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Autore: Cladzky    09/12/2021    2 recensioni
Un uomo corre, lontano da cosa? Il suo nido forse? Ma appartiene davvero ad una mostruosità del genere? Ma la città non vuole lasciarlo andare e nemmeno la sua paura, inerpicando la sua via d'uscita.
Omaggio a uno dei miei più grandi maestri, Howard Phillips Lovecraft.
Genere: Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ho la minima idea di come io sia finito in una faccenda simile, mio malgrado. Non ricordo cosa mi portò a ciò, anzi non rammentavo neppure di essere mai esistito prima di allora, eppure quando mi ritrovai a vagare per quelle strade buie e aride di vita,  ma non per questo meno pericolose, sentivo gravare sull’animo strane sensazioni, come se avessi infranto i segreti più reconditi e proibiti, in un passato tanto  indefinito da non averne memoria.

So che può sembrare assurdo, ma l’Assurdo, insieme allo Sgomento e all’Orrore costituiscono i protagonisti di questa storia, che, seppure non comprendo come e perché, mi riguarda.

Le vie oscure e deserte, nelle quali mi aggiravo tremante, mi erano completamente aliene e composte secondo canoni indescrivibili e sconosciuti, ma ciononostante le attraversavo con estrema sicurezza, sebbene l’angoscia che pioveva da quelle macabre mura e guglie svettanti mi facesse rabbrividire fin dentro le ossa.

E’ questo l’inizio della storia? Non ne sono sicuro, ma quello che racconto è l’esatto ordine cronologico secondo cui ho vissuto tutto ciò che leggerete. Come già detto non serbavo ricordi di alcun evento precedente a questi, come se fossi nato direttamente in quel corpo che vagabondava spaventato per indicibili mostruosità architettoniche, che nessun uomo ancora sano di mente avrebbe osato affibbiare a quell’agglomerato blasfemo di dannatissima pietra la definizione di “città”, se non fosse che è l’unica maniera nella quale io la possa vagamente descrivere.

Non avevo memoria di nient’altro luogo all’infuori di questo, eppure ero incredibilmente certo che fra tutti questo era il peggiore dei mondi possibili. Tutto faceva intendere che quella era la mia casa, ma non riuscivo in alcun modo a provare attrazione per quelle pietre impregnate di malignità, come fossi estraneo a tutto ciò o almeno così speravo.

Nonostante tutto sentivo che in quel dedalo a me ostile, mi guidavano certi vaghi presentimenti che mi spingevano a imboccare un vicolo piuttosto che un altro, come una sorta d’istinto istillatomi da esperienze precedenti dimenticate o addirittura mai vissute. Ma finché una tenue speranza mi avrebbe permesso di fuggire da quell’orrenda necropoli risaluta dai reconditi inferi della paura, avrei continuato ad avanzare nell’ombra. Così, con mille dubbi nell’animo, perseverai a seguire il mio subconscio e a districarmi fra quelle vie empie, ricolme di case torve addossate l’una all’altra che lanciavano sguardi maligni sulle strade tortuose.

Dovevo avere i nervi tesi come corde di violino, perché abituato a sentire solo il rumore dei miei passi sul lastricato e il mio respiro gravoso, sobbalzai terrorizzato in maniera convulsa al minaccioso rintocco d’una vicina campana, strozzando un grido in gola. Quel lugubre boato si disperse in lontananza fra i tetti della diabolica città ed io non potei fare a meno che fermarmi, annichilito nell’animo, in mezzo a un piccolo spiazzo fra le case nere. Sollevai il capo verso al’alto per trovare almeno con lo sguardo il maledetto campanile, ma mi ritrovai circondato da bizzarre e grottesche costruzioni fra torri e palazzi, di cui era impossibile distinguere la fine della loro salita tanto era buio quel cielo senza stelle, quasi le loro punte venissero inghiottite dal buio stesso.

Subito dopo la mia attenzione si spostò su un diverso suono, che potei udire dopo pochi secondi , con ancora il rintocco della  campana che indugiava a riecheggiare. Un paio d’ali batterono l’aria sopra la mia testa e, come disturbato dal rintocco, sentì distintamente un corpo di grosse dimensioni andarsene fendendo la brezza notturna perpetua e scivolare nel nulla. Neanche questo spettacolo riuscì a vedere in mezzo al buio, ma per certi versi ringraziai quel cielo sdentato dei propri occhi, di avermi risparmiato la visione di una tale creatura.

Ammutolito, ragionavo sulle dimensioni e la forma che mi ero fatto di quella bestia indistinta e impallidì al pensiero che simili creature abitassero il buio smisurato di quel luogo spettrale. Ben presto sopraggiunse la disperazione. Quanto ancora avrei camminato per raggiungere la fine del mio viaggio dentro quella catacomba a cielo aperto, se mai ci fosse stata una fine, come se mai ci fosse stato un inizio? E quante altre creature orrende e invisibili avrei incontrato e cosa avrei potuto fare, così tremendamente solo e impotente all’orrore che mi soverchiava con le sue dannate mura e le maledette strade di una città senza nome in un mondo così morbosamente caotico e putrefatto dall’ombra?

Osservai la strada che avevo percorso fino ad allora. Mai mi era sembrata tanto oscura. Alla fine mi decisi a voltarmi e proseguire il cammino verso quello che speravo, anche se ormai molto debolmente, essere un posto sicuro dove riposare.

Seguitando a camminare, tutto ciò di cui avevo timore sembrava acuirsi sempre di più man mano che un passo seguiva l’altro. Il buio si fece sempre più fitto tanto che ormai a malapena scorgevo i contorni della strada e dei muri; le costruzioni divenivano sempre più assurde e azzardate, con geometrie e architetture al di fuori di questa stessa realtà, che sfidavano con la loro inclinazione, proporzione mutevole di battito e semplice prospettiva ogni interpretazione di cui i miei occhi fossero in grado, abbacinandomi da quando male mi faceva la vista. Anche la stessa via lastricata su cui procedevo si faceva man mano più dissestata e la disposizione delle pietre sporgenti sul ciottolato sembrava essere fatta apposta per farmi incespicare, impedire la mia fuga. La città mi circondava, mi abbracciava, mi ghermiva, voleva tenermi nel suo seno laido.

Ormai parevo andare avanti per inerzia. Mi sentivo tremendamente stanco e mi sembrava quasi di girare intorno, tanto si somigliavano quegli scorci. La continua apprensione di essere osservato stava poi diventando ossessiva e non facevo un metro senza guardarmi intorno ed esitavo anche solo ad attraversare un incrocio dalla paura di essere aggredito da quelle creature del buio che seppur mai ne avevo vista una, già ne ero terrorizzato.

Fu quindi una sorpresa del tutto inaspettata vedere innanzi a me la fine del mio viaggio. Se fosse veramente la fine non ne potevo essere sicuro seguendo il mio raziocinio, era solo un albergo, dall’apparenza coloniale, strappato quasi dal terreno del New England, non molto largo, dipinto d’azzurro tenue, dall’apparenza timido, ma era certo il posto più accogliente in quell’acerba spelonca senza volta. Le gambe mi tremavano, perché quell’ancora affondata in sì marcio fondale si trovava in mezzo ad un terreno brullo, in cima una collina, connessa all’urbe tramite una strada di terra battuta da zoccoli. Carrozze di cavalli o demoni? Se avessi voluto raggiungere quel rifugio sarei dovuto sgusciare dai vicoli pesti di penombra e accoglienti come carta vetrata, ma per quanto li detestassi avrebbe voluto significare mettermi allo scoperto, non avere più muri stretti da frapporre fra me e quelle orride ali di velluto. Per cosa poi? Se fosse stata una trappola? Se una volta giunto alla porta l’avessi trovata sbarrata, o peggio, apertasi avrebbe rivelato le peggiori nefandezze antropofaghe? Se la casa stessa fosse stregata?

Ma perché indugiare? Camposanto o cimitero, dovevo scegliere il mio veleno. Corsi con uno scatto che destabilizzò me stesso, quasi ruzzolai a terra ma ripresi l’equilibrio, mentre l’aria che fendevo pareva spingermi a tornare ai miei lidi, straniero sudicio in terra troppo degna per lui. Ma anche se il mio nido fosse stato fra le ciminiere di zolfo e le facciate in smorfia da gargolla, non avrei mai accettato di terminare lì la mia vita. Ma perché questo dramma? Correvo, senza rendermene conto ero arrivato alla base della collina. L’aria era fredda, molto più fredda di prima e il respiro si fece più affannoso. Terminò l’accelerazione per poi perdere velocità. Non c’era nessun pericolo, stavo delirando. Nulla mi aveva attaccato ancora, avevo solo registrato aggressioni alle mie orecchie e i miei occhi, doni di quella sede dai lineamenti di Babilonia. Erano stati solo suoni, di bestie forse, o di crepe, scricchiolii, ma non mostri. Ero solo. Ma era forse una cosa di cui rallegrarmi, la completa mancanza di vita al di fuori di me?

Un battito d’ali interruppe i miei pensieri. Lo stesso mostruoso, di rapace senza piume, che già udì sotto il campanile burlesco. Un pipistrello forse. Crebbe. No, la creatura era più grande. Le mie gambe furon colte da un fremito e avanzarono come locomotive, bruciandomi i fianchi. Il rumore non cessò come prima, anzi, si faceva più vicino. Dio, ma quanto vicino? Almeno venti metri, ma la distanza diminuiva. Corsi di più, torso parallelo al terreno, braccia buttate all’aria, ma nulla, sentivo solo il battito del cuore crescermi nel timpano, ma non la distanza. Un ringhio di cane randagio mi carezzò la cervice. La bestia era scesa come un lupo dal cielo. Il battito si era interrotto, seguito dal sibilo dell’aria tagliata da due lame. Piombava su di me, con la sua bocca digrignata, lo sentivo.

Mi buttai riverso a terra, mani avanti, atterrai sui palmi, cinsi il mento al petto, porsi le spalle alla strada e seguì in una rotolata il resto del corpo. Il sibilo mi passò sopra il corpo, o sotto, dato che il mio apparato uditivo si era completamente sfasato per un secondo. Mi rialzai e vidi per un baleno l’orrore che avevo evitato, voltato di spalle, riprendere quota.

Un corpo da bestia, che quasi scambiai per una iena, ma in cui riconobbi l’orribile forma sfigurata di un uomo, nella sua secchezza scheletrica, nelle lunghe braccia che sfioravano gli stinchi e la testa conica, era tinto di un violetto ferale, di prugna aspra. Due grandi ali si dipanavano dalla sua schiena, di pelle, senza piume, ma neppure di pipistrello, similari piuttosto a grossi panni di carne sottile e più chiara, quasi traslucida. Ma ciò che mi affossò l’anima fu quello sguardo che colsi, per un frammento, prima che voltasse di nuovo la testa, mentre si guardava dietro le spalle appuntite. Un volto umano, ma più da gula, privo di naso, d’orecchie o pietà, di teschio affamato, non di rabbia, solo di carne e una bocca semiaperta nella delusione famelica.

Sparve di nuovo come guizzo di lampo. Ero arrivato di fronte la casa. Salì sulla veranda, inciampai sull’ultimo gradino, quasi piantai la faccia sulle assi in legno ben linde e mi precipitai sulla porta. Chiusa. Avevo ragione allora. Battei come un pazzo, quasi da scardinarla, ma non cedeva. Il ringhio tornò. La finestra, la finestra lì accanto! Presi la rincorsa, poggiai sulla balaustra e mi spinsi in avanti, saltai, pronto per infrangerla con il mio corpo pur di non cadere preda del magro notturno.

Ci fu uno schiocco e la mia caduta si protrasse a lungo. Il freddo buio fece spazio a una calda atmosfera d’arancio. Aprì gli occhi e il mio corpo a siluro s’infranse sopra un tappeto persiano ben decorato. Ruzzolai in avanti fino a sbattere accanto una libreria, dove frantumai un tripode di cedro e infransi in mille cocci il vaso in ceramica che reggeva, sporcando il pavimento di petali bagnati olandesi.

Mi trovavo dentro l’albergo. Qualcuno mi aveva alzato la finestra per poi richiuderla subito dopo. Quel tale era alto, magro anche lui, anche se non come il gula, con un viso smunto, due occhi foschi di ciglia, il mento lungo, la fronte alta e corti capelli ben pettinati e lisci. Ben vestito di nero, mi squadrò con un sorriso accennato, quasi sofferente, risistemandosi la mise, invitandomi a fare lo stesso e offrendomi, ancora seduto a terra, un sigaro. La fiera alata, impotente, rigò coi suoi artigli il vetro esterno, urlandoci addosso latrati umani.

-Zann!- Gridò l’uomo, con  voce roca, accendendo il suo sigaro e il mio, aiutandomi poi a rialzarmi –Abbiamo ospiti. Che ne dici di suonare qualcosa? Rallegriamo l’atmosfera!

   
 
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