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Autore: ____sapphire____24    17/12/2021    0 recensioni
Jin è il vice Presidente dell’azienda di cosmetici fondata da suo padre – una delle più fruttuose di Seoul – la KSJ Cosmetics.
Jia ha ventisei anni ed è madre single di un bambino di quattro: Jaehyun, o semplicemente Jae.
É riuscita a tirare avanti - tra un appartamento da mantenere e Jae da crescere - lavorando di notte in una discoteca molto in voga della capitale, ma soprattutto grazie all’aiuto di Taehyung: il suo migliore amico.
I destini di questi due giovani, le cui vite hanno avuto percorsi totalmente paralleli, si incroceranno quando Areum - la fidata segretaria di Jin - sarà costretta a lasciare vacante il suo posto.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kim Seokjin/ Jin, Kim Taehyung/ V, Nuovo personaggio
Note: Kidfic | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGUE
BEFORE THE STORM
4 GIUGNO 2020
 
Erano gli ultimi istanti, Jin lo sapeva. Non avrebbe saputo dire come, però: lo sapeva e basta.
Una di quelle cose che un figlio sente scorrere dentro il corpo, una di quelle esperienze che un figlio spera di provare il più tardi possibile; inseguendo l’impossibile sogno di non provarla mai.
Seokjin non faceva eccezione.
Desiderava vedere sua madre invecchiare, i suoi capelli neri trasformarsi prima in un grigio scuro e poi diventare d’argento, guardarla sorridere mentre teneva in braccio i suoi pargoli, tenersela gelosamente accanto mentre, anche lui, sarebbe invecchiato e poterle telefonare chiedendole consigli, conforto, per avere più a lungo possibile un porto sicuro a cui attraccare.
Magari.
Il destino aveva altri piani in mente. Il destino, bastardo – come lo aveva più volte definito Jin – aveva deciso che sua madre non dovesse invecchiare, ma che il suo corpo si sarebbe dovuto consumare comunque, mangiato in lungo e in largo dalla stronza.
La stronza era la malattia: il cancro.
L’aveva attaccata al seno, e via di mastectomia.
Poi l’avevano trovato all’utero, e via di isterectomia.
La stronza l’aveva privata del suo essere donna, ma la mamma di Jin aveva continuato a combattere: cicli e cicli di chemioterapia, gli splendidi capelli corvini completamente caduti, il corpo ridotto ad un gonfiore innaturale, perché poi era magra – magrissima – con tutte le ossa spigolose che sporgevano.
Ma non s’era arresa nemmeno la stronza. L’infame, la bastarda, la malattia l’aveva attaccata anche agli altri organi interni, s’era estesa, accasandosi in quel corpo ch’era stato di Jin, nei nove mesi di gravidanza, e che pure la stronza – pensava lui di tanto in tanto – aveva dovuto trovare confortevole, per affezionarsi a quel modo.
Metastasi: quello il risultato delle ultime tac e risonanze magnetiche. Non c’era più nulla da fare se non aspettare la fine. La malattia era diventata terminale, i medici avrebbero fatto tutto in loro potere per dare alla mamma di Jin quanto più tempo possibile, ma quello era limitato comunque.
Seokjin non lo accettava, e non l’avrebbe mai accettato. Starsene seduto a guardare la clessidra consumarsi lentamente, fino all’ultimo granello di sabbia.

«Jinnie» la voce tremolante e bassa di sua madre lo raggiunse mentre si stava facendo mangiare dai pensieri, e da quella brutta sensazione che continuava a spargersi come veleno.
«Eomma» si avvicinò a quel lettino di merda su cui stava stesa, intubata, col tsto per chiamare gli infermieri sempre pronto a portata di mano, e il rilevatore di battiti al suo fianco.
«Dov’è papà?».
Jin strinse i pugni, serrò la mascella e la sua espressione s’incupì.
Suo padre era in ufficio: suo padre era sempre in ufficio. Nemmeno la moglie che sfioriva, giorno dopo giorno, l’aveva convinto ad allentare la presa, a smettere di concentrarsi solo e soltanto sulla fottuta KSJ Cosmetics, azienda cosmetica di cui era a capo.
Ma Jin ribollì ancora di più perché si rese conto, guardandola dritto negli occhi, che quella sensazione che sentiva la provasse pure sua madre, che il sentirsi viscerale che li aveva sempre contraddistinti, quella sensazione di simbiosi con cui avevano sempre vissuto stava funzionando pure in quel momento.
Sua madre doveva aver capito, pure lei, che le restasse poco tempo. L’orologio della vita, che con lei era stato infame, era arrivato a battere gli ultimi rintocchi, e lei desiderava avere anche suo marito accanto.
«Al lavoro».
Al giovane uomo - qual era ormai diventato Jin – parve di sentire l’eco del cuore di sua madre che si rompeva in tanti piccoli pezzi. Così si affrettò a stringerle la mano, con la delicatezza che da sempre lo contraddistingueva, e a portarsela alle labbra, lasciando un tenero bacio sul dorso.
Qualcosa nel rilevatore del battito del cuore di sua madre cambiò, Jin gli lanciò un’occhiata trafilata e lo stesso fece la donna, poi tornò a guardare suo figlio, sforzò le labbra secche in un leggero sorriso.
«Ti amerò per sempre, Jinnie».
Poi chiuse gli occhi, l’elettrocardiogramma che registrava quell’aggeggio divenne piatto, e la sua mano – ancora stretta in quella del figlio – s’irrigidì.
Jin scoppiò a piangere, avvolto dal silenzio della notte, che dentro le mura dell’ospedale faceva ancora più paura, lo faceva sentire persino più solo.
Pianse fino a sentire la testa scoppiare, fino a che i lineamenti di quel volto bellissimo – che aveva ereditato, per la maggior parte, da sua madre – fossero trasfigurati dal dolore.
Solo dopo premette il dito sul tasto per chiamare gli infermieri e loro accorsero, per constatare il decesso e lanciare a quel giovane uomo degli sguardi compassionevoli, d’un dolore a cui assistevano tutti i giorni ma che non avevano idea cosa significasse.
Il signor Seokjong accorse, dopo aver ricevuto la telefonata dell’ospedale, col volto afflitto e due lacrime solitarie a rigargli le guance. Fece rumore, invitò l’equipe a lasciarlo solo nella stanza della defunta moglie, le baciò la faccia, le palpebre chiuse e le dita sottili. Mormorò delle parole incomprensibili, le chiese perché se ne fosse andata senza aspettarlo.
«Hai fatto tardi come sempre».
Jin lo guardava con rabbia, poggiato con la spalla contro lo stipite della porta.
«Perché non mi hai avvertito? Sarei corso».
Lui sorrise sarcastico. «Come sei corso dopo l’intervento durato sei ore per le complicazioni? Come sei corso quando ha scoperto le metastasi? Come sei corso quando afflitta dal dubbio è andata a fare un’ecografia al seno ed ha scoperto il primo tumore?».
L’uomo non disse niente, si limitò a lanciargli un’occhiata severa.
«Un’azienda non si manda avanti da sola».
«Nemmeno un matrimonio. È questione di priorità, appa, e la tua non è mai stata lei».
Gli diede le spalle e restò a vagare per i corridoi di quell’ospedale come un fantasma, guardando le pareti azzurrine e col naso ormai abituato all’odore di disinfettante.
Dopo quella maledetta notte, Jin non sarebbe stato più lo stesso.

*
19 APRILE 2020
 
Jia si era appena svegliata e, come da tre anni a quella parte, il primo pensiero fu lanciare un’occhiata a suo figlio, che dormiva beato nel lettino accanto a lei.
Rotolò per farsi più vicina a lui, s’avvolse nelle coperte come un pezzo di salmone nel riso in quegli hosomaki che tanto amava. Allungò il braccio verso Jae e gli carezzò il viso, lui si mosse appena, sbatté le palpebre e poi tornò a dormire tranquillo.
«Buon compleanno, amore mio» sussurrò, prima di mettersi in piedi e raggiungere, con paso trascinato, la cucina.

Come un lampo improvviso, che squarcia un cielo all’apparenza sereno, le tornò in mente il 19 aprile di tre anni prima; quel giorno piovoso in cui aveva messo al mondo Jaehyun: l’amore più grande ch’avesse mai provato nella vita. Le tornarono in mente i primi vagiti, il primo scambio di sguardi, la prima volta che si era attaccato al seno.
Aveva ventidue anni, all’epoca, ed una paura fottuta. Si era chiesta, per tutti i nove mesi di gravidanza, se sarebbero stati in grado – lei ed il papà di Jae – di crescerlo senza il supporto delle proprie famiglie, che li avevano ripudiati non appena saputo del bambino in arrivo, perché schiavi di una nazione troppo tradizionalista, schiavi dell’ossessione del giudizio della gente.
Non avrebbe mai immaginato, Jia, che ce l’avrebbe dovuta fare da sola, perché il papà del suo piccolino se l’era data a gambe ad un mese dalla sua nascita, accampando una scusa – di merda, tra l’altro.
Ma forse sola non era mai stata sul serio, perché poi – in fondo – c’è sempre stato Taehyung.

Non fece nemmeno in tempo a pensarlo, a pensare al suo migliore amico di sempre, quello che conosceva da una vita, che sentì il campanello suonare e fu sicura che fosse proprio lui: lo zio TaTa.
Jaehyun lo chiamava zio dal primo momento ch’aveva iniziato a biascicare qualche parolina, era stata la seconda cosa che aveva detto con più chiarezza, dopo mamma ovviamente – Jia ci teneva a sottolinearlo.
Aprì la porta a Taehyung ma non lo vide, perché la sua faccia era coperta da uno scatolo enorme, incartato alla bell’e meglio con una carta regalo azzurrina su cui c’erano stampati degli orsetti polari.
«Aiuto, aiuto, Jia, aiutami» urlò, allungando le braccia per farsi dare una mano, e insieme parcheggiarono il regalo di Jae in salotto.
«Buongiorno, comunque» aggiunse Tae, quando ebbe le mani libere e il volto in bella vista.
«Buongiorno» ricambiò lei, gli cacciò dietro l’orecchio un ciuffo dei capelli castani, di un mosso che gli aveva sempre invidiato – fin da bambini.
«Allora, questa colazione?».
Si schiantò sul primo sgabello a disposizione, col solito sorriso rettangolare dipinto sulla faccia da schiaffi.
Chiacchierarono di tutto e di niente, mentre Jia si destreggiava tra i fornelli e di tanto in tanto s’affacciava in camera di Jae, per controllare se si fosse svegliato – o semplicemente mosso di qualche centimetro.
Si svegliò mentre loro stavano mangiando, raggiunse la cucina trascinandosi dietro l’orsacchiotto gigante che zio TaTa gli aveva regalato, alla sua nascita, e diede un bacio enorme sia a lui che a sua mamma.
Trascorsero insieme tutta la giornata, cantarono al piccoletto la canzone di compleanno almeno tre volte, spense più candeline del dovuto, l’appartamento di Jia divenne un campo minato di panna spiaccicata ovunque e scarti della carta con cui Tae aveva impacchettato il suo regalo: una piccola motocicletta, formato bambino.
Jaehyun, infatti, amava qualsiasi mezzo di trasporto.
Da neonato, quando aveva le crisi di pianto dovute alle coliche, l’unico metodo funzionante per calmarlo era metterlo in auto e lasciare che il leggero dondolio lo cullasse, per poi tornare a casa e scoppiare a piangere di nuovo.

Era sera tardi, ormai. Jae stava già dormendo, soddisfatto dalla giornata trascorsa con mamma e zio TaTa, mentre ei si preparava per iniziare il suo turno di lavoro.
«La babysitter tra quanto arriva?» le domandò Taehyung, ancora con lei, mentre sorseggiava un po’ di birra gelida dalla lattina.
«Dovrebbe essere qui a momenti» borbottò la ragazza, e nel frattempo legò i lunghi capelli scuri in una coda di cavallo alta.
Haneul – la babysitter – arrivò a distanza di qualche minuto. Jia gli ribadì le solite cose che diceva sempre, le raccomandazioni che ormai la donna aveva imparato a memoria.
Non era mai stata una persona apprensiva, lo era diventata dal momento in cui la realizzazione di avere un’altra vita di cui essere responsabile l’aveva colta, come un’epifania.
«Non ti preoccupare Jia, ho tutto qui» Haneul portò l’indice alla tempia «Buon lavoro e fai attenzione» si assicurò «ciao Taehyung, buonanotte».
I due s’avviarono fuori dall’appartamento insieme, lui insistette per accompagnarla, nel tragitto le fece la solita paternale su quanto quel lavoro – per quanto remunerativo – non facesse per lei.
«O questo, o finisco sotto un ponte» disse Jia stizzita, una volta fuori dalla discoteca.
«Prima o poi ti troverò qualcosa di meglio, devi lasciare questo lavoro di merda» affermò convinto Taehyung «Buon lavoro Jia, e se qualcuno fa il coglione avvelenagli il drink».
Lei rise, gli diede un buffetto sul naso e poi gli baciò la guancia. «Buonanotte Tae, ti voglio bene».

*
 
Salve a tutti!
Se siete arrivati fino a qui, grazie, innanzitutto. È la prima volta che mi immetto, come scrittrice, nell’ampio fandom dei Bangtan, e spero che mi possiate accogliere con il calore di cui solo gli ARMY sono capaci – confido nella vostra bontà d’animo 😊
Questo è solo il prologo, il prima della tempesta che accadrà, un’occhiata nel passato, nel territorio che sarà terra fertile – oppure no – dell’incontro tra Jin e Jia.
Spero che possa piacervi, nel caso fatemelo sapere, sarebbe un vero onore.
Borahae a tutti voi <3
 
 

                                                                                                                                                                           
   
 
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