Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: FreDrachen    20/12/2021    1 recensioni
Luca aveva davvero tutto nella vita. Era una promessa del calcio, popolare tra i suoi coetanei tanto da essere invitato a ogni festa, ed era oggetto di attenzione di ogni ragazza e non.
Insomma cosa si poteva volere dalla vita quando si aveva tutto?
Basta, però un semplice attimo, un incidente lo costringerà a una sedia a rotelle, e per questo sarà abbandonato dalle persone che un tempo lo frequentavano e veneravano quasi come un Dio.
Con la vita stravolta si chiude in se stesso e si rifiuterà di frequentare la scuola. Sua madre, esasperata da questa situazione, riesce a ottenere la possibilità, dalla scuola che Luca frequenta, di lezioni pomeridiane con un tutor che avrà lo scopo di fargli recuperare il programma perso.
E chi meglio di uno dell'ultimo anno come lui può riuscire nell'impresa?
Peccato che Luca sia insofferente agli intelligentoni e non sembra affatto intenzionato a cedere.
Peccato che Akira non sia affatto intenzionato ad arrendersi di fronte al suo carattere difficile.
Due ragazzi diversi ma destinati ad essere trascinati dall'effetto farfalla che avrà il potere di cambiare per sempre le loro vite.
[Storia presente anche su Wattpad, nickname FreDrachen]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 18


*Capitolo un po' (tanto) triste D: buona lettura*
 

Uscimmo dal centro che ormai il sole stava tramontando.

Ero teso, in fondo stavo andando contro le direttive di mio padre, ma al tempo stesso mi sentivo quasi liberato da un peso. Avevo paura che non fosse altro che un sogno, e che alla fine mi sarei svegliato con l'amaro in bocca.

«Luca-chan, cos'hai?» volle sapere Akira al mio fianco.

Doveva possedere un qualche super potere che gli permetteva di captare i miei pensieri, perché altrimenti non mi spiegavo questa sua capacità a percepire la maggior parte delle cose mi passavano per la testa. Per fortuna non tutti altrimenti si sarebbe potuto inquietare per quelli che facevo su di lui.

«È che sembra troppo bello per essere vero. Ho paura di scoprire che non è altro che una falsità» tentai di spiegarmi e lui annuì comprensivo.

«Credo che sia una cosa normale pensarlo. Ma non ti devi preoccupare. Farò ogni cosa affinché si realizzi e che rimanga tale» dichiarò, e quelle parole scesero come balsamo sul mio cuore.
Ecco perché mi piaceva.

Aspetta...un...attimo... Come amico, senza dubbio come amico, mi affrettai a pensare.

Lui mi spiegò anche avrebbe dovuto metterci almeno una settimana ma essendo un lavoro extra i tempi si sarebbero potuti allungate ma che non dovevo assolutamente preoccuparmi.

«Poi ti devo dare i soldi» dissi e lui mi osservò senza capire.

«Per le protesi» precisai e lui si fece serio.

«Assolutamente no» affermò deciso.

«Ma i componenti sono costosi e poi mi dispiace per tuo zio che perde tempo prezioso...»

«Di quello non ti devi assolutamente preoccupare. Consideralo un regalo in ritardo per il tuo diciottesimo o uno per Natale anticipato».

«Akira, apprezzo il gesto ma sono troppo costose per considerarle solo un regalo» tentai ma dal suo sguardo intuì che non avrebbe ceduto.

«È una cosa che vorrei fare per te, per cui ti prego accettale».

«Non riuscirò a farti cambiare idea, vero?»

Lui incrociò le braccia al petto e fece un sorrisetto.

«Si, non riuscirai» confermò al che alzai gli occhi al cielo per poi sospirare.

«Va bene, sensei cinese testone».

Lui ridacchiò e ci fermammo di fianco alla macchina. Anche in questo caso sembrava irremovibile sulla sua decisione di accompagnarmi a casa e anche stavolta accettai senza lamentele.

Entrambi, però, ci fermammo al sentire un flebile miagolio. Ci fissammo negli occhi prima di muoverci verso la direzione da cui veniva quel debole lamento.

Il primo a colpirci fu l'odore penetrante che colpì violentemente le narici.

«Ma che odore é?» domandai portandomi una manica di fronte al naso per limitare il più possibile l'accesso al naso e salvaguardare un poco i miei poveri recettori olfattivi.

Il volto basso di Akira era nascosto dai suoi ciuffi corvini e quando parlò lo fece con una voce atona con però una leggera sfumatura di rabbia. «Questo è l'odore della morte» disse come se lui lo conoscesse. Ingoiai la curiosità e non gli domandai come facesse a saperlo.

E alla fine ci trovammo davanti a uno spettacolo raccapricciante. C'era una gatta non ancora in stato di decomposizione ma evidentemente morta, così come i quattro che dovevano essere i suoi cuccioli sdraiati al suo fianco come se fossero stati colti dalla morte durante il loro nutrimento. Non mostravano segni di ferite, molto presumibilmente doveva aver mangiato dei bocconi avvelenati, come quelli che alcuni individui, che chiamarli bestie era un insulto per queste ultime, posizionavano in giro e che animali ignari ingerivano andando incontro al loro destino. Se le sostanze usate erano le stesse che caratterizzavano le trappole per le nutrie era ancora più crudele. Quelle sostanze non agivano subito, ma conducevano alla morte l'animale a distanza di ore e quindi lontano dalla posizione in cui l'assumevano. Il solo pensiero che quelle povere bestiole innocenti fossero andati incontro a quella morte per colpa di miei simili mi faceva vergognare di essere un essere umano.

Akira si allontanò di qualche passo, senza dubbio a disagio per questa situazione, ma poi lo vidi setacciare tra le erbacce poco distanti.

«Cosa stai facendo?» domandai incuriosito raggiungendolo.

«Deve esserci qualche superstite. Prima ho sentito un miagolio».

Già, vero! Nella tristezza del momento me l'ero dimenticato.

Non ci vollero molte ricerche, lo intuì quando vidi le spalle di Akira rilassarsi e le sue braccia protendersi in avanti dopo essersi accovacciato.

Non appena si tirò su tra le mani reggeva una palla bianca e arancione, simile a un batuffolo di cotone. Il piccolino miagolava come spaventato e triste, stiracchiando debolmente le zampettine sulle mani di Akira lasciando sottili segni con gli artiglietti.

Lui cominciò a osservarlo e il suo sguardo si perse nel vuoto, come se i suoi pensieri l'avessero sdradicato dalla realtà.

«Akira» lo chiamai, ma lui rimase in quello stato catatonico.

Cazzo se l'avessi perso sarebbe stato la fine. Non avevo la più pallida idea di quello che dovevamo fare.

«Akira!» riprovai e lui dovette intuire una nota di panico nella voce perché si ridestò e riportò lo sguardo su di me. Gli occhi erano lucidi ma nessuna lacrima era scivolata fuori e in essi lessi una tristezza senza pari. Di certo era per quel povero gattino...o no?

Ma non era quello il tempo per indagare.

«Cosa facciamo?» domandai e lui lasciò scivolare via dal suo volto i sentimenti per assumere il suo solito comportamento retto e responsabile, quello che aveva cominciato a renderlo ai miei occhi una roccia indistruttibile.

«Dobbiamo portarlo subito da un veterinario» dichiarò lui ridestato del tutto e affidandomi il gattino.

Lo fissai in difficoltà, non avevo mai avuto a che fare con un gatto da quando da piccolo avevo constatato che ero incompatibile con questa specie dato che tutti quelli che incontravo mi soffiavano contro manco fossi l'anticristo.

Avevo paura di stringerlo troppo con le dita, ma al tempo stesso avevo timore che potesse liberarsi e che cascasse a terra dove avrei avuto difficoltà a recuperarlo. La distanza dallo spappolarlo e rischiare di lasciargli troppe libertà non era poi così tanta. Avvertivo a contatto con la mia pelle il suo cuore che batteva a ritmo accelerato, anche lui era terrorizzato come me. Le mani mi stavano sudando, rinfrescando il suo pelo a chiazze. Cominciai a passare le dita sul suo corpicino cercando in qualche modo di scaldarlo, il tempo purtroppo era quello che era dato che ci trovavamo a dicembre, ma soprattutto per rassicurarlo. Volevo fargli capire che era al sicuro.

«Va tutto bene. Ci siamo noi adesso» gli mormorai e mi sembrò quasi che quel batuffolino avesse capito le mie parole perché si acquietò un poco continuando però a rifarsi sulla mia povera mano con gli artigli con l'aggiunta talvolta dei dentini. Chissà se ai gatti piaceva la carne umana.

Nel mentre Akira avevo estratto il telefono e aveva chiamato lo zio, spiegandogli velocemente l'accaduto, e dopo aver messo giù la chiamata sorrise non verso il gattino ma verso di me. Avvertì le goti tingersi di rosso e distolsi in fretta lo sguardo. Maledetta circolazione  sanguigna.

L'uomo ci raggiunse qualche minuto dopo trafelato.

Gettò inizialmente un'occhiata triste alla gatta e ai cuccioli, e infine sull'unico superstite che si stava pian piano calmando sempre di più. Non sapevo se era una cosa positiva o no.

«Portatelo qui» gli disse passandogli un foglietto su cui era segnata una via e un numero di telefono. «Io rimarrò qui a seppellire queste povere creature».

Akira afferrò velocemente il foglietto e mi spinse in fretta verso la macchina.
Mi aiutò a salire sul mezzo, non usò mezze misure e mi tirò su adagiandomi tra le sue braccia e posandomi subito dopo sul sedile, questo per farmi tenere sempre il gattino, il cui cuore sembrava battere più lentamente mano a mano che l'orologio scandiva lo scorrere inesorabile del tempo, e dopo aver posizionato la sedia a rotelle nel bagagliaio, partì in fretta.

Per fortuna lo studio veterinario non era lontano dalla nostra posizione.

Akira ripeté il procedimento contrario a prima e dopo aver chiuso le portiere dell'auto e dopo avergli affidato il gattino, ci facemmo strada verso l'entrata. Non doveva essere il centro di turno perché le luci all'interno si spensero e la porta si aprì rivelando la figura di una donna di mezza età dallo sguardo stanco che stava armeggiando con la borsa in cerca, quasi senza dubbio delle chiavi.

«Aspettate» la richiamò Akira accelerando il passo, mentre il sottoscritto lo seguì a ruota. La donna portò la sua attenzione prima su di me malgrado fossi il piú distante e da cui distolse quasi subito lo sguardo, più per imbarazzo che altro, e infine si concentró su Akira.

«Mi spiace, come vedi sto chiudendo non essendo il centro di turno».

«La prego. Sta morendo» la implorò Akira ponendo in avanti le mani su cui era adagiato il corpicino del gattino.

La donna tentennò un po', tra l'andarsene in fretta e furia oppure rimanere. Con un sospiro rassegnato riaprì la porta dello studio e ci fece cenno di seguirla.

L'interno era un po' stretto, per questo ebbi qualche difficoltà a muovermi con la sedia a rotelle, ma sinceramente non era la priorità in quel momento.

La donna ci condusse in quella che pareva una saletta d'aspetto e dopo essersi fatta affidare il micino ci invitò ad attendere.

Non appena se ne fu andata Akira si lasciò cadere pesantemente sulla sedia, poggiando la testa contro il muro.
«Pensi che se la caverà?» domandai con un filo di voce, massacrandomi le mani. E se non avessimo fatto in tempo?

Akira si voltò verso di me e poggiò una mano sulle mie stringendole un poco. Il mio corpo cominciò ad andare in cortocircuito e a riscaldarsi un poco. Ma non c'erano finestre da aprire?

«È forte, un vero guerriero come te. Lo si capisce da quanto abbia combattuto per rimanere in vita. Vedrai che la dottoressa lo riuscirà a rimettere in sesto».

Gli risposi con un debole sorriso quasi a ringraziarlo di questo suo tentativo di tirarmi su il morale, ma dentro ero preoccupato, come se stessi morendo dentro. Non avevo mai avuto un animale domestico da quando in seconda elementare avevo dato troppo cibo al pesce rosso che era esploso per aver ingerito più del dovuto. Certo, c'ero rimasto male, non ero un insensibile, ma nulla di paragonabile a quello che avvertivo dentro in quel momento.

Passò quasi mezz'ora prima che la porta dietro cui era sparito il micino si aprisse. Akira si alzò e anch'io restai in attesa. Maledizione, dal volto della donna che aveva appena messo piede nella sala d'attesa non si capiva nulla del destino del gattino.

«Bè?» mi ritrovai a incitarla e lei mi rifilò un'occhiata tagliente per poi rivolgere la sua attenzione su Akira.

Scusa tanto se esisto, eh!

«L'avete salvato per tempo. Ha solo bisogno di riprendersi e prendere peso ma per il resto è fuori pericolo».

Mi lasciai andare sulla sedia, stringendo i braccioli, cercando di allentare la tensione che avevo accumulato.

«Lo terremo in osservazione per qualche giorno, e solo allora potrete venire a prenderlo».

Fu a quelle parole che mi venne in mente la domanda più fondamentale di quel momento.

Aspettai che fossimo usciti dallo studio, dopo aver scambiato alcune parole con la veterinaria, prima di pronunciare la fatidica domanda a voce alta.

«Chi si prenderà cura di lui?»

Akira mi fissò come se anche a a lui fosse sfuggito quel problema fino a quel momento, e di tutta risposta assunse un'espressione triste.

«Io lo farei se non fosse che mia zia è allergica al pelo del gatto. Anzi, spero solo che il solo toccarlo non possa causarle qualche reazione. Quando tornerò a casa dovrò fare molta attenzione».

In effetti era un problema da sottovalutare. Non sapevo quanto fosse grave quest'allergia ma di certo non ci tenevo ad aggravarla. Quella donna pareva adorarmi, e dato che negli ultimi tempi, eccezioni a parte, erano più quelli che mi detestavano non avevo la ben che minima intenzione di abbassare il numero di chi invece sopportava la mia presenza.

«Per mia madre forse non ci dovrebbero essere tanti problemi, anche se é molto succube delle decisioni di mio padre. E in quanto a lui è...» ribattei con fare pensoso, e fermandomi prima di perdermi in chissà che complimenti per il vecchio.

«Posso dire che tuo padre è una persona abbastanza...» attaccó a dire Akira.

«Stronza?» gli venni in aiuto e lui arrossì.

«Io non intendevo...»

Feci un gesto di noncuranza con la mano. Intendeva eccome, la sua faccia diceva assolutamente tutto.

«Ma figurati. So com'è mio padre. Non è una novità» dissi con un tono amaro nella voce, e lui annuì come se capisse quello che provavo.

«Vorrei provare a convincere lei e magari avere così qualche chance che possa tenere il gattino. Per te non ci sarebbero problemi, vero?»

Annuì con un cenno della testa. Avrebbe potuto provare certo, non gliel'avrei vietato, ma non sarebbe stata la conferma definitiva.

«E come pensi di riuscirci?»

Lui si permise un sorrisetto.

«Lei mi adora».

In effetti lo adorava sul serio!

In effetti lo adorava sul serio!

Mi accompagnò a casa con l'intento di chiederle subito del gatto. Lei era venuta ad aprirci e non appena aveva scorto Akira si era persa in un sorriso di gioia. Erano mesi che non la vedevo così. Forse sarei dovuto essere geloso dato che a scatenare quell'emozione era stato Akira, in verità ero solo felice che fosse entrato nella mia vita.

Mia madre lo fece accomodare e lui prontamente si chinò un poco in avanti, un segno giapponese di forma di rispetto.

Si avevo fatto qualche mia ricerca, ma non l'avrei mai ammesso. Mi piaceva chiamarlo sensei Cinese e vedere come il suo corpo reagiva quando non azzeccavo l'altra sua metà di appartenenza. All'inizio avevo avuto difficoltà ma da quando lo conoscevo mi ero messo a cercare diverse nozioni sulla cultura nipponica. Anche se la maggior parte delle cose erano ancora ostrogote, lingua compresa. La strada per la comprensione di quella parte del suo mondo era ancora in salita, una abbastanza ripida, che ero ferramente convinto di sfidare. Un Tremonti non si ferma mai di fronte agli ostacoli!

«Vorrei chiederle se fosse possibile per voi accudire un piccolo gattino» dichiarò Akira.

Lei parve presa in contropiede e notai che si trovava in difficoltà.

«Ecco, non saprei cosa dirti...»

«Ti prego mamma, sono certo che non darà affatto fastidio» intervenni e lei riportò la sua attenzione su di me con espressione perplessa. «Luca, sei coinvolto anche te in questa faccenda?»

Detta così pareva che avessi combinato un danno di proporzioni epiche.

Le raccontai di come avevamo trovato il micino, omettendo il luogo dove eravamo stati fino a poco prima, e della nostra decisione di portarlo prontamente dal veterinario. Al sentire la zona dove si era svolto il tutto il suo volto assunse un'espressione dubbiosa. Che conoscesse l'esistenza dello studio dello zio di Akira?

Cazzo, avrei dovuto pensarci prima.

Preoccupato di essere stato scoperto prima ancora di vedere le protesi finite arrivò Akira in mio soccorso.

L'avrei baciato per il sollievo...in senso metaforico, certo.

«Dopo aver fatto il giro che le avevo accennato di fronte a scuola, si è offerto di accompagnarmi a prendere una cosa da mio zio che lavora in quella zona. Sa, mi serviva per studiare».

Lei parve abboccare quella piccola bugia e per quello mi rilassai un poco sulla sedia.

Mia madre continuò a dialogare con Akira, lodandolo per il suo interesse nello studio e per il tempo che mi dedicava.

La situazione stava diventando parecchio imbarazzante per il sottoscritto.

«Akira andiamo in camera mia, che ne pensi?» mi introdussi nel discorso e per fortuna Akira intuì le mie intenzioni.
Con un altro inchino si congedò e mi seguì verso la mia stanza.

Giunti a destinazione lo feci accomodare sul letto, su cui si sedette cercando di non fare troppa pressione sul materasso. Aveva forse paura di deformarlo?

Dal canto mio scesi dalla sedia a rotelle per posizionarmi comodamente sul lato opposto. Lo studiai attentamente mentre con lo sguardo cercava forse di comprendermi meglio. Lo vidi analizzare i vari poster dei miei idoli calcistici che campeggiavano sulle pareti e sulle ante degli armadi e infine il disordine caotico che regnava. A saperlo avrei messo un po' in ordine. Speravo che tutta quella entropia non lo dissuadesse a smettere di frequentarmi.

«Come pensi di chiamarlo?» lo sentì domandare e quelli mi fece tornare con la mente sulla terra. Da quando lo conoscevo mi facevo davvero troppi castelli mentali.

«Eh?»

«Eddai, un nome dovrà pur averlo. Non puoi chiamarlo semplicemente Gatto. Che tristezza».

«Ma come! E che mi dici del Gatto con gli stivali di Shrek?»

«Che quelli della Dreamworks sono persone tristi a non avergli dato un nome. E poi mi sorprende che tu conosca quel cartone».

«Non sembra ma sono piuttosto colto in materia».

«Quindi anche te hai in lato nerd» disse Akira con un sorrisetto divertito.

«Prova a dirlo in giro e ti negherò il saluto» replicai assumendo il tono più serio di cui ero capace.

Lui si portò una mano sul cuore. «Il tuo segreto sarà ben custodito. E poi non sia mai che si intacchi la tua figura impeccabilmente da tosto».

«Ecco, hai capito tutto» dichiarai soddisfatto.

«E quindi?»

«Cosa?»

«Il nome. Come pensi di chiamarlo?»

Ci pensai un attimo per poi proporre: «Lionel?»

Akira mi fissò senza capire e subito aggiunsi: «Messi». Notando che ancora non capiva continuai: «Giocatore del Barcellona e uno dei più grandi calciatori del secolo».

Oddio era così nerd e scarsamente ferrato nel calcio che quasi mi veniva da piangere.

«Ma dai come fai a non sapere chi è?»

«Gli unici calciatori che conosco sono quelli di Blue Lock, Izuma eleven  e Capitan Tsubasa».

Stavolta fui io a fare la faccia da pesce lesso.

«Per Blue Lock ti posso perdonare dato che é un'opera inedita qui in Italia, e Izuma eleven é troppo sottovalutato e non doppiato, ma dai Capitan Tsubasa no. Ti dicono qualcosa Holly e Benji?»

Sinceramente non sapevo di cosa stesse parlando per cui continuai: «Fernando? Come Maradona».

Altro silenzio.

«Non ti dico Cristiano perchè mi urta sia il nome che il giocatore». E snocciolai altri nomi, tutti accompagnati da una faccia sperduta di Akira.

«E Freddy?» propose infine, dopo una buina mezz'ora di proposte tutte gettate alle ortiche.

Notando la mia faccia perplessa aggiunse: «Come Mercury, il cantante dei Queens».

Non capì come eravamo finiti dal mondo del calcio a quello della musica ma, in effetti, non mi dispiaceva come cantante e come nome trovavo che si addiceva al gattino.

«Mi sa tanto che sarà l'unico nome su cui potremo andare d'accordo» acconsentì.

Assaporai il nome più e più volte con Akira che rideva del mio entusiasmo, e lo stesso feci a mia volta. Mi sentivo un cretino a ripeterlo a pappagallo ma da quanto non ridevo così di gusto? Ma la vera domanda era, l'avevo mai fatto?

«Dovremo andare a prendere insieme tutti gli accessori a cominciare dal collarino. E poi la cuccetta, il portantino...» e mi persi a elencare tutto il necessario per avere cura del piccolo Freddy. Ma quante cose servivano a un gatto? Piú elencavo più percepivo che la lista di cose da comprare sarebbe stata kilometrica. Ma che potevo farci, ero su di giri a poter avere in quella casa quella piccola palla di pelo. Non si sarebbe mai detto ma adoravo alla follia i gatti, anche se il mio animale preferito rimaneva il panda minore.

Mentre mi perdevo nei miei discorsi logorroici Akira continuava a fissarmi, forse chiedendosi il motivo per cui mi dava ancora retta. Ma mi fermai quando lo sentì mormorare la stessa parola che aveva pronunciato nello studio di suo zio. Kawaii.

«Cosa vuol dire?»

Lui si riscosse e assunse un'espressione perplessa.

«Cosa?»

«Quella parola che hai appena pronunciato. Kiwi qualcosa».

Lui di tutta risposta arrossì fino alla radice dei capelli. Ma che accidenti reazione era?

«Nulla. È solo un modo per dire...bè...che sono d'accordo*».

Una parola così corta per dire tutto quello? Bah, non ne ero convinto ma se lo diceva lui chi ero io a contraddirlo? E poi perché mai quella reazione? Dovevo assolutamente indagare. Non me la raccontava giusta.

Il bussare alla mia porta evitò altre domande da parte mia.

Il volto di mia madre fece capolino dal vano della porta.

«Scusatemi se vi interrompo ma è abbastanza tardi». A quelle parole gettai un'occhiata distratta alla sveglia sul comodino, per fortuna non l'avevo sommersa sotto tonnellate di roba, e lessi l'ora.

Cazzarola, era vero!

Akira si alzò dal letto e lo stesso feci io sedendomi sulla sedia a rotelle.

Salutò mia madre con estrema cortesia, era troppo una persona rispettosa, e lo guidai verso la porta di casa e l'aprì permettendo ad Akira di attraversarla.

«Ci sentiamo domani, sempre che sopravviva alla messa a cui i miei, senza dubbio, mi trascineranno».

A quelle parole il bel volto di Akira si oscuró.

«Domani penso di no. Devo fare...una cosa» rispose e il suo tono trasudante una tristezza e un dolore viscerale mi mise in allarme.

«Aki, va tutto ben...»

Non ebbi il tempo di formulare la domanda che lui, dopo un saluto sbrigativo uscì del tutto e fece una rapida corsetta verso la sua auto.
E mi lasciò così, perplesso per la sua reazione.
Che avessi fatto o detto qualcosa di sbagliato?

Era arrivato il momento di chiederglielo, ma più cercavo le parole più la mia convinzione vacillava


Era arrivato il momento di chiederglielo, ma più cercavo le parole più la mia convinzione vacillava. Sicuramente mi avrebbe detto di no, ormai lo conoscevo abbastanza da farmi capire che era una partita persa in partenza.

Lui stava guardando il telegiornale che stava parlando dell'ennesimo caso di femminicidio e lo sentivo borbottare di quanto quel fenomeno fosse diventato mediatico e che se erano successi c'erano sicuramente dei motivi, e sempre secondo lui era colpa della donna. A volte quando lo sentivo parlare in quel modo mi vergognavo di condividere i suoi stessi geni.

Aprì la bocca ma poi cambiai idea ma questo mio gesto non gli passò inosservato.

«Hai qualcosa da dirmi?» mi domandò con uno sguardo che si poteva rivolgere a un verme o a un essere insignificante. Ormai erano quelle le espressioni che mi rivolgeva se mi osservava. La maggior parte delle volte evitava di farlo, e non sapevo se quello era un bene o un male.

«Bè?» mi apostrofò lui irritato.

«Ecco io...nulla papà» risposi. Ma che cazzo di problemi avevo? Che ci voleva a chiedergli una cosa così semplice?

«Alfio, che ne diresti di prendere un gattino?» se ne uscì mia madre, subito dopo, con fare innocente. E infine snocciolò una storia talmente credibile che se non avessi saputo la verità ci sarei caduto come una pera sfatta.
Inventò che la sua amica Patrizia, una del circolo che mia madre frequentava abitualmente, aveva trovato dei gattini e se era interessata ad adottarne uno.

Lui ascoltò distrattamente alzando il volume della tv. «Se questo ti fa felice» rispose semplicemente e la conversazione finì lì.

Mangiai in silenzio e non appena finì mi congedai per tornare in camera mia.

Mia madre mi raggiunse poco dopo, e prima che parlasse l'anticipai.

«Grazie». Una semplice parola che però racchiudeva significati ben profondi. Era non solo per Freddy ma anche per il semplice fatto che per quanto possibile cercava a modo suo di essermi di appoggio, al contrario di mio padre che ormai mi considerava una causa persa.

«Avresti potuto chiederglielo anche te sai?» replicò lei, sorridendo però come se la rendesse felice a farmi un piacere.

«Lui mi odia».

«Tuo padre ti ha e ti vuole sempre bene, solo che ha un modo particolare per dimostrarlo».

«A papà importa solo di se stesso e del suo piccolo mondo egoistico» replicai stirando le labbra in un sorriso amaro.

Mamma mi fissò addolorata. «Oh Luca...».

«Potresti lasciarmi da solo per favore?»

Lei esaudì la mia richiesta e si chiude la porta dietro.

Da solo nella mia stanza mi portai le mani sul volto. Certo il futuro di Freddy era assicurato ma se non fosse stato per mia madre non sarebbe successo. E quello guardo di puro disgusto che mio padre mi aveva rivolto era peggio di una miriade di coltelli, che pungolavano la pelle, straziandola senza pietà.

Era questo che ero diventato per mio padre? Immeritevole di qualsivoglia attenzione e considerazione?

Per Akira non era così. Lui era forse il mio esatto opposto. Non mi meritavo di essere amico di una persona così gentile. Al ricordare il suo volto prima di andarsene, o meglio scappare, recuperai il cellulare che prima distrattamente avevo buttato sulla scrivania per scrivergli.

Con il dito sospeso sulla tastiera mi ritrovai a non sapere che parole usare.

"Ehilà" come saluto pareva troppo allegro e non era l'umore di Akira. Magari avrebbe pensato che lo stessi prendendo in giro e di certo non era questo il mio intento.

Alla fine, dopo una buona mezz'ora a spremermi le meningi, mi ridussi a un semplice:

"Tutto bene?"

Aspettai una sua risposta, fino a mezzanotte passata, che non arrivò mai.
 

*Akira ha mentito sul significato di Kawaii perchè il suo significato avrebbe fatto capire troppe cose a Luca 😂
 

Angolino autrice:

Buonsalve :3

Eccomi con il capitolo 😍 è venuto un bel po' più lungo del normale ma non avevo a cuore dividerlo...per cui spero sia valsa la pensa farvi aspettare un poco di più ❤️
Come vi avevo anticipato è stato in parte triste (povero Freddy😭).

E anche il prossimo non sarà una passeggiata 😱😭

Avrete alcune rivelazioni sul passato di Akira...e con tutto ciò che questo comporta (semicit.😅🙈)

Ringrazio tutti voi che seguite la storia ❤️ mi rendete estremamente felice ❤️

A presto 😍
FreDrachen

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: FreDrachen