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Autore: Jeremymarsh    09/12/2021    4 recensioni
Una volta si erano ripromessi di affrontare ogni cosa insieme, ma poi lui le aveva lasciato la mano, abbandonandola di nuovo.
Ora lei lo ha ritrovato e riportato nel Dritto, incurante delle conseguenze, ma si renderà conto che la parte più difficile deve ancora arrivare.
Ofelia e Thorn scopriranno che prima di amarsi, prima di cominciare quella vita tanto agognata, dovranno trovare il coraggio per affrontare ciò che sono diventati. Eppure nemmeno quello avrà importanza, se prima non impareranno a condividere i rimorsi e le proprie paure.
Scopriranno che l’unico modo per curare le ferite e colmare i vuoti sarà affidarsi all’altro e cominciare un nuovo viaggio insieme.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Telefonata



 

Un paio di giorni dopo, ancora ubriaca di felicità per gli ultimi sviluppi e rendendosi conto che era arrivato anche per lei il momento di smettere di scappare, Ofelia decise di mandare un telegramma alla zia Roseline. Era dal suo ultimo viaggio attraverso gli specchi che non la contattava e si sentì in colpa per aver ignorato ogni missiva ricevuta in quegli ultimi mesi; capiva anche che, con ogni probabilità, sarebbe impazzita come una teiera rimasta troppo tempo sul fuoco appena avrebbe ricevuto il suo messaggio. Alla mamma non osava nemmeno pensarci: il rimorso e l’ansia le stringevano il cuore nel petto e chissà cosa aveva dovuto subire la zia Roseline da parte della sorella per colpa sua.

Quindi, con tutto il coraggio che riuscì a racimolare, cominciò il telegramma mantenendo un tono normale e tranquillo. In breve, non fece alcun riferimento alle novità e finse che quei mesi senza alcun contatto non fossero mai esistiti. Scrivendo, provò a immaginare che fosse una lettera scritta dopo appena una settimana di silenzio.

Riconosceva anche che il suo fosse un approccio codardo — molto codardo —, ma non si sentiva ancora pronta ad affrontare l’argomento. D’altronde, per quanto la zia fosse stata molto comprensiva dalla presunta morte di Thorn, sapeva che l’avrebbe pressata con le sue preoccupazioni non appena avesse ricevuto il messaggio. Aggiungere il ritorno del marito alla lista delle cose avrebbe solo peggiorato il tutto.

Meglio un passo alla volta, si disse. In tanti aspetti della sua vita stava cominciando a capire che era il modo migliore per agire.

Le chiese, dunque, della vita al Polo, dei cambiamenti che non aveva ancora avuto modo di vedere con i propri occhi, di Berenilde e della non più piccola Vittoria; si informò di Archibald e di come stesse proseguendo la sua malattia e, infine, volle sapere addirittura di Faruk. Mentre scriveva, non osò pensare ad altri due abitanti del Polo dei quali, in altre circostanze e in un universo parallelo, avrebbe potuto ricevere ancora notizie e che, specialmente quel giorno, le mancavano particolarmente. 

 

***
 

Quella sera stessa, in un’altra arca, la zia Roseline fissava imbambolata il telegramma appena ricevuto, mentre Berenilde tentava di coinvolgerla in conversazioni frivole e Vittoria la studiava con precisione. Roseline rileggeva quelle frasi scritte nero su bianco e non riusciva a credere ai suoi occhi. Tra i mille pensieri ansiogeni e arrabbiati — perché Ofelia era scomparsa da mesi, perché l’aveva lasciata nelle grinfie della sorella nonostante lei le avesse fornito tutta la comprensione e l’aiuto possibile in quei due anni — la donna non poté non notare il cambiamento.

Era la prima volta, da che la corrispondenza Polo—New Babel andava avanti, che Ofelia si era davvero interessata alla loro vita sull’arca fredda; ogni notizia e frase Roseline gliel’aveva dovuta cavare da bocca come si fa con una caramella al mou particolarmente resistente e attaccata ai denti. Evidentemente, rifletté mentre rileggeva, avrebbe dovuto fare così anche questa volta. Qualsiasi cosa fosse cambiata, Ofelia non ne faceva parola e andava avanti come se nulla fosse accaduto e lei non fosse sparita per mesi.

Berenilde interruppe improvvisamente il suo monologo, notando l’espressione allibita di Roseline. “C’è qualcosa che non va, cara?” E visto che l’amica non rispondeva, le prese senza altre parole il telegramma da mano. “Ah, Ofelia! Iniziavo davvero a preoccuparmi. È un’ottima notizia! Dici che vorrà finalmente stabilirsi in pianta stabile qui e accettare la mia proposta?”

“Nemmeno se cominciassi a masticare la mia preziosa carta!” sbottò quella. “Ma non finisce qui,” continuò strappandole di nuovo la lettera da mano. “Domani riuscirò a venirne a capo, e mi sentirà, vedrai se non mi sente!”

 

***

 

Com’era prevedibile, il giorno dopo Ofelia non era ancora del tutto sveglia quando nella casa si diffuse il trillo insistente dell’apparecchio telefonico. Thorn fece una smorfia, mentre la moglie subito correva ad alzare la cornetta, un groppo in gola, sapendo già chi aspettarsi dall’altro lato. La voce gracchiante e allarmata della zia le arrivò senza che lei avesse avuto almeno la possibilità di prendere fiato per annunciarsi. “Acciderbolina, Ofelia, cos’è successo?”

“Zia,” rispose lei mentre Thorn si materializzava accanto a lei. “Come state?”

“Non ci provare, signorina,” rispose la zia; Ofelia poteva immaginarla benissimo con la sua crocchia ordinata e gli occhi ridotti a due fessure. “Scompari per mesi, senza nemmeno avvisarmi e poi vuoi far finta che non sia successo nulla? Hai almeno idea di quello che ho dovuto passare con la tua povera madre? Mi stupisco che non sia ancora venuta a tirarti per le orecchie e sculacciarti come faceva quando eri bambina! E per non parlare dei pacchi indignati che mi arrivano qui al Polo. Con tutte le cianfrusaglie che tua madre ha collezionato e poi spedito qui la povera Berenilde ha un’intera stanza piena di scatole balzanti che non abbiamo nemmeno osato aprire! Mi meraviglio non siano in grado di sibilare come la vecchia teiera dello zio! E alla piccola Vittoria non ci pensi? Ha il terrore di avvicinarsi, la povera bimba!”

Ofelia lasciò che la zia proseguisse con la sua tiritera, allontanando la cornetta dall’orecchio per evitare di perdere anche l’udito, mentre il senso di colpa si faceva sempre più presente. Non osava immaginare cosa l’aspettava da parte della madre. Presto o tardi avrebbe dovuto affrontare anche lei.

Thorn, accanto a lei, alzò il sopracciglio in modo inquisitorio. Intuendo la domanda, Ofelia scosse la testa. No, non avrebbe ancora rivelato alla zia della presenza del marito, per lo stesso motivo per cui non l’aveva fatto via telegramma.

“Oh, e non farmi cominciare sul quel povero uomo che è tuo padre! Sarà anche molto comprensivo e silenzioso, ma come se non lo conoscessi. Lo hai fatto penare così tanto che mi stupisco non ci abbia ancora lasciato le penne!” Continuò la zia e Ofelia sussultò, capendo che era venuto finalmente il momento di interromperla.

“Mi spiace, zia,” le disse con il tono più cordiale possibile, “ho avuto molto da fare.” Si voltò per sorridere a Thorn, il quale non ebbe alcun problema a prendere la mano allungata di lei per stringerla.

“Oh,” fece Roseline, per un attimo interdetta dalla voce così leggera e diversa da quella che era abituata a sentire. Si era aspettata mille scuse e promesse che la giovane avrebbe infratto la prossima volta che sarebbe scomparsa. I dubbi aumentarono di conseguenza, ma schiarendosi la voce, decise di non rovinarle subito il buon umore. “Presumo che non mi dirai cosa questo gran da fare sia,” le disse, sospettosa.

“Beh, zia, davvero nulla di cui—”

“Per tutti gli antenati, Ofelia!” sbottò l’altra senza nemmeno farla finire — e probabilmente l’intento era quello. “Non dirlo nemmeno. È ovvio che ci preoccupiamo.” Si sentì in sottofondo la voce più aggraziata di Berenilde che approvava.   

“Ma io sto bene, zia, davvero. Sono stata oberata di lavoro e—”

Di nuovo, la zia non la fece concludere. “Hai cercato di scappare ancora una volta dai tuoi problemi attraverso quelle scartoffie? Insomma, Ofelia, mi costringerai a parlare con quel ragazzaccio. Dovrebbe avere più rispetto di te invece di assecondare queste strambe manie che hai sviluppato. Ci sono tante cose sane e più utili con le quali potresti intrattenerti, visto che ti ostini a non raggiungerci qui al Polo. Capisco la tua reticenza a non tornare ad Anima, ma, cara nipotina, non voglio più sentire che non rispondi ai miei telegrammi a causa di quel lavoro.”

“Va bene, zia. Ma ve lo assicuro, io sto bene,” le ripeté, sperando di farle capire che era così e scongiurare un altro attacco di panico che avrebbe potuto farle venire la malsana idea di venire a New Babel.

“Certo, tesoro, posso constatarlo da sola,” concordò la zia. Il suo tono si fece improvvisamente più basso e, subito dopo, la sentì singhiozzare. “Vorrei poterlo vedere con i miei occhi, sai. Non è solo a tua madre che manchi. Noi saremmo molto contente di poterti rivedere e ci sono tante cose che potresti fare qui al Polo. Lo so che il clima non è il migliore, ma è cambiato tutto da quando siamo arrivate insieme la prima volta. Prova a farci un pensierino; anche solo una visita per calmare il cuore di due donne sole.” In sottofondo, la voce offesa di Berenilde ribadì che lei non era affatto sola.

Sebbene la giovane riconoscesse facilmente il tentativo di giocare sulle sue debolezze, non poté evitare di pensare che, in fondo, la zia Roseline era davvero preoccupata per lei. Da parte sua, Thorn cominciava a stizzirsi. Non aveva mai sopportato di buon grado le chiacchiere incessanti e irritanti della zia di Ofelia e non in era in quel modo che aveva immaginato di passare la mattina. Era uno spreco di tempo ed energie. Per quel che lo riguardava, il telegramma che la moglie aveva perso tanto tempo a scrivere il giorno precedente sarebbe dovuto bastare come fonte di informazioni.

Lanciandogli uno sguardo di scusa, Ofelia rispose alla zia. “Va bene, zia, ci penserò. Cercherò di ritagliarmi un po’ di spazio.” Poi cercando di concludere il tutto con un’altra nota positiva aggiunse: “Sto cercando di godermi la vita qui a New Babel che è così tanta cambiata.”

“In più di due anni te la saresti goduta di più se non avessi perso tempo in qualche universo strambo tra uno specchio e l’altro,” borbottò Roseline. “Spero che questo cambio di umore sia dovuto in parte alla ritrovata consapevolezza che sprecare settimane e mesi in quel modo ti fa solo male alla salute. Sei più saggia di così, Ofelia.”

“Certo, zia, sono mesi che non attraverso uno specchio,” le riferì con una punta di acidità a cui la donna non fece assolutamente caso, troppo presa dalla notizia.

“Ah,” per un attimo perse anche l’uso della parola. “Mi fa molto piacere, cara.” Non avrebbe detto la stessa cosa se avesse saputo il motivo. “Fin quando attraversi gli specchi per comodità non vedo perché non dovresti farlo. Ma non voglio più vederti così abbattuta come ogni volta che torni da un viaggio senza risultati; il tuo spirito non lo sopporta più.”

Le sopracciglia di Thorn, a quel punto, sparirono sotto i ciuffi biondi che gli ricadevano sulla fronte; evidentemente c’era qualcosa che la moglie non gli aveva ancora detto riguardo i suoi viaggi. Le rivolse un’occhiata più dura per farle capire cosa ne pensava e Ofelia sorrise incerta, mentre ancora cercava di chiudere la conversazione con la zia. “Lo terrò a mente, zia. Ora se volete scusarmi, avrei un lavoro da sbrigare.”

“Ma certo, ma certo, cara. Ricorda di dire a quel ragazzaccio che deve lasciarti un po’ di tempo libero per uscire da quella casa asfissiante e piena di brutti ricordi. Sono sicura—”

“Lo farò, zia, grazie ancora.” E dopo quello, ormai stufa, avendo sopportato anche troppo, posò la cornetta dandole a mala pena il tempo di ricambiare il saluto e ripeterle di chiamare la madre.

Chiuse gli occhi e prese un altro grosso respiro. Pur essendosi aspettata una conversazione del genere, quella telefonata le era pesata parecchio, sia mentalmente che fisicamente. In più, ora l’aspettava qualcosa di più arduo.

Se avesse saputo che Thorn avrebbe ascoltato ogni cosa, avrebbe ricercato un po’ più di privacy. Non sapeva se era ancora pronta a raccontargli tutto ciò che era successo durante i suoi viaggi, ma sapeva che prima o poi avrebbe dovuto confessarlo. D’altronde, c’erano ancora un sacco di cose da dirsi.

Poco importava ora. Non aveva altra scelta.

Si voltò infine verso il marito, il quale indossava ancora il suo caratteristico cipiglio, e gli sorrise incerta. “Il tè si sarà fatto freddo ormai,” disse facendo riferimento alla loro colazione ancora intatta sul tavolino, “metto sul fuoco altra acqua?” Senza aspettare una risposta si avvicinò alla cucina e riempì il bollitore mentre Thorn la seguiva con occhi da falco e poi tornava a sedersi. I minuti passarono in silenzio fino a quando un fischio non annunciò loro che l’acqua era pronta. Ofelia la versò nelle tazze, aggiungendo poi a ognuna del tè fresco, passando la più piena al marito; avvolse poi le dita attorno alla propria, come se avesse bisogno del calore della bevanda per riscaldarle, rifiutando ancora di incontrare lo sguardo di ghiaccio di lui.

Thorn non le mise per nulla pressione e aspettò che lei cominciasse a raccontare; quella specie di confessionale andava avanti ormai da tempo ed entrambi avevano imparato gesti e parole confortanti da riservare all’altro. Per smorzare il silenzio un po’ intimidatorio, l’uomo allungò la propria mano per coprire quelle di lei e vide le sue labbra incurvarsi un po’ in su. Era un sorriso un po’ amaro e la cosa lo preoccupò non poco.

In realtà, aveva paura di scoprire la verità su quei tanti viaggi attraverso gli specchi — non sapeva nemmeno quanti ne avesse davvero fatti — e non si era mai soffermato su cosa avesse dovuto sperimentare Ofelia per ritrovarlo. Era stato sempre preso da sensi di colpa maggiori e più evidenti. Ora, la frase della zia Roseline lo aveva preso in contropiede e non poteva più andare avanti senza sapere. Nonostante si sentisse un nuovo peso sul petto, non poteva vivere nell’ignoranza.

Era per lui che Ofelia aveva viaggiato imperterrita e il massimo che poteva fare era offrirle incoraggiamento.

“Non devi preoccuparti per me,” cominciò infine. “Ora sto meglio… molto meglio di prima… grazie a te.” Alzò finalmente lo sguardò per osservarlo. Ammetteva che quei mesi erano stati duri e non amava guardarsi alle spalle per quel motivo, ricordare chi era stata nel periodo antecedente e seguente la ricomparsa di Thorn. Tutti gli insuccessi le avevano fatto perdere la propria identità e si era sentita sempre meno degna di essere sua moglie. Ora non era più così. Giorno dopo giorno, permettendole di aiutarlo a sua volta, il marito le dimostrava quanto lei fosse l’unica persona meritevole di stargli accanto.

“È vero quello che la zia Roseline ha detto: soffrivo all’idea di non poterti trovare; attribuivo ogni mio fallimento a qualche incapacità personale e non al caso. Non potevo sapere dove sarei finita ogni volta che ne attraversavo uno, ma ingenuamente pensavo che fosse colpa mia se ogni viaggio non mi portava da te.” Ridacchiò, ma non c’era traccia di umorismo. “Con il senno di poi mi rendo conto di essermi fatta solo del male, ancora e ancora; era evidente che la cosa peggiorasse ogni volta che tornavo a mani vuote.” Abbassò lo sguardo su quest’ultime nascoste da quelle di Thorn. “La zia è solo preoccupata perché non sa che ho smesso, perché crede che andando avanti così continuerò a logorarmi e perdermi in me stessa.”

Thorn la fissò a lungo, comprendendo ogni cosa che lei gli stava dicendo. Si era fatta del male da sola, diceva; capiva anche quello. Era la forma di autolesionismo più facile da effettuare ed era anche troppo familiare. Tuttavia, non poteva non pensare alle implicazioni di tutto ciò. Era colpa sua, di lui, se si era fatta del male. Era per cercare lui che aveva proseguito fino a perdere se stessa. Il suo viso si corrucciò ancora di più e strinse la presa sulle mani di lei.

Ofelia capì subito cosa stesse accadendo nella sua mente e fermò quei pensieri dannosi sul nascere. “Non farai nulla di diverso se ora ti attribuisci colpe che non hai, Thorn. Pensavo che a, questo punto, fossimo oltre questo stadio. La colpa non è mia, ma neanche tua. È una conseguenza di tutto ciò che ci è successo. Pensi che avrei potuto convivere con me stessa se non ti avessi cercato a lungo? Che sarei stata meglio? No, le mie insicurezze e debolezze mi avrebbero ucciso molto prima. La verità è quei viaggi, per quanto logoranti, erano anche confortanti. Fin quando mi era possibile attraversare gli specchi ero consapevole di avere ancora una speranza, di poterti rivedere un giorno.”

“Questo non rende più consolante l’idea,” rimarcò lui.

“Sono stata anch’io nel Rovescio, Thorn, so cosa c’era dall’altra parte. Pensi che fosse confortante per me l’idea delle tue sofferenze in quel luogo? Nulla era semplice in quello stato delle cose — nulla lo è. Ho scelto il male minore e quello che ti ha riportato qui da me ora.” Si alzò infine e lo raggiunse dall’altra parte del tavolo senza interrompere il contatto visivo; i loro visi erano a pochissima distanza, le lunghe braccia di Thorn la sfioravano senza problemi. Se ne avesse alzato uno avrebbe potuto carezzarle una guancia senza difficoltà. “Rifarei ogni cosa d’accapo, Thorn. Nonostante abbia perso la coscienza di me, sebbene mi sia messa in dubbio anche troppo, se c’è una cosa che non mi è mancata dal momento in cui ti ho perso è la volontà di ritrovarti. Vedendo dove siamo oggi io e te,” disse indicando i loro corpi sempre più vicini, tanto da non esserci nemmeno un po’ di spazio, “come puoi dirmi che ti dispiace, anche solo con uno sguardo, di quello che ho passato?”

“Ciò non toglie che ancora una volta hai sofferto a causa mia.” Thorn si rabbuiò, come se ce l’avesse con lei perché non capisse le sue colpe, come se stesse cercando di giustificarlo quando scuse non ce n’erano.

“E tu sei finito dall’altra parte per colpa mia,” ribatté Ofelia, combattiva. “Stavi cercando di salvare me. Non ci serve a nulla ora questo ragionamento e nessuno dei due si pentirà mai delle scelte fatte perché, alla fine, ci hanno riportato qui dove siamo… insieme… ancora.” Si fece ancora più vicina, fino a che le loro ginocchia non cozzarono e le braccia di lui non la circondarono. Ofelia si sporse e Thorn inspirò profondamente, fino a quando la moglie, piccola e fragile, ma anche forte e coraggiosa, non si ritrovò seduta in grembo a lui.

Ofelia non poteva credere di trovarsi in una posizione così intima, dopo tanto tempo, e per un attimo chiuse ancora gli occhi, aspirando il profumo di lui e sentendosi protetta da quell’abbraccio, dal suo calore. Solo quando poggiò finalmente la guancia sul suo petto, Thorn tornò a respirare, gli occhi sgranati e il cuore che batteva impazzito. Era così forte che Ofelia non aveva difficoltà a sentire il suo thump-thump.

“Rifarei ogni cosa, Thorn. Passo per passo, graffio per graffio, dolore per dolore. Tutto. E forse le cicatrici sono così evidenti e scolpite in me che faccio fatica a riconoscermi, a rivedere la traccia di chi ero, ma cosa importa se ho ritrovato la parte più importante? Voglio essere tua moglie, Thorn, voglio riconoscermi in questo. Voglio esserti utile e starti vicino per ogni nuova consapevolezza e battaglia.” Si rendeva conto di avergli detto qualcosa di molto simile appena ritrovati, quando Thorn ancora faceva fatica a spiccicare parola, ma sentiva che lui aveva bisogno di risentire quelle stesse cose. “Se me lo permetterai,” aggiunse infine.

Lui strinse ancora di più le braccia attorno al suo corpo in risposta.

“Ti dispiace aver impedito che morissi, Thorn? Ti dispiace aver impedito al disegno di Seconda di diventare realtà?”

Thorn si ritrasse per un momento, come ferito da una supposizione simile. “È una cosa così illogica e impossibile che non riesco a figurarla. Non voglio sentirti parlare in modo così irragionevole,” le rispose, piccato.

Lei alzò il viso e gli sorrise. “E non è altrettanto irragionevole pensare che io mi penta di averti aiutato solo per paura di soffrire? È così difficile immaginare che io tenga ancora così tanto a te? Thorn…” alzò la mano per sfiorargli un ciuffo biondo, scostandolo e poi accarezzando la cicatrice che si trovava sotto, “i miei sentimenti sono sempre gli stessi, anche più intensi.

Questa volta fu Thorn a chiudere gli occhi, ogni particella del suo essere rigida e, per un attimo, Ofelia pensò di essere andata troppo oltre, di aver esagerato con il coraggio. Dopo aver preteso un contatto ancora maggiore tra di loro aveva sbagliato a fargli capire esplicitamente quanto lo amasse? Pensava di essere andata sul sicuro non pronunciando le parole esatte. E poi, tutte le azioni che aveva compiuto finora, non erano testimoni dell’intensità dei suoi sentimenti? Thorn dubitava ancora di lei o, meglio, dubitava ancora di lui? Le parole che pronunciò un attimo dopo contraddissero i suoi dubbi.

“Ofelia, mi dispiace di essere stato… illogico. Questi dubbi non sono degni di un uomo come me.” Riaprì gli occhi e la fissò così intensamente che un calore quasi dimenticato si diffuse in tutto il suo corpo, coinvolgendo anche parti non in uso da tempo. “Ma, se me lo permetterai, farò in modo che tu non abbia sofferto invano.”

Lei gli prese il volto a coppa e lasciò che continuasse a guardarla in quel modo; la faceva sentire così bene — dopo tanto tempo. Pensava di non poter raggiungere un piacere così profondo, sebbene sapesse che c’erano ancora cose da condividere, che tante sensazioni ancora più forti l’aspettavano. “So già che non ho sofferto invano, pensavo di avertelo già spiegato."

Thorn annuì con difficoltà, il volto stretto nelle sue mani. “Vorrà dire che te lo dimostrerò ancora.”

“Non vedo l’ora.” Sorrise, felice.

“Per la cronaca,” aggiunse infine, più serio che mai, “neanche i miei sentimenti sono stati scalfiti.”

A quel punto Ofelia tirò la testa all’indietro e rise, libera, mentre lacrime di gioia le inumidivano gli occhi e poi le rigavano il volto. Il suono arrivò alle orecchie di Thorn puro e melodioso; invase tutto il suo essere e lo riscaldò dentro.

“Sì,” concordò lei. “In fondo l’ho sempre saputo.”




 


 

N/A: Vi sarete resi conto anche voi, a questo punto, che le cose stanno prendendo una piega più veloce. Sono passati un po’ di mesi (ma sempre meno di un anno) e il loro percorso di guarigione diventa più facile man mano che ottengono dei risultati. Questo perché loro stessi ritornano sempre più a loro agio l’una con l’altro e diventa più facile osare se si ha a che fare con risposte positive. Senza considerare poi che sono passi che in passato hanno già fatto; riscoprono sensazioni che non sono più disposti a perdere. D’altronde hanno provato la vita da soli prima di conoscersi, hanno vissuto quella insieme e infine ne sono stati derubati. A questo punto, chi vorrebbe rinunciare?

E, ovviamente, è arrivato il momento di introdurre pian piano aspetti che non riguardano solo la loro vita di coppia, ma anche tutto ciò che li circonda e vedere un po' come se la cavano entrambi. 

Come sempre, vi ringrazio per i riscrontri che mi lasciate e per aver aggiunto la storia tra le preferite/seguite. A presto 💞.

   
 
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