corte, Thorn era costretto a bloccargli i polsi perché il bambino gli tirava i capelli o le orecchie. Ofelia non lo avrebbe mai ammesso, ma vedere quel piccolo fagottino grassottello che si arrampicava sulla spalla del papà e gli dava del filo da torcere era un vero spasso. Tyr alla fine si calmava, ma solo quando Thorn gli intimava, digrignando i denti, di stare fermo perché non ci si comportava così. Più che calmarsi, Tyr metteva il broncio, ma non si azzardava a contraddire il papà e alla fine, stancandosi di dover tenere quella posa da duro, si addormentava.
- Ma da chi ha preso? – chiese una notte Ofelia, stremata dopo che Tyr l’aveva tenuta sveglia per un’ora.
Thorn non aveva fatto in tempo ad allungare un dito che Tyr si era messo a strillare il suo rifiuto: voleva la mamma.
- Godefroy era così… irrequieto.
Ofelia lo guardò con le sopracciglia inarcate. Il Godefroy che aveva conosciuto lei era all’apparenza un uomo tranquillo con un’aria simpatica che però si era dimostrato essere ancora più infido di Freya proprio per via della doppia faccia. Sperava che Tyr non diventasse così e allo stesso tempo che si calmasse prima che compisse vent’anni. Decisamente prima.
Presi com’erano da Tyr, Thorn e Ofelia trovavano comunque il modo di stare dietro a Balder e a Serena. Quest’ultima studiava matematica con Thorn nel suo studio quando lui lavorava da casa, e il cuore di Ofelia si stringeva sempre quando entrando in biblioteca li trovava seduti vicini, entrambi chini su un foglio, con una penna in mano, concentrati con la stessa intensità. Avevano anche lo stesso cipiglio e lo stesso modo di muovere la testa.
Avevano inoltre scoperto che Serena era davvero un'Attraversaspecchi quando un pomeriggio, dopo che Ofelia e Thorn avevano chiuso a chiave la porta della camera per concedersi un attimo di intimità, la testolina bionda della figlia era sbucata dallo specchio di camera loro. Fortunatamente ancora vestiti, si erano staccati subito, cercando di rimettersi in ordine. Thorn in mezzo secondo si era pettinato i capelli e aggiustato la giacca con solo due bottoni slacciati, ma Ofelia nel cercare di raddrizzarsi gonne e occhiali era finita gambe all'aria sul letto. Era stata ignorata sia dal marito che dalla figlia.
- Sono incastrata - aveva mugugnato Serena, protendendo un braccio che sbucava solo dal gomito in poi.
Mentre Thorn la tirava per farla uscire come già una volta era successo con Ofelia, quest'ultima le spiegava come cercare di lasciarsi andare, di lasciarsi tirare. Non doveva avere paura, gli specchi obbedivano a lei, la portavano ovunque volesse, doveva solo fidarsi di loro e della sua capacità di andare dove voleva. Tutto questo glielo spiegò con una voce bassa e incerta, spesso ingarbugliandosi. Non le riusciva ancora facile cercare di esprimere dei concetti astratti, o dei sentimenti.
Il prozio venne subito chiamato e, dopo essersi complimentato con la pro-pronipote, la rassicurò che non ci sarebbero stati effetti negativi sul suo corpo per essere rimasta incastrata. Sua mamma, le spiegò, facendo imbarazzare Ofelia al ricordo del suo primo attraversamento, era rimasta bloccata chissà dove per ore, non pochi minuti. Se voleva continuare ad esercitarsi, le consigliò di farlo avvisando qualcuno, così che potessero aiutarla.
Serena iniziò così a sbucare un po' ovunque: nel salotto dove faceva prendere un colpo alla zia Roseline, che sbagliava a mettere i punti con la macchina da cucire oppure rompeva il foglio che aveva in mano, dovendo poi ricorrere al suo potere per sistemarla; nell'aula, in classe, dove Renard ci era cascato i primi tre giorni, prendendosi uno spavento, ma poi aveva capito il giochetto della bambina; oppure nella camera dei genitori, che non sapevano più cosa fare per ricavarsi qualche momento per loro.
Alla fine venne impedito a Serena di usare il suo potere se non per vere necessità, e non per pigrizia, per esempio per non dover attraversare il corridoio. In caso contrario sarebbe stata punita.
Balder invece dimostrò di non avere la memoria di Thorn, al contrario della sorella che alla sua età lo aveva già reso palese, ma in compenso scoprirono che era anche lui un lettore. Stessi sintomi di Serena, stessa fastidiosa sensazione di confusione che spariva quando indossava i guanti. Guanti che il prozio era riuscito a procurargli nel giro di un giorno dopo aver conosciuto alla biblioteca pubblica un altro animista che viveva al Polo da anni a seguito del matrimonio con una nativa del Polo, senzapoteri. Erano i guanti del figlio del cugino di sua cognata, che era poco più grande di Balder, anche se lo stesso animista non si capacitava di come fossero finiti in casa sua. In ogni caso glieli cedette, in attesa che da Anima gliene mandassero qualche paio di scorta, sia per Balder che per Serena. Era incredibile come il prozio fosse riuscito a trovare qualcuno con cui parlare persino al Polo. Ofelia era ormai convinta che dentro al sangue degli animisti ci fosse il bisogno radicato di preservare in qualche modo la storia, e non a caso il prozio aveva incontrato questo nuovo amico nella biblioteca pubblica.
Quanto al prozio, Ofelia aveva chiamato un medico a casa perché lo visitasse. Aveva una tosse che non le piaceva per nulla, ma la questione era stata liquidata come semplice raffreddore, tranquillizzandola.
Mentre le settimane passavano più o meno tranquillamente, con un'influenza qui e là, una gita fuori dalle mura dietro insistenza dei bambini e qualche marachella di Ilda e Tyr, che avevano un rapporto di amore e odio molto intenso, arrivò anche la notizia che la figlia di Renard e Gaela avrebbe presto avuto un fratellino, come confermò Vittoria.
Archibald fece ubriacare talmente tanto il povero Renard, terrorizzato che il figlio potesse essere vivace come Ilda e allo stesso tempo entusiasta di fronte alla prospettiva di diventare padre nuovamente, che Gaela si lamentò per giorni di dover fare da madre non a una figlia solo, ma a due, includendo Renard come bambinone. Archibald invece prese in giro il cosiddetto secondo figlio di Gaela facendo notare che, per via della differenza d'età, più che da madre Gaela avrebbe potuto fargli da balia. Renard si rabbuiò un po' a quell'affermazione, borbottando per giorni che era un vecchietto in confronto alla sua "agile, giovane, energica e vitale mogliettina". Alla fine, stanca di quei mugugni insensati, Gaela una sera lo prese per il bavero e lo portò nel loro appartamento. Li videro solo la mattina successiva, quando Renard si presentò a colazione con Ilda; Gaela era già andata in officina, dato che Renard teneva la bambina e lei era quindi libera di lavorare, per lo meno qualche ora al giorno. L'aria solare e l'atteggiamento ringalluzzito di Renard fecero scuotere la testa ad Ofelia, che si aspettava da un momento all'altro una battutina a scapito di Archibald. Thorn parve non farci nemmeno caso, sollevò solo gli occhi con sguardo gelido quando, all'entrata di Archibald, rigorosamente in pigiama mal abbottonato, Renard disse con nonchalance: - L'età non conta quando hai una bella moglie che ti tiene giovane.
Archibald sogghignò ferinamente, ma non si azzardò a ribattere, e Ofelia provò tanta tristezza di fronte al suo sorriso vuoto.
I mesi trascorsero rapidamente mentre i bambini crescevano sotto gli occhi di tutti. Ilda era parecchio più piccola di Tyr nonostante avesse qualche mese in più, cosa che spinse Ofelia a chiedersi se fosse un caso o se Tyr, già da bambino, avesse preso l'altezza del padre. Ne ebbe la conferma quando notò che Vittoria, che aveva ormai superato di dieci anni, era poco più alta di Serena che ne non ne aveva nemmeno otto. Era felice che i bambini avessero preso l'altezza dal papà, però si augurava che non diventassero davvero alti come lui: si sarebbe sentita lei la bambina della famiglia, e già temeva il momento in cui i suoi figli l'avrebbero guardata dall'alto come Thorn.
Intanto Ofelia parlò a Thorn del suo desiderio di riaprire lo studio di lettura, se non altro perché i bambini, anche Tyr, stavano diventando grandi e non avrebbero sofferto se lei si fosse assentata qualche ora al giorno, almeno di mattina. Altri figli in programma non ne avevano, non dopo Lisbeth, e per distrarsi dalla sofferenza che ogni tanto ancora l'attanagliava, nonostante fosse solo un rumore di fondo, Ofelia pensava che tornare a lavorare fosse un buon diversivo. Sentirsi utile, e non solo una mamma. Essere mamma le piaceva, adorava i suoi bambini, anche Tyr che ogni tanto la faceva impazzire al punto che la sciarpa le si attorcigliava stretta alla caviglia, terrorizzata, senza rendersi conto che così in basso rischiava di essere ancora più preda degli attacchi di Tyr; però non era mai stata la sua ambizione nella vita. Checché ne pensasse Thorn, la sua famiglia aveva sempre lavorato e ancora lavorava, compresa Agata. Non avevano i ritmi serrati di Thorn, che talvolta erano quasi disumani, però non battevano nemmeno la fiacca e su Anima tutti lavoravano. Famiglia e lavoro erano i cardini della sua arca natia.
Il prozio infatti approvò calorosamente la sua idea, e più volte visitò con lei lo studio ormai chiuso. Tutte le volte in cui si recarono ad arieggiarlo e ripulirlo il prozio ebbe degli attacchi di tosse terribili, ma lui diede sempre la colpa alla polvere. Era possibile in effetti, quel luogo non era di certo il più salubre dati tutti gli anni in cui era rimasto sfitto, cosa che convinse Thorn ad ingaggiare dei pulitori. Solo che gli stessi episodi si ripresentarono a casa, mentre mangiavano o quando erano impegnati in altro, e non poteva essere sempre qualcosa che andava di traverso. Il dottore gli prescrisse dei rimedi che la zia Roseline guardò con disgusto e la governante e levatrice cestinò senza tanti riguardi, propinandogli degli intrugli di erbe che erano tanto cattivi quanto efficaci.
Ofelia lo vide sempre più spesso parlare con interesse con l'anziana e, per quanto avessero una bella differenza d'età, il prozio sembrava diverso quando stava con lei. Sollevato... più sereno, soddisfatto, come se un peso gli fosse stato tolto dalle spalle. Anche la governante, abituata da tutta la vita a lavorare, comprendeva il bisogno di Ofelia di affrancarsi dal ruolo di madre a tempo pieno.
Berenilde non condivideva quel suo bisogno; quale dama di corte e favorita di Faruk, spesso si trascinava in casa loro ebbra di fumo e vino, talvolta accompagnata da una rassegnata Roseline e da una serafica Vittoria che, nonostante sembrasse sempre persa nel suo mondo, un po' come il padre, in realtà era più arguta di molti, solo che sembrava troppo intontita perché qualcuno lo sospettasse.
Avviarono così le pratiche per la riapertura dello studio di lettura di Ofelia, fissata dopo due mesi dalla presunta nascita del figlio di Renard e Gaela, quando ormai era giunto il termine per la nascita del piccolo.
Che infatti nacque una settimana dopo.
Gaela promise che quello era l'ultimo, che non ne voleva più sapere di parti e spinte e doglie e tutto quello "viscido schifo che era peggio dell'olio motore e puzzava pure di più". Smise subito di lamentarsi però quando le misero Randolf sul petto, mentre fuori dalla porta Renard si mangiava le mani dall'ansia, ignaro del fatto che Salame sulle sue spalle e Ilda in braccio stavano litigando, strappandogli anche i capelli nella colluttazione.
Il nome lo aveva imposto Renard, perché voleva che il figlio avesse un nome simile al suo ma allo stesso tempo più aristocratico, importante, e Randolf gli era parsa la soluzione migliore. Ofelia aveva la sensazione che Gaela gli avesse lasciato carta bianca solo perché lui non aveva mosso nessuna opposizione quando lei aveva scelto il nome Ilda in onore di Madre Ildegarda, ma alla fine l'importante era che fossero felici entrambi.
Ofelia provò una stretta al cuore nel vedere Renard con Ilda in braccio stringersi a Gaela e baciarle i capelli mentre Randolf afferrava il dito della sorellina stringendoglielo forte. Pensò a Lisbeth, a come avrebbe interagito con i suoi fratelli e con Serena. Pensò a come Balder imitava sua sorella, e a come Tyr obbediva a suo fratello maggiore, emulandolo nonostante il temperamento più scalmanato. Si chiese come si sarebbe comportata Serena, così amorevole e materna con i fratelli minori, con una sorellina, e come avrebbe reagito Tyr, che non sarebbe stato più il minore tra tutti. Si chiese come sarebbe stato vedere Thorn con un'altra bimba in braccio, e i loro tre bambini ai suoi piedi.
Sentì stringersi il ventre in un accesso di malinconia, e se ne andò dopo aver lanciato un ultimo sguardo alla testolina bionda di Randolf, che piagnucolò in cerca di latte.
Essendo tarda notte, i bambini erano già a letto, compreso Tyr. Trovò Thorn seduto dalla sua parte di letto, di fronte alla culla di Tyr, chiaro segno che aveva appena finito di addormentarlo. Quando entrò le lanciò un'occhiata fugace prima di rimettersi a scribacchiare severamente su alcuni fogli con la sua immancabile penna nuova. Aveva già consumato tre cartucce d'inchiostro.
E se...?
- Thorn?
Lui alzò la testa, scrutandola nella luce fioca. Aveva il viso in ombra, solo il bagliore metallico dei suoi occhi si intravedeva sul suo viso.
- Dimmi - la incalzò lui quando Ofelia rimase con le labbra serrate.
Che pensiero stupido!
- Niente, vado a lavarmi - mormorò.
- Il parto è andato bene?
Ofelia si fermò sulla soglia del bagno. - Sì, stanno tutti bene.
Thorn grugnì qualcosa e Ofelia si chiuse in bagno. Si lavò la faccia con l'acqua gelida prima di rimettersi gli occhiali e spogliarsi.
Quando si sdraiò a letto, Thorn la circondò con le braccia. Ofelia aprì la bocca diverse volte, ma nessuna parola fu pronunciata.
E Thorn non indagò.
 
Il giorno seguente Ofelia si sentì meglio, e liquidò i pensieri della notte prima come sciocchi sentimenti da ex partoriente. Nelle settimane successive però, notando quanto bello fosse Randolf, come i bambini lo adorassero, litigandoselo tra loro al punto che Renard doveva sempre stare in piedi per evitare che i piccoli lo molestassero affettuosamente, e come gli occhi verdi del nascituro scrutassero tutto con intelligenza, il tormento ritornò.
Catalogò quelle emozioni come malinconia per la perdita mista a desiderio, ma cercava di non badarci troppo, dicendo a se stessa che sarebbero passate presto.
Poi si disse che sarebbero passate, prima o poi.
Si convinse infine che ci avrebbe convissuto a vita.
O così credeva.
Una notte Thorn si interruppe mentre le baciava il collo. Ritrasse la mano dalla sua gamba, si allontanò dal suo viso. Ofelia trattenne a stento un gemito di frustrazione.
- Pensavo che mi avresti detto di tua volontà cosa non va.
Se Ofelia avesse avuto i guanti in quel momento, che però si era tolta per sentire il calore della pelle di Thorn sotto le dita, si sarebbe morsa la cucitura nel tentativo di scacciare l'agitazione. Nella culla di Tyr, la sciarpa ebbe un fremito nervoso.
Ofelia infilò le mani tra i capelli di Thorn, premendogli la nuca affinché si avvicinasse per baciarla. Voleva che cancellasse il suo tormento, che annullasse i suoi pensieri come solo lui sapeva fare. Era inconcepibile quanto intensamente provasse emozioni in quel periodo, sembrava tutto esasperato: l'amore, la sofferenza, il desiderio. Si sentiva ridicola.
Thorn oppose resistenza.
- Ofelia - la incalzò con voce tagliente, stentorea.
- Ti prego - lo supplicò lei, stringendo forte gli occhi per non vedere più il suo viso, così vicino al suo da non renderle necessarie gli occhiali.
- Cosa?
Da Thorn trovava sempre consolazione in modi imprevisti. Vedeva quanto era vulnerabile e scossa, eppure non faceva nulla per facilitarle il compito, per coccolarla e aiutarla ad aprirsi. Eppure la osservava attentamente, ascoltava ciò che diceva, senza mai dimenticarlo. Se vedeva che stava male, non l'abbracciava, le chiedeva cosa non andasse. La costringeva a parlare anche quando non aveva parole.
Scese nuovamente sul suo collo, l'accarezzò con le labbra, e si ritrasse.
Thorn emise un strano grugnito che probabilmente aveva lo scopo di spronarla a rispondere. Le sembrava di essere tornata all'inizio, a quando desiderava un figlio ma non riusciva a chiederglielo.
E il problema era identico.
Del resto, però, non aveva sempre fatto fatica a confessargli ciò che provava più intimamente? Anche per ammettere che lo amava, non solo a lui ma anche a se stessa, aveva impiegato mesi. E mesi.
Thorn rotolò giù da lei, le diede le spalle e spense la luce. Così rimase, senza una parola o una spiegazione, senza un commiato.
Ofelia si sentì vuota e fredda senza il corpo del marito a scaldarla.
- Vorrei riprovarci. Ad avere un bambino. L'ultimo.
Era così buio che non vide il volto affilato di Thorn quando si sporse su di lei. - Pensavo non volessi più provarci dopo...
Ofelia intuì una certa esitazione, e sorpresa, nel tono di Thorn. Non ne era sicura però, perché con lui era impossibile essere certi di cosa provasse.
- Lo pensavo anche io ma... vedere la nascita di Randolf, il modo in cui i bambini lo curano... non hanno avuto l'opportunità di farlo con Lisbeth, e non vorrei mai che venisse considerato un rimpiazzo, però...
Thorn non disse nulla, rimase così immobile che Ofelia si chiese se stesse almeno respirando.
- Sei tanto contrario all'idea?
- Contrario no, sorpreso sì. Tutti questi anni e ancora non riesco a prevederti.
Si ributtò a letto, e questa volta lo scatto metallico dell'orologio da taschino risuonò nel buio come un campanello. Era buio pesto, ma Thorn era ormai così abituato a tenerlo in mano in qualsiasi momento che gli veniva in automatico prenderlo per consultarlo in ogni situazione.
Riaccese la lampada, facendo strizzare gli occhi ad Ofelia.
- Potrebbe andare male di nuovo - disse Thorn, tagliente come una mannaia.
Come se non lo sapesse. Era proprio il genere di commento che Ofelia non voleva sentire. Ma Thorn era pragmatico, e probabilmente aveva già calcolato tutti i diversi modi in cui quella gravidanza sarebbe potuta andare per il verso storto.
- In tal caso non ci proveremo più.
- Ma tu come ne uscirai?
Lei, non lui. Sempre pronto a preoccuparsi per lei, tralasciando i propri sentimenti e le proprie intenzioni. Anche in quel modo Thorn le mostrava attenzione, e Ofelia lo apprezzava più di qualsiasi gesto meccanico e scontato.
- Ne uscirò. Ne sono sempre uscita. Sarebbe un duro colpo, ma non sottovalutarmi.
- Solo una volta l'ho fatto. Mi è bastata.
Ofelia sorrise suo malgrado. L'aveva giudicata incapace di reggere l'inverno del Polo, sottintendendo che non sarebbe mai sopravvissuta lì. L'aveva smentito, e lui non aveva più dubitato di lei e della sua tenacia. Non aveva più commesso lo stesso errore.
- Tu cosa vuoi?
- Non me lo sono mai chiesto.
- Lo vorresti?
Thorn si passò una mano tra i capelli, per controllare che fossero in ordine. Era fondamentale in quel momento.
- A me ne sarebbero andati bene anche tre. Lisbeth non era prevista, ma non per questo ho pensato che fosse di troppo. Lo sai che desideravo vederla quanto te.
Ofelia annuì, incapace di articolare parola. Il discorso di Thorn aveva un tono agrodolce, non si capiva dove volesse arrivare con il ragionamento.
- In altre occasioni, se anche ti dicessi di no tu faresti di testa tua lo stesso, ma ora sono io a chiederti di lasciarmi valutare la questione un paio di giorni. A meno che la tua richiesta non sia perentoria, in tal caso accetterei subito, ma sappi che non sarei pienamente convinto di questa scelta.
Ofelia poteva capirlo. Era vero, un figlio poteva capitare, Lisbeth stessa era capitata, ma in quel momento era diverso. Avevano testato sulla loro pelle la perdita che ne conseguiva, e rischiare di nuovo avrebbe richiesto una forza che forse non sarebbero più stati in grado di dimostrare.
Ofelia si sporse su di lui e lo baciò dolcemente, accarezzandogli il viso leggermente ispido.
- Prenditi il tempo che ti serve. Capirò se sarai in disaccordo.
Thorn sbuffò leggermente. - Ti ho mai negato qualcosa?
Ofelia avrebbe voluto ricordargli, ricordare a lui, con la sua memoria infallibile, che non le aveva mai negato delle richieste, ma in passato diverse volte le aveva chiesto di non fare qualcosa a cui lei poi si era ribellata. Non era la stessa cosa, però non era corretto che lui pensasse di dargliela sempre vinta, perché non era uno di quegli uomini che subivano le azioni delle mogli, anzi.
- Se non me lo negherai nemmeno questa volta, perché esiti?
- Vorrei esserne sicuro. Non mi piace prendere decisioni senza un'attenta riflessione e analisi statistica di pro e contro a monte.
Ofelia scosse lentamente la testa. Giusto.
Si ributtò sui cuscini, serrando le palpebre. Thorn bofonchiò qualcosa e spense la luce, concludendo del tutto la giornata.
Ofelia gli prese la mano. - Solo perché devi riflettere non vuol dire che non possiamo... prima noi...
Thorn le fu di nuovo sopra in un attimo, facendola sospirare di sollievo.
E aggiunse un epilogo alla conclusione di quella giornata.
 
Il giorno dopo Ofelia notò come Thorn osservava senza discrezione Randolf, così insistentemente che Renard si sentì a disagio e più volte si allontanò dall'area di azione dell'intendente.
- Tuo marito è strano oggi, ragazzo. Sembra voglia applicare la pena capitale per il mio meraviglioso bimbo. E sì che è così tranquillo!
Randolf si mise a gridare in quel momento, facendo sorridere Ofelia. Nessuno dei due figli di Renard e Gaela era calmo, a dire il vero.
Quella sera Thorn parlò poco, anzi, rivolse a malapena la parola ai commensali e ad Ofelia. Guardò però Gaela, di nuovo in maniera forse troppo diretta, e Ofelia cercò di non ridere di fronte allo sguardo terrorizzato di Renard, che si stava facendo chissà quali idee strane. Continuava a far correre gli occhi tra Ofelia, sua moglie e Thorn, alla ricerca del punto di congiunzione che gli avrebbe svelato cosa stava accadendo.
Quando fu ora di andare a dormire, Ofelia si chiese cosa fosse meglio fare. Doveva parlargli? Doveva ignorarlo, fare finta di nulla? Non voleva che pensasse che lo stava incalzando, ma anche evitare di parlarsi in quel modo...
Alla fine la batté sul tempo.
- Concesso. Proviamo l'ultima volta, quattro sono abbastanza.
La tensione che si era accumulata fino a quel momento nel ventre di Ofelia si sciolse, facendole provare un sollievo insperato. Si accostò a lui, abbracciandolo e seppellendo il viso nella sua schiena calda.
Rimase incinta tre mesi dopo.
  
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