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Autore: Rosaspina7    20/12/2021    1 recensioni
[Un Professore]
“Prima mi respingi e poi mi dici di tornare da Glasgow. Mi salti praticamente addosso e poi mi dici che non ti piacciono i ragazzi. Mi dici che per te non esisto e poi vieni a trovarmi in ospedale; io sono stanco di cercare di capirci qualcosa.”
[...]
“La verità è che non ci sto capendo un cazzo neanche io.”
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono vivaaaaaaaa!

Non pubblico su EFP da uno o due secoli, e ormai mi sono dedicata perlopiù alle fanfic in inglese (se a qualcuno interessasse, il sito si chiama Ao3 e lì sono Briar_Rose7), ma a farmi tornare alle origini ci hanno pensato questi due liceali cretini. Li amo più di quanto sia saggio ammettere e, dato che in questo paese la bisessualità ufficialmente non esiste, mi sono presa la responsabilità di sistemare le cose. Il signore disse "e siano i bisessuali" e Manuel fu.

Sono senza beta reader, quindi abbiate pietà. Le recensioni sono sempre le benvenute.


————————


I primi giorni di ricovero sono ovattati e confusi; Simone fatica a dormire la notte e a stare sveglio di giorno. Sua madre piange nel vederlo così, e l’immagine sembra sovrapporsi a quella dei suoi ricordi di bambino. Adesso si sente stupido per aver frainteso il dolore dei suoi genitori così a lungo. Più il suo fisico migliora, meno tutto quello che è successo negli ultimi giorni sembra avere senso, e gli sale un mal di testa che ha poco a che fare con la sua commozione cerebrale. Quando finalmente riesce a stare seduto senza sentire la nausea, suo padre gli dice che Manuel vuole vederlo.

“È passato ogni giorno per sapere come stavi. Sono stati lui e sua madre a soccorrerti per primi, ha dormito qui in attesa che finisse l’operazione. Non te l’ho detto prima perché non volevo che ti agitassi, ma se preferisci posso dirgli che non te la senti, o che stai dormendo.”

Una parte di lui vorrebbe negarsi, evitare questo confronto fino a quando non sarà guarito e in grado di scontrarsi anche fisicamente con Manuel se necessario, ma fra il buon senso e Manuel, per Simone, vincerà sempre quest’ultimo. Suo padre esce dalla stanza, e poco dopo Manuel compare sulla soglia, con un'espressione che Simone non riesce a interpretare: è confuso? Imbarazzato? Triste? Si avvicina al letto di Simone, ma ancora non si siede sulla sedia lì vicino.

“Come stai?”

“Come un cojone.”

Silenzio. C’è imbarazzo nell’aria.

“Sei andato a sbattere proprio sotto casa mia. Ho sentito il botto e ti ho visto lì per terra e mi sono chiesto… mi sono chiesto se stessi venendo da me.”

“Onestamente, Manuel, non me lo ricordo. Mi ero preso di tutto.”

Tecnicamente è la verità. Non ricorda dove stesse andando o perché, ma sa fin troppo bene che, ormai, i suoi pensieri girano sempre intorno a Manuel, nel bene e nel male. Perciò sì, è probabile che stesse andando da lui; per parlargli, per baciarlo, o per picchiarlo, questo non lo sa dire.

“Cosa vuoi da me?” dice invece.

“In che senso?”

“Prima mi respingi e poi mi dici di tornare da Glasgow. Mi salti praticamente addosso e poi mi dici che non ti piacciono i ragazzi. Mi dici che per te non esisto e poi vieni a trovarmi in ospedale; io sono stanco di cercare di capirci qualcosa.”

Lo sguardo di Manuel, per un attimo, è così spaventato che Simone è convinto che lo vedrà scappare via. Invece Manuel rimane lì dov’è, mentre cerca una risposta, le parole giuste, o forse semplicemente il coraggio.

“La verità è che non ci sto capendo un cazzo neanche io,” dice, come se fosse allo stesso tempo una condanna e una liberazione. “Ho chiesto a Chicca di rimetterci insieme, ma lei mi ha pisciato.” Il cuore di Simone, che aveva osato battere di speranza per un attimo, si spezza con un sonoro crack. Simone ha perso il conto di quante volte è successo a causa di Manuel; forse dovrebbe farsi insegnare da Chicca come fare a non pensare più a lui.

“Il punto è… che mi manca stare con Chicca. Mi manca stare con Alice. Ma mi manca anche stare con te.”

L’ultima frase è appena un sussurro, pronunciato senza nemmeno guardarlo negli occhi. Simone ha la gola secca.

“E quindi?”

“E quindi non lo so. Però so che quando non ti vedo sto male. E quando ti vedo stare male sto ancora peggio.”

Forse è meglio che Simone stia ancora troppo male per muoversi, altrimenti potrebbe fare qualcosa di molto stupido, tipo provare a baciarlo di nuovo. Invece resta lì a guardarlo, con Manuel che stavolta ricambia lo sguardo, in un silenzio che è teso, imbarazzato forse, ma non spiacevole. Alla fine Manuel dice l’ultima cosa che Simone avrebbe mai potuto immaginare:

“Ma lo sai che Lombardi e tua nonna hanno una storia?”

La tensione si rompe, per una volta Simone non ha fatto nulla di stupido, e Manuel si siede finalmente accanto a lui. Passano il resto del tempo così, a parlare di cose stupide, e alla fine Simone ha le guance che gli fanno male a furia di sorridere.

“Allora io vado. Ci vediamo domani?” chiede Manuel quando, alla fine, si alza dalla sedia.

“No guarda, parto per Ibiza.”

“Intendo… va bene se passo anche domani?”

Per me puoi anche fermarti e dormire direttamente qui, è la prima risposta che passa per la testa di Simone. Non hai neanche bisogno di chiederlo è la seconda.

“Certo. Se ti va,” è quello che dice invece. Missione compiuta, dignità intatta.

Manuel torna il giorno dopo, e quello dopo ancora. È il primo a firmare il gesso sul braccio di Simone; Laura fa altrettanto qualche giorno dopo, e appena nota l’unico nome presente lancia un’occhiata a Simone che lo fa arrossire fino alla punta delle orecchie. Su insistenza di Dante, Manuel comincia a portare a Simone i compiti da fare in ospedale. Essere allettato e costretto a studiare, sapendo tra l’altro che c’è una buona possibilità di perdere comunque l’anno, sarebbe una tortura, se non fosse che Manuel si ferma ogni singolo giorno a studiare con lui (Dante finge di non notare che Manuel scrive le ricerche di filosofia per tutti e due, e che Simone fa i compiti di matematica per entrambi). Alla fine il loro studio non risulta vano, perché Dante riesce, chissà come, a convincere la preside a organizzare per un loro un esame informale per salvare l’anno. Forse il fatto che Lombardo sia ormai completamente alla mercé di sua nonna ha aiutato.

Il giorno dell’esame Simone è più nervoso di quanto vorrebbe ammettere; per quanto dica che non gli importi, la verità è che gli dispiacerebbe essere bocciato.

“In ogni caso sei messo meglio di me,” gli dice Manuel. Si sono incontrati a metà strada e stanno facendo l’ultimo tratto di strada verso scuola a piedi, insieme.

“Perché?”

“Vanno in ordine alfabetico, no? Quindi interrogano prima te. E se ti va bene mi sale l’ansia perché devo fare altrettanto, e se ti va male… mi passa la voglia di fare l’esame.”

“In che senso?”

Manuel si ferma e lo fissa con uno sguardo che Simone ha visto solo una volta prima d’ora, nella notte del suo compleanno.

“Nel senso che non avrei voglia di stare in una classe senza di te.”

In un ultimo istante di lucidità, Simone ha la certezza che non passerà mai l’esame, perché può praticamente sentire i suoi neuroni che vanno in cortocircuito in massa mentre Manuel si avvicina. È Simone, alla fine, ad annullare del tutto la distanza e a baciarlo come sognava di fare da tanto, troppo tempo. È diverso dal primo bacio, più dolce, ma altrettanto intenso, e nella luce del giorno Simone si sente messo più a nudo di quanto non lo sia stato fisicamente fra quelle impalcature. Sono entrambi senza fiato quando si separano, e stavolta Manuel non si stacca da lui in fretta; lo tiene stretto, e gli sorride con quel sorriso per cui Simone farebbe letteralmente follie.

Dopo tutto, ‘sti cazzi dell’esame.

  
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